QUANDO IL CORPO VA IN MOSTRA

IN PRINCIPIO ERA IL SENO

All’inizio vi era solamente una enorme goccia di latte. Così i dogoni del Mali hanno immaginato la creazione del mondo. Non solo per gli indiani la vita è nata dal caglio di un oceano di latte. Gli antichi Egizi avevano immaginato Iside, sorella e moglie di Osiride, nutrire al suo seno Horus, il dio della luce. E la stessa mitologia classica ci ha regalato la bella immagine della via lattea e il mito della grande Madre identificato in Hera-Giunone. Il mito della fertilità nella sua forma multimammia - peraltro diffusa in paesi e civiltà molto distanti tra loro anche geograficamente come in Cina e in Lapponia – è incarnato da Artemide di Efeso. Il potere primigenio femminile è dunque tradizionalmente espresso dalla presenza, più o meno ipertrofica del seno. Al seno, al suo grande e misterioso significato simbolico, è dedicata una delle mostre più originali e interessanti di questi ultimi anni.

Incanto e Anatomie del Seno, curata da Alfonso Maria Pluchinotta e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova nelle belle sale del Palazzo Zabarella.

Dagli archetipi della potenza generativa femminile, ai poteri e alle valenze del latte; dalla simbologia e coreografie popolari, al seno come arma di seduzione; dalla malattia alla presenza del seno nell’immaginario dell’arte contemporanea, la mostra si presenta come uno strumento di conoscenza e di presa di coscienza di un tema spesso rimosso o esasperato, come giustamente hanno riconosciuto il sindaco Flavio Zanorato e l’assessore Pier Luigi Fantelli, in apertura del catalogo edito da Charta ricco di stimolanti e variegati contributi critici.

Il seno o dell’ambiguità. La parola stessa "sinus" nell’antichità romana indicava lo spazio compreso tra le mammelle, il luogo in cui veniva legata la veste e dove sovente venivano conservati oggetti personali e in seguito arriva a identificare le stesse mammelle femminili e quindi a richiamare tutte le funzioni implicite in esse quali la maternità, l’estetica, il costume.

La mostra padovana sul seno segue pertanto un percorso a tappe in cui più sezioni (archetipi e miti, il primo nutrimento, i poteri del latte, immaginario cristiano e popolare, la seduzione, la medicina e infine l’immaginario contemporaneo) si inseguono e si integrano in modo ambiguo e polisemico.

L’arte è così e presente fin dai suoi albori quando si confondeva con la magia e le primitive forme religiose con le deliziose veneri preistoriche. Figure femminili che proprio nelle esplicite forme del seno raffiguranti la fertilità e il potere vitale, si presentano come idoli, amuleti, tradendo anche la sua fallica forma maschile.

La mostra intende offrire spunti, non ha pretese esaustive e non abbraccia tutte le opere più significative che si possono rintracciare sull’argomento.

Non ci sono per esempio La Tempesta di Giorgione, o il quadro di Delvaux o la famosissima Fornarina di Raffaello, opere che celebrano il mistero e la potenza del seno femminile.

Si tratta però di assenze che vengono rievocate attraverso la presenza di altre opere, minori solo per fama ma ricche di forza artistica o simbolica. Nella galleria, dei quadri spiccano per morbidezza sensuale e purezza di forma e tonalità di colore la Danae e la Balia di due anonimi pittori ottocenteschi di area emiliana e napoletana. L’epoca barocca è rappresentata da Il figliol prodigo di Johan Baeck, sublime opera allegorica in cui sensualità e filosofia morale ambiguamente si accompagnano.

Ambiguità che ritorna nelle opere sulla Carità romana dove è possibile ammirare le bocche di uomini vegliardi intenti a suggere la generosa abbondanza dei seni di giovani donne, e nel sacrificio di Sant’Agata, martire di un seno offerto su un vassoio.

Era circa il 250 d.C. quando la bella Agata fu sottoposta a una singolare forma di martirio cristiano: le sue mammelle furono dapprima schiacciate e poi amputate. Riti cristiani che si sovrappongono a quelli pagani e quindi in grado di rivelare tutta l’intatta carica erotica dietro la maschera della sublimazione spirituale. Non solo quadri, anche oggetti votivi, libri antichi, strumenti, utensili riferiti alla maternità e all’allattamento. Non manca l’universo feticistico e macabro che può legarsi al simbolo e alla forma del seno. Proveniente dal Museo della Scienza di Firenze, in una bacheca appare l’inquietante Busto pietrificato di giovane donna di Gerolamo Segato, singolare figura di naturalista e mineralologo che dopo aver appreso in Egitto il segreto della preparazione dei pezzi anatomici mediante pietrificazione, per tutta la vita farà mistero della sua invenzione (egli conserverà il suo segreto, professionale non meno che umano, fino alla morte avvenuta nel 1836).

L’arte del passato guarda al seno in modo naturalista e simbolico per esaltarne la bellezza e la seduzione, o la forza vitalistica e il messaggio di coesione sociale.

Fedele ai valori e alle tendenze del proprio tempo, l’arte è specchio di un’epoca, riflette o può anche anticipare quello che è nell’aria.

Ecco allora la scena contemporanea ripensare al seno nei termini postorganici: i seni mostruosi di Louise Bourgeois o di David La Chapelle, o quelli mutilati di Yoko Ono.

La nostalgia del seno, la ricerca del seno perduto che altri hanno paragonato a quella del Sacro Graal, questo seno sublimato e metaforico, si ritrova anche nella moderna letteratura. Scrive Philip Roth: "Io pesco nel vaso delle mie origini alla ricerca di un solo ricordo luminoso delle mie gengive affamate, approdate al seno, con il mio naso affondato in quel globo nutritizio". Simbolo di quella parte femminile sepolta in ogni maschio, la nostalgia del seno è relitto psicologico di una bisessualità originaria, di quell’androginia rievocata nel Convito di Platone. La nostalgia si intrattiene con il tormento e approda allo sgomento e al terrore. La mostra coraggiosamente non elude l’aspetto medico-scientifico del tema e arriva a toccare la malattia, la paura della morte, facondo opera di prevenzione. In una saletta raccolta campeggia una poesia di Deena Metzger che accompagna la foto nuda dell’autrice dopo l’intervento chirurgico subito a un seno attaccato da un tumore. Simili a una amazzone con le braccia aperte, la poetessa offre la sua ferita dipinta come monito di speranza e segno di rinata bellezza: "Non ho paura degli specchi…/ Vi era una sottile linea rossa che attraversava il mio torace / lì dove era entrato un coltello / adesso un ramo circonda la cicatrice / e si porta dal braccio al cuore / Un ramo coperto di verdi foglie dove appesa è l’uva e vi appare un uccello / … / Ho disegnato il mio torace con la cura riservata ad un manoscritto miniato / Non mi vergogno più di fare l’amore. L’amore è una battaglia che posso vincere / Ho il corpo di un guerriero che non uccide né ferisce / Sul libro del mio corpo per sempre ho inciso un albero".

Antonio Miredi

 

Incanto e anatomia del seno.

Padova, Palazzo Zabarella

28 settembre 1997 – 4 gennaio 1998

Catalogo Edizioni Charta.

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