Catena di carne

Il corpo è debole. Forte, chi se ne approfitta?

"Per diventare Persone Nuove dovrete spogliarvi dei vostri corpi e cambiare le vostre ossa". Questa esortazione non è tratta dalla dottrina di qualche religione o filosofia mistica, predicante l’innalzamento dell’uomo attraverso il distacco e la rinuncia alla propria dimensione fisica. La citazione rimanda ad un discorso (uno dei molti) tenuto da un dirigente cinese ad un gruppo di intellettuali "fuorilegge"; il tono e l’immagine si collocano nel clima del pianeta Cina sul finire degli anni Cinquanta, al tempo del mostruoso esperimento del "Grande balzo in avanti". In quegli anni un minimo scarto dalla linea, una parola fuori luogo bastavano a individuare una pecora nera, ed a indirizzarla subito sulla strada della "rieducazione": ciò significava cancelli aperti sui campi di lavoro, dove i reprobi venivano amorevolmente reinstradati sulla retta via. Gli scheletri che si aggirano per questi paesaggi, disciplinati e obbedienti, mischiano il loro passo svuotato alla marcia di uno sterminato esercito, vario per genti e bandiere; soldati che obbediscono senza combattere, lineamenti diversi ma divisa comune: la magrezza, uniforme che non si stacca. Stesse medaglie, stesse decorazioni su una stoffa che assomiglia troppo alla pelle: segni dello sfinimento, dei pestaggi, delle torture. E’un esercito molto leggero, che un alito di vento può disperdere: quando le razioni scarseggiano, i soldati si alleggeriscono. La coscienza evapora - "se un uomo non ha da mangiare, non ha tempo per pensare" e il morale si fiacca, la volontà quasi sempre si scioglie nell’istinto di sopravvivenza. Nei campi di lavoro cinesi, tre razioni di zuppa d’erba (acqua tiepida con qualche ciuffo d’erba di campo) sono il carburante per dodici - diciotto ore di lavoro agricolo. Ad Auschwitz le razioni erano due, e le condizioni decisamente peggiori. Dai campi di concentramento nell’ex - Yugoslavia sembrano risalire fantasmi di lager nazisti, membra rinsecchite, raggiere di costole e sguardi spenti in occhiaie come pozzi. Qualcuno riesce a conservare negli occhi quella scintilla che ne fa un essere umano; ma i corpi, marionette deformate, parlano la stessa lingua, lanciano la stessa accusa che non ha bisogno di parole. Non ne ha bisogno perché basta la presenza, silenziosa e immobile, linguaggio corporeo più tremendo ed elementare della danza o del mimo le cui radici scavano indietro i millenni. L’evoluzione biologica è battaglia di sopravvivenza del corpo, forma dell’animale; ogni specie lotta inoltre col proprio corpo, nel continuo sforzo di adattarlo alle condizioni dell’ambiente. A fronte di molti altri animali, il corpo umano può sembrare ben debole, privo di pelliccia, corazza, zanne o artigli, intrinsecamente poco adatto alla sopravvivenza; presto tuttavia l’uomo si è reso conto di quale incredibile strumento di potere potesse diventare il suo corpo, se usato in certi modi... Presto ha imparato ad adattarlo, "estendendolo" verso l’esterno in forme che vanno dal più rudimentale bastone ai complessi sistemi elettronici; ma il nucleo, l’uomo nudo senza le sue protesi, è rimasto indifeso, vulnerabile, inerme a certe offese. Soprattutto a quelle provenienti dall’interno della specie, soprattutto a quelle che ha studiato di infliggersi da sé, quando ha cominciato a scoprire che formidabile grimaldello può diventare la scatola di carne: la tortura si è andata raffinando nei millenni attraverso i labirinti delle civiltà. Il corpo, da limitazione e dolorosa barriera, si è fatto strumento di affermazione e di sottomissione, da che l’Individuo appena emerso dal fiato del Branco distese intorno il suo sguardo conquistatore; allora si rese conto che la prigione di carne, una volta conosciuta, poteva diventare la reggia della sua potenza. Il corpo divenne catena che prese a serpeggiare, più o meno solida e raffinata, dovunque l’uomo lasciasse la sua impronta; divenne la leva per piegare la volontà e soffocare la coscienza, fino all’esaurimento fisiologico. Nacquero e nascono tecniche di tortura per ogni esigenza, per l’individuo o il gruppo o la massa, per il debole e per il forte, per l’astuto e lo stupido; tuttavia, la pianta ambigua della civiltà umana ha prodotto, insieme al veleno, l’antidoto. A ognuno di riconoscerlo e premunirsi.

Dimitri Di Salvo

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