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IL CAMMINO INTERIORE DI UN'ANIMA Il primo romanzo, per uno scrittore, è sempre particolarmente difficile: le insidie, lungo il sentiero infido che lo precede, possono essere molte e di vario tipo. La più terribile ( ed inevitabile)? Bè, il pericolo che - nell'opera prima - convergano, magari confusamente, molte ( a volte, troppe ) , cose insieme: motivi, spunti narrativi, anche i più diversi, pensati qua e là durante la lunga e sofferta gestazione ( un'intera vita, anche ). Passioni, autentiche fissazioni, delle quali l'autore non riesce a liberarsi, a fare a meno ( o forse, ci riesce scrivendone, appunto ); entusiastiche predilezioni: per un determinato stile o per un certo autore, piuttosto che per un altro. Ricordi, esperienza personale, luoghi della propria memoria, affetti più cari: spesso ( quasi sempre ) è così. Non si sottrae a questa regola neppure Nino Belvedere col suo romanzo "L'isola dei Sicani ", edito dalle Edizioni Tracce e presentato all'ultimo Salone del Libro di Torino. L'amore per la propria terra ( è di Novara di Sicilia ma da molti anni lavora in Piemonte, a Castiglione), i ricordi della propria infanzia, di una adolescenza troppo breve, forse, occupano in queste belle pagine un posto importantissimo. " Un tempo lontano lontano, i miei occhi avevano visto mille e più volte questa aurora che anche stamattina inonderà lentamente la valle, denuderà il lago di tegole, i terrazzi e i vicoli, schiarirà il pietroso ruscello e gli orli tempestosi delle montagne, infiltrandosi nel fogliame dei pini e dei noccioli... Ma nell'incubo dell'altra notte... dovunque si svolgesse lo sguardo si scorgeva un paesaggio incenerito, cosparso di corpi schiacciati dalla case devastate, crocifisse o rase al suolo." In quell'incubo, l'inferno. I sogni, dunque, belli o brutti che siano, della madre del protagonista, aprono e chiudono il romanzo, quasi a voler significare il fortissimo legame che ancora c'è con la propria famiglia, con gli amici più veri, rimasti a Sperlinga ( così viene chiamata San Basilio), a Pietramuigna ( ovvero Novara di Sicilia ) o andati via, come lui, a lavorare. Ma stavolta l'autore si affranca dallo stereotipo narrativo da noi all'inizio paventato grazie ad una straordinaria ed innata sensibilità, ad una curiosità mai appagata verso le cose più diverse, che lo portano a guardare, da distaccato osservatore, tutto ciò che racconta; alla passione per la macchina da presa, per cui ogni scena descritta, ogni personaggio preso in esame diventano protagonisti di una inquadratura, di un " ciak " mai realizzato, e per questo ancora più affascinante, dai contorni nitidi ma indefiniti al tempo stesso. Da un senso del mistero contagioso, che porta Giuseppe ( il protagonista ) a ricercare comunque e in ogni cosa: e noi insieme a lui. E dietro ad ogni gesto, ad ogni parola qualcos'altro, di vago, di non detto... " In meno di un istante alzando lo sguardo fummo storditi dai riflessi celesti dei nevai perenni sui monti... belli come il giorno in cui Dio li aveva generati. Di corsa, seguendo le grosse radiche dei cerri che serpeggiavano sul sentiero, arrivammo esausti presso le fresche ombre di un bosco rigoglioso. La palla infuocata del sole, illuminando l'immenso braciere etneo, tramontava dietro i monti Nebrodi". "L'isola dei Sicani" è, perciò, il cammino interiore di un'anima che ritorna alle proprie origini: un affettuoso tributo alla propria terra, mai dimenticata. Scritto straordinariamente bene, si offre a più letture insieme, oggetto, con le sue mille e più sfaccettature, delle più diverse interpretazioni. Superando i pericoli di tanta nostalgica ed oleografica letteratura, giunge a sperimentali vie di immediata presa e di grande modernità, soprattutto nei momenti ( come la scalata al monte oppure la discesa nei sotterranei del monastero...) di più calda e viva partecipazione. Matteo Pappalardo.

Matteo Pappalardo