Umanità nella tragedia. I Vigili del Fuoco nella seconda guerra mondiale

Ed è appunto con l'autopompa che, al di là di ogni romantica rievocazione, il neonato Corpo Nazionale iniziò l'azione di modernizzazione del parco mezzi, caratterizzato da una diversificazione di modelli e di marche, ereditate dall'unificazione dai vari corpi municipali.
All'evoluzione e al miglioramento tecnico dell'autopompa sono sempre state dedicate dalle industrie e dalle stesse officine dei pompieri particolari energie. Fondamentale fu l'apporto di quella professionalità altamente specializzata degli operai-pompieri, che si potrebbero definire senza timore d'eccesso "maestri".
Meccanici, verniciatori, elettrauti, falegnami; un'enorme ricchezza di capacità ed esperienze, preziosa nel dopoguerra per rimettere in sesto il parco macchine disastrato dalla guerra. Come dimenticare a Torino l'impareggiabile Maresciallo Franchino, il Brigadiere Zucchino, il Vigile Giargia e gli operai Frencia e Balagna.
Bastava loro un pezzo di metallo e un tornio per ricostruire un particolare di motore introvabile, o trasformare automezzi civili in automezzi di soccorso, utilizzando le meccaniche base FIAT, Alfa Romeo, Isotta Fraschini, SPA ed altre ancora.
A volte la tecnologia veniva anticipata dalle fantasiose idee di questi impareggiabili meccanici che sembravano sfiorassero il limite della pazzia.
Chi può dimenticare a Torino l'estrosa realizzazione di un motore "idrogetto" per un impiego fluviale, ricavato dalla trasformazione di una motopompa?
L'impiego non durò a lungo, ma servì in ogni modo a dimostrare che poteva esserci per i natanti, una propulsione diversa da quella ad elica. Dal 1940 il Corpo Nazionale fu dotato di nuovi e potenti automezzi, soprattutto di modelli unificati che, costruiti in serie e in numero massiccio, permettevano un abbattimento dei costi, ma soprattutto rendevano più semplice ed economica la manutenzione.

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