Irrompe il ciclone Arzú conservatore “modernista” che porta alla firma degli accordi di pace ed alla fine del conflitto armato interno

Il 7 gennaio 1996 Alvaro Arzú diventa presidente del Guatemala, battendo di stretta misura al ballottaggio Alfonso Portillo ( 57,2% di voti contro il 48,8% ). L’astensionismo ormai endemico ha toccato il 63% degli aventi diritto di voto.

Alvaro Arzú, ricco imprenditore nel campo delle costruzioni edilizie e della coltivazione della canna da zucchero, è il tipico rappresentante della classe dirigente guatemalteca. Dopo aver militato in altri raggruppamenti di destra, fonda un suo partito personale, il Partito di Avanzata Nazionale (PAN), alla testa del quale conquista la carica di sindaco della capitale per il periodo 1986 - 1991. Candidato presidenziale nel 1990, ottiene al primo turno solo il 17,3% dei voti, rimanendo escluso dal ballottaggio vinto a Serrano Elías.

Successivamente, con abile lavoro, guadagna con il suo partito il ruolo di interprete degli orientamenti di quella parte della classe imprenditoriale più aperta alla modernizzazione e della corrente legalista dell’esercito. Per le elezioni Arzú e il suo partito sviluppano una campagna di propaganda con impiego di grandi mezzi economici,  presentandosi con veste efficientista che ha la funzione di adeguare strategie ed interessi di specifici gruppi economici alla nuova situazione interna ed internazionale. Arzú promette quindi di combattere la miseria ed accogliere gli Accordi di pace già firmati,completandoli nel più breve tempo fino ad arrivare alla fine del conflitto armato interno. Nello stesso tempo dichiara che continuerà la politica economica liberale in corso.

Il candidato sconfitto, l’avvocato Alfonso Portillo, ex uomo di sinistra e poi parlamentare democristiano, è stato presentato dal Fronte Repubblicano Guatemalteco (FRG) fondato e diretto dal generale golpista e genocida Ríos Montt, il massacratore degli indigeni dei primi anni 80. Portillo è a tutti gli effetti l’uomo di paglia del generale, al quale la Costituzione impedisce la candidatura per essere già stato presidente del Guatemala in seguito ad un colpo di stato. In sintesi si può dire che Arzù vuole rappresentare una presunta destra moderata e legalista in sintonia con gruppi imprenditoriali più aperti e moderni, mentre Portillo è l’esponente di ambienti attestati su posizioni autoritarie ed antidemocratiche, seppure con venature populistiche.

La grande novità delle elezioni è rappresentata dal ritorno in campo della sinistra democratica e popolare, che sfrutta l’apertura di spazi politici operativi ottenuta con i negoziati di pace.

Per la partecipazione alle elezioni presidenziali e parlamentari viene costituito il Fronte Democratico Nuovo Guatemala (FDNG), espressione di  settori sindacali, indigeni, professionali, politici, di tutela dei diritti umani, delle donne. Non è un nuovo partito in senso tradizionale, ma una grande aggregazione che si pone l’obbiettivo di stimolare la partecipazione popolare e fare eleggere alcuni deputati al Congresso sulla base di un programma di apertura politica democratica, pluralista, multiculturale e per la soluzione dei problemi affliggenti il paese.

Questi i candidati scelti dal Fronte:

-     Per la presidenza Juan González del Valle, economista di livello internazionale con lunga esperienza di attività all’estero, specie nel Fondo Monetario Internazionale.

-     Per la vice presidenza Juan León Alvarado, esponente storico della lotta popolare, tra i fondatori del Comitato di Unità Contadina, operatore per i diritti umani in Guatemala e all’estero.

Nonostante le grandi difficoltà dell’impresa (brevità del tempo a disposizione, scarsissime risorse finanziarie, nessun accesso ai media) i risultati superano le previsioni. Accreditato nei sondaggi della vigilia dell’1% dei voti, il candidato presidenziale del fronte totalizza il 7,3% dei voti nel primo turno elettorale.

Ancora più positivo l’esito delle elezioni parlamentari, nelle quali il Fronte ottiene il 9% dei voti e conquista sei seggi parlamentari su un totale di 80 seggi in palio. Fra gli eletti vi sono Nineth Montenegro, esponente di primo piano dell’associazione dei famigliari degli scomparsi per le repressioni politiche, e Rosalina Tuyuc, leader carismatica del movimento delle vedove e delle donne indigene.

Poco dopo l’insediamento il presidente Arzú mette a riposo un gran numero di generali e colonnelli appartenenti all’ala intransigente e contraria ai negoziati con la guerriglia, molti dei quali implicati in episodi di gravi violazioni dei diritti umani . Per contro nomina due generali leaders dei militari costituzionalisti ai posti chiave di ministro della difesa (Julio Balconi) e ispettore generale dell’esercito (Otto Pérez Molina); i due faranno anche parte della delegazione governativa per le trattative con la guerriglia. Quindi opera ampie epurazioni di elementi, anche di alto livello, dell’esercito e della pubblica amministrazione implicati in fatti di illegalità e di corruzione.

Successivamente rilancia con forza i negoziati di pace, ponendo alla testa della delegazione governativa Gustavo Porras ex guerrigliero e suo uomo di fiducia, e facendo rimuovere non pochi ostacoli ancora disseminati nel cammino, fino a giungere alla firma del cessate il fuoco definitivo e del testo completo degli Accordi di pace, avvenuta il 29 Dicembre 1996.

Da quel momento tuttavia la situazione del Guatemala è diventata sempre meno promettente.

Con il conseguimento della pace interna il presidente Arzú pare convinto di aver ormai conquistato un posto nella storia: si distacca sempre più dai problemi concreti del paese e frequenta i grandi fori internazionali per andare a riscuotere una pletora di riconoscimenti concessa da più paesi ed istituzioni quale “costruttore di pace”. Intanto la situazione economica in Guatemala si fa sempre più esplosiva e le condizioni di vita sempre più insostenibili generano scontri sociali.

La popolazione è sconvolta da un’ondata di criminalità comune senza pari, che fiorisce nella più diffusa impunità nonostante sia stata ripristinata la pena di morte per i reati più gravi. Nelle campagne e nei piccoli centri la gente reagisce con feroci e indiscriminati linciaggi, che molte volte colpiscono individui del tutto innocenti.

Le vertenze per la terra dimostrano che i grandi proprietari terrieri conservano ancora molto della loro tradizionale forza, e gli occupanti di appezzamenti non coltivati o di incerta attribuzione sono sgombrati con la forza, generando vittime tra i contadini, sia da parte dalla polizia di stato che dei corpi armati privati dei proprietari.

La conclusione del conflitto armato interno ha come esiti positivi la fine delle repressioni organizzate dallo stato, la smobilitazione e il ritorno alla vita civile della guerriglia e l’inizio seppure molto tormentato del rientro in patria dei rifugiati all’estero (specie dal Messico). Ma quasi nulla viene fatto per avviare l’applicazione di quanto concordato con gli Accordi di pace, anzi si ferma quasi sul nascere la smilitarizzazione del paese, con la successiva parziale emarginazione dai posti di comando degli ufficiali protagonisti del processo di pace ed il ritorno di altri compromessi con tutti i fatti del passato. La conseguenza è il rilancio dalle violazioni dei diritti umani contro  dirigenti delle organizzazioni popolari e giornalisti.

Dall’altro canto, nelle forze popolari si stabilisce una concorrenza di fatto che comporta divisioni, contrasti e scontri e rende sostanzialmente irrilevante la loro azione.

La trasformazione dell’URNG da strumento militare a forza politica si rivela un’operazione complessa, difficile, lunga e costosa e rende quasi invisibile la sua presenza sulla scena.

Il PAN e quella parte della classe dirigente politica ed economica da esso rappresentato pagheranno la delusione generata nella popolazione con la disfatta nelle elezioni presidenziali e parlamentari di fine 1999. Ma ben più alto è il costo pagato dalla sinistra, che per difficoltà obbiettive, ma anche per demeriti propri, non riuscirà a presentare un’alternativa reale credibile.