Sotto la presidenza di Ramiro de León Carpio
Anche le speranze suscitate
dall’insediamento alla presidenza della Repubblica di un uomo che si era
distinto nella sua attività di procuratore dei diritti umani si dissolvono
rapidamente. Oltre al perdurante peso di militari, nodo cruciale per le sorti
del paese, continua la politica neo liberale
con i suoi costi sociali, l’iniquità del sistema fiscale, la
compressione dei già insufficienti servizi sociali fondamentali. Persiste la
mancanza di volontà da parte dei ceti dominanti di affrontare i problemi di
fondo della società guatemalteca.
Non si fermano le violazioni
dei diritti umani, se pure condotte in modo più raffinato e selezionato. La
violenza politica tocca i massimi livelli
con l’assassinio di Carpio Nicolle, grande imprenditore e uomo politico
di centro che aveva sfiorato la vittoria nelle elezioni presidenziali, cugino
del presidente in carica, e del presidente della Corte Suprema di giustizia
Lobo Dubón. Si inaspriscono i problemi legati al ritorno dei rifugiati
all’estero e degli esuli interni.
A partire dal marzo 1994 le
pressioni internazionali rilanciano i negoziati di pace tra governo e
guerriglia. Si perviene ad alcuni accordi anche importanti, come quello che
permette l’ingresso in Guatemala di una commissione di controllo sullo stato
del rispetto dei diritti umani delle Nazioni Unite (Minugua). Ma tutto si
blocca di fronte ai temi riguardanti le questioni socio-economiche, specie per
l’opposizione frontale dei grandi agrari, e la rimozione delle strutture che
militarizzano stato e società guatemalteca. Esercito ed oligarchia, preparando
lo scenario per il futuro, sviluppano un’azione di delegittimazione delle
organizzazioni popolari, accusate di essere fiancheggiatrici della guerriglia,
e cercano di squalificare politicamente l’URNG per coinvolgerla nella delusione
generale quale corresponsabile del mancato cambiamento.