La presidenza di Jorge Serrano Elías : continuità di regime e tentativo di autogolpe 

L’elezione del successivo presidente guatemalteco nel gennaio 1991 vede a sorpresa l’affermazione dell’uomo di destra ed avventuriero politico Jorge Serrano Elías, sostenuto da gruppi militari, da alcuni ambienti imprenditoriali e dalle sette evangeliche fondamentaliste. La stanchezza e la delusione popolare si riflettono nell’alta astensione dal voto, che tocca il 40% degli aventi diritto.

Anche Serrano Elías promette modifiche, almeno parziali, delle squilibrate condizioni socio- economiche del paese ed il pieno rispetto dei diritti umani. Ma poi, oltre a fare uso personale e clienterale del potere, sul piano economico impone una politica neo-liberista di aggiustamento strutturale, che, pur conseguendo risultati per il risanamento dei conti dello stato, peggiora le condizioni di vita di gran parte della popolazione. Anche nel campo dei diritti umani non si verificano miglioramenti ed autori e mandanti delle azioni repressive continuano a fruire della totale impunità.

I negoziati di pace con la guerriglia, iniziati nella prima parte del 1990, proseguono stancamente con governo ed esercito che puntano al puro e semplice disarmo degli insorti. Una grande vittoria popolare è invece realizzata con l’assegnazione del premio Nobel per la Pace 1992 all’indigena guatemalteca Rigoberta Menchú, dirigente del Comitato di Unità Contadina (CUC) e simbolo internazionale della lotta per l’emancipazione degli indigeni.

Incalzato dalla protesta popolare, sempre meno credibile sul piano internazionale e sull’orlo dell’incriminazione  per corruzione, Serrano Elías tenta la soluzione dell’auto golpe con l’appoggio del ministro della difesa generale  García Samayoa, uomo forte del momento nell’esercito che pur si presenta tutt’altro che monolitico rispetto alla scelta di fondo. Decreta la sospensione della Costituzione, lo scioglimento del Parlamento e della Corte suprema di Giustizia  ed il congelamento dell’attività del Procuratore dei diritti umani.

La condanna del golpe è subito unanime. All’interno del paese scendono in campo le organizzazioni popolari, sindacali, indigene, degli insegnanti e degli studenti, con grandi manifestazioni di piazza.

Una ferma posizione di dissenso è assunta dalla chiesa cattolica e da una parte del mondo imprenditoriale. Forti reazioni sul piano internazionale vengono dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea, dalla maggioranza dei governi latino-americani e dagli Stati Uniti . Il tentativo avventuroso di Serrano Elías fallisce ed egli deve riparare all’estero, mentre il 6 giugno 1993 il Parlamento chiude il tentativo di sovversione istituzionale con la nomina alla presidenza della repubblica del Procuratore dei diritti umani Ramiro de León Carpio, in un clima di grandi speranze di rinnovamento.

Gli avvenimenti relativi al tentativo di autogolpe mettono in evidenza le divisioni esistenti all’interno della classe politica ed economica dominante nel paese. La stessa cupola militare è divisa, ed in essa si trova in  minoranza l’ala “dura” che perde il controllo del comando a favore di quella definita “costituzionalista”, più flessibile e possibilista e soprattutto aderente alla nuova strategia messa in atto nell’area dagli Stati Uniti . E questo peserà nel successivo iter delle trattative che porteranno agli Accordi di pace.

Su tutta la situazione pesa l’atteggiamento degli Stati Uniti che, perseguendo l’obiettivo della liberalizzazione e del potenziamento del mercato latino-americano , pongono come postulato la smiltarizzazione dell’area e il mantenimento di un ordine costituzionale e formalmente democratico.