La reazione dell’imperialismo
statunitense
Conflitto armato interno e repressione
La reazione promossa dagli Stati Uniti contro quello che venne considerato un pericoloso focolaio di democratizzazione arma un esercito di mercenari, che, al comando del colonnello Castillo Armas, sovvenzionato ed equipaggiato dalla CIA, abbatte il legittimo governo di Arbenz e scatena sanguinose repressioni. Da quel momento si susseguono dittature militari liberticide e feroci. Con la chiusura di ogni spazio di operatibilità legale, nel 1962 nasce la guerriglia ad opera di un gruppo di ufficiali democratici dell’esercito; essa si trascina per molti anni con fasi alterne ma senza radicarsi nelle masse popolari.
Il grande
terremoto della metà anni settanta del secolo scorso, con le sue grandi
distruzioni, apre il paese all’intervento della solidarietà internazionale e a
presenze straniere, specie di sacerdoti cattolici europei che sviluppano
un’azione di denuncia e coscientizzazione , la quale favorisce il rilancio del
movimento popolare. Nasce il comitato di Unità Campesina (CUC) e riprende in modo più intenso la
guerriglia, che coinvolge maggiormente gruppi indigeni. Ma apre anche i dieci
anni più violenti della storia recente del paese.
L’apparato
militare cambia la sua strategia, caratterizzandola con l’imposizione del
regime detto di "Sicurezza Nazionale" che militarizza di fatto la
società civile ed è volto al controllo dei gruppi indigeni. Nel marzo 1979
prende il potere con la forza il generale Romeo Lucas García, che instaura un
regime di terrore generalizzato.
Viene abbattuto
nel marzo 1982 dal generale Efraín Ríos Montt, che, dopo aver fatto balenare un
programma di riforme e di pacificazione, sviluppa invece una strategia di
repressioni mirate e pianificate, con 15 mila cittadini uccisi in un solo anno,
villaggi distrutti, raccolti bruciati. Un nuovo golpe con il generale Mej́ia
Víctores depone Ríos Montt nell’agosto 1983 senza che nulla cambi.
Ma si
intensificano le pressioni
internazionali e le Nazioni Unite intervengono con decisione, condannando il
governo militare per gli eccidi commessi.
Le cifre del
genocidio sono agghiaccianti. A partire dalla fine anni settanta si sono avute
200 mila persone assassinate, circa 50 mila scomparsi (desaparecidos), 440
villaggi rasi al suolo, 100 mila bambini resi orfani, un milione di esuli
interni (desplazados), 250 mila rifugiati all'estero. La tortura è la regola, e
le vittime sono i contadini, sindacalisti, uomini politici non allineati,
studenti, giornalisti, religiosi.
La strategia
antinsurrezionale dell’esercito porta alla creazione di pattuglie di autodifesa
civile (PAC) reclutate in buona parte tra i contadini, con compiti paramilitari
e di controllo territoriale e civile sulla popolazione. Sono costituiti i
cosiddetti poli di sviluppo ed i villaggi modello, dove una notevole parte
della popolazione contadina viene forzosamente concentrata in specie di grandi
lager, per essere controllata direttamente dall’esercito.
Intanto nel febbraio 1982 le principali
organizzazioni della guerriglia si uniscono nell’Unità Rivoluzionaria Nazionale
Guatemalteca (UNRG), dandosi un programma politico comune per l’affrancamento
del paese dalle dittature e per la democratizzazione.