1.   La chiesa cattolica guatemalteca

 

a)   La chiesa cattolica fino al tentativo di democratizzazione (1944)

 

La chiesa cattolica guatemalteca ha riflesso nel tempo le luci e le ombre della società in cui ha operato. Il suo impianto, come negli altri paesi latinoamericani, avviene con la conquista spagnola in stretto collegamento con le decisioni della corona di Spagna, che esercita su di essa la sua egemonia. Agli indigeni, decimati per effetto della colonizzazione, viene imposta una conversione al cristianesimo che fa oggettivamente da supporto all’assoggettamento verso i conquistatori. Ma anche, seguendo l’esempio di Bartolomeo de Las Casas, diventa difensore della condizione indigena.

Con l’indipendenza politica dalla Spagna raggiunta nel 1822 la chiesa assume una posizione conservatrice, assicurando la docilità della popolazione nei riguardi dei ceti dominanti. La riforma liberale avviata nel 1871 vede però l’espropriazione di grandi proprietà terriere della chiesa schierata con i conservatori, mentre molti sacerdoti e religiosi, fra i quali i gesuiti, sono espulsi dal paese.

Le campagne rimangono praticamente prive di assistenza pastorale ed iniziano a dare vita alla tradizione dei catechisti laici. Gli ormai pochi preti rimasti risiedono soprattutto nelle città e si legano al mondo benestante come unico modo per trovare sostentamento.

 

b)   Nel decennio della speranza

 

Nel decennio dal 1944 al 1954, quando una coalizione di forze progressiste avvia una rivoluzione democratica sviluppando una serie di riforme politiche e sociali, la chiesa cattolica guatemalteca prende posizione contro il governo innovatore, accusandolo di voler introdurre il comunismo nel paese. Dopo la destituzione del presidente Arbenz ad opera dei mercenari di Armas finanziata dalla CIA (1954), l’arcivescovo Arellano viene proclamato eroe nazionale quale campione della lotta anticomunista.

I governi repressivi che si susseguono hanno il sostanziale appoggio delle gerarchie ecclesiastiche.  Ad un certo punto, però, iniziano ad arrivare in Guatemala molti sacerdoti religiosi stranieri per riempire i vuoti pastorali. Buona parte di questi, a contatto con il popolo, prende coscienza delle condizioni disperate in cui vive e promuove programmi di cambiamento e di promozione sociale.

Nel 1968 si tiene a Medellín la conferenza dei vescovi latino-americani che sancisce la scelta incondizionata per i poveri. Questo esercita una notevole influenza anche all’interno della chiesa cattolica guatemalteca ed in parte sulla sua gerarchia, mentre cominciano a formarsi le comunità ecclesiali di base.

 

c)   La chiesa durante la grande repressione

 

Nel 1976 il grande terremoto che colpisce il paese radicalizza ancora di più le profonde disuguaglianze economiche e sociali e rilancia l’opposizione armata, alla quale i militari rispondono con una terribile repressione antipopolare. I vescovi emettono allora la lettera pastorale  “ Uniti nella speranza”, con la quale denunciano la violenza istituzionale che regna nel paese e l’emarginazione delle grandi masse.

Da questo momento all’interno della chiesa guatemalteca si determinano due tendenze contrastanti. Da una parte alcuni settori minoritari della gerarchia rimangono legati al regime dominante ed evitano di prendere posizioni che possano sfavorirlo. Dall’altra la grande maggioranza di sacerdoti, ed anche della stessa Conferenza Episcopale, non esita, sia pure in forme e sfumature diverse, a pronunciarsi contro i governi militari e a schierarsi a fianco del popolo perseguitato. Per la chiesa guatemalteca il prezzo della coerenza e della chiarezza in difesa degli oppressi è molto alto. Si apre un lungo cammino di repressioni con arresti, torture, assassinii che colpiscono vescovi, sacerdoti (specialmente stranieri), catechisti laici e comunità di base. La Bibbia che essi portano ai fedeli è considerata sovversiva e la sua diffusione perseguita. Nell’agosto 1981 la Conferenza Episcopale lancia un drammatico appello denunciando le persecuzioni della chiesa per la sua vicinanza con il popolo oppresso.

Il 15 luglio 1983 muore il cardinale Casariego, simbolo della gerarchia compromessa con il potere, e viene nominato arcivescovo Próspero Penados del Barrio, fermo difensore dei diritti umani. La chiesa nel suo insieme assume  un impegno sempre più forte in favore dei poveri, diventando maggiormente  bersaglio dei ceti dominanti.

 

d)   La chiesa dopo la riapertura al governo civile e la fine  del conflitto armato interno

 

Con l’inizio del processo di “apertura democratica” che nel 1986 ripristina un governo civile, i vescovi partecipano alla speranza di tutta la società, che si trasforma ben presto in delusione per l’assenza di veri cambiamenti.  Ma essa non cessa di operare nella società a favore del popolo.

Ai problemi di proprietà della terra, centro della situazione di ingiustizia, la Conferenza episcopale dedica nel settembre 1988 una lettera pastorale di forte denuncia dal titolo “El clamor por la tierra”, che è aspramente  contrastata dai grandi proprietari terrieri. In essa si afferma con chiarezza che la grande maggioranza dei contadini si trova in condizioni di inumana povertà, e penosamente cerca di procurare il sostentamento minimo per sé e per i propri familiari. Questo poiché la gran parte  della terra  coltivabile è in mano ad una minoranza numericamente insignificante di proprietari, ed  una grande massa di contadini non possiede un pezzo di terra da coltivare. La protesta dei contadini viene soffocata con la forza delle armi e per questo i vescovi lanciano un appello alla lotta, affinché i risultati dello sviluppo arrivino a tutti, non solo ad un gruppo di privilegiati.

Un altro comunicato della Conferenza Episcopale dell’aprile 1989 denuncia:

·      La corruzione sfrenata e spudorata che corrode l’amministrazione pubblica.

·      La struttura economica che arricchisce ristretti settori e impoverisce sempre più la maggioranza      dei guatemaltechi.

·      L’assenza di una seria investigazione che faccia giustizia  dei delitti del passato e  cessare quelli presenti, interrompendo la catena dell’impunità.

Di fronte al persistere delle repressioni e delle illegalità nel febbraio 1990 viene creato l’Ufficio dei diritti umani dell’Arcivescovado, subito molto attivo nel campo della denuncia documentata e dell’azione legale. Altrettanto fortemente operativa a tutto campo è l’azione della Pastorale sociale.

Totale è  l’appoggio delle gerarchie ecclesiastiche alle trattative per la conclusione del conflitto armato, dove ha un ruolo importante come “conciliatore” il vescovo Ricardo Quezada Toruño.

Decisamente impegnata a favore del popolo è l’attività della Conferenza dei religiosi del Guatemala (CONFREGUA), che sviluppa un’azione di informazione e denuncia con l’intento di essere “la voce di coloro che non hanno voce”.

Nell’ottobre 1991 la Conferenza Episcopale elabora un documento per l’incontro delle chiese cattoliche americane a Santo Domingo. In esso si sostiene che la “scelta dei poveri” deve essere ancora il criterio che guida la vita della chiesa in America Latina, recuperando l’ottica della pastorale di Medellín e Puebla affinché l’evangelizzazione diventi sempre più liberatrice e suscitatrice di cammini di giustizia e dignità.

Dopo la fine del conflitto armato è costante l’azione della chiesa guatemalteca contro le inadempienze nell’applicazione degli Accordi e la persistente illegalità. Ma l’iniziativa più eclatante è stata il progetto per il recupero della memoria storica (REMHI), coordinato dal vescovo Juan Gerardi e concluso con la pubblicazione del rapporto “Guatemala, nunca más”, dove è minutamente documentata la strage condotta dall’esercito e dagli altri corpi armati dello stato ai danni della popolazione inerme.

Ne è conseguita  la brutale uccisione di monsignor Gerardi nell’aprile 1998, episodio che ha lasciato un segno nel mondo ecclesiale e nella sua gerarchia. Infatti, da allora, sembra di cogliere in una parte di esso un atteggiamento di maggior cautela, rilevabile anche in una certa variegazione di posizioni nell’ambito della stessa Conferenza Episcopale.

Recentemente si è ritirato per limiti di età Próspero Penados del Barrio, un vero pastore per il suo popolo. Al suo posto è stato insediato a capo della chiesa guatemalteca Ricardo Quezada Toruño, protagonista delle trattative di pace, subito dopo nominato cardinale da Giovanni Paolo II.

Pur con atteggiamento controllato, il nuovo presule ha sostanzialmente assicurato una continuità di linea, evitando nel contempo l’insorgere di rilevanti contrapposizioni. Quello che si verificherà a tempi più lunghi, tuttavia, non è in questo momento facilmente ipotizzabile.