1.   L’esercito guatemalteco

 

L’esercito guatemalteco nasce di fatto con la riforma liberale, che inizia nel 1871, come strumento dell’oligarchia, della quale riflette sia l’ideologia  che la struttura. Non avendo preso parte alla lotta per l’indipendenza, in esso è assente la spinta patriottica e nazionalistica, per cui nel 1954 aderisce facilmente all’abbattimento del legittimo governo di Jacobo Arbenz, che aveva avviato il processo di democratizzazione e di modernizzazione  del paese.

Tuttavia, contrariamente ai suoi vicini di regione, l’esercito guatemalteco ha quasi sempre avuto nei propri ranghi uomini piuttosto abili, capaci per lunghi periodi di spezzare le opposizioni con grande violenza, pur mantenendo alcuni elementi formali di democrazia elettorale. Così, ad esempio, nel 1966 permise l’elezione abbastanza libera alla presidenza della repubblica del civile Méndez Montenegro con un programma di moderata democratizzazione, anche se alla fine non gli furono concessi poteri effettivi.

La maggior parte dei comandanti sono ladinos di provenienza urbana, determinati a mantenere il sistema politico, economico e sociale oligarchico vigente ed estremamente intolleranti verso ogni tipo di opposizione. La truppa invece è in grande prevalenza indigena, per lo più reclutata in forma violenta nei settori più marginalizzati e poi indottrinata e resa docile con il terrore.

Dal 1974 i militari impongono generali alla presidenza della repubblica, prima Kjell Laugeroud e poi dal 1978 Lucas García. E’ in questo periodo che completano la loro ascesa, impadronendosi di vastissimi territori agricoli nella frangia trasversale nord, che comprende i dipartimenti di Izabal, Alta Verapaz, Quiché, Huehuetenango, Petén (solo il generale Lucas García è arrivato a possedere il 20%  delle fincas ). Essi si appropriano dei fondi destinati alla realizzazione di infrastrutture e beneficiano dei finanziamenti agevolati dello stato.

Per difendere i loro beni, nonché quelli di tutta l’oligarchia latifondista, i “signori della guerra” del Guatemala sterminano tutti i “seccatori”. Il generale Lucas García lancia campagne militari sanguinose contro la guerriglia, che si era decisamente rivitalizzata alla fine degli anni ’70, con tremendi massacri ai danni della popolazione delle campagne. Ma il generale Ríos Montt capisce che la repressione indiscriminata non basta di per sé a neutralizzare l’insurrezione. Perciò nel 1982 si impadronisce del potere con un golpe e rilancia in modo nuovo l’azione militare: piuttosto che correre sulle montagne alla ricerca degli inafferrabili guerriglieri, eliminare le loro basi d’appoggio.

Questo implicò la distruzione sistematica delle comunità indigene ed il convogliamento dei contadini in luoghi scelti dall’esercito; si trattava, insomma, di togliere l’acqua per asfissiare i pesci.

La popolazione civile viene quindi considerata obbiettivo militare secondo il principio enunciato dallo stesso Ríos Montt nel 1982: “ La guerriglia ha acquisito molti collaboratori tra gli indigeni, che per conseguenza sono diventati sovversivi”. Quindi “bisogna ammazzare gli indigeni perché essi non sono innocenti, ma si sono uniti alla sovversione”. Il risultato fu la pratica della strategia  della “terra bruciata”, con le distruzioni e i massacri ora inequivocabilmente documentati.

Nel 1982 con il reclutamento forzoso si iniziano a formare le Pattuglie di Autodifesa Civile (PAC), che crescono fino a raggiungere 1,2 milioni di persone. Create e mantenute in gran parte con il terrore, hanno il compito di controllare direttamente la popolazione in ogni più piccolo insediamento e di partecipare in modo diretto ed indiretto alla guerra contro - insorgente. Dalla loro nascita sono state sempre uno dei principali fattori per le più gravi violazioni dei diritti umani.

La blindatura militare della società guatemalteca è enorme; più che per fronteggiare le forze della guerrigia, che lo stesso ministro della difesa giudica esigue, serve per tenere sotto controllo diretto e continuo l’intero corpo della popolazione, specie nelle campagne.

L’istituzione militare in quanto tale è ormai una forza economica importante, proprietaria di latifondi, industrie, canali televisivi e di una delle principali banche del paese. Inoltre molti enti statali o semi-statali sono diretti da militari.

Dopo la remissione del potere nelle mani dei civili (1986) e l’avvio delle trattative di pace (1990), l’esercito ha continuato  a condizionare per lunghi anni il potere politico, sabotando i colloqui con i rappresentanti della guerriglia e conducendo una serie di sanguinose e dispendiose campagne contro-insurgenti per risolvere il confronto sul piano militare, senza però riuscirci.

Con il tempo al suo interno si sono tuttavia formate posizioni più diversificate, in seguito all’ascesa nella gerarchia di comando di generali più giovani e meno compromessi con il passato, disposti ad accettare le conseguenze delle mutate condizioni. Sono quelli che hanno imposto un atteggiamento di apertura rispetto al processo di pace, condotto le trattative e suggellato alla fine gli Accordi.

Attualmente l’esercito si trova diviso al suo interno in correnti che si contendono la leadership, ma continua a costituire un potere autonomo. Tuttavia si può paradossalmente affermare che, anche in concomitanza con gli interessi degli Stati Uniti ai quali sono molto legati, nel presente i militari hanno anche rappresentato un fattore di stabilità, non permettendo colpi di stato e rovesciamenti istituzionali della legalità, anche se per molti aspetti formale, sempre in bollitura nel calderone dell’odierna realtà guatemalteca.