1.   Gli indigeni guatemaltechi

 

Sono i diretti discendenti dell’antico popolo maya e costituiscono un insieme di gruppi con notevole omogeneità di base, ma anche con delle differenze distintive.

I Maya costruirono un articolato sistema di vita, con originali strutture politiche e sociali, e crearono una delle più importanti civiltà pre-colombiane in America. La loro economia era basata sull’agricoltura, essi però non conoscevano il diritto di proprietà della terra, considerata patrimonio degli dei. La terra veniva così amministrata e distribuita dai sacerdoti, che con gli scienziati controllavano la vita economica e politica nel contesto di una specie di federazione di stati semi- liberi.

La struttura sociale ed il razionale sfruttamnto delle risorse assicurava il funzionamento di un’economia che garantiva i consumi interni e promuoveva anche un’intensa attività di scambi commerciali con i paesi vicini, fino a raggiungere il meridionale impero inca. Fattore unificante era una religione naturalista che, pur alimentando una classe sacerdotale privilegiata, era funzionale alle esigenze della società.

Notevoli conquiste furono realizzate nel campo scientifico, specie nella matematica e nell’astronomia, e si svilupparono l’architettura con opere di notevole bellezza (come le famose piramidi), un’arte legata alla pittura e una ricca manifattura di ceramica. Di una copiosa letteratura, andata in gran parte dispersa e distrutta dai conquistatori, restano alcune opere, tra le quali ha notevole rilievo il “Popol Vuh”.

Da sempre gli indigeni sono stati marginalizzati e costretti ad alti livelli di analfabetismo, denutrizione e mortalità. Paradossalmente è con l’indipendenza nazionale, conseguita nel 1822, che si è rafforzata la discriminazione verso di loro, ignorando le loro leggi consuetudinarie, l’identità culturale e sociale, costumi, tradizioni ed istituzioni. Con la rivoluzione liberale del 1870 si è aggravata la situazione agraria. Le terre comunitarie furono usurpate per essere inglobate nelle grandi coltivazioni per l’esportazione, con gli indigeni ridotti a braccianti e servi, manodopera gratuita o a basso costo.

Fino ai tempi più recenti la politica dello stato è risultata indifferente rispetto ai diritti umani e di esistenza degli indigeni, con il diritto all’uguaglianza giuridica e sociale violata più dalla pratica quotidiana che dalla mancanza di leggi. Alzando una barriera tra indigeni e non indigeni, le oligarchie dominanti hanno imposto il loro sistema di sfruttamento.

Attualmente la percentuale ufficiale della popolazione indigena maya in Guatemala è il 42,7%, ma è comunemente riconosciuto che essi raggiungono il 60-70% . I Maya sono divisi in 22 etnie alle quali corrispondono  altrettanti idiomi; a quattro di essi, Quiché, Mam, Cakchiquel e Kekchí, corrisponde il 76% del totale. I dipartimenti a più alta concentrazione indigena sono Quiché   Huehuetenango, Alta Verapaz, Sololá, Totonicapán.

La popolazione indigena guatemalteca ha la sua specifica concezione del mondo, della vita e della morte, delle relazioni personali della giustizia. Il legame alla propria tradizione, al proprio passato, alla cosmovisione degli antichi è stato un importante elemento che ha permesso la loro sopravvivenza.

La cultura maya si basa su quattro fondamenti: 1) tradizione 2) antenati 3) cerimonie 4) libri scritti. Tra materia e spirito  non c’è dualità e nemmeno tra materia e sacro. La relazione non è piramidale, ma circolare, con individuo e cosmo come punti d’equilibrio.

Alla cultura indigena, con il suo rapporto con la terra, la natura, il mais sacro, sono stati contrapposti con violenza i moduli occidentali basati sulla proprietà privata  e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Una delle conseguenze è stata la marginalizzazione degli indigeni rispetto al processo d’istruzione, tuttora perdurante.

La storia degli indigeni guatemaltechi si identifica con quella della massa dei contadini poveri,  di cui sono la componente più rivelante. In gran parte braccianti agricoli o coltivatori di piccole ed insufficienti porzioni di terra, rendono la questione indigena in buona parte una questione agraria in un contesto dove il 2% della popolazione possiede il 66% delle terre coltivabili. La maggior parte del lavoro stagionale nelle grandi piantagioni (fincas) dello zucchero, del caffè, del cotone viene svolta da un esercito di braccianti in gran parte indigeni, reclutati all’interno del paese e costretti a spostarsi ogni anno verso le grandi piantagioni dove sono sfruttati in condizioni molto gravose.

Gli indigeni non hanno sempre accettato la loro sorte con passività e fatalismo. Negli ultimi decenni si sono sviluppate forme di lotta organizzata che hanno portato alla costituzione di leghe contadine e cooperative autonome e a scioperi ed occupazioni di grandi fincas. La partecipazione indigena all’opposizione armata contro lo stato oppressivo non è rilevante, ma ha avuto una certa significatività ed ha scatenato repressioni massicce. L’oligarchia al comando, ossessionata dal potenziale pericolo di un coinvolgimento in massa degli indigeni, ha deliberatamente esagerato la minaccia militare della guerriglia per scatenare l’esercito in un’azione che ha provocato ciechi massacri di inaudita violenza nei confronti di uomini, donne e bambini maya.

Una tappa fondamentale della resistenza nelle campagne fu la nascita nel 1978 del Comitato di Unità Contadina (CUC), con il programma di promuovere la lotta per la terra attraverso l’unità di contadini indigeni e ladinos, superando la strategia di divisione della classe agraria dominante.

Alcuni anni fa si è costituito il coordinamento delle organizzazioni del popolo maya (COPMAGUA), come spazio d’incontro tra le differenti correnti di pensiero maya e di numerose espressioni organizzative.

Tuttavia in questa direzione molta strada è ancora da percorrere: infatti, se da una parte il mondo maya mostra notevoli accenti di vitalità, dall’altra ragioni storiche e contingenti causano ancora differenziazioni e chiusure che limitano notevolmente il suo peso politico e l’impatto concreto della sua azione.

La legislazione guatemalteca sugli indigeni è sempre stato escludente fino alla rivoluzione democratica del 1944 ed alla costituzione che ne derivò nel 1945. In essa fu proclamato “interesse nazionale” lo sviluppo di una politica integrale di miglioramento economico, sociale e culturale dei popoli indigeni, prescrivendo la promulgazione di leggi per la sua attuazione. Al presidente della Repubblica si poneva l’obbligo della creazione e del mantenimento di strutture operative specifiche per il progresso di cittadini indigeni.

Pur in una logica ancora prevalentemente integrazionista, la susseguente legislazione si sviluppò con una linea coerente. Nel 1947 vi fu il riconoscimento di modi, costumi e tradizioni di vita degli indigeni e nel 1950 dei loro idiomi più importanti. Il codice del lavoro garantì diritti sindacali e di sciopero e di salari più equi, favorendo i contadini e quindi gli indigeni che erano gran parte della manodopera delle fincas. La riforma agraria del 1952, seppure parziale, perseguì l’obiettivo di eliminare la proprietà di tipo feudale nel settore agricolo affrancando i contadini dalla semiservitù e dal lavoro gratuito.

Tutto fu sepolto con il colpo di stato del 1954 che mise fine all’esperimento democratico. La costituzione attuale, emanata secondo il volere dei militari nel maggio 1985, fa riferimento ai diritti dei popoli indigeni, ma di fatto mantiene tutta la struttura centralistica ed escludente, nella consueta visione discriminatoria e di dominio.

L’accordo sull’identità e diritti dei popoli indigeni facente parte delle ampie convenzione del trattato di pace firmato nel dicembre 1996 rappresenta una svolta di grande peso non solo per i cambiamenti giuridico-istituzionali, ma anche sul piano delle reali possibilità di conseguire risultati concreti. Per la prima volta viene riconosciuta la multietnicità e multiculturalità come conformazione dello stato e non un generico riconoscimento dei diritti e viene prescritta una serie di interventi operativi, legislativi e costituzionali aventi lo scopo di sradicare discriminazioni e razzismo.

L’applicazione è stata finora molto deludente e comunque sarà molto più facile cambiare leggi che mentalità e comportamenti  radicati. Tuttavia gli accordi sono la base di sostegno per  una battaglia che deve essere vinta.