Il Centroamerica, triste laboratorio

 

Sintesi dell’analisi comparsa sul fascicolo di Limes, n. 4, anno 2203 “Panamerica Latina, alla scoperta di un continente”.

“Lo scenario generale, in particolare in Guatemala ed Honduras, presenta una situazione che, concedendo non poco alla vena eufemistica, si potrebbe definire “preoccupante”. La disoccupazione ai massimi livelli, la crisi del settore agrario determinata dall’andamento altalenante dei prezzi dei principali prodotti d’esportazione; la conseguente impennata nel processo di urbanizzazione con un ulteriore incremento del settore informale sono alcune delle cause della gravissima crisi dell’area.

I finanziamenti ricevuti negli anni ’60 per lo sviluppo industriale sono stati sperperati. Settori dell’inaccessibile oligarchia tradizionale agroesportatrice, alleata con le forze armate sempre pronte alle più cruente repressioni, hanno bloccato ogni forma di cambiamento socioeconomico. Il panorama postbellico tra i primi anni ’90 ed i giorni nostri è sconfortante. Alle ragioni storico-culturali dell’arretratezza, si aggiungono i disastri politici causati da governi più o meno predatori, che sono riusciti a svuotare le casse statali a beneficio dei loro conti correnti nei paradisi fiscali esterni.

Il sociologo Xavier Gorostiaga definisce il Centroamerica “caos a bassa intensità”, con una società divisa in categorie diverse e non comunicanti: quelli della “taiwanizzazione” e quelli della “somalizzazione”.

La sfera della “taiwanizzazione” comprende un 5% della popolazione che ha relazioni dirette con attori economici esteri, conduce attività redditizie di import-export ed investe una parte infinitesima dei suoi profitti, i quali finiscono in gran parte in conti di banche estere. Come appendice di questa dimensione troviamo un 15% di classe “media”, in una posizione di totale asservimento alla citata “elíte” e con il terrore di precipitare nella “somalizzazione”.

Nella “somalizzazione” troviamo l’80% della popolazione centroamericana che quotidianamente lotta per la sopravvivenza nel precariato e nello smisurato settore informale. E buona parte di questa vive con meno di un dollaro al giorno.

In questa situazione nella città compare la visione consumistica, che nella maggioranza dei casi si limita nella pratica all’orgia visiva di merci scintillanti dalle vetrine che non si potranno mai acquistare. Ma nella peggiore delle ipotesi coincide con l’uso dissennato delle carte di credito, che fatalmente porta i non avvezzi all’ipoteca della propria terra, spesso unica risorsa famigliare.

Con un’economia basata sull’agroesportazione la globalizzazione, generalmente vista come un’opportunità, diventa un fattore negativo. L’area esporta 1.000 milioni di dollari meno di tre anni fa, mentre si osserva una forte crescita delle importazioni. Di conseguenza il deficit di bilancio commerciale è cresciuto del 76% dal 1996 al 2002, mentre il debito estero non cessa di aumentare in modo rilevante. A partire dal 1998 sia i tassi di crescita che il PIL pro-capite hanno registrato andamenti negativi. Considerando le profonde disuguaglianze interne, si può dire che le società centroamericane negli ultimi anni si sono fortemente impoverite.

La sindrome del “cortile di casa” degli Stati Uniti è tutt’altro che superata. Le piccole repubbliche dell’istmo si preparano a spianare la strada dell’Alca, il progetto di mercato unico dall’Alasca alla Terra del Fuoco, che rappresenta il più completo piano di integrazione e sviluppo economico che gli Stati Uniti abbiano mai costruito a loro vantaggio. E mettono prontamente a disposizione contingenti dei loro eserciti per sostituire i soldati USA di stanza in Iraq”.

 

 

 

Due note aggiuntive.

 

-     Dopo una visita nel suo paese lo scrittore Dante Liano, residente in Italia, scrive in un reportage: “La classe media urbana è caduta nel baratro dei debiti. I suoi componenti sono ora feroci, avidi, truffaldini. Fanno qualunque cosa pur di dimostrare di non aver perso lo status: telefonini ovunque, auto e carte di credito per ogni piccola spesa. E debiti a non finire che generano aggressività di tutti i tipi”.

-     Nel rapporto delle Nazioni Unite sulla popolazione si prevede che il Centro America passi dagli attuali 35 milioni a 74 milioni di abitanti nel 2050.