Il 29 dicembre 1996 la firma
per la cessazione delle ostilità consegna ai guatemaltechi un poderoso corpo di
accordi che affrontano ad ampio raggio i problemi del paese e prescrivono
provvedimenti e procedure per avviare la loro soluzione. Essi non recepiscono,
né lo potrebbero fare dato il rapporto delle forze in campo, le più profonde
aspirazioni del popolo, specie nella questione agraria, cruciale per la fame di
terra della grande massa dei contadini.
Come lucidamente
sottolineato da Belisario, ben conosciuto dalla solidarietà europea per il
popolo del Guatemala per essere stato proprio in Europa il rappresentante
politico dell’UNRG e poi uno dei firmatari del documento finale che ha posto
termine al conflitto: “Gli Accordi di pace non riflettono le rivendicazioni
rivoluzionarie, ma nel processo di negoziazione non si è potuto fare
altrimenti. Si è però ottenuto uno strumento con il quale è possibile costruire
in Guatemala una nuova nazione, sia dal punto di vista sociale che economico”.
E’ apparso subito evidente
che il futuro del paese si sarebbe giocato sulla concreta realizzazione delle
riforme (altrimenti sarebbe magari cambiato qualche cosa nella facciata, ma
poco o nulla nella realtà) e che il futuro fosse anche nelle mani del popolo
guatemalteco, soprattutto nella sua parte più cosciente ed organizzata, e nelle
sue capacità di portare avanti una battaglia in un fronte comune.
A sette anni dalla firma
della pace si deve però constatare la completa mancanza di volontà di applicare
gli Accordi da parte dell’oligarchia dominante, se non per qualche aspetto
formale di minor conto. Ciò ha provocato con l’aggravamento delle condizioni di
vita la più profonda delusione in gran parte della popolazione.