Per lungo tempo i poteri
dello stato hanno negoziato la fine del conflitto armato intendendo l’accordo
di pace unicamente come disarmo della guerriglia e suo inserimento nella vita
civile, mediante la fruizione dell’amnistia. La guerriglia, invece,
condizionava la cessazione delle ostilità all’osservanza dei diritti umani,
alla smilitarizzazione e all’avvio di profonde riforme per risolvere i problemi
storici del paese. Su questa base si sono sviluppate interminabili trattative.
Ad un certo punto e dopo
anni di “stop and go”, si introducono nello statico panorama guatemalteco
alcune varianti che investono il piano politico ed economico. Gruppi
imprenditoriali più aperti alla modernizzazione si rendono conto dei vantaggi
che possono derivare da un almeno parziale inserimento del Guatemala
nell’economia del mondo globalizzato, e che la condizione indispensabile è
assicurare una maggiore legalità all’interno del paese. A questo si aggiunge
una maggiore dialettica all’interno delle sfere militari, dove si afferma una
corrente di ufficiali più giovani e, almeno nell’immagine, meno coinvolti nelle
repressioni. Più pronti, quindi, a recepire il nuovo “messaggio” che arriva
dagli Stati Uniti e pertanto favorevoli ad una soluzione “costituzionale”.
Questo insieme di fattori fa
sì che nel dicembre 1996 si firmi la cessazione delle ostilità e venga varato
un nutrito corpo di Accordi di pace, che affrontano ad ampio raggio i problemi
del paese e prescrivono provvedimenti e procedure per avviare la loro
soluzione.