Caro sindacato, svegliati
 
la nuova bandiera è la formazione  
Intervista a Andrea Ranieri
Segretario generale della Federazione Formazione e Ricerca della CGIL
(dal Corriere del Lavoro 25.01.2002)


La sinistra ha sempre avuto nei confronti della formazione professionale un atteggiamento contraddittorio e, idealisticamente ha sempre privilegiato la scuola, l’istruzione. Non le sembra un paradosso che le organizzazioni che mettono al centro il lavoro, poi, in realtà disprezzino la formazione per il lavoro?

Si, l’idea tardo-gentiliana è dura a morire anche nella sinistra. Nel passato aveva una giustificazione, perché si trattava di integrare la cultura del Paese, di offrire alla popolazione dei saperi minimi uguali per tutti. Ma quando la scuola di base s’è alzata sarebbe stato necessario alzare anche la formazione professionale, che nella cultura sindacale e della sinistra è rimasta invece indietro, quasi una figlia minore.

Allora, diciamolo forte: la formazione professionale non è un canale di serie B

No, non deve essere concepita come un canale di serie B. Bisogna prendere atto che vi sono diversità di approcci e di saperi, diversi modi di apprendere, diverse tipologie di persone. Si può apprendere dalla capacità di astrazione ma anche dalla manualità e dall’operatività.

Si, ma don Milani diceva che “nulla è più ingiusto che far parti uguali tra diversi”.

Non sono d’accordo se significa che le disuguaglianze sono destinate a rimanere: vanno invece superate. E il lavoro deve rivendicare il suo ruolo di luogo di apprendimento.

In questo anche le aziende sono d’accordo: il luogo della formazione è l’impresa, non l’aula.

L’esperienza di apprendimento nell’impresa è cultura solo se formalizzata, se aiuta a verificare i saperi, a riflettere, a creare sintesi. Altrimenti è addestramento, non formazione. La sola formazione “on the job” è conservativa. La formazione è invece conoscenza riflessiva.  

In ogni modo, tornando al sindacato e alla sinistra, la formazione professionale è sempre stata considerata un canale minore e ghettizzante, “di classe”, come si diceva una volta.

Non in questi ultimi anni. Insomma, se c’è l’obbligo formativo a 18 anni, se è conquistabile nella scuola ma anche nella formazione e nell’apprendistato, lo si deve a noi. Ci sono tante sinistre e tanti modi di fare sindacato. Ci sono i tardo-gentiliani, ma anche chi governa da sempre regioni come l’Emilia Romagna, dove si realizzano le migliori esperienze di integrazione.  

Il merito è anche della concertazione, che oggi chiamano dialogo sociale?

Il peso della formazione è stato aumentato proprio grazie alla concertazione e alla

 bilateralità. Averla finalizzata ai bisogni sociali e di sviluppo dei territori e delle imprese è stato un passo avanti, grazie ai sindacati territoriali, agli Obn-Obr e alla concertazione.

Ma, scusi l’insistenza, davvero non crede che la formazione sia ancora considerata figlia di un Dio minore?

No, ma ad  alcune condizioni. Che l’obbligo scolastico resti a 15-16 anni uguale per tutti, Impedendo una scelta precoce dei due canali formativi nelle scuole medie, che tra l’altro sottintendono che l’età per iniziare il lavoro è scesa a 14 anni. Che la formazione sia collegata all’analisi dei fabbisogni territoriali e delle imprese. Che prosegua il lavoro di certificazione dei percorsi formativi, trasparenti e utili sia alle imprese che ai territori. Che l’apprendistato rappresenti anche il luogo in cui si  maturano crediti utili per il passaggio alla formazione superiore, agli IFTS postdiploma. Che la formazione iniziale sia collegata alla formazione continua e ricorrente. La formazione acquista senso se è collegata alla formazione anche degli adulti, degli over 50.  

Nel disegno di legge Moratti sulla riforma della scuola si parla dell’introduzione di un altro canale dell’alternanza oltre l’apprendistato.

Da quello che si vede, vi sono rischi di una canalizzazione rigida e precoce dei giovani nella formazione professionale. Mentre per esempio in Paesi come la Germania si sta riconsiderando un apprendistato rigido e strutturato, che era nato sul modello della grande impresa industriale. Oggi il modello fordista non funziona più. Servono modelli flessibili. L’altra cosa che mi preoccupa è la scomparsa dal dibattito e dalla riforma del legame con la formazione continua.  

Che non ci pensi la Moratti mi sembra comprensibile. Ma anche la sinistra e il sindacato non ne parlano.

Si, è così. Eppure io credo che il modello dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita sia la nostra nuova bandiera, il nuovo baricentro dei diritti sindacali e delle persone. E’ la formazione continua che deve plasmare i rapporti sindacali. Vorrei su questo obbiettivo la stessa passione e calore che vengono impiegati su altri fronti. La stessa battaglia sull’articolo 18 va bene, ma bisogna farla anche per la formazione continua.  

Come vede il dialogo tra lavoro e istruzione?

Mi pare che non ci sia. Vedo un’improvvisazione assoluta, un dilettantismo pericoloso. Il ministero della Moratti soffre di autoreferenzialità. Non coinvolge le Regioni, non coinvolge le migliori esperienze di concertazione e bilateralità. Vedo il pericolo che tutto si fermi, che si blocchino quelle parti di riforma che sono già in atto: il nuovo

 apprendistato, l’obbligo formativo e scolastico, il postdiploma, le certificazioni, l’integrazione dei sistemi, e la formazione continua.  

Quanto vale in risorse la formazione continua?

A regime 1000 miliardi. Nasceranno a breve quattro o cinque associazioni per la formazione continua, per investire e spendere al meglio i contributi dello 0,30%. Per finalizzarli ai fabbisogni delle imprese, con le parti sociali, e dei territori.

Che sensazione prova a occuparsi di questi temi nel sindacato che non sempre ascolta?

Si, a volte si prova una certa solitudine, è duro e faticoso. Ma un salto culturale del sindacato è necessario. E’ un modo per ripensare il mestiere del sindacato. Contrattare salario e orario va bene, ma anche la formazione continua ha un ruolo strategico e si riflette sulle carriere e sulla sicurezza dei lavoratori.

Che effetto le fa parlare di concertazione quando vi state tirando, imprese e sindacati, bastonate e pallottole?

Ribadisco il valore della concertazione, che non è un gioco a somma zero, ma crea vantaggi per tutti. Soprattutto per quelle imprese che sono sensibili alla formazione e alla qualità e non solo alla logica dei costi. Lo stesso nel sindacato: credere e lottare per la formazione significa dare spazio alle forze migliori dello stesso sindacato.