Articolo di A. Panebianco sul CorrSera del 29/12 (4/1/2000)

 

Pubblichiamo l'articolo di Panebianco pubblicato nel Corriere della Sera di qualche giorno addietro che segnaliamo oltre che per la severa critica al disegno di legge sul riordino dei cicli anche per l'esplicita accusa rivolta agli intellettuali di sinistra di rendersi "complici" con il loro silenzio, "di Berlinguer, di Guerzoni e della CGIL Scuola".

 


 

La riforma di sinistra di scuola e università

LO STRANO SILENZIO DEGLI INTELLETTUALI


Mentre stiamo per entrare nell'anno quarto dell'era del centrosinistra vorrei segnalare all'attenzione del pubblico un caso di "tradimento dei chierici". Da quando, nel 1996, il centrosinistra si è insediato al governo, due caratteristiche lo distinguono: un'altissima concentrazione di intellettuali, di riconosciuti, e spesso prestigiosi, uomini di cultura, sia politicamente impegnati sia nel ruolo di semplici fiancheggiatori (una concentrazione molto più alta di quella di cui dispongono le opposizioni) e un tentativo, tenacemente perseguito, di rivoluzionare, di cambiare radicalmente l'intero sistema educativo, dalle elementari al post-laurea, passando per tutto ciò che vi sta in mezzo. Una rivoluzione, quest'ultima, che sta arrivando ora alle sue conclusive battute: con la riforma dei cicli scolastici in discussione in Parlamento, e con il varo della riforma universitaria (il cosiddetto tre più due: laurea di primo livello di tre anni, laurea di secondo livello di due anni).
I profani potrebbero pensare che fra i due fatti ci sia una stretta relazione, ossia che una così folta armata di intellettuali di sinistra sia non solo coinvolta nel processo di riforma del sistema educativo italiano a tutti i livelli, ma ne sia addirittura la diretta ispiratrice, che sia, insomma, proprio questa armata a guidare in qualche modo questo processo innovativo.
Nulla di più sbagliato. Eccezion fatta per il gruppo di intellettuali di sinistra che in una breve fase (quando, qualche anno fa, venne redatta la cosiddetta "bozza Martinotti", un documento di lavoro sull'Università) partecipò alle prime discussioni sulla riforma universitaria, quella foltissima armata è stata largamente latitante, non ha per lo più partecipato al tentativo fatto dai "suoi" governi (quei governi di centrosinistra in cui pure si riconosce politicamente) di cambiare, dalla base al vertice, il sistema educativo. Con il risultato (visibilissimo nel caso della riforma della scuola, meno visibile ma non meno presente nel caso della riforma dell'Università) che i principali interlocutori dei governi in materia educativa sono stati i sindacati, questi sì entusiasti e attivi sostenitori di così tanto fervore riformatore.
Non si capisce nulla della riforma del sistema educativo voluta dal centrosinistra se non la si considera nel suo insieme. Esso, infatti, è una catena, un sistema interdipendente, e non è indifferente, per capire cosa accadrà all'Università, osservare quanto accade, poniamo, alla scuola dell'obbligo. Ebbene, bisogna riconoscere che questa riforma è dotata di una sua evidente coerenza.
Ciò non deve stupire. Tanto la trasformazione dei cicli scolastici quanto il cosiddetto "tre più due" vennero concepiti più o meno nello stesso momento e dalle stesse menti: all'epoca del governo Prodi, da Berlinguer e dal suo staff quando essi controllavano sia il ministero della Pubblica istruzione sia quello dell'Università (in quest'ultimo ministero, a garantire la continuità con i tempi di Berlinguer, è rimasto fino ad oggi il sottosegretario Guerzoni).
Osservata nel suo insieme, la "Riforma Educativa" del centrosinistra appare ispirata all'idea di uno scambio fra quantità e qualità. Dopo aver preparato il terreno con continue geremiadi sul basso numero di diplomati e di laureati in Italia rispetto al resto d'Europa (sulla base, peraltro, di confronti sbagliati: comparando dati non omogenei) si è deciso di aumentare - a tutti i costi, con qualunque mezzo - il numero di diplomati e di laureati. E' questa, infatti, la vera filosofia ispiratrice. Per ottenere il risultato, naturalmente, ci si deve adattare a una contrazione delle "pretese", a un drastico abbassamento della qualità e del livello culturale del sistema educativo.
Dato comunque, per onestà, a Berlinguer il merito di avere voluto (in contraddizione, secondo me, con le vere premesse ispiratrici della riforma) un più serio esame di maturità, bisogna dire che troppi indizi congiurano nell'indicare che la trasformazione dei cicli scolastici si risolverà in un abbassamento sensibile della qualità: vedi la riduzione di un anno del ciclo di studi, vedi l'innalzamento dell'obbligo scolastico senza che sia stato predisposto un solido canale professionale, vedi i fortissimi rischi che i primi anni del liceo siano ridotti a un inconcludente biennio di sperimentazioni.
La riforma universitaria segue la stessa logica. Anzi, la esaspera. La laurea di primo livello (il triennio) dovrà drasticamente abbassare qualità e pretese: non solo perché così impone, esplicitamente, il collegamento che la legge istituisce fra il sistema di crediti e il monte-ore di studio che è lecito assegnare allo studente (guai ad adottare testi troppo impegnativi o troppo lunghi!) ma anche perché a quel triennio approderanno, in prospettiva, presumibilmente, studenti assai poco preparati, quei diplomati che usciranno dalla futura scuola "riformata".
Considerate insieme, riforma dei cicli scolastici e riforma dell'Università, precostituiscono un abbassamento della preparazione dei diplomati e dei laureati (di primo livello). Abbassamento, a sua volta, necessario per aumentare, dei suddetti diplomati e laureati, la quantità. Il centrosinistra, dunque, ha avuto il tempo e la forza di imprimere una svolta al nostro sistema educativo. E lo ha fatto nella direzione indicata. Avremo scuole e università che sforneranno più diplomati e più laureati ma al salatissimo prezzo di uno scadimento complessivo della qualità. E senza neppure possedere, a differenza di altri Paesi europei, quelle oasi di qualità che sono i centri di eccellenza .
E gli intellettuali di sinistra e dintorni cosa dicono di tutto ciò? Ufficialmente niente o quasi. La schiacciante maggioranza degli intellettuali che sostengono il centrosinistra si è per lo più bellamente disinteressata delle riforme scolastiche e universitarie. Ma è lecito questo? E' lecito che degli uomini di cultura se ne infischino delle trasformazioni del sistema educativo del proprio Paese? Tanto più se a vararle sono proprio i loro sodali politici? Non è questa, appunto, una forma di tradimento dei chierici?
Se sfoglio l'elenco, e per limitarmi ai soli professori universitari, di intellettuali direttamente impegnati in politica con il centrosinistra o apertamente solidali con esso, ne trovo una legione. Cito a caso qualche nome, limitandomi solo ai più noti: Umberto Eco, Michele Salvati, Paolo Sylos Labini, Nicola Tranfaglia, Paolo Onofri, Augusto Barbera, Giuliano Amato, Gianfranco Pasquino, Arturo Parisi, Massimo Cacciari, Gianni Vattimo, Alberto Asor Rosa, Stefano Rodotà, Luigi Spaventa, Laura Balbo, Franco Bassanini, Chiara Saraceno, Filippo Cavazzutti. E tantissimi altri che, per ragioni di spazio, non posso citare. Quando mi capita di parlare con qualche intellettuale vicino al centrosinistra delle riforme educative varate dalla sua parte politica lo vedo per lo più sospirare e scuotere la testa con rassegnazione. Ma perché costoro non parlano? Perché si disinteressano di ciò che i "loro" governi vanno facendo in questo campo? Che protesti io, "bieco" (secondo i criteri della sinistra) conservatore, non può certo fare un grande effetto sul centrosinistra. Dovrebbero essere loro, uomini di sinistra, a tuonare in pubblico (anziché limitarsi a scuotere la testa in privato). Perché loro, non io, possono imporre al centrosinistra di ascoltarli e di tener conto dei loro pareri.
Ci fu un tempo in cui gli intellettuali di sinistra occidentali furono, con i loro silenzi, complici di Stalin. Se non altro per ragioni anagrafiche questo non è il caso degli attuali intellettuali del centrosinistra e dintorni. Perché allora ridursi a complici di Berlinguer, di Guerzoni, e della Cgil scuola?
di ANGELO PANEBIANCO

Mercoledì, 29 Dicembre 1999
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