NOTA ILLUSTRATIVA ACCORDO TFR (14/7/99)

 

Depositiamo in allegato una nota illustrativa del recente accordo sul TFR predisposta da Maurizio Benetti per la Confederazione.

Seguiranno ulteriori approfondimenti e aggiornamenti.

 


Nota sul Trattamento di fine rapporto e sulla previdenza complementare per i dipendenti pubblici

 

La normativa di riferimento

 

Le normative da prendere a riferimento sono la legge n. 335/1995, la legge n. 449/1997, la legge n. 448/1998 e, per quello che concerne in particolare la previdenza integrativa, il decreto legislativo 124/1993, modificato dalla 335 e da leggi successive.

 

Il comma 5 dell'art. 2 della 335 stabiliva che ai nuovi assunti a partire dall'1/1/96 veniva esteso l'istituto del Trattamento di fine rapporto (TFR) secondo quanto previsto dall'art. 2120 del codice civile (legge 297/1982).

Sempre la 335, art. 5 comma 6, affidava alla contrattazione collettiva, entro il novembre del 1995, il compito di stabilire le modalità di attuazione di quanto previsto nel comma 5, con riferimento agli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva.

Alla contrattazione collettiva veniva inoltre affidato, art. 5 comma 7, il compito di definire le modalità dell'applicazione della disciplina del TFR ai dipendenti in servizio prima dell'1/1/1996.

Quanto definito in sede di contrattazione collettiva sarebbe poi stato recepito, tradotto in norma e reso esecutivo da appositi Dpcm.

Il comma 8 dello stesso art. 2 stabiliva infine che il trattamento di fine rapporto sarebbe stato corrisposto dalle amministrazioni ovvero dagli enti che già provvedevano al pagamento dei trattamenti di fine servizio.

 

La legge 449, art. 59 comma 56, fermo restando quanto previsto dalla legge n. 335, stabilisce, al fine di favorire il processo di attuazione della previdenza complementare, la possibilità di trasformare l'indennità di fine servizio in TFR. Per coloro che optano in questo senso una quota della vigente aliquota contributiva relativa alle indennità di fine servizio, pari all'1,5%, verrà destinata a previdenza complementare.

 

La legge n. 448/1998, ha infine stabilito in 200 miliardi annui la somma da destinare effettivamente ai fondi di previdenza complementare a titolo di quote di accantonamenti annuali del trattamento di fine rapporto dei lavoratori interessati.

La stessa legge prevede che con il Dpcm previsto dalla legge n. 335/1995:

- si provvede a disciplinare l'accantonamento, la rivalutazione e la gestione dell'1,5 % dell'aliquota contributiva relativa all'indennità di fine servizio da destinare alla previdenza complementare del personale che opta per la trasformazione dell'indennità di fine servizio in TFR;

- si provvede a definire, ferma restando l'invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici, gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva conseguenti all'applicazione del TFR;

- si determinano le modalità per l'erogazione del trattamento di fine rapporto per i periodi di lavoro prestato a tempo determinato e le modalità necessarie per rendere operativo il passaggio al nuovo sistema del personale assunto a partire dall'1/1/96.

 

Come si vede gli interventi legislativi necessari per arrivare prima alla direttiva all'Aran e poi all'accordo sono stati molteplici.

Le indicazioni contenute nella 335 non sono state sufficienti e i tempi indicati nella legge, novembre 1995 per l'accordo sindacale sui nuovi assunti e l'1/1/96 per l'applicazione a questi del TFR, non sono stati rispettati.

Solo gli interventi successivi hanno consentito di riprendere la trattativa e di giungere all'accordo, che modifica tra l'altro alcune scadenze fissate dalla 335.

 

I contenuti dell'accordo

 

Campo di applicazione

L'accordo si applica a tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, compresi i dipendenti degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca e sperimentazione e delle Camere di Commercio.

 

Trasformazione dell'indennità di fine servizio in TFR

 

TFR e previdenza integrativa

L'esigenza di introdurre anche nel settore pubblico il TFR nasce da un lato all'interno del processo di armonizzazione tra il settore pubblico e quello privato, in buona parte già concluso nel sistema pensionistico, dall'altra dalla necessità di consentire anche per i dipendenti pubblici la nascita della previdenza integrativa.

Uno degli strumenti di finanziamento di quest'ultima, ed oggi il più importante, è il TFR. Tutto o parte dell'accantonamento annuo del TFR può essere infatti utilizzato per finanziare i fondi pensione.

Nel settore pubblico fino ad oggi questo non poteva avvenire in mancanza di accantonamenti annui per le indennità di fine rapporto. Era necessario quindi adottare l'istituto previsto dall'art. 2120 del codice civile per avere questa possibilità di finanziamento della previdenza complementare.

 

La trasformazione delle indennità secondo l'accordo

Ai dipendenti assunti dopo l'entrata in vigore del Dpcm, previsto dalla legge n. 335/1995 e dalla legge n. 448/1998, si applica il TFR sulla base di quanto previsto dall'art. 2120 del codice civile.

I dipendenti già in servizio fino al giorno precedente alla data di entrata in vigore del Dpcm possono esercitare l'opzione per la previdenza integrativa richiedendo contemporaneamente la trasformazione dell'indennità di fine servizio, comunque denominata, in TFR.

Per i dipendenti che non eserciteranno l'opzione resterà fermo, con le regole attuali, il vigente trattamento di fine servizio.

 

Rispetto a quanto stabilito dalla legge n. 335/95 l'applicazione automatica del TFR non riguarderà quindi il personale assunto dopo il 31/12/95, come inizialmente previsto, ma solo il personale assunto dopo l'entrata in vigore del Dpcm che, secondo quanto stabilito dalla 335, tradurrà in norma il contenuto dell'accordo tra le parti.

Questa decisione risolve il problema dei lavoratori assunti dopo il 31/1/95 ai quali secondo la 335 si sarebbe dovuto applicare il TFR, ma che hanno invece continuato a vedersi applicate le diverse indennità di fine servizio esistenti nel settore pubblico.

 

A tutti i lavoratori assunti prima del Dpcm viene ora data la possibilità di scegliere tra il mantenimento delle attuali prestazioni di fine servizio o il passaggio al Trattamento di fine rapporto per poter aderire alla previdenza integrativa.

Il termine per l'opzione è fissato in coincidenza con la scadenza del quadriennio contrattuale 1998-2001, salvo ulteriore proroga del termine stesso, che le parti potranno concordare.

Tutti i lavoratori già in servizio al momento dell'entrata in vigore del Dpcm sono quindi liberi di rimanere, non esercitando l'opzione, con gli attuali sistemi di indennità di fine servizio. E' questa un'altra modifica rispetto a quanto indicato dalla 335 che invece prevedeva per tutti i lavoratori pubblici il passaggio obbligato al TFR.

Ogni lavoratore quindi potrà valutare la convenienza o meno al passaggio al TFR, tenendo anche conto che solo questo passaggio consentirà l'adesione alla previdenza integrativa.

 

Il Trattamento di fine servizio secondo il codice civile

 

L'articolo 2120 del codice civile prevede che ogni anno venga accantonata per ogni lavoratore una quota della retribuzione utile al calcolo del TFR, pari alla retribuzione diviso il coefficiente 13,5. Oltre all'accantonamento relativo si procede annualmente ad una rivalutazione di quanto accantonato precedentemente in base ad un coefficiente dato dalla somma di un valore fisso pari a 1,5 e del 75% del tasso di inflazione. Il montante così ottenuto, come somma degli accantonamenti annui comprensivi delle rivalutazioni, costituisce il valore lordo della prestazione a cui il lavoratore ha diritto al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

 

Il Trattamento di fine servizio per i nuovi assunti

 

Per i lavoratori assunti dopo il Dpcm non si pone nessun problema di applicazione del TFR: fin dall'inizio vedranno applicato il meccanismo indicato.

 

Il TFR per i lavoratori già in servizio

 

Per i lavoratori già in servizio invece il nuovo meccanismo entrerà in vigore solo a partire dalla data di iscrizione al fondo pensione, iscrizione che determina il passaggio al TFR, mentre fino a quel momento resterà in vigore la normativa attuale sulle indennità di fine servizio.

Il passaggio al nuovo regime avverrà quindi nel seguente modo: alla data dell'opzione sarà calcolato il valore della prestazione maturata dal lavoratore in base alla normativa attuale (quote dell'ultima retribuzione moltiplicate per gli anni di servizio); la cifra così ottenuta costituirà il primo accantonamento per il TFR a cui successivamente si aggiungeranno i nuovi accantonamenti annui e le relative rivalutazioni in base al tasso di inflazione. Il montante così ottenuto costituirà la prestazione lorda finale.

 

Questo meccanismo è uguale a quello applicato nel settore privato al momento dell'introduzione del TFR, tuttavia nel settore pubblico questa modalità di passaggio, se applicata senza correttivi, avrebbe comportato una perdita di benefici fiscali relativa al periodo di applicazione delle indennità di fine servizio.

Il trattamento fiscale di queste indennità prevede infatti un abbattimento dell'imponibile lordo (26,04% nello stato e 40,98% negli enti locali e nella sanità) in relazione alla contribuzione del 2,5% a carico del lavoratore, abbattimento che nel TFR è assente data la mancanza di contribuzione.

I lavoratori in servizio verrebbero così a perdere i benefici fiscali anche per gli anni in cui hanno versato il contributo per le attuali indennità.

Nell'accordo si è quindi stabilito che il TFR dei lavoratori che opteranno per questo istituto sarà composto da due parti: una relativa a quanto accantonato (e rivalutato) ogni anno a partire dal momento dell'opzione, ed una relativa al maturato in base alla vecchia normativa al momento della scelta e alla sua rivalutazione. Sulla prima parte si applicherà la normativa fiscale del TFR senza abbattimenti aggiuntivi, alla seconda si applicheranno anche gli abbattimenti di imponibile (26,04% nello stato e 40,98% negli enti locali e nella sanità) relativi alle indennità di fine servizio

 

La base di calcolo del TFR

 

Il TFR si calcolerà sulle seguenti voci della retribuzione:

  1. l'intero stipendio tabellare;
  2. l'intera indennità integrativa speciale;
  3. la retribuzione individuale di anzianità;
  4. la tredicesima mensilità;
  5. gli altri emolumenti considerati utili ai fini del calcolo dell'indennità di fine servizio comunque denominata ai sensi della preesistente normativa.

 

Ulteriori voci retributive potranno essere considerate nella contrattazione di comparto, garantendo per la finanza pubblica, con riferimento ai settori interessati, i complessivi andamenti programmati sia della spesa corrente, sia delle condizioni di bilancio degli enti gestori delle relative forme previdenziali.

 

In base all'accordo stipulato la base di calcolo del TFR risulta sensibilmente più elevata di quella valida ai fini del calcolo delle indennità di fine servizio.

Infatti le voci sopra indicate sono oggi solo parzialmente utili ai fini del calcolo delle attuali prestazioni, secondo le seguenti percentuali diverse a seconda dei settori del pubblico impiego:

 

Retribuzione utile per il calcolo delle indennità di fine servizio

Ministeri

Scuola

S.s.n

E.L.

Parastato

Stipendio

80%

80%

80%

80%

100%

Iis

48%

48%

80%

80%

30%

RIA

80%

80%

80%

80%

100%

13°

In base alle voci precedenti

Accessorio*

0%

0%

0%

0%

0%

* Qualora non espressamente previste come elementi utili

 

Sulla base dell'accordo i diversi elementi della retribuzione concorreranno invece a formare la base di calcolo del TFR nelle seguenti percentuali:

 

Retribuzione utile per il Calcolo del TFR

Ministeri

Scuola

S.s.n

E.L.

Parastato

Stipendio

100%

100%

100%

100%

100%

Iis

100%

100%

100%

100%

100%

RIA

100%

100%

100%

100%

100%

13°

In base alle voci precedenti

Accessorio*

0%

0%

0%

0%

0%

* Qualora non espressamente previste come elementi utili

 

Queste differenze di base di calcolo fanno si che le percentuali di retribuzione complessiva utile per il calcolo delle indennità di fine servizio e per il TFR siano le seguenti:

 

Percentuale di retribuzione complessiva utile per il calcolo della prestazione di fine rapporto (Retribuzione media annua procapite del personale a tempo indeterminato per l'anno 1997)

Ministeri

Ministeri

Scuola

Scuola

S.s.n

E.L.

E.L.

E.L.

Parastato

Parastato

Qualifiche

Peso nel settore

V liv.

(30,64%)

VII liv.

(20,4%)

Element.

(24,91%)

Sec.II°

(18,92%)

VI liv.

(30,4%)

VI liv.

(14,5%)

V liv.

(16,68%)

III liv.

(13,25%)

VI liv.

(20,10%)

VII liv.

(37,41%)

Indennità di fine servizio

 

51,88%

 

50,65%

 

65,85%

 

65,22%

 

59,30%

 

70,56%

 

66,06%

 

73,13%

 

50,93%

 

51,35%

TFR

78,65%

74,60%

96,20%

93,64%

74,12%

88,20%

82,58%

91,41%

72,61%

70,80%

 

Differenza in più tra TFR e indennità di fine servizio

% retribuzione

26,77%

23,95%

30,35%

28,41%

14,82%

17,64%

16,52%

18,28%

21,68%

19,44%

 

L'accordo ha quindi aumentato la base di calcolo del TFR rispetto a quella precedente delle indennità di fine servizio. Ulteriore incrementi della base di calcolo potranno essere effettuati in sede di rinnovi contrattuali.

 

Come si vede la retribuzione non concorre per intero al calcolo dell'accantonamento annuo per il TFR. Questo peraltro non avviene nemmeno nel settore privato dove i diversi contratti collettivi hanno stabilito che alcune voci retributive (come lo straordinario, diverse indennità, voci non ricorrenti o altro a seconda dei contratti) non sono considerate ai fini del calcolo del TFR.

 

L'accantonamento annuale

 

Le quote di accantonamento annuale saranno determinate applicando l'aliquota stabilita per i dipendenti dei settori privati iscritti all'INPS, pari al 6,91% della retribuzione base di riferimento.

Per l'esattezza l'accantonamento annuo nel settore privato è pari alla retribuzione utile per il calcolo del TFR divisa per 13,5: in termini percentuali questo corrisponde al 7,41% della retribuzione. Peraltro a carico del lavoratore vi è un contributo in favore dell'Inps pari allo 0,5% della retribuzione complessivamente percepita, da sottrarre all'accantonamento annuo; da qui la percentuale di effettivo accantonamento del 6,91% (7,41-0,5).

In realtà la percentuale di accantonamento nel settore privato risulta minore del 6,91%: infatti mentre il 7,41% è riferito alla base utile per il calcolo del TFR, lo 0,5% è rapportato all'intera retribuzione percepita che, come detto sopra, è di norma superiore. Sottraendo quindi questo 0,5% all'accantonamento annuo, il valore netto di quest'ultimo risulta inferiore al 6,91% della retribuzione di riferimento.

Nel settore pubblico questo non avverrà; la quota accantonata sarà effettivamente pari al 6,91% della retribuzione utile.

 

Soggetti pubblici competenti all'erogazione del TFR

 

L'accantonamento non sarà effettivo, come del resto avviene in buona parte del settore privato. L'aliquota del 6,91% costituirà la base per il calcolo della prestazione finale, frutto come detto, degli accantonamenti annui e della loro rivalutazione.

Per i dipendenti iscritti alle gestioni Inpdap per i trattamenti di fine servizio la liquidazione del TFR sarà effettuata dal medesimo Istituto che vi provvederà al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Per il personale non iscritto all'Inpdap per i trattamenti di fine servizio - come quello degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca e sperimentazione e delle Camere di Commercio - la liquidazione del TFR sarà effettuata dall'ente datore di lavoro.

 

I datori di lavoro pubblici (Stato, Enti locali, Asl, ecc,) continueranno a versare all'Inpdap le attuali aliquote contributive applicate alla base di computo delle indennità di fine servizio. Questo non determinerà un incremento di costo del lavoro nel settore pubblico, incremento che sarebbe stato determinato da un computo dei contributi sulla base del 6,91% applicato alla nuova base di calcolo.

 

Effetti sulla retribuzione del passaggio a TFR

 

L'elemento che ha impedito dal 1995, data del primo accordo contenuto nella legge 335, fino ad oggi l'introduzione del TFR nel settore pubblico è stato il problema "costi", problema aggravato dalla situazione dei conti pubblici e dagli obiettivi da raggiungere in termini di spesa pubblica ai fini del trattato di Maastricht.

Il primo problema che si è posto è stato quello del contributo del 2,5% pagato dal lavoratore ai fini delle indennità di fine servizio. Il passaggio al TFR, prestazione alla quale non corrisponde alcun contributo a carico del lavoratore, avrebbe dovuto comportare la sua eliminazione con conseguente incremento della retribuzione netta (in misura inferiore dato che il contributo è fiscalmente esente, mentre lo stesso convertito in retribuzione diventa fiscalmente imponibile).

L'eliminazione del 2,5% e il suo inserimento in busta paga avrebbe peraltro portato un incremento di spesa pubblica pari a circa 1.500/2.000 miliardi annui al netto dell'incremento di entrate fiscali (il fatto che oggi il contributo faccia parte della retribuzione lorda non ha effetti sul bilancio del settore pubblico nel suo complesso; quest'ultimo infatti comprende anche gli enti previdenziali come l'Inpdap e quindi le uscite dello stato in termini di retribuzione lorda sono bilanciate dalle entrate contributive dell'Inpdap e il contributo è quindi neutro in termini di spesa pubblica. Il discorso ovviamente cambia se queste risorse escono dal circuito del settore pubblico allargato).

Il Tesoro si è dichiarato fin dall'inizio indisponibile ad affrontare questo incremento di spesa, accettando l'ipotesi di introduzione del TFR nel settore pubblico prevista dalla 335 solo alla condizione di una revisione della struttura retributiva e contributiva del settore, revisione peraltro indicata nella stessa legge e che secondo il Tesoro doveva impedire questo incremento di spesa.

Tutto questo ha comportato uno stallo di tre anni nella trattativa, situazione dalla quale si è usciti con l'accettazione da parte sindacale della sterilizzazione del contributo del 2,5% per chi opta per il TFR e da parte del governo con l'accettazione

 

Quindi il lavoratore che opta per il TFR e per il fondo pensione perderà solo 1 punto del 2,5%, dato che l'1,5% sarà versato al fondo pensione: in cambio di questa perdita godrà, come detto di una base di computo più elevata per il Tfr, di un trattamento fiscale più favorevole e non perderà nulla dal punto di vista pensionistico.

La sua retribuzione netta infine rimarrà invariata.

 

In concreto a decorrere dalla data di esercizio dell'opzione ai dipendenti che passeranno al regime del TFR, non si applicherà il contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5% della base retributiva. Per assicurare l'invarianza della retribuzione complessiva netta, la retribuzione lorda verrà ridotta in misura pari all'ammontare del contributo soppresso.

Per evitare che questa riduzione di retribuzione lorda abbia effetti riduttivi sulla pensione e su altri istituti, viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali, all'applicazione delle norme sul TFR, ad ogni fine contrattuale e agli effetti della determinazione della massa salariale per i contratti collettivi.

La medesima disciplina si applicherà nei confronti dei dipendenti assunti successivamente alla data di entrata in vigore del Dpcm.

 

Avremo quindi questa situazione

 

Retribuzione lorda:

 

Retribuzione netta

 

Retribuzione pensionabile

 

Per gli enti il cui personale non è iscritto alle gestioni Inpdap per i trattamenti di fine servizio e per i quali non si ha la trattenuta del 2,5% della base retributiva, il passaggio al TFR avviene senza mutamenti della struttura retributiva e contributiva indicata.

 

Rapporti di lavoro a tempo determinato

Il passaggio al TFR comporta che, come nel settore privato, ad ogni sia pur minimo periodo lavorativo debba corrispondere un Trattamento di fine rapporto, diversamente da quanto oggi accade nel settore pubblico in cui la maturazione di una indennità di fine servizio richiede un periodo minimo di impiego.

L'accordo prevede pertanto che ai periodi di lavoro prestato a tempo determinato si applica, a partire dalla data di entrata in vigore del Dpcm, la disciplina del TFR prevista per i settori privati.

Data l'attuale possibilità di riscatto ai fini delle indennità di buona uscita dei periodi di lavoro a tempo determinato prestati precedentemente l'assunzione definitiva, l'accordo prevede inoltre che resta ferma la possibilità, per i dipendenti interessati, di riscattare, secondo le modalità previste dalle norme di riferimento, i periodi di lavoro prestato a tempo determinato svolti precedentemente all'entrata in vigore del Dpcm.

 

Prestazioni creditizie e anticipazioni

 

Le prestazioni creditizie e sociali vigenti sono mantenute e continuano ad essere gestite dall'Inpdap. Restano ugualmente ferme quelle previste dalle norme contrattuali vigenti per il personale destinatario.

Le condizioni per l'armonizzazione pubblico-privato in materia di anticipazioni saranno invece verificate in sede di contrattazione di comparto, nel rispetto degli equilibri di bilancio della finanza pubblica.

 

E' uno dei punti discussi fino all'ultimo ed indubbiamente il punto meno soddisfacente dell'accordo. Il passaggio al TFR dovrebbe automaticamente comportare, come indicato dall'art. 2120 del codice civile, che il lavoratore con almeno 8 anni di lavoro possa richiedere un anticipo fino al 75% del TFR maturato per ragioni di salute o per l'acquisto della prima casa, nei limiti del 4% annuo degli occupati nell'impresa.

Anche in questo caso la resistenza del Tesoro è stata insormontabile e non ha permesso di giungere sul punto in questione ad un accordo definitivo, rimandando la soluzione alla contrattazione di comparto.

Va in ogni caso considerato che nell'ottica del Tesoro l'introduzione dell'anticipazione porrebbe in discussione gli attuali istituti creditizi e/o porrebbe il problema di un allineamento delle aliquote pensionistiche del settore pubblico a carico del lavoratore, oggi in parte inferiori, allo stesso livello di quelle del settore privato.

In ogni caso, fermo restando le attuali prestazioni del fondo credito, i lavoratori iscritti ai fondi pensione avranno la possibilità di chiedere al fondo un anticipo delle quote complessivamente versate, non solo di quelle derivanti dal TFR, per le stesse motivazioni previste per l'anticipo di TFR (acquisto prima casa e spese sanitarie).

 

FONDI PENSIONE

 

Costituzione dei fondi pensione

 

Una volta emanato il Dpcm che renderà operativi i punti dell'accordo relativi alle modifiche retributive e contributive, nei singoli comparti si potrà procedere alle trattative per gli accordi di costituzione dei fondi pensione.

Il D.lvo 124 infatti attribuisce ai "contratti e accordi collettivi, anche aziendali, ..., promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro" il potere di istituire fondi pensione complementari.

 

Sulla costituzione dei fondi pensione l'accordo raggiunto si limita pertanto a dire che "al fine di limitare l'incidenza dei costi di gestione, le parti concordano sulla necessità di dare vita a un numero ristretto di fondi. La composizione e l'ambito di estensione dei fondi stessi a uno o più comparti - comunque circoscritta all'ambito di applicazione del presente contratto - sono stabilite sulla base delle indicazioni che scaturiranno in sede negoziale a livello di comparto e di area".

 

I lavoratori associati

 

Il D.lvo 124 prevede che l'adesione ai fondi pensione è volontaria. I contratti collettivi di lavoro o altri accordi sono chiamati a costituire i fondi e a determinare la contribuzione, ma spetta al lavoratore la decisione sull'aderire o meno.

Anche nel pubblico impiego, sottoposto comunque alle regole del D.lvo 124, l'adesione è volontaria.

 

Vi sono tuttavia differenze tra i lavoratori in servizio prima del Dpcm e quelli assunti successivamente. I primi decidendo di aderire alla previdenza integrativa optano anche per il TFR; se non aderiscono alla previdenza integrativa rimangono con le attuali indennità di fine servizio.

Gli assunti dopo il Dpcm invece sono comunque in regime di TFR e la loro scelta riguarda solo l'adesione o meno ai fondi pensione, scelta naturalmente volontaria.

 

Differenze vi sono anche sul momento di adesione ai fondi. Mentre infatti il lavoratore assunto dopo il Dpcm, secondo la normativa attuale, potrà decidere per l'adesione al fondo in qualsiasi momento della sua vita lavorativa, il lavoratore già in servizio ha tempo, secondo l'accordo, fino al 31/12/2001 per aderire al fondo pensione (e passare al TFR), salvo prolungamenti del periodo determinati da successivi accordi.

L'accordo fissa il limite temporale ultimo, salvo modifica, per l'adesione al fondo dei lavoratori già in servizio, ma da quando questi lavoratori, così come i nuovi assunti, potranno iscriversi? L'adesione al fondo pensione, e quindi il passaggio al TFR, potrà avvenire solo quanto ci saranno gli accordi di comparto istitutivi del fondo e quando questo sarà costituito con atto pubblico.

 

La contribuzione al fondo pensione

 

Il D.lvo 124 prevede che la contribuzione ai fondi pensione possa derivare da contributi a carico del lavoratore, da contributi a carico delle imprese e da quote del TFR.

L'importo di questi contributi è determinato a livello contrattuale, salvo per quello che riguarda i lavoratori che hanno aperto una posizione pensionistica, ossia sono stati assunti per la prima volta regolarmente, dopo il 28 aprile 1993 (data dell'entrata in vigore del D.lvo 124), per i quali vi è l'obbligo in caso di adesione ai fondi pensione di versare tutta la quota di TFR annua al fondo.

Sono quindi i contratti a determinare, salvo l'eccezione indicata, le quote di contribuzione a carico del lavoratore, del datore di lavoro e quella del TFR, ma non vi è alcun obbligo legislativo che le quote debbano essere uguali e neanche quello che ci debbano essere necessariamente tutte e tre.

 

Il decreto in questione regola poi il regime fiscale dei contributi. Quello del lavoratore e dell'impresa sono deducibili fiscalmente, ossia non costituiscono reddito per il lavoratore, nei limiti di 2,5 milioni annui e nei limiti del 2% della retribuzione utile per il calcolo del TFR. La condizione per il godimento di questa deducibilità è l'uso di una quota almeno analoga di TFR per il finanziamento del fondo pensione: questo vuol dire che se il contributo del lavoratore (e del datore di lavoro) è ad esempio di 800.000 annue, per godere della deducibilità è necessario che il contratto abbia stabilito che un valore almeno uguale di TFR sia destinato al fondo pensione.

Non è ovviamente obbligatorio che questo accada, si può in teoria contribuire anche in assenza di TFR, ma in questo caso non si gode del beneficio fiscale sui contributi in busta paga. Anche da qui la necessità di avere nel settore pubblico il TFR.

 

La contribuzione ai fondi pensione nel settore pubblico

 

L'accordo raggiunto rimanda necessariamente alla contrattazione di comparto la determinazione del contributo a carico del lavoratore e del datore di lavoro, ma fissa invece la contribuzione relativa a quote di TFR.

Questa "invasione" di competenza deriva da un lato dalla volontà di non differenziare su una parte rilevante della contribuzione ai fondi i diversi settori del pubblico impiego, dall'altra dall'esigenza del Tesoro di contenere i costi effettivi immediati.

L'accordo prevede che la quota di TFR destinata ai fondi pensione sia pari al 2% della retribuzione utile ai fini del TRF, ossia sia pari al 30% circa del TFR annuo.

Per i dipendenti assunti dopo il Dpcm che chiedono l'iscrizione ai fondi pensione, gli accantonamenti annuali di TFR, dopo l'adesione, saranno invece integralmente destinati ai Fondi medesimi.

Questa differenziazione delle quote di TFR destinate ai fondi pensione è contenuta, come detto, nel D.lvo 124, cambia solo la data di distinzione tra gli iscritti: nel settore privato è il 28 aprile 1993, data di entrata in vigore del decreto, mentre nel settore pubblico la data è quella di entrata in vigore del Dpcm che introduce il TFR nel settore pubblico.

 

Per il finanziamento delle quote di TFR ai fondi pensione sono stati stanziati per ogni anno del triennio 1999/2001 200 miliardi.

Le quote di TFR eventualmente non coperte da questo stanziamento saranno trattate alla stregua di accreditamenti figurativi che confluiranno in un conto individuale tenuto dall'Inpdap.

In concreto dipenderà dal numero di lavoratori che aderiranno ai fondi pensione se i 200 miliardi saranno sufficienti o meno a coprire effettivamente il versamento delle quote di TFR (la somma stanziata copre i versamenti per circa 300.000 aderenti ai fondi); in caso negativo per ogni lavoratore si avrà una contribuzione reale e una figurativa.

Il riparto tra i fondi dei 200 miliardi annui verrà effettuato in misura proporzionale al numero dei lavoratori iscritti a ciascun fondo all'inizio di ogni anno.

In via transitoria e fino a quando non sarà attivata la raccolta delle adesioni, l'attribuzione dei 200 miliardi avverrà tenendo conto della retribuzione media e della consistenza del personale in servizio presso ciascun comparto/area di contrattazione.

 

La contribuzione dell'1,5

 

Nel settore privato il finanziamento dei fondi integrativi deriva dai contributi del lavoratore e dell'azienda e da quote di TFR. Nel settore pubblico, mentre per i lavoratori assunti dopo il Dpcm, la contribuzione ai fondi deriva dalle stesse voci, per quelli in servizio alla data di emanazione del Dpcm, e che si iscrivono ai fondi pensione, alle tre voci ricordate se ne aggiunge una quarta.

A favore di questi lavoratori infatti viene destinata ai fondi pensione una quota pari all'1,5% della base contributiva di riferimento degli attuali trattamenti di fine servizio. Questo conferimento avrà carattere figurativo e confluirà in un conto tenuto dall'Inpdap.

In pratica nei conti Inpdap saranno versati figurativamente sia le risorse di TFR eccedenti i 200 miliardi stanziati, sia le risorse derivanti dall'1,5%.

Questa contribuzione viene considerata neutra rispetto ai conferimenti dei lavoratori e a quelli di pertinenza delle amministrazioni e non "libera" quindi l'amministrazione da una contribuzione specifica a suo carico da decidere contrattualmente.

La contribuzione dell'1,5% riguarderà solo i lavoratori optanti che oggi subiscono la trattenuta del 2,5%; questo finanziamento aggiuntivo ai fondi pensione infatti fa parte dello scambio relativo alla sterilizzazione del contributo del 2,5% in busta paga e non può quindi riguardare quei lavoratori che non subiscono questa sterilizzazione (enti pubblici non economici e altri).

 

Il lavoratore avrà quindi due conti: uno di risorse reali, tenuto dal fondo pensione; l'altro figurativo tenuto dall'Inpdap, frutto dei versamenti di TFR eventualmente eccedenti i 200 miliardi e, per i lavoratori già in servizio, del versamento dell'1,5%. Le risorse contenute nel primo conto godranno dei rendimenti effettivi che il fondo ricaverà dall'impiego delle risorse nei mercati finanziari; il secondo fondo invece sarà rivalutato, in una prima fase, sulla base della media dei rendimenti di cinque fondi del settore privato.

All'atto della cessazione del rapporto di lavoro, l'Inpdap conferirà al fondo pensione il montante maturato, frutto degli accantonamenti figurativi e dei rendimenti. Il fondo a sua volta liquiderà al lavoratore una prestazione frutto della somma del montante ricevuto dall'Inpdap e del montante maturato presso il fondo pensione.

 

La scelta di applicare ai conti figurativi tenuti dall'Inpdap invece dei rendimenti dei fondi del settore pubblico quelli del settore privato, deriva dal fatto che i rendimenti nella fase iniziale dei fondi (12/24 mesi), specie se le risorse finanziarie sono limitate, potrebbero essere più contenuti rispetto alla fase successiva; considerando che il Tesoro limita a 200 miliardi il conferimento massimo per il TFR si è chiesto una garanzia di rendimento per i conti figurativi, agganciandoli ai fondi privati che avranno superato la fase iniziale. Superata questa fase, previa verifica con le parti sociali sul consolidamento della struttura finanziaria dei fondi, anche per i fondi pubblici sarà logico attribuire anche ai conti figurativi lo stesso rendimento del fondo di comparto.

I fondi pensione del settore privato presi in considerazione saranno individuati, con decreto del Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentite le Confederazioni sindacali firmatarie dell'accordo, tra quelli con maggior consistenza di aderenti,.

 

L'accordo stipulato prevede infine che la prima verifica sul consolidamento della struttura finanziaria dei fondi pensione e sui contenuti dell'accordo verrà effettuata tra le parti firmatarie entro il 31 dicembre 2001.

Inoltre con separato atto da stipulare tra le parti verrà costituito un Osservatorio nazionale bilaterale.

Con una dichiarazione congiunta le parti hanno infine convenuto sulla necessità di ottenere dalle amministrazioni interessate la disponibilità di risorse strumentali con cui far fronte al funzionamento dei fondi pensione, fermo restando l'impegno ad attivarsi per ricercare le risorse finanziarie necessarie a fronteggiare i costi di costituzione e di avvio dei fondi medesimi.

 

La scelta dei lavoratori

 

La trasformazione dei trattamenti di fine servizio in TFR e l'adesione ai fondi pensione pone il problema delle scelte del lavoratore, ossia della valutazione della "convenienza" dell'operazione.

Non si tratta di un giudizio semplice dato anche la prossima trasformazione della tassazione del TFR, si possono però fare alcune considerazioni di base distinguendo tra lavoratori assunti dopo il Dpcm e lavoratori già in servizio. Per i primi infatti non si tratta di scegliere tra tra TFR e indennità di fine servizio, dato che comunque saranno sottoposti al regime del TFR, ma si tratta solo di considerare la convenienza all'adesione alla previdenza complementare. Si può comunque dare una valutazione delle diverse prestazioni derivanti dal TFR e dalle "passate" indennità di fine servizio.

Un giudizio più preciso sulla "convenienza dell'operazione" dipende comunque fondamentalmente dalla posizione individuale e dalle previsioni del suo sviluppo.

 

Lavoratori assunti dopo il Dpcm

 

Il Trattamento di fine rapporto applicato ai lavoratori nuovi assunti risulta più favorevole, sia in termine di prestazione lorda che in termini di prestazione netta, rispetto alle indennità attuali, per buona parte dei lavoratori.

Questo risultato dipende essenzialmente da due effetti:

  1. la maggiore base retributiva utile per il calcolo del TFR rispetto a quella utile per il calcolo delle indennità di fine servizio;
  2. il tasso di rivalutazione del TFR positivo dati gli attuali livelli di inflazione.

 

La differenza di base utile incide nei calcoli in modo decisivo superando anche i vantaggi di cui secondo la legislazione fiscale attuale godono le indennità di fine servizio rispetto al TFR. Nei risultati incide anche l'attuale basso livello di inflazione che assicura al TFR un ruvalutazione annua positiva.

Solo lavoratori con carriere particolarmente dinamiche e in particolare con crescite concentrate negli ultimi anni si servizio, avrebbero una prestazione netta più alta con le attuali indennità.

 

Il preannunciato cambio del modello di tassazione del TFR, non modifica sostanzialmente i risultati del confronto nel caso di carriere lunghe (sopra i 30 anni); nel caso di percorsi lavorativi più brevi invece la nuova tassazione del TFR dovrebbe risultare più negativa. Difficile comunque esprimere un giudizio in mancanza di una normativa definita.

 

Per i lavoratori assunti dopo il Dpcm comunque la convenienza della scelta va fatta rispetto all'aderire o meno al fondo pensione.

Va considerato in primo luogo che i lavoratori in questione rientrano tutti nel sistema contributo, sistema che nella migliore delle ipotesi da tassi di copertura finali con 35/37 anni di contribuzione pari al 60% dell'ultima retribuzione, con percentuali di copertura anche inferiori in caso di carriere più dinamiche rispetto alla crescita del Pil.

Vi è quindi una necessità di previdenza integrativa.

 

La convenienza certa sta in due elementi:

  1. il contributo del datore di lavoro;
  2. il beneficio fiscale.

 

Il contributo del datore di lavoro è un contributo previsto esclusivamente per che aderisce alla previdenza integrativa e solo questi quindi ne godranno.

Il beneficio fiscale deriva dalla deducibilità del contributo, direttamente in busta paga, per cui a fronte di un versamento al fondo di 40.000 lire mensili la trattenuta in busta paga (considerando una aliquota marginale del 34% comprensiva dello 0,5% regionale) sarà solo di 26.400 lire. Il beneficio fiscale ovviamente aumenta al crescere del contributo e al crescere dell'aliquota marginale.

In ogni caso quindi il lavoratore percepirà di più di quanto verserà, per effetto del contributo del datore di lavoro e per effetto del beneficio fiscale.

 

Vi è poi un terzo vantaggio il cui ammontare è per definizione indefinito: quello derivante dai rendimenti annui del fondo pensione. Il valore di questi rendimenti dipenderà dalle scelte di investimento del fondo e dalla durata di permanenza nel fondo stesso. A parità di rendimenti le prestazioni finali aumenteranno in modo esponenziale con il crescere degli anni di adesione al fondo (di qui l'importanza di aderire subito); a parità di anni di adesione conteranno naturalmente i rendimenti, tenendo conto che differenze annue di rendimento pari a 1 punto percentuale, determinano in 30 anni differenze di prestazioni pari al 33%.

Lavoratori in servizio

 

Per questi lavoratori il ragionamento sulla convenienza di aderire alla previdenza integrativa e al TFR è più complesso, se non altro perché si tratta di un doppio processo.

Va inoltre considerato che si tratta di lavoratori con differente situazione rispetto alla previdenza pubblica: vi sono infatti lavoratori appartenenti al sistema retributivo, lavoratori appartenenti al sistema contributivo e lavoratori con una situazione mista. La loro necessità di previdenza integrativa è quindi diversa.

 

Conto molto l'anzianità di servizio: pochi anni di lavoro rendono la situazione simile a quella descritta in precedenza, ma con un vantaggio. Ricordiamo che a favore dei lavoratori già in servizio al momento del Dpcm verrà versata al fondo pensione una contribuzione aggiuntiva dell'1,5%. Questo comporta, a parità di tutto il resto (rendimenti e contributi), che la prestazione finale del fondo pensione sarà per questi lavoratori superiore a quella dei lavoratori assunti dopo il Dpcm, anche se con minime differenze di anzianità.

La convenienza all'adesione e al passaggio al TFR in questo caso risulta particolarmente evidente. Si tratta inoltre di lavoratori con prestazioni pensionistiche pubbliche ridotte, o perché completamente nel sistema contributivo o perché, anche se inseriti nel sistema misto, hanno pochi anni di regime retributivo, la cui necessità di adesione alla previdenza integrativa è quindi massima.

 

Vi è poi il caso di lavoratori con maggiore anzianità di servizio.

Fermo restando l'attuale meccanismo fiscale sul TFR e sull'indennità di fine lavoro, anche per questi lavoratori si conferma una convenienza in termini di prestazione lorda e netta al passaggio al TFR, salvo che per lavoratori con carriere particolarmente dinamiche (più del 2% annuo di incremento reale).

Applicando alle prestazioni la prevista riforma fiscale sul TFR i risultati sarebbero leggermente più sfavorevoli, ma in ogni caso per avere una prestazione netta inferiore a quella derivante dal sistema attuale il lavoratore dovrebbe godere di incrementi reali annui superiori almeno all'1,8% in termini reali.

Va detto peraltro che a fronte di questa perdita, comunque limitata a circa il 3-4% della prestazione netta per retribuzioni che crescono del 2,2% reale all'anno, è ampiamente recuperata dal contributo dell'1,5% al fondo pensione.

Non va infatti dimenticato che questi lavoratori non optano solo per il TFR, ma anche per la previdenza integrativa e che hanno un contributo aggiuntivo appunto dell'1,5%.

Anche immaginando rendimenti minimi per questo contributo (1,5% annuo), il valore cumulato al termine della carriera sarebbe di almeno 4/5 volte superiore alla perdita subita per il passaggio al TFR, e ancora maggiore con tassi di rendimento "normali".

Il vantaggio dell'1,5% sarebbe poi completamente aggiuntivo per i lavoratori con carriera meno dinamica che, come detto, non perderebbero dal passaggio al TFR.

 

Anche per questi lavoratori in conclusione, tenendo conto della contribuzione dell'1,5%, del contributo del datore di lavoro e del beneficio fiscale, la convenienza al passaggio al TFR e alla previdenza integrativa appare notevole. E questo vale per le ultime ragioni ricordate anche per lavoratori con carriere normalmente rapide: se infatti perdono nel semplice passaggio a TFR recuperano con i vantaggi derivanti dal fondo pensione.

 

In concreto ipotizzando un contributo dell'1,5% pari a 500.000 lire annue, un contributo del datore di lavoro pari a 33.000 lire mensili, e un beneficio fiscale mensile di 11.200 (34% del contributo di 33.000), i benefici spettanti al lavoratore che sceglie il TFR e il Fondo pensione con una carriera lavorativa ancora da fare rispettivamente di 10, 20 e 30 anni sono, a prescindere dai rendimenti annui i seguenti:

 

Anni di TFR

1,5%

Contributo datore lav.

Vantaggio fiscale

TOTALE

10

5.000.000

4.290.000

1.456.000

10.746.000

20

10.000.000

8.580.000

2.912.000

21.492.000

30

15.000.000

12.870.000

4.368.000

32.238.000

 

 

Se invece ipotizziamo un rendimento del 3% annuo al netto dei costi di gestione i benefici su queste voci (non considerando quindi la maggiore rivalutazione delle quote di TFR versate al fondo e la rivalutazione dei contributi del lavoratore) sono i seguenti:

 

Anni di TFR

1,5%

Contributo datore lav.

Vantaggio fiscale

TOTALE

10

5.731.940

4.918.004

1.456.000

12.105.944

20

13.435.187

11.527.391

2.912.000

27.874.578

30

23.787.708

20.409.853

4.368.000

48.565.561

 

Va inoltre considerato che incrementando la retribuzione aumenta il valore corrispondente all'1,5%, aumenta il valore del contributo del datore di lavoro e aumenta il beneficio fiscale.

 

Non aderendo al fondo i lavoratori rinunciano quindi a questi benefici.

Maurizio Benetti

13/07/99

 

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