Una vita a pane e scacchi

 

Il 14 marzo scorso, a Pavia, è morto improvvisamente Milorad Vujovic. Era nato in Vojvodina, nella ex Jugoslavia, e aveva 68 anni. Metà li aveva trascorsi in Italia, dove lo aveva portato la sua attività di Maestro Internazionale. Stretti i suoi legami con Torino, dove soggiornava per lunghi periodi, e con la Società Scacchistica Torinese. Non fu mai formalmente socio del nostro circolo: ne è stato piuttosto un frequentatore affezionato e speciale, davvero speciale.

 

Per decenni lo scacchista in trasferta, da Bratto a Porto San Giorgio, da Saint Vincent a Barcellona di Messina, varcata la soglia della sala torneo si imbatteva inevitabilmente in un paio di tavolini accostati, debordanti libri di scacchi. In bella fila la collezione degli Informatori, e intorno improbabili volumetti in cirillico, l'immancabile scacchiera magnetica, un orologio ancora inscatolato, premio di chissà quale semilampo domenicale.

Alla prima occhiata si riconosceva subito la bottega del più straordinario libraio viaggiante che l'Italia scacchistica abbia conosciuto: una quercia slava sempre uguale a se stessa, il profilo tagliato con l'accetta. Uno di famiglia, che ti faceva sentire a casa, e che si sentiva a casa sua, dal Trentino alla Sicilia. Una commodity indispensabile in ogni Festival che si rispettasse; come il tabellone, o l'arbitro.

Chiunque si fosse, Maestro o esordiente, l'accoglienza di Vujovic era vivacemente festosa. Ne faceva parte integrante l'offerta di uno o più libri, assolutamente decisivi per lo sviluppo della carriera. In subordine, la proposta di una maratona lampo, mille lire col contro, in virtù della quale si sarebbe progrediti di almeno un paio di categorie.

Solo i più navigati sapevano sfuggire a quelle blandizie: tanta era la convinzione, la grazia, l'ironia e l'autoironia del piazzista.

Eppure Vujovic non era nato piazzista. In quegli anni sessanta in cui lo scacchismo italiano balbettava assai più di oggi, il suo arrivo nella penisola dotò i primi Festival di un'attrazione irresistibile: un giocatore di naturale talento e un vero professionista, un Maestro Internazionale che con una vita meno zingaresca e più attenta alla gestione di sé sarebbe probabilmente arrivato lontano, molto più lontano.

E' stato, Vujovic, un virtuoso della tattica, una macchina da premi, e infine la levatrice di una fitta nidiata di connazionali, che via via si affacciavano ai circuiti italiani. E' stato anche la scuola e il banco di prova sul quale si sono potute misurare generazioni di giovani giocatori nostrani: anche grazie a lui lo scacchismo nazionale ha camminato, è cresciuto.

La sua forza di combattente alla scacchiera è stata anche la sua forza di uomo: dietro un aspetto ruvido, dietro uno stile di vita sgangherato, sgorgavano una sorprendente delicatezza di tratto e una immacolata dignità personale. Non un gesto sguaiato gli si ricorda, non un comportamento indegno, al di là dei leggendari trucchetti professionali.

Per trascurato che potesse apparire, ha sempre orgogliosamente indossato e tenuto lustri gli abiti della sua vita: quello di cittadino slavo, nonostante lo sbriciolamento del suo Paese; quello di Maestro Internazionale, un blasone che esigeva il dovuto rispetto; quello di padre, al quale un così bizzarro mestiere ha in fondo consentito di costruire la casa per la sua famiglia, e di far studiare il figliolo lontano, l'ingegner Vujovic.

 

Sommario | Articolo Precedente | Articolo Successivo

Centro d'Avviamento allo Sport