In Italia si vendono circa quattro chili di pesticidi a persona. Senza contare che anche il concime ormai non è più quello naturale, ma è chimico. Una parte di queste sostanze resta sui prodotti vegetali, e finisce nei nostri piatti. Cosa si può fare per riconoscere la frutta e la verdura “pulita” e distinguerla da quella contaminata?
Un primo consiglio vale per tutti: quando andate a fare la spesa, comprate solo prodotti di stagione. Le primizie, infatti, possono nascere in anticipo sui tempi solo con un notevole “aiuto” artificiale da parte dell’uomo. Oppure si tratta di frutta che viene da lontano, che ha subito lunghi trasporti e che per arrivare ancora in buono stato sulle nostre tavole ha dovuto essere “protetta” con abbondanti trattamenti sintetici. O può darsi addirittura che risalga a una “stagione” precedente: in tal caso vi vendono frutta conservata per mesi, grazie al solito aiuto della chimica.
In ogni caso si va dai conservanti, che dovrebbero essere segnalati sulle etichette degli imballaggi ma che troppe volte vengono ignorati, ai funghicidi contenuti nelle carte di rivestimento alle sostanze che imbellettano gli agrumi, per dare lucentezza alla buccia.
Neppure acquistando solo frutta di stagione, tuttavia, si può stare tranquilli: anche qui si possono trovare sostanze chimiche in abbondanza. Non resta che lavarla accuratamente (magari con un pizzico di bicarbonato) o, quando è possibile, sbucciarla.
Lo stesso discorso vale per le verdure. In questo caso si può ricorrere anche alla cottura che elimina o rende inattiva la maggior parte dei residui di pesticidi.
Ma finché acquistiamo frutta e verdura prodotte con l’agricoltura convenzionale, il rischio dei residui chimici non si elimina del tutto.
E allora, come possiamo avere la sicurezza, che sulle mele o sulle zucchine non siano state usate sostanze pericolose? La risposta è: agricoltura biologica.

 

COME RIDURRE I PESTICIDI

 


I pericoli per consumatori e produttori

 

“Pensiamo davvero di poter riempire di veleni la terra senza conseguenze per la vita del pianeta?”. Era una delle domande che poneva Rachel Carson già nel 1962, nel libro Primavera silenziosa, la biologa americana che per prima denunciò il pericolo pesticidi per l’umanità intera e per l’ambiente.
È ormai chiaro che oltre certe dosi, gli antiparassitari usati nell’agricoltura convenzionale possono essere tossici o cancerogeni. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sono quasi quattro milioni l’anno i casi di avvelenamento da pesticidi. Ma è difficile quantificare tutti i danni all’ambiente e alla salute, perché alcune sostanze chimiche si diffondono su scala globale e per tempi molto lunghi. Il famigerato Ddt, messo al bando da anni (ma ancora usato nelle aree tropicali), è stato trovato addirittura in Antartide, nei tessuti grassi di foche e orsi polari, così come è rilevabile (anche se in piccole quantità) nel latte materno in tutto il mondo.
Di veleni se ne usano in dosi sempre più massicce, perché molte specie di insetti, piante infestanti e funghi sono ormai resistenti all’azione dei comuni pesticidi e la loro eliminazione ne richiede di più potenti o in quantità maggiore.
I pericoli non riguardano solo i consumatori, ma anche gli stessi produttori. In particolare nei Paesi del Terzo mondo, dove la mancanza di regole, di preparazione e di informazione, e la pericolosità dei composti (spesso si usano là quelli che da noi, nel Nord del mondo, sono vietati) innescano la miccia del rischio.
Un solo esempio per tutti è quello dell’area Sud-est del Costarica: il trattamento massiccio con Nemagon (un pesticida che causa sterilità, gravi infezioni cutanee e tumori) in quella zona è assolutamente incontrollato e ha causato un fortissimo inquinamento delle risorse idriche. Il fitofarmaco, però, è utilizzato per trattare proprio quelle banane che, senza controlli sui residui degli antiparassitari, giungono sui banchi del mercato in Europa e in America. Così alla fine arriva sulle nostre tavole.

 

GRUPPI DI POPOLAZIONE A RISCHIO DI ESPOSIZIONE A PESTICIDI

 


I controlli? Scarsi

 

Solo poche città italiane fanno controlli seri su frutta e verdura vendute nei mercati e pubblicano i risultati. Quando li fanno, si scopre che spesso gli agricoltori, dopo aver fatto l’ultimo trattamento coi pesticidi, non aspettano i 15 giorni che sarebbero necessari per lo smaltimento dei residui prima della raccolta.
Il problema è anche nella normativa, che fissa dei limiti per le singole sostanze tossiche ma non dei limiti complessivi: ma tante sostanze chimiche insieme, ciascuna presente in piccole quantità, possono produrre un cocktail micidiale. La legge poi non prescrive nulla per le sostanze nocive dovute all’inquinamento dell’aria: piombo, cadmio, mercurio, che si depositano sulle colture perché il campo è vicino a un’autostrada o a una fabbrica.

 


L'agricoltura biologica

 

Agricoltura biologica è un termine ormai familiare, ma la portata e il significato sono invece piuttosto vaghi per la maggior parte dei consumatori. Le coltivazioni biologiche si distinguono da quelle convenzionali anzitutto perché non sono trattate con pesticidi, diserbanti e concimi chimici.
Ma una domanda viene subito in mente. È vero che i pesticidi possono far male, ma è anche vero che svolgono una precisa funzione: difendere le piante da insetti e parassiti. Come è possibile farne a meno?
La risposta viene dalla “lotta biologica”, cioè quell’insieme di tecniche di coltivazione che fanno a meno delle sostanze chimiche, e usano invece solo metodi naturali, ad esempio sguinzagliando contro gli insetti dannosi altri insetti che sono loro naturali predatori.
Un altro metodo prevede l’impiego di sostanze organiche (i “feromoni”) prodotte dagli stessi insetti femmina: attratti dal dispensatore di feromone i maschi della stessa specie vengono intrappolati ed eliminati.
Sono anche impiegati insetticidi naturali come la nicotina e i fiori di piretro.
I fertilizzanti chimici, invece, che possono inquinare le acque di fiumi e laghi, e le stesse sorgenti di acqua potabile, sono sostituiti dal tradizionale concime animale e dal riciclaggio di prodotti organici naturali.
L’agricoltura biologica prevede anche coltivazioni non intensive e la rotazione delle colture, per evitare un rapido impoverimento dei terreni.

 


A cosa serve?

 

Due sono gli obiettivi principali del “contadino biologico”:
1) ottenere prodotti privi di residui chimici;
2) rispettare l’ambiente, con l’eliminazione dei concimi chimici di sintesi e dei pesticidi, e l’adozione di tecniche colturali che restituiscano fertilità al terreno in via permanente.

 


I controlli sul biologico

 

Gli operatori dell’agricoltura biologica dovrebbero essere iscritti in un elenco regionale, previsto dalla normativa europea, istituito però solo da alcune Regioni italiane.
In ogni caso, prima che un terreno riconvertito dall’agricoltura convenzionale possa definirsi “biologico” devono trascorrere almeno due anni.
I controlli sul rispetto delle regole nell’agricoltura biologica è affidato agli ispettori di ben sette organismi di controllo operanti in Italia. Ma c’è chi sostiene che queste verifiche hanno una validità relativa: se l’agricoltore fa il furbo, lo si può smascherare solo scoprendo i prodotti chimici utilizzati o posseduti in azienda, mentre è molto difficile individuare le tracce dei pesticidi sull’ortaggio ormai in vendita se non si sa a priori quale sostanza cercare.

 


Le altre lotte

 

Oltre alla produzione “biologica” strettamente detta, esistono altri metodi di coltivazione che non rinunciano totalmente all’aiuto della chimica, ma lo riducono al minimo, e in definitiva promettono di lasciare una piccola percentuale di “residui” velenosi sulla frutta e verdura che arriverà al consumatore. A differenza delle coltivazioni “biologiche”, però, queste tecniche agricole non sono regolate da una legislazione europea o nazionale di riferimento.
Vediamo in cosa consistono.


LOTTA GUIDATA
Capostipite di questa agricoltura più vicina alla natura è stata l’Emilia-Romagna con la biofabbrica di Cesena. La lotta guidata ricorre all’impiego di antiparassitari come ultimo rimedio in alcune condizioni di coltivazione e solo in caso di effettiva necessità, a differenza delle coltivazioni convenzionali dove i trattamenti vengono fatti in base a una tabella di marcia, indipendentemente dalle condizioni delle piante.


LOTTA INTEGRATA
È una sorta di mix tra “lotta biologica” e metodi tradizionali. Alcune colture vengono prodotte con metodi biologici, altre invece utilizzando i pesticidi, ma solo in minima parte o solo in alcune fasi dello sviluppo delle piante. Alcune Regioni hanno varato leggi che regolamentano le coltivazioni “integrate”, ma non esiste una norma nazionale.


PRODUZIONE INTEGRATA
Oltre alla drastica riduzione dei pesticidi, che in alcuni casi non vengono proprio utilizzati (per esempio nella coltivazione delle fragole), i prodotti sono conservati con sistemi che non prevedono l’impiego di sostanze chimiche. Nelle coltivazioni vengono utilizzate tecniche rispettose dei terreni per evitare il loro impoverimento.


BIODINAMICA
Coniuga la provenienza da coltivazioni biologiche con quella del metodo biodinamico, una filosofia elaborata da Rudolf Steiner agli inizi del Novecento basata sulla teoria che la vita scaturisce dall’incontro fra la materia e il cosmo. L’agricoltura biodinamica ritiene importante l’influenza degli astri (per esempio la luna) nella coltivazione. L’utilizzo della denominazione “biodinamico” non è regolata per legge. Se in etichetta è scritto “biodinamico” e basta, senza altre precisazioni, non si può affatto essere sicuri della effettiva provenienza da coltivazioni biologiche.

 


Biologico fai-da-te

 

Se avete la fortuna di possedere un pezzetto di terra, allora potete fare da voi un orto biologico (e non solo: anche un giardino biologico, visto che l’uso dei pesticidi non si limita alla coltura dei prodotti alimentari).
Come iniziare a coltivare biologicamente? Tre sono le regole base:
1) smettere di usare prodotti chimici;
2) assicurarsi che il suolo sul quale far crescere le vostre piante goda di buona salute;
3) agevolare e incoraggiare tutte le forme di vita. Non solo uccelli e api, ma anche insetti e piccoli organismi che aiutano a fare di un giardino un ambiente davvero naturale.
Se siete seriamente intenzionati, potete chiedere consigli a strutture specializzate nella coltivazione biologica.
Ecco alcuni indirizzi:
• Agrisan, via Matteotti 220, 51036 Larciano (Pt).
• Aziende agrarie, via giusti 40, 38100 Trento.
• Biofertec, via Grigoletti 38, 33074 Fontanafredda (Pn).
• Centrale ortofrutticola (Centro servizi avanzati per l’agricoltura), via Dismano 3845, 47023 Cesena (Fo).
• Fomet, via Larga 25, 37050 San Pietro di Morubio (Vr).
• Oecoline, via Industriale 14, 39032 Campo Tures (Bz).
• Prodotti naturali E.Perlinger, zona industriale, 39011 Lana (Bz).
• Scam biosistem, via Bellaria 164, 41100 Modena.
• Tecomag, via Z.Montaganani 18, 41050 Colombaro (Mo).
• Un albero per amico, via Sebino 11, 00199 Roma