Prefazione di
Patrizio Roversi
Partiamo da un dato certo, sedimentato a lungo nella Coscienza Collettiva: la Pubblicità è l’anima del Commercio. Ma, per capire che genere di Anima sia, tocca chiedersi cosa sia il Commercio.
Per gli antichi Giapponesi il Popolo si divideva in quattro caste: Guerrieri, Contadini, Artigiani e Commercianti. E i Commercianti rappresentavano lo scalino più basso della scala sociale. In Polinesia, finché non sono arrivati i Cinesi, non c’erano praticamente né negozi né supermercati, perché i Polinesiani si vergognavano a commerciare, la consideravano un’azione poco fine. In Europa la Classe Operaia, e in generale i Lavoratori Dipendenti, hanno una pessima considerazione dei Commercianti perché ­ secondo loro ­ pagano poche tasse e tengono alti i prezzi. I Comunisti ce l’hanno coi Commercianti e con gli Industriali perché speculerebbero provocando un plus valore delle merci. I Pedagogisti e i Moralisti ce l’hanno coi Commercianti perché, proprio attraverso la Pubblicità, indurrebbero la gente a coltivare bisogni superflui e indotti, contaminandola col germe del Consumismo. A Bologna gli Ecologisti si contrappongono ai Bottegai perché questi ultimi si opporrebbero alla chiusura del traffico del centro storico…
Non sono in grado, in questa sede, di stabilire fino a che punto Giapponesi, Polinesiani, Operai, Lavoratori Dipendenti, Pedagogisti, Moralisti, Comunisti ed Ecologisti abbiano ragione o torto. Si può dire però che a torto o a ragione, il Commercio è considerato da molti il Diavolo. Quindi la Pubblicità sarebbe l’Anima Nera del Diavolo.
Può darsi.
Però, da che mondo è mondo, come si presenta il Diavolo agli occhi di noi mortali? Da Lucifero al Serpente che regala una mela appetitosa a Eva, fino alla bellissima matrigna di Biancaneve e ai classici Vampiri, il Diavolo si presenta sempre in modo molto seducente. Si può dire che la seduzione sia la vera arma del Diavolo, e la Pubblicità sia il suo strumento principale.
Se anche il percorso logico di questo discorso vi sarà sembrato delirante, non potrete non condividere il punto d’arrivo: la Pubblicità nel migliore dei casi è Informazione. Spesso è Persuasione. A volte è proprio Seduzione. Ma arriva a essere anche Adescamento. O addirittura Circonvenzione (sottinteso: di incapace).
L’ampio spettro che separa l’informazione dalla circonvenzione, passando per la persuasione, la seduzione e l’adescamento, è la zona in cui bisogna ­ secondo me ­ muoversi per riconoscere pregi e difetti della Pubblicità, che va maneggiata con cura e di cui bisogna saper leggere gli effetti collaterali tra le righe, studiando un minimo di istruzioni per l’uso e attenendosi alle dosi consigliate. Il libro che avete per le mani serve appunto a questo.
Infatti c’è modo e modo di fare pubblicità. Innanzitutto ci sono strumenti diversi per farla. Quella sui giornali, ad esempio, può essere la migliore e la peggiore: è la più discreta quando è fatta a pagamento in fondo a una pagina, è la più insinuante quando sta dentro a un articolo travestita da notizia. La pubblicità che arriva a pacchi dentro la buca delle lettere è forse la più fastidiosa. Ma la pubblicità più incombente è quella radio-televisiva, che produce quotidianamente idee pubblicitarie in quantità. Ci sono pubblicità che hanno fatto epoca, che hanno influito sul costume. E altre che hanno solo assillato e annoiato gli spettatori. Ci sono le pubblicità di merendine o di giocattoli elettronici che rendono nevrotici i bambini e pubblicità che sono spettacolari e basta, col prodotto che quasi non compare se non come sponsor-mecenate, in cambio di un vero “investimento d’immagine” nel senso nobile del termine…
Le televendite, cioè i siparietti in cui il conduttore di un programma improvvisamente si mette a pubblicizzare un prodotto, sono uno dei generi più discutibili: infatti il limite tra la trasmissione vera e propria e la pubblicità è piuttosto sottile e spesso il personaggio, che fino a un attimo prima ti parlava in modo “reale”, tende anche nel siparietto a porre sempre sul piano della realtà la promozione commerciale. Le televendite a volte sono esempi di Pubblicità Occulta, l’unico genere di pubblicità davvero pericolosa. Viceversa c’è “rappresentazione” ­ e dunque potenziale distanza critica ­ dentro agli spot che vanno dopo una bella sigla pubblicitaria che stacca la trasmissione dalla promozione.
Oltretutto, dovendo stare in un massimo di 30 secondi, gli spot devono per forza raggiungere una tale sintesi spettacolare che li porta invariabilmente a decollare in termini estetici. E a proposito di spettacolarità: è innegabile che oggi le immagini più belle che passano per la Tv stiano dentro agli spot. Il Diavolo non bada a spese e, visto che fa un sacco di soldi, ne investe molti. In questo modo la Pubblicità è diventata la vera frontiera della comunicazione, l’avanguardia sperimentale in cui si cimentano le menti migliori del Cinema. E questo produce spettacolo, quindi produce piacere, divertimento, conoscenza.
A me è capitato di vedere, per diversi anni di seguito, le migliori pubblicità del mondo premiate a Cannes: è sempre stato uno spettacolo istruttivo e divertente. Istruttivo perché si capiscono bene le sfumature di costume tra Paese e Paese e, nel contempo, si tocca con mano il processo di Omologazione Platetaria a cui siamo soggetti. Divertente perché, trattandosi di prodotti che magari non sono in commercio qui da noi, lo spot, senza implicazioni commerciali, ti appare per quello che è, cioè una storiella divertente. Ma veniamo al punto, torniamo al Diavolo. In cambio delle cose buone che ci dà, in genere, il Diavolo vuole la nostra Anima.
Ma io credo che un pubblico smaliziato, laico-materialista ma non troppo consumista e feticista, minimamente conscio delle tecniche usate dai pubblicitari ­ cioè in pratica un pubblico che ha letto questo libro ­ possa benissimo gabbare il Diavolo. E scoprire che magari, in fondo, è un Buon Diavolo, per non dire un Povero Diavolo che, ultimamente, sembra non sapere più bene che pesci pigliare.