di Massimo Schiro

 

Toy Story. La Disney versione byte.


Da Venerdì 22 marzo uscirà per l’Italia l’ultimo lungometraggio Disney che si annuncia straordinario e innovativo per essere il primo film «fatto» al computer. Di questa pellicola avrete già letto mille recensioni, quindi cercherò di parlarvene in un’ottica più tecnica, per capire meglio cosa sta cambiando nel cinema.

Il mondo del pensiero attuale vaga tra ‘multimediale, interattivo, realtà virtuale, internet’ (termini usati anche impropriamente: bellissima la parodia ‘maidiregoliana’ del luminare mediologo: “Tu capisci a livello internèt, sei collegato? E allora!” ) In questo film siamo molto vicini alla realtà virtuale e forse al futuro del cinema? Probabilmente sì, anche se le tecniche tradizionali del cinema d’animazione sopravviveranno. In queste ultime il computer si è inserito da tempo per alcuni passaggi che fanno risparmiare tempo e denaro. Il disegno animato nero su bianco è ancora creato al tavolo luminoso.

Attraverso l’uso del PC ogni fotogramma viene scannerizzato, colorato e inserito su uno sfondo anch’esso digitalizzato. Infine si può trasferire il tutto su pellicola oppure ordinare alla stazione grafica di tramutarsi in cinepresa-proiettore. Dimenticata, quindi, la laboriosa colorazione di acetati trasparenti e la ripresa senza possibilità di correzione scatto per scatto su uno sfondo.

Perché spiegare tutto questo? Perché non ha nulla a che fare con Toy Story. Per la prima volta la Disney è solo produttrice in un cartoon. L’esecutivo sta alla Pixar. In quest’azienda si lavora davanti ad avanzatissime stazioni di lavoro Silicon Graphics, mentre alla Disney si crea davanti al tavolo luminoso con carta e penna.

In pratica i personaggi che vedremo, anche se caricaturizzati, sembreranno giocattoli veri con forme e ombre tridimensionali. E nulla sarà fotografato dalla realtà e poi elaborato. L’uso dalla A alla Z di una stazione di computer animation 3D era stata adottata per spezzoni o effetti speciali (ricordiamoci la galoppata di bisonti per “Il re leone” o i dinosauri di “Jurassic Park”) oppure per dare vita a cortometraggi di cinque minuti come “Tin Toy”, che vinse l’Oscar nel 1988. Il regista di allora, lo stesso che si è lanciato nella sfida di oggi, è John Lasseter: “Con quel film mi sono reso conto che l’idea dei giocattoli viventi aveva un grande potenziale ed ero convinto che ci fosse ancora molto da fare con quell’idea.”. Lui stesso prova a rispondere alla domanda iniziale, e cioè se la residenza futura del cinema sarà una scatola digitale. “I computer sono solo strumenti, quasi delle ottime matite e molto costose. Non sono le matite a fare l’animazione, è l’animatore. In questo film sono la storia e il calore dei personaggi a reggere tutto il resto. Anche se il nostro film è innovativo e diverso, dopo pochi minuti la gente avrà capito di trovarsi in un mondo nuovo e dirà <>”.

In America il film ha sbancato i botteghini incassando oltre 270 miliardi di lire. I motivi sono gli stessi del successo di ‘Pocahontas’ e non di un’attrazione tecnologica come un videogame in realtà virtuale. E’ proprio vero che conta il fascino della teatralità per riuscire a inchiodare il pubblico sulla poltrona e per questo per la colonna sonora il regista ricorre alla musica di Randy Newman e a doppiatori del calibro di Tom Hanks e Tim Allen. La sorpresa delle voci italiane è di un duo inedito: il conduttore televisivo Fabrizio Frizzi che darà a Woody, il sentimentale cowboy-giocattolo, quella bonarietà e quella risata caratteristica che gli si addice, e l’attore Massimo Dapporto per l’altro protagonista, l’astronauta Buzz, triste per non poter volare. E’ in un momento cruciale del film che a Dapporto è stato impedito di «rafforzare la frase “Verso l’infinito e oltre” e infodervi più pathos perché gli americani hanno voluto che si pronunciasse in modo distaccato” ». I produttori statunitensi, come sempre, hanno seguito puntigliosamente ogni passo del lavoro, ma alla fine hanno sentenziato che questa è la migliore versione di un cartone animato fatta in italiano fino a oggi.

Ah, quasi mi scordavo. Vi lascio con un pensiero poco originale ma sentito: amare la fantasia vuol dire amare la vita.

FONTE: ASIFA ITALIA, ASIFA SAN FRANCISCO GENNAIO 1996