di Gianluca Matteucci

BUIO IN SALA

Avete mai pensato a cosa significa andare al cinema? All'entrata nella sala -a volte impropriamente usata come aula universitaria- le persone si siedono su comode poltrone per partire verso una destinazione ignota, in un viaggio proiettato su uno schermo. Lo schermo però non è piatto, avvolge lo spettatore, lo sospende per due ore in una dimensione particolare, per un periodo di tempo non più della propria vita ma appartenente ad un mondo voluto dal cineasta.

Questi è un deus ex machina che in centoventi minuti può far vivere al "viaggiatore" un tempo diverso da quello reale, il cosiddetto "tempo del film", a volte corrispondente ad un giorno, a volte ad un anno, a volte all'intera esistenza di un uomo.

Sembra una magia, ma in realtà il cinema più che ad un'alchimia assomiglia ad un sogno, ad un'esperienza onirica vissuta attraverso le immagini. Si, immagini, perché l'arte cinematografica è un'arte figurativa, che proietta una dopo l'altra ventiquattro figure al secondo, in grado, da sole, di suscitare emozioni.

I dialoghi ordinano gli avvenimenti, esplicitano i contenuti ed ancorano alla realtà il racconto, a volte razionalizzando ciò che non andrebbe razionalizzato.

La parola è assai più importante in un altro mezzo di comunicazione, molto più di massa del cinema: la televisione. Questo media sembra non avere tempo per la cura dell'immagine, troppo impegnato a far scorrere sul video trasmissioni-fiume destinate a sparire un attimo dopo la loro messa in onda, e consumate distrattamente durante pasti, chiacchiere e telefonate. La pellicola cinematografica è invece un'opera a tutto tondo, che non si consuma ma si consulta, si vive come un rito, con riverenza, al buio, in modo che non intervengano distrazioni, così da avere tutti i sensi concentrati su ciò che viene proiettato sullo schermo.

Federico Fellini scrisse una volta che lo spettatore del cinema "deve uscire di casa, deve fare la fila, deve pagare il biglietto, deve entrare al buio, deve sedersi, dev'essere completamente vestito e non in mutande, oppure in vestaglia, con le pantofole [...] C'è insomma un clima di rispetto che dovrebbe predisporre ad un certo tipo di ascolto. Alla televisione no."

Sarà per quel suo carattere "volatile" cui accennavo prima che la televisione è, in media, di qualità molto inferiore rispetto al cinema? E' vero che certo cinema possiede questa caratteristica televisiva, ma l'elettrodomestico elettronico, più spesso del film, è sempre diverso ma in realtà sempre uguale a se stesso, e noi videodipendenti, da veri padroni, sappiamo che domani sarà ancora lì, vera certezza casalinga.

Il termine di una trasmissione tv coincide banalmente con il tasto di spegnimento del telecomando; il rituale dell'andare al cinema invece si chiude con la conclusione della proiezione, l'accendersi delle luci e l'uscita, spesso da porte secondarie che danno su vicoli sinistramente bui.

Si fischietta il motivo principale della colonna sonora, si ride, si ripetono le battute più divertenti del film, e ci si allontana, alleggeriti di diecimila lire ma arricchiti sicuramente di qualcosa: sta a noi individuare cosa.