La Manifattura Tabacchi di Torino:
una storia di lungo periodo

Dalla condizione operaia a quella impiegatizia: un percorso solo maschile

Il lavoro svolto dagli impiegati della Manifattura Tabacchi di Torino è illustrato da un documento, datato 1903, firmato dal Direttore, nel quale sono indicate le funzioni e le mansioni degli Ufficiali alle scritture suddivise tra i vari Uffici e reparti della Manifattura. Da questo documento si ricava l’organizzazione della Manifattura all’inizio del 1900, un’organizzazione che consentiva agli operai maschi, che ne avessero avuto la volontà, la capacità e l’opportunità di passare alla condizione di impiegato.

Nella Direzione e Ufficio Computisteria si concentravano le attività amministrative e contabili della Manifattura. Qui arrivavano tutte le informazioni provenienti dai vari reparti, si teneva un registro del protocollo della posta in arrivo e in partenza, venivano classificate le pratiche e redatte a penna le copie della corrispondenza in arrivo, si provvedeva alle spedizioni e alla tenuta dell’archivio, si effettuavano lavori di contabilità ripartiti in tre branche: tabacchi, articoli vari e denaro - personale. Per la contabilità inerente il tabacco, si redigevano i relativi registri, si compilavano i rendiconti mensili ed annuali, si curava la corrispondenza relativa alla gestione dell’estratto di tabacco prodotto dall’Azienda dei sughi di tabacco, venivano compilati i prospetti annuali e mensili dell’andamento produttivo. Per gli articoli vari, si provvedeva alla registrazione delle varie bolle, così come quelle per gli ingredienti, i recipienti e gli stampati. La chiusura di esercizio era trimestrale, si compilavano le distinte di carico e scarico di ogni singolo articolo, si formulavano gli inventari e i conti giudiziali. I lavori di contabilità inerenti il denaro e il personale consistevano nella liquidazione delle parcelle, nella compilazione dei rendiconti mensili, nella contabilità della cassa di previdenza, nella compilazione registri matricola e ruoli del personale in servizio o valetudinario (in pensione), nella redazione di prospetti trimestrali.

In questo ufficio si svolgevano anche i lavori relativi alle paghe a cottimo e a giornata, con relativa registrazione e in più si annotavano anche le malattie degli operai, si compilavano le note mensili di liquidazione e pagamento, si tenevano i registri delle punizioni e permessi, redigendo il prospetto mensile. Sulle paghe a cottimo si effettuavano gli stessi lavori come per le paghe a giornata; in più venivano tenuti i bollettari di carico e scarico dei tabacchi relativi ad ogni singolo lavoratore .

L’ultimo servizio presente in questo ufficio era quello del Servizio Cassa, che provvedeva al prelievo dei fondi dalla Tesoreria per le paghe settimanali di tutto il personale operaio (1200 circa) e al pagamento quindicinale dei valetudinari (circa 400), inoltre si compilavano i registri del materiale mobile, con distinte trimestrali.

Nella Manifattura vi erano tre locali distinti adibiti a magazzino: il primo era quello dei tabacchi, ripartito in greggi, perfetti e contrabbandi; il secondo quello degli avanzi di lavorazione e il terzo articoli vari. In questi magazzini gli impiegati svolgevano le seguenti operazioni:
 


Nella Manifattura vi era un Ufficio Tecnico dove si svolgevano lavori di scritturazione ad esso inerenti e si provvedeva a sostituire i Capi sorveglianti assenti. Vi era poi un ufficio che si occupava della sorveglianza degli operai addetti ai servizi generali che riguardavano la pulizia dei cortili, la sistemazione dei lampioni fuori uso, il servizio di sartoria. Su tutte queste operazioni si redigeva il ruolo delle paghe e il registro dei lavori straordinari.

Tutte le attività fino ad ora elencate rappresentano i lavori svolti presso gli Uffici Servizi Centrali della Manifattura; vediamo però quali erano le mansioni degli impiegati in ognuno dei cinque reparti di produzione:

Primo reparto - Qui avveniva l’apprestamento (ricevimento) delle foglie per sigari e per trinciati, si compilavano i bollettari, il ruolo paghe e i registri del reparto.

Secondo reparto - Si prestava assistenza ai lavori di macinazione, manipolazione, fermentazione, imboettamento e incassamento dei tabacchi. Si compilavano anche qui i bollettari, le tabelle, i registri e il ruolo paghe degli addetti al reparto.

Terzo reparto - Si effettuavano quattro distinte lavorazioni: il taglio delle testate delle foglie e il bagnamento, la trinciatura, la torrefazione e l’impacco; si provvedeva quindi alla sorveglianza di tutte le lavorazioni, alle varie pesature e alla compilazione dei bollettari, del ruolo paghe e delle tabelle.

Quarto reparto - Questo reparto era suddiviso in vari laboratori ove si eseguiva la formazione sigari nelle diverse fasi di lavorazione: bagnamento, scostolatura, lavaggio, concia, fermentazione, formazione colla e prosciugamento, deposito delle foglie preparate; distribuzione delle foglie alle sigaraie. Per tutte queste operazioni, gli impiegati provvedevano all’assistenza alle varie fasi delle lavorazioni, alla redazione dei ruoli paghe per gli addetti impegnati in ogni singola lavorazione e alla tenuta di tutti i registri e le scritturazioni previste.

Quinto reparto - Comprendeva la produzione delle spagnolette (sigarette), l’officina riparazioni casse, l’officina muratori e falegnami e la produzione dell’estratto di tabacco, anche qui si effettuavano la sorveglianza, le scritturazioni e la compilazione dei ruoli paghe degli addetti.

Sappiamo che nella Manifattura esisteva un ufficio che era il nucleo centrale delle attività Amministrative-Tecnico-Contabili, costituito dalla Direzione e dall’Ufficio computisteria, dove venivano accentrate, ordinate e classificate tutte le operazioni svolte nei vari reparti. Se tralasciamo le funzioni del gruppo dirigente della Manifattura (Direttore, Capo Tecnico e Commissario ai riscontri) e quelle del Commissario alle scritture e dell’Economo - cassiere, ci rendiamo subito conto che il resto degli impiegati lavorava nei vari reparti. ... qui che troviamo infatti gli Aiutanti tecnici, i Capi laboratorio (ex Agenti subalterni), che, con l’aiuto, prima degli Ufficiali alle scritture e poi delle scrivane, espletavano le procedure sopra elencate.

Il lavoro degli impiegati della Manifattura non era assimilabile a quello dagli altri impiegati civili dello Stato, come ad esempio gli addetti dei Ministeri, che avevano compiti prevalentemente burocratici, dove l’opera dell’intelligenza e quella delle braccia  (cioè tra funzioni di concetto e mansioni esecutive) erano più marcate soprattutto conseguentemente all’affermarsi della divisione del personale in tre gruppi o carriere o categorie (di concetto, d’ordine ed esecutivo). La categoria d’ordine, in particolare, ebbe essenzialmente la funzione di copiare, registrare e spedire atti. Le mansioni amministrative (copiatura, trascrizione, ecc.) fino alla fine del ‘800, nella Manifattura furono esercitate da uomini, mentre dall’inizio del ‘900, divennero appannaggio delle donne.

Le mansioni prevalenti degli impiegati rimasero quelle relative al controllo e alla vigilanza delle attività produttive. Ciò si coglie analizzando la composizione degli organici della Manifattura di Torino e mettendo a confronto quattro periodi: il 1867; il 1889; il 1913 e il 1914.

Nel 1867, troviamo la distinzione tra impiegati (n. 26) e agenti subalterni (n. 62) per un totale complessivo di 88 individui su un organico produttivo di 1847 unità (497 operai/e stabili e 1350 cottimanti). Tra gli impiegati, coloro che svolgevano mansioni amministrative erano i 12 commessi, i 2 controllori e i 2 computisti, per un totale di 16 unità su 88. Un numero elevato, rispetto a quello registrato negli anni successivi, in quanto allora vi erano le due sedi.

Nell’organico del 1889, il numero complessivo degli impiegati si ridusse a 58 (19 impiegati e 39 agenti subalterni) e questo in seguito alla chiusura dello stabilimento di Via della Zecca. In quell’anno erano complessivamente 14 gli amministrativi (11 ufficiali alle scritture, 1 commissario alle scritture, 1 ufficiale ai riscontri e il commissario ai riscontri) su un organico produttivo di 1639 unità (339 giornalieri e 1300 cottimanti).

Nel 1913, non esisteva più la distinzione tra impiegati e agenti subalterni e l’organico risultava di 64 individui. Gli amministrativi erano complessivamente 15 (12 scrivane, 1 volontario amministrativo, 1 ufficiale amministrativo, 1 commissario amministrativo).

Il numero degli amministrativi rimase costante: 16 nel 1867, 14 nel 1889 e 15 nel 1913, mentre gli organici complessivi degli impiegati variavano da 88, a 58, a 64 unità. Costante rimase anche il numero degli addetti alle scritture: 12 nel ‘67, 11 nel ‘89, 12 nel 1913. Pure nel 1914, troviamo 11 scrivane su un totale complessivo di 70 impiegati.

Nei periodi presi in esame si riscontra un aumento progressivo del numero complessivo degli impiegati, pur rimanendo stabile il numero degli addetti alle scritture. Con l’assunzione delle scrivane, le mansioni di scrittura non furono più esercitate dagli uomini, i quali lasciarono il proprio lavoro esecutivo passando a livelli di carriera superiori.

Infatti, da studi recentemente effettuati sulle progressioni di carriera degli ex Agenti subalterni e degli amministrativi, è emerso come questi avessero un itinerario che, partendo dalla condizione operaia  raggiungeva i vertici delle rispettive carriere con i gradi di commissario ai riscontri o di aiutante tecnico. Nella Manifattura vi era quindi, fra gli uomini, una forte mobilità professionale ascendente. La conferma l’abbiamo dalla graduale diminuzione della componente operaia maschile: nel ‘67 vi erano 278 operai, nel ‘89 scesero a 247 (192 operai, 32 artieri, 23 sorveglianti), nel 1913 sono solamente 189 (53 artieri, 136 operai comuni). La parziale femminilizzazione di alcuni settori era quindi un mezzo per offrire agli uomini maggiori opportunità di carriera. Per le operaie l’unica carriera possibile era quella di verificatrice e molto più raramente maestra. Pochissime operaie riuscirono a diventare scrivane.


Le scrivane

Le scrivane apparvero nella Manifattura Tabacchi di Torino all’inizio del’900.

Due furono assunte nel 1902 e nel 1903, 1 nel 1906, 7 nel 1908, tutte per concorso. Nel 1911, anno in cui appaiono le note informative su cui è stata condotta la ricerca, l’organico delle scrivane era di 12 effettive, 11 torinesi e 1 di Messina. Al momento della prima nomina le scrivane avevano un’età compresa nella fascia fra i 16 e i 20 anni. Per quanto riguarda lo stato civile risultavano tutte nubili.

Questo gruppo professionale, pur svolgendo mansioni impiegatizie, era discriminato, perché formato da sole donne. Si tratta di quella discriminazione sessuale operata nei paesi industrializzati tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX quando le donne iniziarono a lavorare in ruoli, fino ad allora, esclusivamente maschili. In quegli anni di crescita dell’organizzazione economica, l’apparato burocratico e amministrativo era in fase di ampliamento. Impiegate, dattilografe e segretarie erano richieste in numero sempre maggiore sia dalle ditte private e sia per gli uffici governativi. Con la trasformazione del lavoro d’ufficio e la diffusione di forme di attività impiegatizie, caratterizzate da un basso livello di qualificazione, si svilupparono le burocrazie commerciali e amministrative nelle banche, nelle società di assicurazioni e nelle agenzie postali. La professione dell’impiegato, fino ad allora riservata ai soli uomini, nel corso del XX secolo divenne invece prerogativa femminile.

Il lavoro femminile nel settore terziario, benché richiedesse una maggiore alfabetizzazione non era ben remunerato. I salari erano un terzo o la metà di quelli percepiti dagli uomini e raramente le donne ricoprivano ruoli direttivi o amministrativi:.. oggi esiste una categoria di Impiegate che assomigliano per certi aspetti agli Impiegati del passato. Queste sono le “dames employées”. Hanno gli stessi doveri degli impiegati, ma non possono ambire a posizioni di capo ufficio (...). La femminilizzazione è un mezzo conveniente per dare agli impiegati maggiori opportunità d’avanzamento. Il numero di uomini impiegati è minore e il numero di posizioni di controllo tende ad aumentare; è chiaro, quindi, che gli uomini possono più facilmente ottenere la posizione di capo ufficio.

La discriminazione c’era anche nelle Manifatture Tabacchi e la riscontriamo in un documento datato 7 febbraio1906. Si tratta di una circolare indirizzata a tutti i colleghi d’Italia a cura dell’Associazione Generale Italiana fra gli Aiutanti Capi laboratorio e Scrivane delle Manifatture Tabacchi, associazione nata per sensibilizzare l’opinione pubblica, la stampa e il Parlamento, attraverso i Deputati sulle rivendicazioni delle due categorie. In questa circolare si rivendicava l’aumento dello stipendio da 75 a 100 lire mensili; il diritto agli aumenti sessennali previsti per gli altri impiegati; la formazione di una graduatoria su tre classi di reddito assegnando il massimo alle più anziane di servizio; l’obbligatorietà a rimanere nella residenza lavorativa abituale accettando solo gli spostamenti per missioni. I primi tre punti e soprattutto il secondo e il terzo rivendicano il riconoscimento di quei diritti che erano già stati concessi agli impiegati, ma che, purtroppo, non avevano trovato attuazione. Si rivendicano aumenti salariali e la possibilità di avere una carriera, anche se limitata ad un grado diviso in tre classi.

Il disagio economico per le scrivane era ancor più accentuato. Lo stipendio mensile al momento della circolare (1906) era di 75 lire; nel 1911 (anno delle note informative) rimase bloccato a 80 lire e il Regolamento delle Manifatture Tabacchi approvato nel 1912 non prevedeva la carriera per le scrivane, confinandole fuori dagli organici degli impiegati. Seppur sufficientemente scolarizzate, munite di licenza tecnica commerciale sapevano tutte leggere e scrivere in lingua francese, percepivano uno stipendio inferiore agli altri impiegati e agli ex Agenti subalterni.

Le scrivane della Manifattura percepivano comunque stipendi superiori rispetto alla grande massa delle donne costituita dalle operaie, ma inferiori a quelli degli operai. Nel 1914 la retribuzione media mensile oscillava tra un minimo di 110 lire e un massimo di 135 lire, mentre gli Aiutanti Capi Laboratorio percepivano tra le 137 e 200 lire, i Capi Laboratorio percepivano tra le 183 e le 250 lire e gli Aiutanti Tecnici tra le 291 e 333 lire. Queste ultime categorie (ex Agenti subalterni) erano costituite per la maggior parte da personale operaio interno che aveva conseguito avanzamenti di carriera.

Tabella 6 - Retribuzione giornaliera (8 ore) del personale operaio della Manifattura di Torino anno 1914.
UOMINI Paga a giornata Paga a cottimo
Artieri
Operai comuni

L.5,78
L.5,40

L.6,10
L.6,10

DONNE    
Istruttrici, verificatrici e controllatrici
Operaie
Scostolatrici
Sigaraie
Addette alle spagnolette
Addette ai lavori diversi
L.3,00
L.2,70


L.3,10
L.2,94


L.2,92
L.2,69



Gli Agenti subalterni

Nell’ambito della gerarchia dei dipendenti della Manifattura Tabacchi, la figura dell’agente subalterno occupava una posizione intermedia fra quella degli impiegati e gli operai. Le mansioni e i ruoli ricoperti da questi dipendenti sono efficacemente illustrate da tre Regi Decreti emessi nel 1867, 1887 e 1912.

Il primo di questi decreti stabiliva che il gruppo degli Agenti subalterni fosse formato dai macchinisti e portinai. Il macchinista dipendeva funzionalmente dal Capo Tecnico e si occupava di eseguire le riparazioni e i miglioramenti tecnici necessari al perfetto funzionamento di tutti i macchinari impiegati nella lavorazione del tabacco. I portinai dipendevano, invece, direttamente dal Direttore; abitavano obbligatoriamente nell’edificio e vigilavano affinché non avvenissero furti e che nessuna persona estranea accedesse allo stabilimento senza autorizzazione del Direttore. Eseguivano la visita a tutti gli esterni, artigiani, facchini, carrettieri che, per ragioni di lavoro, entravano nello stabilimento. Vi erano poi i visitatori e le visitatrici che, a loro volta, eseguivano la visita a tutti gli Agenti subalterni, nonché agli operai, alle maestre e alle operaie. Infine vi erano gli inservienti d’uffizio incaricati di particolari e determinati lavori affidati loro dal Direttore. In special modo ad essi era affidata la custodia e la pulizia degli uffici.

Vent’anni dopo, nel 1887, nella categoria degli Agenti subalterni, fu compresa la nuova mansione di capo reparto (dipendente dal capo tecnico e che dirigeva uno o più reparti di lavorazione).

I capi riparto sorvegliavano i capi operai e in base alle necessità assegnavano gli operai ai diversi laboratori. Erano responsabili della disciplina interna e in caso di infrazioni comminavano la sanzione dell’ammonizione. Vigilavano sulla corretta esecuzione del lavoro; di loro competenza era altresì l’esame e l’accettazione del lavoro eseguito dal personale assunto a cottimo oltre la regolare stagionatura e la conservazione dei prodotti. Erano responsabili del registro riassuntivo del movimento dei tabacchi e compilavano i resoconti mensili ed annuali per il reparto e la sezione medesimi.

Con il Regio Decreto del 1912, fu riorganizzata la gerarchia dei lavoratori, creando nuove categorie e nuovi gradi.

Con il compito di coadiuvarlo nell’adempimento delle sue funzioni, al macchinista fu affiancato il capo officina. I vecchi capo reparto, capo operaio e sorvegliante, assunsero, conservandone funzioni e prerogative, le nuove denominazioni di aiutante tecnico, capo laboratorio e aiutante capo laboratorio.

Il decreto inserisce fra il personale di custodia gli inservienti d’uffizio, mentre portinai, visitatori e visitatrici, pur mantenendo funzioni diverse, furono unificati nel ruolo del portinaio-visitatore.

Molti degli Agenti subalterni, figura intermedia, provenivano dai ruoli operai e molto raramente conclusero la carriera lavorativa nella categoria superiore degli impiegati.

I diversi decreti esaminati ribadiscono sempre il concetto che gli Agenti subalterni hanno  l’obbligo di promuovere, con ogni cura, l’interesse dell’amministrazione, sono responsabili del regolare andamento del servizio e dell’operato del personale da loro dipendente.

In occasione della prima nomina ad un posto provvisto di stipendio, ogni Agente subalterno doveva prestare il giuramento prescritto dai regolamenti. Aveva l’obbligo di trasferirsi in qualunque località fosse destinato e in caso di rifiuto veniva dichiarato dimissionario. Tuttavia, nella realtà, le regole scritte e quelle applicate in alcuni casi non coincidevano.

Le funzioni di ogni grado nelle Manifatture dei Tabacchi erano incompatibili con quelle di sindaco, avvocato, procuratore e con altri impieghi giudiziari, civili o militari, nonché con l’esercizio di qualsiasi professione o commercio.

L’avanzamento nelle classi di ciascuna categoria d’impiego avveniva esclusivamente per anzianità e merito. Dal 1904, con l’approvazione della legge sul pubblico impiego, voluta da Giolitti, le progressioni di carriera avverranno esclusivamente per concorso e le norme di partecipazione varieranno per ogni figura professionale.

In un recente lavoro di ricerca è stato analizzato un campione di Agenti subalterni nati fra il 1803 e il 1888. Si tratta cioè di coloro che hanno lavorato alla Manifattura Tabacchi nel periodo che va dalla metà del XIX secolo ai primi trent’anni del successivo. Il campione è costituito da 140 uomini nati fra il 1803 e il 1888 e da 10 donne nate negli anni compresi fra il 1807 e il 1837.

Il 45% degli uomini è nato in Piemonte, il 55% in tutte le restanti regioni italiane; invece delle 10 donne 8 sono piemontesi e 2 lombarde. L’88% dei lavoratori viene assunto entro i 34 anni di età. Per le 10 donne invece l’età è compresa fra i 15 e i 50 anni.

Il 71%, vale a dire 107 dipendenti, era stato assunto nella qualifica inferiore di operaio o come sorvegliante. Dall’analisi dei dati si evidenzia che venivano assunti, come operai, coloro che avevano, con tale mansione, lavorato in altre fabbriche, quelli in possesso della licenza tecnica o professionale inferiore o che avevano concluso il servizio militare. Coloro invece che avevano conseguito una licenza tecnica o professionale di grado superiore o provenienti dai Reali Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito, dogana e ancora ex sorveglianti generici, venivano assunti con la qualifica di sorvegliante. In entrambi i gruppi sono presenti soggetti in precedenza disoccupati, ma non è possibile individuare né il criterio di assunzione né quello di assegnazione ad uno dei due aggregati esaminati.
 


Gli ingegneri della manifattura

Una recente pubblicazione, che analizza i titoli di studio e professioni dei figli della borghesia italiana nel periodo compreso fra l’unità d’Italia e la prima guerra mondiale, conferma l’ipotesi dell’ingegnere come una figura professionale appartenente alla borghesia a pieno titolo. Pur ispirandosi a modelli comportamentali e stili di vita propri dell’aristocrazia, questa classe andava tuttavia elaborando una nuova ideologia e una nuova gerarchia di valori incentrata sul possedere, sulla rispettabilità della posizione sociale, sulla capacità di riprodurre il capitale: i guadagni e le ricchezze possedute non sono ostentate ma reinvestite per riprodursi e accrescersi. E' fuor di dubbio che le famiglie d’origine degli ingegneri e del personale dirigente della manifattura rientravano nei canoni economici e culturali della borghesia. Erano cioè in grado di permettersi abitazioni comode, personale di servizio,  disponevano di risorse economiche tali da poter affrontare le spese necessarie per un’adeguata istruzione dei figli.

La scuola forniva soprattutto un biglietto d’ingresso per le zone medie e superiori della società, e un modo di avvezzare chi vi entrava ai modi e agli usi che li avrebbero distinti dai ceti inferiori.

L’università, riservata ai membri dei ceti più facoltosi, diventava lo strumento tramite il quale era possibile trasmettersi, all’interno dello stesso gruppo sociale, i posti di responsabilità e di rilievo, quali liberi professionisti, alti burocrati statali, dirigenti industriali, docenti e professori che, inutile dirlo, erano un gruppo numericamente esiguo. Erano invece appannaggio del ceto medio i posti impiegatizi e i gradi inferiori delle carriere tecniche. A conferma di ciò si nota che nel trentennio compreso fra 1875 e il 1915, fra i padri dei laureati in ingegneria, solo un esiguo 1% è operaio o contadino, il 37% è indicato genericamente come proprietario, il 16% è ingegnere, un altro 16% è professionista, il 10% impiegato e il 6% artigiano o commerciante.

Attingendo da altri lavori di ricerca relativi alle libere professioni nell’ultimo decennio del secolo scorso in Italia gli ingegneri dovevano ammontare a circa 11.000, così suddivisi: 3685 dipendenti dello Stato, 3065 dipendenti da privati e 4250 erano liberi professionisti.

Per quanto riguarda i guadagni e le retribuzioni di questa fascia di borghesia, una pubblicazione del Ministero delle Finanze, concernente i redditi di ricchezza mobile riferiti al 1889, riporta un guadagno annuo di L. 1.868 per gli ingegneri milanesi, L. 1.678 per i fiorentini e L. 1.183 per i napoletani.

Pur nella oscillazione dei guadagni, dovuta evidentemente alle diversa redditività della professione, determinata dalle diverse condizioni economiche e di mercato, i guadagni dichiarati sono tutti notevolmente più bassi degli stipendi percepiti dai tecnici e dagli ingegneri impiegati nelle manifatture tabacchi (Tabella 7).

Tabella 7 - Retribuzioni medie annue degli ingegneri delle manifatture tabacchi nel 1887 e 1912.
ANNO 1887 ANNO 1912
Gradi Retribuzione media Gradi Retribuzione media
Direttori
Capi Tecnici
Ufficiali Tecnici
L.4.875
L.3.750
L.2.500
Direttori
Capi Tecnici
Ufficiali Tecnici
L.7.000
L.5.166
L.3.500

E’ evidente che la ricchezza mobile per i liberi professionisti era calcolata sulla base delle dichiarazioni e su quanto, eventualmente, accertato. Viceversa per coloro che ricevevano uno stipendio fisso, la ritenuta veniva effettuata alla fonte. In definitiva si ripropone l’annoso e non risolto problema: da una parte i dipendenti a cui le ritenute fiscali sono operate sullo stipendio, dall’altra, liberi professionisti e lavoratori autonomi che sovente vengono tassati in misura inferiore alle loro reali capacità contributive.

Fra il 1890 e il 1914, alla direzione della Manifattura Tabacchi di Torino si succedettero cinque direttori, tutti laureati in ingegneria, al momento dell’assunzione,  avevano un’età compresa fra i 21 e i 25 anni. Due erano nati a Torino, uno a Roma, uno a Reggio Emilia e l’ultimo a Chioggia (Ve).

Ad esclusione dei direttori della manifattura, anch’essi ingegneri, nell’arco di tempo preso in esame, sono 28 gli ingegneri registrati nel libro matricola. Il 75% di questo personale aveva un età compresa fra i 25 e i 29 anni. Provenivano tutti, ad esclusione di due casi, originari di Termoli e Palermo,  da località dell’Italia centrale o settentrionale.

Questo è un dato facilmente comprensibile considerando che a Torino e Milano vi erano due istituti politecnici ove era possibile conseguire la laurea in ingegneria industriale.

Gli studi per diventare ingegnere subito dopo l’Unità si potevano svolgere in varie scuole presenti sull’intero territorio nazionale. Con la legge Casati del 1859, vennero istituite una Scuola di Applicazione a Torino e un Istituto Tecnico Superiore a Milano.

La scuola torinese era ispirata al modello francese di haute école, con una struttura prevalentemente scientifica, mentre quella milanese era ispirata al modello germanico di Politecnico, più legata alle attività produttive. A Palermo vi era una scuola di ingegneria civile attivata nel 1866; a Napoli nel 1863 venne riattivata la scuola di ingegneria anch’essa ispirata al modello francese ( scuola nata nell’epoca murattiana ). Dopo l’annessione del Lazio e del Veneto fu istituita una scuola a Padova e acquisita quella romana (esistente sin dal 1817). Nel 1870 per formare gli ingegneri navali e meccanici venne istituita la Scuola superiore navale di Genova. A Bologna nel 1875 venne istituita un’altra Scuola per ingegneri e per ultima, quella di Pisa attivata nel 1913.

L’iter formativo degli ingegneri nel periodo post-unitario era caratterizzato dalla divisione fra gli insegnamenti fisico-matematici del biennio propedeutico, affidati alle Università e gli insegnamenti tecnologici-professionali impartiti dalle Scuole di Applicazione. L’Istituto Tecnico Superiore di Milano, che si era ispirato sin dall’inizio al modello dei politecnici tedeschi, riuscì ad acquisire piena autonomia dall’Università nel 1875, con la creazione di un biennio interno, mentre la Scuola di Torino ottenne anch’essa il corso completo, con il passaggio dall’Università al Politecnico, solo trent’anni dopo, nel 1906.

Fino agli anni ‘80 il profilo professionale dominante rimase quello dell’ingegnere civile che trovava con più facilità sbocchi professionali. Siamo, infatti, nel periodo delle grandi trasformazioni territoriali, che comportarono la creazione di infrastrutture e la riorganizzazione del settore primario. Basti ricordare, ad esempio, il traforo del Frejus nel 1871, quello del S. Gottardo (1872-1882 ), l’ampliamento della rete ferroviaria nazionale, che passò dai 2175 Km. nel 1860 a 8713 nel 1880; gli interventi di bonifica idraulica e agraria, come quelli del Fucino e dell’Agro Pontino, le costruzioni di opere pubbliche: acquedotti, ospedali, fognature. L’interesse per l’ingegneria industriale acquistò consistenza a partire dagli anni ‘80, grazie al ruolo primario assunto dai politecnici di Torino e Milano.

La differenza fra i due corsi di studio può essere così riassunta: La maggiore attrazione esercitata dagli uffici tecnici delle Pubbliche Amministrazioni sugli allievi della scuola torinese, nata nella capitale del Regno col compito primario di formare “Ingegneri di governo”, e la più accentuata propensione, fra gli allievi dell’Istituto milanese, a impiegare le loro cognizioni e le loro attività in aziende private piuttosto che in servizi pubblici. Una tendenza che trovava la sua origine nell’importante progresso industriale di Milano, e insieme nell’indirizzo dato all’ordinamento scolastico dell’Istituto.

A partire dagli anni ‘90, nel momento del decollo industriale italiano, si reclutarono sempre più di tecnici, ingegneri, progettisti e direttori di impresa. In questo periodo vennero istituite le sezioni di ingegneria industriale nelle altre scuole di applicazione già esistenti e ne vennero istituite altre con l’obiettivo di approfondire gli studi e le ricerche in nuovi campi, come ad esempio l’elettrotecnica, e nacque una nuova generazione di ingegneri: provenienti per lo più dalle fila della borghesia italiana più elevata e dinamica, gli allievi delle scuole di applicazione ne condivisero la tensione innovativa, parteciparono al dibattito sulle riforme da realizzare e contribuirono alla diffusione delle conoscenze tecniche ai diversi livelli di istruzione; e per quanto riguarda gli studenti che frequentavano l’Istituto milanese: ...Le scuole d’alta cultura come l’Istituto Tecnico Superiore (l’attuale Politecnico) preposto alla formazione degli Ingegneri e Imprenditori industriali e le scuole tecniche secondarie erano ampiamente frequentati dai figli della borghesia lombarda. Per inciso, notiamo come dall’Istituto Tecnico “Cattaneo” provengono figure come G. B. Pirelli, A. Salmoiraghi, C. Saldini, E. Paladini ed altri, esponenti di primo piano del panorama produttivo e tecnico lombardo.

Dall’inizio degli anni ‘90, agli ingegneri che partecipavano ai concorsi nelle Manifatture Tabacchi, si richiedeva di norma la specializzazione in ingegneria industriale. Dall’esame dei testi legislativi si è scoperto che, proprio nel periodo dei grandi cambiamenti lo Stato istituì una scuola di applicazione per gli aspiranti agli impieghi tecnici nell’amministrazione dei tabacchi con sede presso la Manifattura Tabacchi di Roma. La scuola era divisa in due sezioni, una per gli aspiranti all’Ufficio di Ispettore nelle agenzie di coltivazione dei tabacchi e l’altra per gli Allievi ufficiali tecnici delle Manifatture. La Direzione didattica della scuola era guidata da un delegato del Consiglio tecnico per l’Amministrazione dei tabacchi, mentre la direzione disciplinare era affidata al Direttore della Manifattura di Roma. Gli insegnamenti e i programmi erano stabiliti sempre dal Consiglio tecnico che designava anche i docenti. Al termine di ciascun corso, gli allievi erano sottoposti ad un esame teorico pratico per comprovare la loro idoneità agli impieghi a cui aspiravano. La classificazione di esame degli aspiranti dichiarati idonei serviva anche di norma a classificarli nel ruolo di anzianità di servizio.

Con questa scuola si cercò di rinnovare e soprattutto qualificare il personale tecnico direttivo delle Manifatture ed è in questo periodo che si decise che i Direttori fossero nominati a scelta tra i Capi tecnici di I classe, mentre fino al 1887 si poteva attingere dai Commissari ai riscontri di I classe che non erano ingegneri. ... anche questo il periodo che definiamo di meccanizzazione delle Manifatture: oltre al trinciato da pipa e al sigaro, si comincia a produrre, tramite apposite macchine, anche la spagnoletta (sigaretta).

In questa fase i fabbricati delle Manifatture vengono ampliati e sopraelevati per rispondere alle nuove esigenze produttive che portano all’arricchimento del parco macchine, divenute più pesanti e complesse. I cicli di lavorazione vengono ridefiniti settore per settore e sempre più considerevolmente le lavorazioni manuali e manifatturiere vengono sostituite da procedimenti automatizzati di livello industriale.