"Il fisionomo filantropo penetra con rapimento segreto il cuore dell'uomo"
(Johann Kaspar Lavater, 1775).
Il mito segreto dello smascheramento come amore o come pietas
si accompagna nella tradizione della fisiognomica con la più crudele
e raziocinante idea di maschera come marchio (infame) che sarà di
Lombroso, dove il rapimento segreto lascia il posto ad una determinazione
classificatoria posta a servizio del controllo sociale.
Questo variare di atteggiamenti appartiene tutto all'epoca ed allo
spirito del tempo della storia delle immagini fatte a macchina e proprio
nei testi di Lavater si incontrano i primi profili automatici a la silhouette.
Sarà poi la fotografia ad assumersi il compito di estendere all'infinito
questo atlante immaginario della presenza umana con andamenti alterni che
segnano i momenti diversi della sua breve storia. Così oggi, dopo
gli spazi deserti degli anni '80, assistiamo ad un ritorno ossessivo del
tema della figura umana, indagata in sequenze sofferte di immagini (auto)biografiche
o riflessa nelle convenzioni comportamentali dei riti sociali. Un interesse
nuovo che si estende significativamente all'intero universo delle arti
visive.
Non siamo in grado di dire in quale misura questa rinnovata attenzione
per la presenza umana costituisca una reazione alla perdita di corporeità,
di materia, delle nuove invasive tecnologie o se sia piuttosto dovuta ad
un allentamento della tensione più propriamente concettuale, orientata
a riflettere sulle specificità linguistiche e sulle convenzioni
narrative del mezzo, qui comunque presente in modi diversi nei lavori di
Briatta e Roselli, ma certo alcuni segnali precisi lasciano trapelare la
volontà di recuperare la presenza concreta della persona anche con
la vitalità del gesto, della fisicità di un rapporto corporeo
con l'immagine finale che si manifesta sia nelle manipolazioni, sia nella
utilizzazione mirata di supporti diversi da quello tradizionale, invisibile;
supporti che rivendicano la loro natura di materia, sulla quale fondare
letture simboliche (Reichenbach). Ma le tendenze non sono univoche: quando
lo sguardo si rivolge all'esterno si affaccia di nuovo la concezione dell'immagine
come paradossale specchio/finestra, ma privata dell'impossibile fardello
dell'obiettività, coscientemente proposta come effetto di uno sguardo,
metafora dell'occhio. Viene riutilizzata allora la tradizione complessa
del reportage, recuperando frammenti di realtà che mettono in mostra
la teatralità del quotidiano (Brosan, Remorini) o la ricchezza sommersa,
equivoca, dei riti della socialità (Piredda). Figura, persona, commedia
umana. Dall'autobiografia all'iperrealismo, e ritorno.