...Per due anni Michael Schmidt si occupa esclusivamente di un problema,
con il quale i berlinesi hanno imparato a convivere; il muro esiste
oggi da ormai 26 anni - "col tempo ci si abitua". All'ambiguità
di tale assuefazione, uno stile di rappresentazione riesce a sottrarsi
soltanto nel momento in cui l'autore riconosce in questa contradditorietà
la sfida a verificare la propria posizione nella generale assenza di prospettive.
Ed è in questo senso che Schmidt ha ampliato i propri soggetti per
abbracciare anche persone, reazioni simboliche, immagini della natura,
"crescita spontanea": tutti tentativi di rinunciare alla descrizione che
tutto spiega di una situazione ben nota, in questo caso di una costellazione
politica, a favore di metafore.
Ne sono risultate fotografie che vogliono essere soprattutto immagini,
immagini nelle quali il mondo oggettuale preesistente non assume per il
fotografo che un'importanza parziale, vale a dire soltanto laddove esse
colpiscono la sensibilità personale. Questa dichiarazione di principio
che pone in primo piano il rapporto personale, senza timore del pathos,
rappresenta oggi per Michael Schmidt la premessa del suo lavoro d'artista.
Un lavoro in cui la realtà vissuta, le proprie paure, ma anche la
speranza, hanno la precedenza rispetto a una rappresentazione generalizzata,
supposta giusta. Una posizione in cui il singolo è responsabile
della definizione della realtà, senza per questo depauperare in
maniera "soggettivistica" il rapporto con la realtà stessa.
Il fotografo ha tratto le conclusioni del nostro quotidiano contatto
con le fotografie che comporta una diminuzione di credibilità di
ciò che viene rappresentato, vale a dire: le ambizioni di principio
falliscono.
...La fotografia non ci offre alcuna prospettiva sociale superiore,
ma cerca di confrontarsi e avvicinarsi alle condizioni reali. Attraverso
le immagini vissute e non "oggettivizzate" di Michael Schmidt l'osservatore
prende coscienza della propria posizione individuale che determina l'agire
futuro.
Ute Eskildsen