Mostra realizzata grazie al contributo della Regione Piemonte, tenuta nel mese di Settembre 1997 nella Galleria di San Filippo a Torino. L'esposizione presentava quindici opere ciascuno di quattro autori, Alessandro Albert (gente sulla spiaggia), Saverio Colella (la Collina delle Croci a Sciauliaie, in Lituania e la Manifattura Tabacchi di Torino), Arcangelo Piai (gente in vacanza) e Paolo Verzone (Peshawar in Pakistan). Catalogo realizzato a cura di Rosalba Spitaleri. Testi di Bruno Boveri.
Le due fotografie riprodotte sopra sono, a sinistra, Peshawar, 1995 di Paolo Verzone e a destra, Manifattura Tabacchi, Torino, 1997 di Saverio Colella.
Le due foitografie riprodotte sotto sono, a sinistra, Kranjska Gora, Slovenia, 1994 di Arcangelo Piai e a destra, Senza titolo, 1991 di Alessandro Albert.
 
 
 
Ma è il reale che ti aspetti?

Spiaggia di Coney Island: folla di bagnanti sullo sfondo, in primo piano due medici e un bagnino cercano di salvare un giovane, coricato, riscaldandolo con delle coperte e somministrandogli ossigeno. Inginocchiata accanto a loro, una ragazza, in prendisole a righe, la fidanzata del moribondo, guarda dritto nell'obiettivo della macchina e... sorride.
E' una fotografia di Weegee, del 1940.(1)

La macchina parcheggiata sul ciglio della strada, lui, in piedi, vicino ad un incrocio, scatta a più riprese delle polaroid, le guarda, le butta. "Non è mai la realtà, quella che trovi".
E' l'inizio di Alice in den Städten, di Wim Wenders, 1972.

"La fotografia è un passo attraverso una soglia proibita", è intrusiva e invadente, non permette di "restare a distanza e rendere giustizia all'oggetto".
Così Peter Handke, in un'intervista comparsa su "Alfabeta", nel gennaio 1987.(2)

Ma è questo che si cerca nella fotografia? E' davvero la realtà quella che ci aspettiamo venga alla luce?
La realtà della fotografia di Weegee è una situazione angosciante, si lotta per salvare un vita, ma chi a questa vita dovrebbe essere attaccata, invece di lacrime mostra un sorriso. E questa è, pure, un'immagine reale, anche se sovverte il senso della realtà presunta, se va contro la nostra aspettativa di realtà.
Analogo è il senso delle parole del personaggio di Wenders, quella che trovi non è mai la realtà che ti aspetti.
E il motivo, dice Peter Handke, è l'invadenza, il non prendere distanza per rendere giustizia al reale.
Ma se è vero che è l'invadenza di Weegee, la presenza evidente della sua Speed Graphic, a provocare il sorriso che fa dubitare del senso reale dell'azione, nel personaggio principale del film di Wenders è l'adeguatezza quella che manca, che non regge il raffronto tra vissuto e visione.
Il protagonista, invece, di Lento ritorno a casa di Peter Handke, il geologo Sorger, fa dell'inadeguatezza un credo, preferisce, come strumento di rilevazione del territorio, il disegno alla fotografia (che pure usa) perché il tratto manuale aiuta la comprensione cognitiva e mnemonica. "Preferiva il disegno alla fotografia, perché solo così gli riusciva di comprendere il paesaggio in tutte le sue forme; e ogni volta era sorpreso da quante forme si rivelano...", le fotografie, invece, dice Sorger alcune pagine prima, "da sempre ti cambiano le carte in tavola".(3)
Qui la distanza dal reale, mantenuta dall'occhio fotografico, diviene quella dal foglio che lo riproduce, una vicinanza, quindi, piuttosto, che non renderà giustizia al soggetto (che è qui, però, il paesaggio) ma aiuta la possibilità di relazione conoscitiva.
Realtà, adeguatezza, conoscenza. Sembrano essere queste le tre chiavi di volta. Ma lo strumento deve adeguarsi alla realtà per consentirne la conoscenza, come parrebbe dire Handke, o è possibile solo una conoscenza della realtà adeguata al mezzo?
Oppure, ancora, l'unica realtà riproducibile (e quindi conoscibile indirettamente) è quella che deriva dall'inadeguata invadenza del mezzo?
E ancora, è una questione di puro metodo? La dicotomia è quella tra "presa di distanza" e "intrusione" rispetto al reale?

"Il nostro compito è percepire la realtà e, quasi simultaneamente registrarla... Non dobbiamo cercare di manipolare la realtà mentre scattiamo...", parole di Henri Cartier-Bresson.(4)

"Se le fotografie non sono buone è perché non sei andato vicino abbastanza", questo è Robert Capa.(5)

"A volte ho scattato delle foto senza prendere la mira, proprio per vedere cosa succedeva. Mi avventavo in mezzo alla folla, bang! bang!... Quando tornai a New York anch'io volevo lo scontro. Ora avevo un'arma, la fotografia", e questo è William Klein.(6)

E allora, la fotografia è lente di ingrandimento o arma, finestra o specchio, per usare la definizione di John Szarkowski.
O, per tornare al nocciolo, c'è la realtà nella fotografia? Se la risposta è affermativa, la domanda conseguente rimanda nuovamente tutto all'aria: quale realtà c'è nella fotografia?
Forse il superamento è dato dallo svincolarsi dal binomio antitetico presa di distanza/invadenza, abbandonare la mistica atarassia da filosofia orientale e la violenza coercitiva di una presenza imposta.
Sostituiamole con l'empatia, la partecipazione emozionale, la comprensione della realtà che passa non attraverso la compostezza dell'analisi scientifica o l'umoralità dell'intervento disgregante, ma tramite l'adesione, la non-estraneità.
La realtà diviene quella del fotografo che la vede in quanto la vive.
Allora la realtà si trasforma in aspetti del reale, non conclusivi, non esaustivi, ma vissuti, veri.
"Se la fotografia non può mentire, i bugiardi possono fotografare". Lo diceva già Lewis Hine, nel 1909.(7)
Dubito si sbagliasse, ma poi, in fondo, è il reale che ti aspetti nella fotografia? e se sì, quale reale?...

Bruno Boveri
Note:
(1) Vedi Weegee's New York. Photographs 1935-1960, Schirmer / Mosel Verlag, Munich, 1992, p. 38.
(2) Handke: certi miei libri, Intervista di G. Gallio a P. Handke, in "Alfabeta", n° 92, gennaio 1987, p. 19.
(3) Peter Handke, Lento ritorno a casa, Garzanti, Milano, 1986, p. 39 e p. 18.
(4) Henri Cartier-Bresson, The Decisive Moment (Introduzione), Simon & Schuster, New York, 1952, traduzione italiana in Fotografi sulla fotografia, a cura di Nathan Lyons, Agorà Editrice, Torino, 1990, p. 53.
(5) Citato in Jonathan Green, American Photography. A Critical History 1945 to the Present, Abrams, New York, 1984, p. 120.
(6) Citato in Colin Westerbeck e Joel Meyerowitz, Bystander. A History of Street Photography, Thames and Hudson, London, 1994, p. 345.
(7) Citato in Vicki Goldberg, The Power of Photography. How Photographs Changed our Lives, Abbeville Press, New York, 1991, p. 19.