Torino, 1902.
"Ed ora non mi resterebbe a parlare che delle vedute stereoscopiche
e delle fotografie a colori - dice Pietro Masoero illustrando la sezione
italiana di fotografia all'esposizione torinese del 1902 - ma delle prime,
devo confessarlo, nulla posso dire per una ragione semplicissima... Nelle
quattro o cinque gite fatte all'esposizione, mai una volta mi fu dato di
avvicinare i miei occhi alle nere aperture che formavano l'interessante
desiderio dei piccini e dei ... grandi. Posso dire invece delle magnifiche
tricromie su pellicola di Francesco Negri di Casale, destanti l'ammirazione
generale. E questa volta il pubblico giudicava bene. I saggi presentati
dal Negri erano perfetti sotto ogni rapporto e per il primo credo, dalla
natura morta osò riprodurre a colori la natura aperta come un'aiuola
di viole del pensiero e un vanale del Po con effetto di tramonto".
Il pubblico si accalca intorno agli stereoscopi, stregato dalla magia
di queste immagini che restituiscono la sensazione della visione tridimensionale.
La tecnica che già aveva sbalordito all'espsizione londinese del
1851 ritorna in auge grazie alla maneggevolezza dei nuovi apparecchi fotografici
portatili, che utilizzano piccole lastre alla gelatina. Anche il casalese
Francesco Negri (1841-1924) documenta la propria visita all'Esposizione
con un simile apparecchio, così come aveva fatto in occasione dei
due primi congressi fotografici italiani (Torino 1898, Firenze 1899) e
dell'Esposizione di Arte Sacra del 1898, ancora a Torino.
Affasscinato dal nuovo linguaggio espressivo ora la sua attenzione
si rivolge alle sole architetture; bandito ogni interesse per l'istantanea
bozzettistica e per le vedute d'insieme, relativamente scarse, il suo carnet
di viaggio si riempie di immagini di singoli edifici, operando scelte precise
e niente affatto ovvie: il padiglione e la casa austriaca di Baumann, molte
delle costruzioni minori, il fronte meridionale del padiglione delle Belle
Arti e quello degli "Automobili" di D'Aronco, che la critica ancora oggi
considera tra le prove più riuscite di quell'esperienza. Ma Francesco
Negri non è un semplice visitatore; le sue immagini a colori costituiscono
una delle attrattive della sezione fotografica.
Il loro successo è certo dovuto alla semplicità accattivante
della composizione, lontana dalle "inusitate forme" della più avanzata
produzione straniera, ma anche alla grande novità del colore, tema
intorno al quale si intrecciano in quegli anni interessi diversi, dall'industria
fotografica alla ricerca scientifica più avanzata, come dimostra
il premio Nobel assegnato nel 1908 al fisico francese Gabriel Lippmann
per la messa a punto del metodo diretto interferenziale di fotografia a
colori che i fratelli Lumière, grandi sperimentatori, molto sottilmente
avevano definito come "una meravigliosa esperienza di laboratorio e una
elegante conferma della teoria fisica della luce", priva però di
qualsiasi utilità pratica.
Francesco Negri, ormai con una più che trentennale esperienza
fotografica alle spalle, utilizza invece la tecnica della tricromia, messa
a punto da Charles Cros e Louis Ducos du Hauron nel 1869, ma apportandovi
alcune modifiche. Di ciascun oggetto, di necessità statico, vengono
realizzati tre negativi di selezione - utilizzando ogni volta un filtro
colorato (blu-violetto, verde, rosso-arancio) - che sono successivamente
stampati a contatto su gelatine, di produzione Agfa, colorate nei tre colori
primari (giallo, rosso porpora, e blu-verde). La sovrapposizione delle
tre immagini a registro restituisce i colori dell'originale. Le prime esperienze
di Negri in questo settore risalgono al dicembre del 1899, forse sollecitato
dalla pubblicazione dell'importante testo di Carlo Bonacini La fotografia
dei colori, edito a Milano da Hoepli nel 1897, ma l'interesse per il
tema è di molto precedente come dimostra la presenza nella sua biblioteca
del testo fondamentale di H. W. Vogel del 1887.
La sua attenzione è rivolta principalmente agli aspetti tecnico-scientifici
del problema, ed egli si impegna in estenuanti prove di laboratorio per
verificare le emulsioni più adatte e per mettere a punto le formule
più appropriate per la coloritura dei filtri, di cui controlla il
livello di assorbimento per mezzo dello spettroscopio e del vetro blu cobalto.
I primi risultati soddisfacenti di questa minuziosa sperimentazione,
"sintesi di un lungo e paziente lavoro, il quale lascia dentro di sè
un enorme sciupio di lastre, pellicole e colori" vengono presentati proprio
da Pietro Masoero nel 1901, nel corso delle sue conferenze dedicate ad
"Arte e Fotografia", seguiranno quindi le immagini esposte a Torino nel
1902, tra le quali figurano i primi esempi italini di riprese in esterni,
immagini che vanno viste non solo come prove mature della produzione fotografica
di Negri ma anche quale espressione di un modo di operare che accomuna
sempre sensibilità estetica e sperimentazione tecnico-scientifica.
Nella sua biblioteca continueranno ad entrare testi e periodici dedicati
alla dotografia dei colori, nella sua pratica fotografica non troverà
invece mai posto, per quanto ci risulta, il colore industrializzato delle
autocromie.
Riferimenti Bibliografici
[Auguste et Louis Limière], La photographie des couleurs et
les plaques autochromes, Lyon, Société A. Lumière
& ses Fils, s.d. (1907).
Pietro Masoero, "Esposizione internazionale di Fotografia Artistica
di Torino. Relazione al Consiglio Direttivo", in Bullettino della Società
Fotografica Italiana, anno XIV, 1902, pp. 465-479.
Francesco Negri, "Appunti sulla tricromia", in Bullettino della
Società Fotoghrafica Italiana, anno XVIII, 1906, pp. 42-44.