ANTEPRIMA
LA CRUS
Dentro me
(Warner, 1997)
Uno scoppio di bellezza, l'ultimo dei LA CRUS. Se il primo album era
piuttosto riuscito e affascinanti erano i remix, troviamo in Dentro
me, tutto quello che ci aspettavamo da Giovanardi & C. con l'aggiunta
di molto di più. Com'è caldo questo lavoro, e come suona
familiare per noi che siamo nati tra le voci dei cantautori!
Il più malinconico dei gruppi italiani questa volta ha superato
se stesso, ingegnandosi di incastrare nella struttura calda e trascinante
della canzone d'autore, i canoni del trip-hop. Questo tipo di intento era
già presente in La crus, ma ora i due elementi sono perfettamente
fusi, ed eccoci davanti ad un album indubbiamente "nuovo", che
riesce però a non rinnegare le fonti da cui nasce. E' espressiva
la voce di Mauro Giovanardi e autunnali sono le atmosfere musicali di quest'album
che sembra fatto di terra, sole ed erba, intrisi dei chiaroscuri che nascono
dall'umore introverso del gruppo.
Due cover: una dei Detonazione, che dà il nome all'album: Dentro
me, appunto, parole ricorrenti tra i solchi del disco; l'altra è
Dragon di Paolo Conte, energica, davvero riuscita.
E molti sono gli ospiti: da Cristina Donà in Per mano, uno
dei titoli più trascinanti e fruibili di tutto l'album, a Vinicio
Capossela in 34 anni, da Cristiano Godano (Marlene Kuntz) in Dragon
a Hugo Race (!) in La finestra di casa mia.
La sensazione che ci donano le singole canzoni è la stessa dell'album
nel complesso: malinconia, nostalgia, ma pure conforto, forse anche solo
a causa della voce così piacevole di Giovanardi. C'è una
stupenda Ninna nanna, la cui dolcezza angelica non può che
dare una sensazione di estrema leggerezza e delicatezza, mentre l'ansia
confusionale di Correre rispecchia il lato più tormentato
dell'album.
Il fascino si fa crepuscolare in La luce al neon dei baracchini,
mentre albeggia nella tintinnante La finestra di casa mia ("la
finestra di casa mia/rimane aperta per vedere oltre la nebbia") il
cui morbido tappeto sonoro mi ricorda vagamente il Peter Gabriel di "Lead
a normal life" o di "Birdy".
E' incredibile come i LA CRUS riescano a far sbocciare questi stupendi
quadri di fine stagione, carichi di sapore di vino, svolazzare di foglie
morte e rinascita di petali nuovi.
Una malinconica danza di fine stagione in un mondo di fine millennio. Di
più.
Godot
LISA GERMANO
Excerpts from Love Circus
(1996 - 4AD)
LISA GERMANO è (o non è?) una violinista statunitense che ha collaborato con John Cougar Mellencamp e con i Simple Minds della svolta folk, e ne ha condiviso i momenti di maggior successo internazionale. Sei anni fa ha dato inizio a una personale carriera solistica che, per chi dubita della riuscita artistica in proprio di un musicista nato "gregario", ha fornito motivi di piacevole sorpresa, accasandosi prima di tutto presso la 4AD (una garanzia per l'ascoltatore di un approccio molto "art" alla musica di consumo), e sviluppando con album come Happiness e Geek the Girl una musicalità misterica, dolcemente sospesa nel limbo delle emozioni attutite. Questo nuovo disco non rappresenta una sorpresa per chi ha già avuto modo di conoscerla, ma una calda conferma della sua personalità artistica: il disco si apre con la dolcissima e velvettiana Baby on the Plane, ed è già eloquente biglietto da visita con le sue sonorità arcane (mellotron e tintinnii assortiti) e il suo gusto per arrangiamenti multistrato; strada facendo si incontrano valzer in punta di piedi come Beautiful Schizofrenic e Message from Sophia, discreti omaggi a PJ Harvey (Lovesick), tripudi di pianoforti, preparati e non, violini e synth leggeri come l'aria, e la voce della gatta di proprietà della musicista, di nome Miamo Tutti (!!!), che percorre il disco come un leitmotiv, come se la musica qui contenuta fosse frutto della sua fantasia. LISA GERMANO ricorda per certi versi Tori Amos, solo un po' meno esibizionista con la voce e gli strumenti: le accomuna la stessa propensione a mettere in primo piano la propria femminilità, magari gettando il sasso e nascondendo la mano, ovvero oscillando tra innocenza ed erotismo, e un gusto per le ballate marmoree ed echeggianti. Dirà qualcuno: servono ancora a qualcosa questi dischi umbratili, umorali, aristocratici, pieni di musica autoreferenziale? Sì, servono, servono come servono i film di fantascienza vecchia e nuova, quelli d'orrore e quelli neoromantici (quando non sono fastidiosamente New Age), servono come "Lisbon Story", come "Fearless" che parla di immortalità e rischia grosso col melodramma; servono come le sceneggiature non "trattedaunastoriavera". Ecco che cos'è, Excerpts from Love Circus: una sceneggiatura originale.
Madmanmoon
CRIS TI NA DONÀ
Tregua
(Mescal, 1997)
Essendo P.J. Harvey la mia cantante preferita sono stato combattuto
tra diffidenza e curiosità quando ho letto su più recensioni
di Tregua che una cantante italiana veniva paragonata alla diavolessa
inglese. Ancora adesso, dopo l'ascolto del suo album sono molto restio
ad accostare i due nomi, non tanto per la qualità di Tregua (bello
davvero!), quanto per le differenze che, a parer mio, corrono tra le due
donne: una infuocata, combattuta tra violenza e dolcezza, caratterizzata
da una voce che sembra venire dal più profondo delle cavità
umane, l'altra più eterea, dolce, più angelo che diavolo,
la cui forte energia sembra più luce che non fuoco. Ma non mancano
le somiglianze, certamente: quella chitarra tintinnante, quelle energiche
distorsioni che incidono su di una voce capace di sovrastarle, o anche
solo quella non-banalità che riesce ad emergere anche senza ricorrere
a soluzioni tecnologiche.
Veramente brava CRISTINA DONA', quindi, capace di tener testa a molte altre
compagne straniere, con pezzi di una grazia e di un fascino irresistibile
come L'aridità dell'aria (probabilmente uno dei pezzi migliori)
o di una cupa energia come Stelle buone. E abbiamo distorsione in
Ogni sera, ipnosi in Labirinto, accorata denuncia in Senza disturbare
e infine un commovente omaggio a Kurt Cobain nella title-track, che
sembra la canzone musicalmente più complessa e trascinante dell'album.
Sto andando per esclusione dei brani più belli, ma non riesco ad
arrivare a un brano veramente deludente perchè abbiamo ancora una
raffinata Raso e Chiome bionde, un'eterea e sognante Le solite
cose e così via.
E' inutile: CRISTINA DONÀ ha fatto davvero un ottimo lavoro, forse
una o due scelte risultano un po' antiquate, o usate, ma è cosa
decisamente marginale.
Compratelo: abbiamo in Italia una grande artista.
E non pensate a Polly Jean Harvey quando ascoltate Tregua: pensate
solo a CRISTINA DONA'.
Godot
LABRADFORD
Labradford
(Blast First, 1997)
Ascoltando questo terzo album dell'enigmatica formazione statunitense mi sono accorto non soltanto del fatto che si tratta di un disco meraviglioso, ma da certi punti di vista costringe me, cronista, e voi, ascoltatori, a rivedere alcune posizioni critiche ritenute ormai acquisite. Ad esempio, "ci hanno insegnato" che il progressive è musica deteriore per antonomasia: ampollosa, conservatrice, presuntuosa nel suo volersi formalmente richiamare alla musica colta. Ora, intendiamoci, Labradford non si ispira a saghe medievaleggianti, non ci sono (prevedibili) cambi di tempo nè assoli di synth: eppure ci sono atmosfere sognanti, c'è un organo che profuma di antico, c'è il battito lento e il clima di sospensione dei (dicono) Gentle Giant più avanguardisti; c'è un'omogeneità nell'atmosfera dei vari brani, da quelli più marcatamente sperimentali (l'iniziale Phantom Channel Crossing) ai pezzi più solenni e melodiosi (Scenic Recovery) che non può non far pensare a una "suite" in più movimenti. Se poi pensavate che la musica "ambient" potesse essere solo elettronica e strumentale i LABRADFORD sono qui per dimostrare che anche con basso e chitarra (pochissima batteria, please), si inventano arredi sonori, e che una voce che canta, sia pure sussurrando, su un simile tappeto sonoro non è un controsenso. Sapete chi mi hanno ricordato questi LABRADFORD? I cari vecchi Talk Talk! Proprio loro, quelli che nel 1988, dopo anni di raffinatissimo pop, pubblicavano con "Spirit of Eden" un capolavoro di musica tanto avventurosa quanto sommessa nei toni, un disco che anticipava di quasi una decina d'anni quello stile che oggi va sotto il nome di "post rock": un impasto imprevedibile di minimalismo colto, voci soffuse, pause e silenzi, blues, Debussy, rock psichedelico. Le stesse cose insomma che, in dosi variate, troviamo anche nei LABRADFORD, o nei Tortoise. Uno dei dischi dell'anno, senza esitazioni.
Madmanmoon
MISSISSIPPI FRED MC.DOWELL
You gotta move
(Arhoolie,1989)
È di un disco molto vecchio e di una sua ristampa, non recente,
che voglio parlarvi come scusa per presentarvi un artista che non è
di sicuro uno dei bluesman più conosciuti.
Purtroppo come nella maggior parte di chi ha fatto la storia del genere
ora è scomparso; morì infatti nel giugno del 1972 in quella
regione che, come si intende dal nome, è la culla dell'originale
suono blues.
Lo stile è quello classicissimo del delta del Mississippi: voce,
chitarra slide e la cassa a tenere il ritmo. La registrazione è
live suonata in presa diretta. Si sente tutta la forza di un canto e di
un suono che si perde in una cultura tramandata di orecchio in orecchio,
di anima in anima, unica trasfigurazione di una realtà ripetitiva
e legata al lavoro duro e alla povertà. Il ritmo è inciso
nel tempo, nella vita, nella cultura come insieme di esperienze condivise
da una comunità.
Questa è la ristampa in CD di un disco uscito nel '64 da cui (come
recitano le note interne, ricche di aneddoti) i Rolling Stone colpiti all'ascolto
dall'ultima track, che dà anche il titolo al disco, la incisero
in una loro interpretazione nell'album "Sticky Fingers": You
gotta move.
Per dare un'idea della dimensione sociale, musicale e culturale di questo
CD basta ricordare che in un brano la voce che riecheggia le voci femminili
di inizio secolo da "barrel house" (bordello), mentre si scorticano
le corde in una versione di Swing low Chariot, è della moglie
di Fred e in altri due pezzi di E. Green, colui che tramandò questo
suono. Si racconta nelle note interne che il produttore di questo disco
e Fred siano andati a cercare questo vecchio musicista, scovandolo in una
di quelle baracche fatiscenti (come nei film di J.Jarmush) affacciate sulle
rive paludose del Mississippi. Ci sarebbero in questo disco tutti gli stereotipi
della musica blues, ma nulla qui si lascia appiattire: tutto ho la profondità
delle radici e l'altezza di un canto ispirato dal sudore, dalla miseria
e da Dio. Un disco veramente unico per gli amanti del genere classico come
il vino di annata. Per intenditori.
none
Microsolchi
percorsi non convenzionali in territori ad alto rischio di
contaminazione musicale
Apriamo con le nuove proposte giunteci da quel
furbacchione di Rick Gonzales, boss della Immortal. Dopo il lancio degli
Incubus e la canonizzazione dei Korn (sempre più neri), arriva il
neonato Tin cans with strings to you dei FAR. Senza indugi,
direi l'anello di congiunzione tra l'irruenza dei primi Nirvana e la contaminazione
dura degli Orange 9mm. Una sconcertante varietà di brani, talora
urgenti e rabbiosi, ma che non perdono - sentite la voce - il senso della
melodia. Grande esordio. Buoni anche i fratellini URGE, con Receiving
the gift of flavor. Ska, reggae, punk, hiphop e, a parte quel chitarrone
melmoso e trascinante, i fiati occhieggiano a turno in un ensemble sufficientemente
vario. Purtroppo già esistono i Fishbone... Poco convincente la
direzione intrapresa dalla Century Media: verniciature elettroniche. Deludono
gli STUCK MOJO di Pigwalk prodotti da Kevin Townsend: undici
brani spesso appiattiti nel techno-trash. E per un gruppo di contaminatori
non è un gran bel complimento. Medesima osservazione per Passage
dei SAMAEL dove qualche volta la drum-machine finisce per occultare
certe atmosfere 'black', spostando il baricentro verso un suono più
metallico e monotono. Ma credo basti 'My Saviour' da sola -splendido
death-blues - a riconciliarci con la band svizzera. Due pezzi a testa targati
Earache, per il nuovo singolo di NAPALM DEATH e COALESCE.
Gli uni sempre inquietanti con il loro death furente... Ma gli altri hanno
imparato in fretta la lezione: il giovane gruppo del Kansas, in odor di
esordio, sa veramente aggredirci con i suoi vortici di metallo distorto.
Noise-core: presto ne parleranno tutti. Restando in zona, rileviamo l'uscita
di Your lies in check (E. U. Records) degli astigiani CRIPPLE
BASTARDS. Sono sessantasei pugnalate, brevi, in perfetto grind primi
Carcass, enfatizzando in maniera mai vista velocità di esecuzione
(ascoltate "Italia di merda"). Purge è un
gran bel biglietto da visita per i FETISH 69: 'Kickback'
introduce una quaterna di pezzi, intrerpretati con la stessa crudeltà
dei primi Helmet (all'ex Mengede fischieranno le orecchie), ma dopo la
pausa di 'Adrenalizer', emergono complicate trame. Lente, assassine
(perfino l'acustica-darkeggiante 'Purifier') come hanno insegnato
loro i Neurosis. Non fondamentali ma vitalissimi. Nuovo chitarrista in
casa Senser e... voilà i LODESTAR con l'omonimo album (Ultimate)
in cui gli inserti elettronici paiono sopiti - non scomparsi - a favore
di un hard tiratissimo, ma anche di squarci psichedelici. Sempre determinante
il dj-bassista Haggis. Fa sul serio l'etichetta fiorentina Sub/Mission
con il nuovo Mediasickness dei trevigiani TEMPLEBEAT. Ascoltare
il gruppo di Michele Benetello, collaboratore della rivista 'Dynamo', significa
partecipare a quella rivoluzione del gusto operatasi con l'avvento dei
Chemical Brothers. Ci sono le pigre pulsazioni di 'Magic Patrol',
la depressiva 'Soundtrack for the age of panic', la psicotica 'Each'
fa concorrenza alle nenie Trance Syndacate... perfino incursioni nella
dance da "popolino" di 'You spin me round'. Ma anche questo
fa parte del gioco: smitizzare se stessi è prerogativa dei fuoriclasse.
Dischi caldissimi: è uscito Get out of the cross dei FIREWATER,
progetto di cinque grossi nomi dell'underground americano, tra cui Tod
Ashley (Cop Shoot Cop) e Duane Denison (Jesus Lizard). Si va dal roots-rock
di 'Some strange reaction', versione più integralista di
Grant Lee Buffalo, alle sporche atmosfere 'bourbon' (risorge il fantasma
di Tom Waits), tanghi retrò, nostalgici violini, bouzouki e piano,
passando per la carica emotiva del dialogo carnefice-vittima di 'The
Circus'. Superbo.
Cantano in italiano e suonano da far invidia (agli americani). Sono i SOTTOPRESSIONE,
affiatatissimo quartetto nostrano che da un anno sta facendo sfracelli
con il proprio album di urgentissimo HC. Parlando con Diste, il pirotecnico
bassista, ho avuto le conferme sperate. Nei suoi ascolti troviamo Black
Flag, Dead Kennedys e Ramones, ovvero la vecchia scuola. Ascoltate 'Mastice'
e 'Sipario': dominano intelligenza, velocità e potenza.
Nessuna parentela con un certo Straight-edge metallico (leggi Turmoil)
oggi tanto in voga: classe pura. A prestissimo...
Vincenzo Capitone
emegenze rock:
ESTERNO D'UOVO: Antropoforme (HAX, 1996)
È difficile parlare di questo gruppo
torinese, senza parlare al contempo dell'etichetta che li produce. Dalle
note che accompagnano questo CD di quattro pezzi, si evince che i componenti
fanno parte dell'etichetta, e che il proprietario dello studio è
componente organico al gruppo. I restanti quattro componenti del gruppo
arrivano da bands ormai sciolte (Psicopalla, Bacco) o da gruppi ancora
in attività (Perturbazione). Prima di parlare della loro musica
vorrei dare un paio di chiarimenti sul nome della band e sul titolo del
CD, facendomi aiutare dalle note che accompagnano questa produzione, scritte
da Massimo Vitale, voce e chitarra acustica del gruppo. "L'uovo è
cellula, microcosmo limitato da un muro bianco facilmente malleabile ed
un guscio frantumabile. L'esterno è ciò che interessa, vortice
a cui tendere verso nuovi universi", e ancora "non antropomorfe
quindi ma antropoforme, proprie dell'uomo, come microesempio dei contrasti
tra Interno/Esterno." Per capire a cosa si va incontro iniziando l'ascolto,
potrebbe aiutare l'indicazione che "le antropoforme non sono realizzate
dopo approfonditi studi di logica. Capita che tra idee vaganti nasca l'interazione
giusta in grado di far scattare in chi la coglie meccanismi di gradevoli
giochi interpretativi." Il primo pezzo dal titolo Trasparenze
inizia con un suono di chitarre "deviate", slanted, vicino a
certe sonorità Lo-Fi, ma subito la voce italiana e lo sviluppo della
canzone ci allontanano da quella scena, la canzone altalena tra il gridato
e il sussurrato della voce e tra la predominanza della parte ritmica (basso
e batteria) e le inserzioni della chitarra elettrica fino al lapidario
"nulla è male" finale che muore in un "nulla".
Iulm è una canzone più sognante e ricca di echi anche
della voce, con delle isole di dissonanza. Microfoglie è
un pezzo particolarmente riuscito, ove la voce e la parte strumentale si
completano eccellentemente facendo risaltare le caratteristiche migliori
d'entrambe queste componenti. Giocoliere è il pezzo che riassume
la mini avventura di questi musicisti che giocano con i loro strumenti
come un giocoliere che "grazie all'errore di un suo stesso gioco,
torna a sentire rumori da sottofondi nei quali c'è vita, respiro,
comunicazione. Fosse anche solo confusione."
In conclusione non posso che rallegrarmi del fatto che un gruppo italiano
intraprenda una strada così coraggiosa, e per di più con
dei risultati simili. Vi invito calorosamente a prendere contatto con gli
ESTERNO D'UOVO, ad ascoltare la loro musica. Il gruppo è formato
da Gigi Giancursi (chitarra elettrica), Paolo Pallavidino (batteria), Marco
Conti (basso), Massimo Vitale (voce, chitarra acustica), Marco Milanesio
(realizzazione e cura del suono). Per contatti con loro telefonare allo
011/9651898 o faxare allo 011/250320. Per contatti con l'etichetta "HAX,
materiali per la comunicazione" telefonare allo 011/3094831 - 4154386.
Marziobarbolo
Nella notte tra venerdì 18 e sabato 19 aprile ha perso tragicamente
la vita in un incidente stradale Massimo Dogliani, bassista degli Jeden
Abend e amico di vecchia data della nostra fanzine. Lo vogliamo ricordare con semplicità, con questa foto che lo ritrae con Massimiliano e Alberto, sul palco di Babeliche '96. La redazione di Interferenze blu |
Spazio Interferente
News from the inside
Un' associazione si fa sentire.
Ciao a tutti lettori di interferenze blu,
questo nostro spazio sul giornale, sebbene non sarà forse il più
seguito, desideriamo ci sia in quanto dice come tutto è legato all'associazione.
Noi speriamo di costruire una realtà ad Alba che non si faccia vedere
solo in certe situazioni ma sia presente costantemente. Ci siamo riuniti
già diverse volte dall'inizio dell'anno per decidere: che si fa
quest'anno, chi siamo, cosa ha senso fare e proporre ad Alba, nella zona,
dove è possibile? quanti soldi abbiamo per farlo?....
In questi nostri incontri, a cui naturalmente chi è interessato
può partecipare, abbiamo pensato: cosa possiamo inventarci per essere
presenti e costruire qualcosa che duri quest'anno in cui la maggior parte
di noi associati sta per laurearsi o deve partire militare?
D'altro canto le istituzioni non si vedono, hanno problemi più "seri"
ma in Comune ci sono anche giovani politici: avranno dimenticato cosa si
domanda dall'altra parte o forse sono troppo impegnati per poter capire
che certe iniziative soprattutto giovanili se non si incoraggiano avranno
molta difficaltà a fare le loro proposte e quindi a proseguire?
Si vuole o no costruire qualcosa che ci porti altrove rispetto a tartufo,
dolciumi e buon vino (Dio ci guardi dal non onorarlo), ma mi avete capito.
Come dicevo la proposta che è emersa durante questi incontri è
quella della creazione di un archivio permanente e consultabile:
utile, per una maggiore nostra documentazione, e messo a disposizione di
tutti (nel momento in cui si decideranno a darci una sede), di grande interesse,
perchè molte cose non si trovano nelle strutture pubbliche. Della
creazione di questo archivio se ne occupa in particolare Lele. Lascio quindi
la parola e lo spazio a Lele responsabile dell' archivio, prego Lele stendici
tutti.
Nei prossimi mesi, una delle principali attività dell'Associazione,
sarà la costituzione di un archivio. Un archivio di materiale quale:
demo-tape e CD che ci vengono inviati da gruppi o etichette; riviste, fanzine,
periodici in genere (musicali e non), anche esteri, che ci vengono inviati
o a cui siamo abbonati come Associazione; videocassette, insomma tutto
ciò che a nostro parere è utile per documentare una cultura
che è difficilmente rintracciabile nei normali circuiti.
Lo spirito che sta dietro a questa iniziativa è quello di mettere
a disposizione del maggior numero di persone possibile materiale per approfondire
la conoscenza di un'area culturale (popolare, giovanile, bassa, underground,
indipendente, chiamatela come volete!), un'area culturale spesso sminuita
o trascurata, che però contamina ininterrottamente quel mondo della
cultura cosiddetta "alta". Ma per raggiungere questo scopo c'è
bisogno di una sede da aprire agli associati (traguardo che speriamo di
raggiungere al più presto) e dell'impegno di tutti i simpatizzanti
dell'Associazione, anche di voi. Chiunque voglia mettere a disposizione
materiale utile per l'arricchimento di questo archivio (dischi, CD, riviste,
videocassette) sarà il benvenuto! Se vi stuzzica tutto ciò,
inviateci materiale in sintonia con quelle che sono le linee guida di questo
progetto! Linee che si potrebbero riassumere nel concetto di informazione,
ovvero: informazione è tutto ciò che porta variazione o modificazione
rispetto a uno stato precedente. Chi non avesse materiale da inviare, ma
volesse aiutarci lo stesso per l'organizzazione di questo archivio, può
farlo mettendosi in contatto con noi o con un contributo economico tramite
versamento sul conto corrente postale n.12066122 intestato a Interferenze
P.zza Garibaldi n.3 12051 Alba.
Interferenze la trasferta.
Nel frattempo grazie a Cristiano, nostro cartoon-corrispondente da
Casale siamo andati tra le colline del Monferrato per presentare
il sito Interferenze musica e contaminazioni e parlare di musica
su internet come avevamo fatto a Babeliche.
Non siamo molti, ma poco alla volta, se qualcuno ha voglia di organizzare
concerti o incontri, perché non si fa sentire?
Dall'ultima volta che ci siamo sentiti sono arrivati due nuovi associati
a cui diamo il benvenuto: Gabriele e Giuseppe. Sperando che si trovino
bene in Interferenze. In particolare Gabriele si occuperà della
gestione economica: e dobbiamo confessarlo senza di lui saremmo dispersi
in giornali di bordo, codici segreti e partite iva. Grande Gabri conducici
sicuri in queste acque da piscina di Paperone. Volete sapere il suo motto:
"sono entrato in un'associazione, uscirò da una Spa".
Vi segnalo le date delle prossime riunioni: il primo e il
terzo lunedì di ogni mese C.so Bra 20 Alba (telefonate allo
0173/362041 per conferma).
Alla prossima.
Chi vuole sostenere attivamente l'Associazione e le sue attività può farlo versando L. 30.000 sul C.C.P. n.12066122 intestato a Interferenze P.zza Garibaldi 3 Alba, riceverà anche Interferenze blu.
L'Associazione ringrazia la Cassa di Risparmio di Cuneo che ci ha donato attrezzature fondamentali per la realizzazione di questo giornale e del sito.
gianni
questa fanzine è curata dall'Associazione
I N T E R F E R E N Z E
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tel.0173/362041 - 281917
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direttore responsabile
sandro prandi
direttore editoriale
gianni corino
redattori
luca berlinghieri
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collaboratori
bartolomeo calorio
giacomo calorio
emanuele giaccardi
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beppe marchisio
cristiano rota
distribuzione telematica
matteo calorio
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luca berlinghieri
mauro decastelli
gianni corino
parallelo zero
Audjoragnatela
Il mondo letterario e musicale di P.V.
Tondelli
È un vero peccato che PIER VITTORIO
TONDELLI abbia dato origine a un tipo di "tondellismo" che consiste
in quella maniera un po' ridicola degli scrittori "ggiovani"
di fare costante riferimento alla musica rock come per siglarne una rispettabilità…
culturale e mercantile solo recentemente conquistata. Dal "Compleanno
dell'Iguana" della Ballestra a "Sandrino e il canto celestiale
di Robert Plant" di Andrea Demarchi, fino al Brizzi scrittore-musicista
che chiama vezzosamente il protagonista di "Bastogne" come il
bassista dei Primus, Claypool, è tutta una serie di rimandi che
hanno lo stesso valore ostentativo della citazione colta: dimostrare il
bagaglio culturale dello scrittore e allo stesso tempo pretendere di rappresentare
il gusto medio del lettore (e quindi di compiacerlo, se già informato)
o addirittura di orientarlo (della serie: se non conosci i Primus, ti faccio
capire io quanto sono bravi e "importanti"...). Il mondo di TONDELLI
romanziere è in verità più cinico, meno cartoonesco,
più adulto e crudele di quello dei suoi eredi, e non è così
pieno di citazioni musicali come si potrebbe credere: quando ciò
accade, Tondelli non cerca ad ogni costo un rimando all'intellighenzia
del rock, non fa sfoggio di cultura o di un malinteso senso della cronaca
(ricordare cioè un preciso pezzo musicale perché appartenente
al tempo esatto della vicenda), ma si limita a citare ciò che gli
piace come appartenente più alla sua intimità di persona
che di scrittore: dagli amatissimi Smiths ai Talking Heads, da Joe Jackson
agli Ultravox!, i nomi più rappresentativi cioè della tristezza
in salsa pop music, che bene si accompagnano ai personaggi spregiudicati
e sofferenti di "Pao Pao" e di "Rimini".
La più bella e profonda compenetrazione tra musica e letteratura
TONDELLI non l'ha tuttavia raggiunta in questi romanzi, ma nella sua lunga
e fruttuosa collaborazione con il mensile di musica "Rockstar",
negli anni tra il 1985 e il 1989. Lo spazio da lui curato si chiamava "Culture
Club", erano una o due pagine in cui Tondelli parlava di itinerari
letterari, musicali, turistici, emotivi, ognuno che finiva per intrecciarsi
con l'altro senza altra motivazione se non la sua sensibilità: così
ecco che ricordando come spesso "non siamo affatto noi a scegliere
le nostre letture o i nostri dischi o i nostri amori, ma sono gli accadimenti
stessi che vengono a noi in un particolare momento che sarà il momento
perfetto, facilissimo e inevitabile;..." (Rockstar n. 65 - Febbraio
1986), Tondelli cita come protagonisti di questo processo di riscoperta
Barthes e Arbasino, Brian Eno e gli Ultravox!; ecco un'escursione nei luoghi
del divertimento notturno che diventa occasione per rinvenire fisicamente
libri e persone inattese, uno sguardo su Venezia che si incrocia con "Zabriskie
Point", la fauna delle discoteche che consuma musica, vestiti e bevande
alcooliche, il litorale invernale di Riccione sonorizzato da Enya e Sandie
Shaw, "La violetta del Prater" di Christopher Isherwood "romanzo
per clarinetto e orchestra", le monografie dedicate ai poeti musicisti
come Leonard Cohen e The Smiths («l'universo mitico di "The
Smiths" appare coraggiosamente incluso in quella stagione dell'adolescenza
e della prima giovinezza avara di piacevolezze e ricca invece di difficoltà,
di domande non risolte, di angosce,...» da "Rockstar" n.
69 - Giugno 1986), e via fantasticando. Fa un certo effetto trovare questi
scritti nati per essere episodici riuniti in un unico libriccino di un
centinaio scarso di pagine che lo stesso "Rockstar" ha provveduto
a ristampare e ad allegare a un suo numero, alcuni anni fa, titolandolo
"Culture Club su Rockstar". Perché‚ lo sguardo d'insieme
è potente; perché‚ lette di seguito queste escursioni risultano
ancora più affascinanti e imperscrutabili nella loro apparente mancanza
di un progetto; perché queste pagine sono diventate un diario pubblico
che istiga all'immedesimazione; perché‚ in queste pagine tutti possono
sentire il vero Tondelli, il Tondelli nomade dell'anima e, liberato dalle
convenzioni letterarie, capace di abbracciare tutta la nostra "sottocultura"
in un armonioso Blob.
Da scrittore che parla di altri scrittori TONDELLI, quasi sempre benevolo
o entusiasta, si accende poi di una luce particolare quando anche coloro
di cui tratta si confrontano fisicamente con la musica. Così l'audioragnatela
di Tondelli non può non investire personaggi come Jack Kerouac,
capace di tradurre l'emozione scattante del be-bop nell'intera trama vagabonda
di "On the Road" ("Comincia il primo chorus, poi organizza
le sue trovate... la gente dice... sì, sì, ma hai voglia,
e poi egli affronta il suo destino e gli tocca suonare in modo da esserne
degno...") così come di sentirsi musicare il suo libro, una
sera di ottobre, in un club del Quebec, dal bluesman Mark Murphy. L'occhio
di riguardo coinvolge anche la gelida Patricia Higsmith, puntuale nel trovare
l'ambientazione sonora per le sue storie di uomini degradati, dalla "Satellite
of love" di Lou Reed per il suo bersaglio di sempre Tom Rypley, all'easy
jazz da ballo in coppia, molto anni Quaranta, che grottescamente lo smorfioso
adolescente "middle class" protagonista di "Gente che bussa
alla porta" sembra gradire. Oppure James Baldwin, scrittore afroamericano
che in "Un altro mondo" ribadisce l'appartenenza del ritmo alla
cultura dei negri ("Un negro, diceva suo padre, vive tutta la sua
vita, vive e muore battendo il ritmo. E col ritmo, cacchio, ci scopa pure
e il pupo che ne esce, be', anche lui il ritmo non lo molla più
e nove mesi dopo schizza fuori come un dannato tamburino"), e poi
trascrive brani da Bessie Smith o Dinah Washington, perpetuando un'equazione
che piace anche agli altri preferiti di Tondelli, e a Tondelli stesso:
la fatale alternanza tra l'euforia e la torbidità del sesso e la
malinconia della colonna sonora della nostra vita.
Caldamente consigliato, se avrete la fortuna di trovarlo (urge ristampa!).
Madmanmoon
Il sinfonismo mahleriano
La prima sinfonia: Titano
La Sinfonia N 1 di Mahler fu eseguita per
la prima volta a Budapest nel 1889. A dirigerla era l'autore stesso, che
l'aveva composta tra il 1884 e il 1888. Con i suoi primi movimenti distesi,
la sua bizzarra, tragico-ironica "Marcia Funebre", e il suo selvaggio
Finale, rappresenta sicuramente un capolavoro. Mahler era originariamente
intenzionato a dare un titolo e un programma esplicativo, ma temendo di
essere frainteso abbandonò successivamente entrambi. Il lavoro doveva
fare riferimento all'opera più famosa di J. P. Friedrich Richter
(1763-1825), detto Jean Paul, in cui Rocquairol, il Titano, incarna un
personaggio faustiano suicida. Ma in verità non esiste alcun legame
tra la musica e il contenuto del romanzo. La sinfonia è strutturata
in 4 movimenti.
I - "LANGSAM. SCHLEPPEND. WIE EIN NATURLAUT" ("Lento. Trascinato.
Come un suono di natura"). All'inizio del movimento sta un sibilo
fastidioso, che sembra discendere dal cielo e da cui prendono avvio richiami
multipli, che evocano suoni della natura (canti di uccelli, segnali di
caccia, fanfare lontane). Si giunge così ad una canzone popolare,
una dolce, cantabile melodia "'Ging Heut' Morgen Übers Feld"
("Me ne andavo stamani per i prati") tratta dalla raccolta di
Lieder "Eines Faherenden Gesellen" ("Canti di un giovane
giramondo"). Si avverte un clima apertamente bucolico, con tutto un
pullulare di dolci arie. Mahler stesso è il viandante o il giramondo.
Facile trovare un'analogia nel viandante del "Winterreise" di
Schubert, un amante sfortunato in amore che trova consolazione in un continuo
peregrinare. Ma mentre il ciclo di lieder schubertiano si conclude in una
disperazione totale, la sinfonia di Mahler allontana ogni pensiero suicida
dalla testa del giovane errante, riconciliandolo, attraverso la bellezza
della natura che lo circonda, alla vita.
II- "KRÄFTIG BEWEGT, DOCH NICHT ZU SCHNELL-TRIO: RECHT GEMÄCHLICH"
("Vigorosamente mosso, ma non troppo presto-Trio: Molto tranquillo").
Consta di uno Scherzo, cui segue un Trio. E' una danza popolare che ben
si accorda con la tradizione classica sfociando in un valzer languido e
sentimentale.
III- "FEIERLICH UND GEMESSEN, OHNE ZU SCHLEPPEN" ("Solenne
e misurato, senza strascico"). E' il motivo della celebre canzone
popolare francese "Frère Jacques". E' una marcia con una
forte componente grottesca, che inizia piano, in modo molto semplice, raggiungendo
nella parte centrale un'impressionante sonorità per poi estinguersi
lentamente.
IV- "STÜRMISCH BEWEGT" ("Tempestosamente agitato")
Prende avvio da uno scatto rabbioso dell'orchestra che lo stesso Mahler
indicò come "un atto di disperazione", che ci porta successivamente
ad una complessa elaborazione dei temi del primo movimento. Si susseguono
momenti di sonorità esasperata alternati a languidi "cantabili".
Mahler da esperto direttore d'orchestra e con grande maestria dà
un saggio di come trattare con grande ponderatezza temi popolari e marce
militari.
Si può affermare che in tale sinfonia confluiscono quasi tutti gli
elementi dell'universo mahleriano; e non nego che molti, al termine dell'ascolto,
possano trovarsi in imbarazzo. La prolissità, rilevabile soprattutto
nelle succesive sinfonie, è infatti uno dei più grossi ostacoli
che incontra chi vuole avvicinarsi a Mahler. La sua ampollosità,
il gigantismo, la megalomania, andavano controcorrente nella musica fin
de siècle, sempre più improntata alla sobrietà, al
rigore formale. Anche Schubert aveva avuto le sue "lungaggini",
ma erano "lungaggini celesti" (himmlische Länge). Stravinskij
diceva infatti "... con Schubert ci si addormenta, ma ci si sveglia
in cielo!". Per Mahler invece il problema si pone, non solo per l'ascoltatore,
ma anche per l'interprete. Quando l'idea è stata esposta, perchè
dilungarsi oltre ogni più ragionevole aspettativa? Nonostante ciò
la musica di Mahler riesce a ipnotizzare l'ascoltatore. Il potente apparato
orchestrale che egli usa (trombe, contrabbassi, legni che suonano talora
in modo sguaiato) esercita un fascino immenso sul pubblico. Ci si sente
strappati alle miserie di questo mondo e lanciati vorticosamente e misteriosamente
verso altre mete. E ...il naufragare è dolce!
Resta ancora da accennare al rinnovamento operato da Mahler in campo sinfonico,
all'introduzione cioè nella sinfonia di elementi che potremmo dire
estranei alla forma classica. Ecco perchè allora come quei motivetti
banali, elementari, che costellano le sue composizioni, siano intrisi di
sferzante ironia e di angoscia per quello che sta per succedere. Il '900
che sta nascendo apre sotto i piedi del genere umano un baratro immenso.
Stanno sorgendo le premesse di rivoluzioni, guerre, tragedie immani, lutti
e sofferenze per tutta l'umanità. Nella sua musica avvertiamo tutto
ciò. Anche se Mahler morì tre anni prima dello scoppio della
1 guerra mondiale.
n.c.
Bibliografia
Theodor W .Adorno, "MAHLER", Einaudi Editore
Bruno Walter, "GUSTAV MAHLER", Editori Riuniti
Giacomo Manzoni, "GUIDA ALL'ASCOLTO", Feltrinelli Editore
Battiato & Sgalambro
Musica, Parole e Altro ancora...
Sono sicuramente la coppia più originale nel panorama musicale
nostrano: il sodalizio artistico ed intellettuale tra Franco Battiato e
Manlio Sgalambro iniziò nell'autunno '93, quando Battiato chiese
al filosofo il libretto per un'opera sulla guerra di Troia, alla quale
stava lavorando già da tempo. Accadde poi che la Regione Sicilia
commissionò loro, per l'ottocentenario della nascita di Federico
II, l'opera "Il cavaliere dell'intelletto" così che i
due diedero la priorità a quel lavoro: da allora hanno sempre lavorato
insieme.
L'incontro con Sgalambro ha maggiormente arricchito la carriera artistica
di un musicista già costantemente proteso a superare le mete di
volta in volta raggiunte: non un semplice desiderio di nuovo o di originalità:
piuttosto, un rinnovamento stilistico dettato da esigenze spirituali profonde,
che, va detto con sincerità, possiamo solo intuire: «Non mi
sento un "compositore di Dio". Però sono convinto che
la Musica venga dal Cielo. Io, uomo mediocre, tento di esprimerla con i
miei poveri mezzi ». Tuttaltro che mediocre, in realtà, la
sua musica.
Era il tempo (ottobre '93) dell'album "Caffè de la Paix":
giungeva al limite estremo la ricerca musicale iniziata verso la metà
degli anni '80; il distacco dal mondo della musica popolare e leggera era
completo: musica magica, atmosfere indiane ed orientali, strumenti esotici.
Intanto portava nelle chiese italiane la "Messa Arcaica", che
egli stesso definiva «materiale per la meditazione... questi quaranta
minuti di musica devono servire solo per questo». Il punto di non
ritorno: quale suono è ancora possibile? Nessuno, solo il silenzio
forse.
Collaborando con Sgalambro, Battiato ebbe la possibilità di riesaminare
il cammino fino allora percorso: oramai non più cantautore, ma piuttosto
musicista, compositore: nell'aprile '95 vide la luce il transitorio "L'ombrello
e la macchina da cucire" (dove, addirittura, ricompaiono sonorità
tipiche dello sperimentalismo anni Settanta, quando si esibiva a Parigi
sul palco dei Velvet Underground); nell'ottobre '96 "L'imboscata",
che segna una tappa fondamentale: preziosi i collaboratori: il bassista
Saturnino (Jovanotti), il chitarrista David Rhodes (Peter Gabriel), le
voci di Antonella Ruggiero (ex-Matia Bazar) e di Giovanni Lindo Ferretti
(C.S.I.): ottimo il risultato. E' vero che non c'è più traccia
di misticismo, è vero che con i testi di Sgalambro nelle canzoni
fanno ingresso argomenti più "terreni": ma trovo banale
ridurre tutto ciò ad un semplice passaggio alla "carnalità"
dell'esperienza: la dimensione spirituale resta fondamentale. Piuttosto,
la via alla riflessione non passa più per l'ascetismo, ma si immerge
nella vita. Dice del filosofo Battiato: «Io definisco la mia presenza
nel silenzio, lui si assenta nel rumore di bar affollatissimi». E'
la sua natura di pensatore: il mondo è davanti ai suoi occhi: «Sì
che lo vedo. Io passo le mie serate nei bar, nei pub. Vedo questi ragazzi,
li perseguito col mio sguardo, sono uno spione. Non è un caso che
volessi fare il commissario di polizia. Se leggessi solo libri sarei fottuto».
Auf Wiedersehen!
Sakurambo
Chi ha paura della "canzonetta"?
Dedicato a Franco Battiato, con cui Manlio Sgalambro collabora da tempo (ricordiamo il libretto dell'opera 'Il cavaliere del''intelletto', i testi de 'L'ombrello e la macchina da cucire' e de 'L'imboscata'), il libro "Teoria della Canzone" si presta a diventare una prima prova saggistica con il fine di teorizzare ciò che la riflessione ha finora disertato: la musica reale. Pochi sono stati i tentativi, fra le pubblicazioni di questi anni, di cogliere l'essenza di una musica, quella rock (musica cosiddetta leggera o troppo 'heavy', ma comunque mai classica), che siano riusciti ad isolare un suo carattere eleggibile ad attributo. In generale ci si è fermati sulla soglia di una sociologia della musica moderna. Secondo Sgalambro (oltre che musicologo anche filosofo, è del 1982 l'importante e tagliente opera critica 'La morte del sole'), l'attributo della musica d'oggi, in grado di afferrarne l'esistenza nei suoni, è la "canzone". E per un semplice motivo di fondo: la sua brevità, il non durare che per alcuni istanti o minuti. Di fronte alla pretesa del 'Lied' romantico o del brano di musica classica di eternarsi, essendo un'espressione dello spirito, il nostro secolo che dello spirito si è disfatto uccidendolo, vive di momenti e, nel momento, di ciò che "si sfascia la sera stessa". Fra questi pensieri e aforismi, numerati da uno a settantotto, la comprensione del vero discorso sulla musica avviene attraverso paragoni e contrapposizioni; diventa quasi d'obbligo citare nomi, sprazzi di teorie del passato, antichi maestri e moderni rockers. Così la bella straniera, la musica rock, oggi vera perché frenetica, disequilibrata, lesta a scomparire e rinascere, entra nella galleria del pensiero filosofico, del pensare breve, come altrove scrisse lo stesso Sgalambro, rappresentativa del vivere moderno, dei suoi ritmi allucinati, e forse perché musica dei nervi che "riflette questo mondo come un perfetto doppio". La canzone è arte della decadenza, dice il filosofo, perciò suscita godimento. Allora teorizzarla significa portarla fuori dall'ambito del piacere per giudicarla e oggettivarla. Poi di tanto in tanto compaiono più come nomi che per un riferimento filosofico: Boezio, Kant, Goethe, Schopenhauer, Jankelevitch, Cioran; ribadire la loro presenza viene utile a isolare "la forma musicale dominante dell'epoca contemporanea": la canzone. Dominante soprattutto per il fatto di essere vittima sacrificale del desiderio eccedente del consumatore, di chi vive per ascoltare musica, vale a dire "il platonico odierno".
Decus