ANTEPRIMA

LA CRUS
Dentro me
(Warner, 1997)

Uno scoppio di bellezza, l'ultimo dei LA CRUS. Se il primo album era piuttosto riuscito e affascinanti erano i remix, troviamo in Dentro me, tutto quello che ci aspettavamo da Giovanardi & C. con l'aggiunta di molto di più. Com'è caldo questo lavoro, e come suona familiare per noi che siamo nati tra le voci dei cantautori!
Il più malinconico dei gruppi italiani questa volta ha superato se stesso, ingegnandosi di incastrare nella struttura calda e trascinante della canzone d'autore, i canoni del trip-hop. Questo tipo di intento era già presente in La crus, ma ora i due elementi sono perfettamente fusi, ed eccoci davanti ad un album indubbiamente "nuovo", che riesce però a non rinnegare le fonti da cui nasce. E' espressiva la voce di Mauro Giovanardi e autunnali sono le atmosfere musicali di quest'album che sembra fatto di terra, sole ed erba, intrisi dei chiaroscuri che nascono dall'umore introverso del gruppo.
Due cover: una dei Detonazione, che dà il nome all'album: Dentro me, appunto, parole ricorrenti tra i solchi del disco; l'altra è Dragon di Paolo Conte, energica, davvero riuscita.
E molti sono gli ospiti: da Cristina Donà in Per mano, uno dei titoli più trascinanti e fruibili di tutto l'album, a Vinicio Capossela in 34 anni, da Cristiano Godano (Marlene Kuntz) in Dragon a Hugo Race (!) in La finestra di casa mia.
La sensazione che ci donano le singole canzoni è la stessa dell'album nel complesso: malinconia, nostalgia, ma pure conforto, forse anche solo a causa della voce così piacevole di Giovanardi. C'è una stupenda Ninna nanna, la cui dolcezza angelica non può che dare una sensazione di estrema leggerezza e delicatezza, mentre l'ansia confusionale di Correre rispecchia il lato più tormentato dell'album.
Il fascino si fa crepuscolare in La luce al neon dei baracchini, mentre albeggia nella tintinnante La finestra di casa mia ("la finestra di casa mia/rimane aperta per vedere oltre la nebbia") il cui morbido tappeto sonoro mi ricorda vagamente il Peter Gabriel di "Lead a normal life" o di "Birdy".
E' incredibile come i LA CRUS riescano a far sbocciare questi stupendi quadri di fine stagione, carichi di sapore di vino, svolazzare di foglie morte e rinascita di petali nuovi.
Una malinconica danza di fine stagione in un mondo di fine millennio. Di più.

Godot




LISA GERMANO
Excerpts from Love Circus
(1996 - 4AD)

LISA GERMANO è (o non è?) una violinista statunitense che ha collaborato con John Cougar Mellencamp e con i Simple Minds della svolta folk, e ne ha condiviso i momenti di maggior successo internazionale. Sei anni fa ha dato inizio a una personale carriera solistica che, per chi dubita della riuscita artistica in proprio di un musicista nato "gregario", ha fornito motivi di piacevole sorpresa, accasandosi prima di tutto presso la 4AD (una garanzia per l'ascoltatore di un approccio molto "art" alla musica di consumo), e sviluppando con album come Happiness e Geek the Girl una musicalità misterica, dolcemente sospesa nel limbo delle emozioni attutite. Questo nuovo disco non rappresenta una sorpresa per chi ha già avuto modo di conoscerla, ma una calda conferma della sua personalità artistica: il disco si apre con la dolcissima e velvettiana Baby on the Plane, ed è già eloquente biglietto da visita con le sue sonorità arcane (mellotron e tintinnii assortiti) e il suo gusto per arrangiamenti multistrato; strada facendo si incontrano valzer in punta di piedi come Beautiful Schizofrenic e Message from Sophia, discreti omaggi a PJ Harvey (Lovesick), tripudi di pianoforti, preparati e non, violini e synth leggeri come l'aria, e la voce della gatta di proprietà della musicista, di nome Miamo Tutti (!!!), che percorre il disco come un leitmotiv, come se la musica qui contenuta fosse frutto della sua fantasia. LISA GERMANO ricorda per certi versi Tori Amos, solo un po' meno esibizionista con la voce e gli strumenti: le accomuna la stessa propensione a mettere in primo piano la propria femminilità, magari gettando il sasso e nascondendo la mano, ovvero oscillando tra innocenza ed erotismo, e un gusto per le ballate marmoree ed echeggianti. Dirà qualcuno: servono ancora a qualcosa questi dischi umbratili, umorali, aristocratici, pieni di musica autoreferenziale? Sì, servono, servono come servono i film di fantascienza vecchia e nuova, quelli d'orrore e quelli neoromantici (quando non sono fastidiosamente New Age), servono come "Lisbon Story", come "Fearless" che parla di immortalità e rischia grosso col melodramma; servono come le sceneggiature non "trattedaunastoriavera". Ecco che cos'è, Excerpts from Love Circus: una sceneggiatura originale.

Madmanmoon




CRIS TI NA DONÀ
Tregua
(Mescal, 1997)

Essendo P.J. Harvey la mia cantante preferita sono stato combattuto tra diffidenza e curiosità quando ho letto su più recensioni di Tregua che una cantante italiana veniva paragonata alla diavolessa inglese. Ancora adesso, dopo l'ascolto del suo album sono molto restio ad accostare i due nomi, non tanto per la qualità di Tregua (bello davvero!), quanto per le differenze che, a parer mio, corrono tra le due donne: una infuocata, combattuta tra violenza e dolcezza, caratterizzata da una voce che sembra venire dal più profondo delle cavità umane, l'altra più eterea, dolce, più angelo che diavolo, la cui forte energia sembra più luce che non fuoco. Ma non mancano le somiglianze, certamente: quella chitarra tintinnante, quelle energiche distorsioni che incidono su di una voce capace di sovrastarle, o anche solo quella non-banalità che riesce ad emergere anche senza ricorrere a soluzioni tecnologiche.
Veramente brava CRISTINA DONA', quindi, capace di tener testa a molte altre compagne straniere, con pezzi di una grazia e di un fascino irresistibile come L'aridità dell'aria (probabilmente uno dei pezzi migliori) o di una cupa energia come Stelle buone. E abbiamo distorsione in Ogni sera, ipnosi in Labirinto, accorata denuncia in Senza disturbare e infine un commovente omaggio a Kurt Cobain nella title-track, che sembra la canzone musicalmente più complessa e trascinante dell'album. Sto andando per esclusione dei brani più belli, ma non riesco ad arrivare a un brano veramente deludente perchè abbiamo ancora una raffinata Raso e Chiome bionde, un'eterea e sognante Le solite cose e così via.
E' inutile: CRISTINA DONÀ ha fatto davvero un ottimo lavoro, forse una o due scelte risultano un po' antiquate, o usate, ma è cosa decisamente marginale.
Compratelo: abbiamo in Italia una grande artista.
E non pensate a Polly Jean Harvey quando ascoltate Tregua: pensate solo a CRISTINA DONA'.

Godot




LABRADFORD
Labradford
(Blast First, 1997)

Ascoltando questo terzo album dell'enigmatica formazione statunitense mi sono accorto non soltanto del fatto che si tratta di un disco meraviglioso, ma da certi punti di vista costringe me, cronista, e voi, ascoltatori, a rivedere alcune posizioni critiche ritenute ormai acquisite. Ad esempio, "ci hanno insegnato" che il progressive è musica deteriore per antonomasia: ampollosa, conservatrice, presuntuosa nel suo volersi formalmente richiamare alla musica colta. Ora, intendiamoci, Labradford non si ispira a saghe medievaleggianti, non ci sono (prevedibili) cambi di tempo nè assoli di synth: eppure ci sono atmosfere sognanti, c'è un organo che profuma di antico, c'è il battito lento e il clima di sospensione dei (dicono) Gentle Giant più avanguardisti; c'è un'omogeneità nell'atmosfera dei vari brani, da quelli più marcatamente sperimentali (l'iniziale Phantom Channel Crossing) ai pezzi più solenni e melodiosi (Scenic Recovery) che non può non far pensare a una "suite" in più movimenti. Se poi pensavate che la musica "ambient" potesse essere solo elettronica e strumentale i LABRADFORD sono qui per dimostrare che anche con basso e chitarra (pochissima batteria, please), si inventano arredi sonori, e che una voce che canta, sia pure sussurrando, su un simile tappeto sonoro non è un controsenso. Sapete chi mi hanno ricordato questi LABRADFORD? I cari vecchi Talk Talk! Proprio loro, quelli che nel 1988, dopo anni di raffinatissimo pop, pubblicavano con "Spirit of Eden" un capolavoro di musica tanto avventurosa quanto sommessa nei toni, un disco che anticipava di quasi una decina d'anni quello stile che oggi va sotto il nome di "post rock": un impasto imprevedibile di minimalismo colto, voci soffuse, pause e silenzi, blues, Debussy, rock psichedelico. Le stesse cose insomma che, in dosi variate, troviamo anche nei LABRADFORD, o nei Tortoise. Uno dei dischi dell'anno, senza esitazioni.

Madmanmoon




MISSISSIPPI FRED MC.DOWELL
You gotta move
(Arhoolie,1989)

È di un disco molto vecchio e di una sua ristampa, non recente, che voglio parlarvi come scusa per presentarvi un artista che non è di sicuro uno dei bluesman più conosciuti.
Purtroppo come nella maggior parte di chi ha fatto la storia del genere ora è scomparso; morì infatti nel giugno del 1972 in quella regione che, come si intende dal nome, è la culla dell'originale suono blues.
Lo stile è quello classicissimo del delta del Mississippi: voce, chitarra slide e la cassa a tenere il ritmo. La registrazione è live suonata in presa diretta. Si sente tutta la forza di un canto e di un suono che si perde in una cultura tramandata di orecchio in orecchio, di anima in anima, unica trasfigurazione di una realtà ripetitiva e legata al lavoro duro e alla povertà. Il ritmo è inciso nel tempo, nella vita, nella cultura come insieme di esperienze condivise da una comunità.
Questa è la ristampa in CD di un disco uscito nel '64 da cui (come recitano le note interne, ricche di aneddoti) i Rolling Stone colpiti all'ascolto dall'ultima track, che dà anche il titolo al disco, la incisero in una loro interpretazione nell'album "Sticky Fingers": You gotta move.
Per dare un'idea della dimensione sociale, musicale e culturale di questo CD basta ricordare che in un brano la voce che riecheggia le voci femminili di inizio secolo da "barrel house" (bordello), mentre si scorticano le corde in una versione di Swing low Chariot, è della moglie di Fred e in altri due pezzi di E. Green, colui che tramandò questo suono. Si racconta nelle note interne che il produttore di questo disco e Fred siano andati a cercare questo vecchio musicista, scovandolo in una di quelle baracche fatiscenti (come nei film di J.Jarmush) affacciate sulle rive paludose del Mississippi. Ci sarebbero in questo disco tutti gli stereotipi della musica blues, ma nulla qui si lascia appiattire: tutto ho la profondità delle radici e l'altezza di un canto ispirato dal sudore, dalla miseria e da Dio. Un disco veramente unico per gli amanti del genere classico come il vino di annata. Per intenditori.

none




Microsolchi
percorsi non convenzionali in territori ad alto rischio di contaminazione musicale

Apriamo con le nuove proposte giunteci da quel furbacchione di Rick Gonzales, boss della Immortal. Dopo il lancio degli Incubus e la canonizzazione dei Korn (sempre più neri), arriva il neonato Tin cans with strings to you dei FAR. Senza indugi, direi l'anello di congiunzione tra l'irruenza dei primi Nirvana e la contaminazione dura degli Orange 9mm. Una sconcertante varietà di brani, talora urgenti e rabbiosi, ma che non perdono - sentite la voce - il senso della melodia. Grande esordio. Buoni anche i fratellini URGE, con Receiving the gift of flavor. Ska, reggae, punk, hiphop e, a parte quel chitarrone melmoso e trascinante, i fiati occhieggiano a turno in un ensemble sufficientemente vario. Purtroppo già esistono i Fishbone... Poco convincente la direzione intrapresa dalla Century Media: verniciature elettroniche. Deludono gli STUCK MOJO di Pigwalk prodotti da Kevin Townsend: undici brani spesso appiattiti nel techno-trash. E per un gruppo di contaminatori non è un gran bel complimento. Medesima osservazione per Passage dei SAMAEL dove qualche volta la drum-machine finisce per occultare certe atmosfere 'black', spostando il baricentro verso un suono più metallico e monotono. Ma credo basti 'My Saviour' da sola -splendido death-blues - a riconciliarci con la band svizzera. Due pezzi a testa targati Earache, per il nuovo singolo di NAPALM DEATH e COALESCE. Gli uni sempre inquietanti con il loro death furente... Ma gli altri hanno imparato in fretta la lezione: il giovane gruppo del Kansas, in odor di esordio, sa veramente aggredirci con i suoi vortici di metallo distorto. Noise-core: presto ne parleranno tutti. Restando in zona, rileviamo l'uscita di Your lies in check (E. U. Records) degli astigiani CRIPPLE BASTARDS. Sono sessantasei pugnalate, brevi, in perfetto grind primi Carcass, enfatizzando in maniera mai vista velocità di esecuzione (ascoltate "Italia di merda"). Purge è un gran bel biglietto da visita per i FETISH 69: 'Kickback' introduce una quaterna di pezzi, intrerpretati con la stessa crudeltà dei primi Helmet (all'ex Mengede fischieranno le orecchie), ma dopo la pausa di 'Adrenalizer', emergono complicate trame. Lente, assassine (perfino l'acustica-darkeggiante 'Purifier') come hanno insegnato loro i Neurosis. Non fondamentali ma vitalissimi. Nuovo chitarrista in casa Senser e... voilà i LODESTAR con l'omonimo album (Ultimate) in cui gli inserti elettronici paiono sopiti - non scomparsi - a favore di un hard tiratissimo, ma anche di squarci psichedelici. Sempre determinante il dj-bassista Haggis. Fa sul serio l'etichetta fiorentina Sub/Mission con il nuovo Mediasickness dei trevigiani TEMPLEBEAT. Ascoltare il gruppo di Michele Benetello, collaboratore della rivista 'Dynamo', significa partecipare a quella rivoluzione del gusto operatasi con l'avvento dei Chemical Brothers. Ci sono le pigre pulsazioni di 'Magic Patrol', la depressiva 'Soundtrack for the age of panic', la psicotica 'Each' fa concorrenza alle nenie Trance Syndacate... perfino incursioni nella dance da "popolino" di 'You spin me round'. Ma anche questo fa parte del gioco: smitizzare se stessi è prerogativa dei fuoriclasse. Dischi caldissimi: è uscito Get out of the cross dei FIREWATER, progetto di cinque grossi nomi dell'underground americano, tra cui Tod Ashley (Cop Shoot Cop) e Duane Denison (Jesus Lizard). Si va dal roots-rock di 'Some strange reaction', versione più integralista di Grant Lee Buffalo, alle sporche atmosfere 'bourbon' (risorge il fantasma di Tom Waits), tanghi retrò, nostalgici violini, bouzouki e piano, passando per la carica emotiva del dialogo carnefice-vittima di 'The Circus'. Superbo.
Cantano in italiano e suonano da far invidia (agli americani). Sono i SOTTOPRESSIONE, affiatatissimo quartetto nostrano che da un anno sta facendo sfracelli con il proprio album di urgentissimo HC. Parlando con Diste, il pirotecnico bassista, ho avuto le conferme sperate. Nei suoi ascolti troviamo Black Flag, Dead Kennedys e Ramones, ovvero la vecchia scuola. Ascoltate 'Mastice' e 'Sipario': dominano intelligenza, velocità e potenza. Nessuna parentela con un certo Straight-edge metallico (leggi Turmoil) oggi tanto in voga: classe pura. A prestissimo...

Vincenzo Capitone




emegenze rock:
ESTERNO D'UOVO: Antropoforme (HAX, 1996)

È difficile parlare di questo gruppo torinese, senza parlare al contempo dell'etichetta che li produce. Dalle note che accompagnano questo CD di quattro pezzi, si evince che i componenti fanno parte dell'etichetta, e che il proprietario dello studio è componente organico al gruppo. I restanti quattro componenti del gruppo arrivano da bands ormai sciolte (Psicopalla, Bacco) o da gruppi ancora in attività (Perturbazione). Prima di parlare della loro musica vorrei dare un paio di chiarimenti sul nome della band e sul titolo del CD, facendomi aiutare dalle note che accompagnano questa produzione, scritte da Massimo Vitale, voce e chitarra acustica del gruppo. "L'uovo è cellula, microcosmo limitato da un muro bianco facilmente malleabile ed un guscio frantumabile. L'esterno è ciò che interessa, vortice a cui tendere verso nuovi universi", e ancora "non antropomorfe quindi ma antropoforme, proprie dell'uomo, come microesempio dei contrasti tra Interno/Esterno." Per capire a cosa si va incontro iniziando l'ascolto, potrebbe aiutare l'indicazione che "le antropoforme non sono realizzate dopo approfonditi studi di logica. Capita che tra idee vaganti nasca l'interazione giusta in grado di far scattare in chi la coglie meccanismi di gradevoli giochi interpretativi." Il primo pezzo dal titolo Trasparenze inizia con un suono di chitarre "deviate", slanted, vicino a certe sonorità Lo-Fi, ma subito la voce italiana e lo sviluppo della canzone ci allontanano da quella scena, la canzone altalena tra il gridato e il sussurrato della voce e tra la predominanza della parte ritmica (basso e batteria) e le inserzioni della chitarra elettrica fino al lapidario "nulla è male" finale che muore in un "nulla". Iulm è una canzone più sognante e ricca di echi anche della voce, con delle isole di dissonanza. Microfoglie è un pezzo particolarmente riuscito, ove la voce e la parte strumentale si completano eccellentemente facendo risaltare le caratteristiche migliori d'entrambe queste componenti. Giocoliere è il pezzo che riassume la mini avventura di questi musicisti che giocano con i loro strumenti come un giocoliere che "grazie all'errore di un suo stesso gioco, torna a sentire rumori da sottofondi nei quali c'è vita, respiro, comunicazione. Fosse anche solo confusione."
In conclusione non posso che rallegrarmi del fatto che un gruppo italiano intraprenda una strada così coraggiosa, e per di più con dei risultati simili. Vi invito calorosamente a prendere contatto con gli ESTERNO D'UOVO, ad ascoltare la loro musica. Il gruppo è formato da Gigi Giancursi (chitarra elettrica), Paolo Pallavidino (batteria), Marco Conti (basso), Massimo Vitale (voce, chitarra acustica), Marco Milanesio (realizzazione e cura del suono). Per contatti con loro telefonare allo 011/9651898 o faxare allo 011/250320. Per contatti con l'etichetta "HAX, materiali per la comunicazione" telefonare allo 011/3094831 - 4154386.

Marziobarbolo



Ricordando un amico

Nella notte tra venerdì 18 e sabato 19 aprile ha perso tragicamente la vita in un incidente stradale Massimo Dogliani, bassista degli Jeden Abend e amico di vecchia data della nostra fanzine.
Lo vogliamo ricordare con semplicità, con questa foto che lo ritrae con Massimiliano e Alberto, sul palco di Babeliche '96.

La redazione di Interferenze blu




Spazio Interferente
News from the inside

Un' associazione si fa sentire.

Ciao a tutti lettori di interferenze blu,
questo nostro spazio sul giornale, sebbene non sarà forse il più seguito, desideriamo ci sia in quanto dice come tutto è legato all'associazione. Noi speriamo di costruire una realtà ad Alba che non si faccia vedere solo in certe situazioni ma sia presente costantemente. Ci siamo riuniti già diverse volte dall'inizio dell'anno per decidere: che si fa quest'anno, chi siamo, cosa ha senso fare e proporre ad Alba, nella zona, dove è possibile? quanti soldi abbiamo per farlo?....
In questi nostri incontri, a cui naturalmente chi è interessato può partecipare, abbiamo pensato: cosa possiamo inventarci per essere presenti e costruire qualcosa che duri quest'anno in cui la maggior parte di noi associati sta per laurearsi o deve partire militare?
D'altro canto le istituzioni non si vedono, hanno problemi più "seri" ma in Comune ci sono anche giovani politici: avranno dimenticato cosa si domanda dall'altra parte o forse sono troppo impegnati per poter capire che certe iniziative soprattutto giovanili se non si incoraggiano avranno molta difficaltà a fare le loro proposte e quindi a proseguire? Si vuole o no costruire qualcosa che ci porti altrove rispetto a tartufo, dolciumi e buon vino (Dio ci guardi dal non onorarlo), ma mi avete capito.
Come dicevo la proposta che è emersa durante questi incontri è quella della creazione di un archivio permanente e consultabile: utile, per una maggiore nostra documentazione, e messo a disposizione di tutti (nel momento in cui si decideranno a darci una sede), di grande interesse, perchè molte cose non si trovano nelle strutture pubbliche. Della creazione di questo archivio se ne occupa in particolare Lele. Lascio quindi la parola e lo spazio a Lele responsabile dell' archivio, prego Lele stendici tutti.

Nei prossimi mesi, una delle principali attività dell'Associazione, sarà la costituzione di un archivio. Un archivio di materiale quale: demo-tape e CD che ci vengono inviati da gruppi o etichette; riviste, fanzine, periodici in genere (musicali e non), anche esteri, che ci vengono inviati o a cui siamo abbonati come Associazione; videocassette, insomma tutto ciò che a nostro parere è utile per documentare una cultura che è difficilmente rintracciabile nei normali circuiti.
Lo spirito che sta dietro a questa iniziativa è quello di mettere a disposizione del maggior numero di persone possibile materiale per approfondire la conoscenza di un'area culturale (popolare, giovanile, bassa, underground, indipendente, chiamatela come volete!), un'area culturale spesso sminuita o trascurata, che però contamina ininterrottamente quel mondo della cultura cosiddetta "alta". Ma per raggiungere questo scopo c'è bisogno di una sede da aprire agli associati (traguardo che speriamo di raggiungere al più presto) e dell'impegno di tutti i simpatizzanti dell'Associazione, anche di voi. Chiunque voglia mettere a disposizione materiale utile per l'arricchimento di questo archivio (dischi, CD, riviste, videocassette) sarà il benvenuto! Se vi stuzzica tutto ciò, inviateci materiale in sintonia con quelle che sono le linee guida di questo progetto! Linee che si potrebbero riassumere nel concetto di informazione, ovvero: informazione è tutto ciò che porta variazione o modificazione rispetto a uno stato precedente. Chi non avesse materiale da inviare, ma volesse aiutarci lo stesso per l'organizzazione di questo archivio, può farlo mettendosi in contatto con noi o con un contributo economico tramite versamento sul conto corrente postale n.12066122 intestato a Interferenze P.zza Garibaldi n.3 12051 Alba.

Interferenze la trasferta.
Nel frattempo grazie a Cristiano, nostro cartoon-corrispondente da Casale siamo andati tra le colline del Monferrato per presentare il sito Interferenze musica e contaminazioni e parlare di musica su internet come avevamo fatto a Babeliche.
Non siamo molti, ma poco alla volta, se qualcuno ha voglia di organizzare concerti o incontri, perché non si fa sentire?
Dall'ultima volta che ci siamo sentiti sono arrivati due nuovi associati a cui diamo il benvenuto: Gabriele e Giuseppe. Sperando che si trovino bene in Interferenze. In particolare Gabriele si occuperà della gestione economica: e dobbiamo confessarlo senza di lui saremmo dispersi in giornali di bordo, codici segreti e partite iva. Grande Gabri conducici sicuri in queste acque da piscina di Paperone. Volete sapere il suo motto: "sono entrato in un'associazione, uscirò da una Spa".

Vi segnalo le date delle prossime riunioni: il primo e il terzo lunedì di ogni mese C.so Bra 20 Alba (telefonate allo 0173/362041 per conferma).
Alla prossima.

Chi vuole sostenere attivamente l'Associazione e le sue attività può farlo versando L. 30.000 sul C.C.P. n.12066122 intestato a Interferenze P.zza Garibaldi 3 Alba, riceverà anche Interferenze blu.

L'Associazione ringrazia la Cassa di Risparmio di Cuneo che ci ha donato attrezzature fondamentali per la realizzazione di questo giornale e del sito.

gianni




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gianni corino




parallelo zero

Audjoragnatela
Il mondo letterario e musicale di P.V. Tondelli

È un vero peccato che PIER VITTORIO TONDELLI abbia dato origine a un tipo di "tondellismo" che consiste in quella maniera un po' ridicola degli scrittori "ggiovani" di fare costante riferimento alla musica rock come per siglarne una rispettabilità… culturale e mercantile solo recentemente conquistata. Dal "Compleanno dell'Iguana" della Ballestra a "Sandrino e il canto celestiale di Robert Plant" di Andrea Demarchi, fino al Brizzi scrittore-musicista che chiama vezzosamente il protagonista di "Bastogne" come il bassista dei Primus, Claypool, è tutta una serie di rimandi che hanno lo stesso valore ostentativo della citazione colta: dimostrare il bagaglio culturale dello scrittore e allo stesso tempo pretendere di rappresentare il gusto medio del lettore (e quindi di compiacerlo, se già informato) o addirittura di orientarlo (della serie: se non conosci i Primus, ti faccio capire io quanto sono bravi e "importanti"...). Il mondo di TONDELLI romanziere è in verità più cinico, meno cartoonesco, più adulto e crudele di quello dei suoi eredi, e non è così pieno di citazioni musicali come si potrebbe credere: quando ciò accade, Tondelli non cerca ad ogni costo un rimando all'intellighenzia del rock, non fa sfoggio di cultura o di un malinteso senso della cronaca (ricordare cioè un preciso pezzo musicale perché appartenente al tempo esatto della vicenda), ma si limita a citare ciò che gli piace come appartenente più alla sua intimità di persona che di scrittore: dagli amatissimi Smiths ai Talking Heads, da Joe Jackson agli Ultravox!, i nomi più rappresentativi cioè della tristezza in salsa pop music, che bene si accompagnano ai personaggi spregiudicati e sofferenti di "Pao Pao" e di "Rimini".
La più bella e profonda compenetrazione tra musica e letteratura TONDELLI non l'ha tuttavia raggiunta in questi romanzi, ma nella sua lunga e fruttuosa collaborazione con il mensile di musica "Rockstar", negli anni tra il 1985 e il 1989. Lo spazio da lui curato si chiamava "Culture Club", erano una o due pagine in cui Tondelli parlava di itinerari letterari, musicali, turistici, emotivi, ognuno che finiva per intrecciarsi con l'altro senza altra motivazione se non la sua sensibilità: così ecco che ricordando come spesso "non siamo affatto noi a scegliere le nostre letture o i nostri dischi o i nostri amori, ma sono gli accadimenti stessi che vengono a noi in un particolare momento che sarà il momento perfetto, facilissimo e inevitabile;..." (Rockstar n. 65 - Febbraio 1986), Tondelli cita come protagonisti di questo processo di riscoperta Barthes e Arbasino, Brian Eno e gli Ultravox!; ecco un'escursione nei luoghi del divertimento notturno che diventa occasione per rinvenire fisicamente libri e persone inattese, uno sguardo su Venezia che si incrocia con "Zabriskie Point", la fauna delle discoteche che consuma musica, vestiti e bevande alcooliche, il litorale invernale di Riccione sonorizzato da Enya e Sandie Shaw, "La violetta del Prater" di Christopher Isherwood "romanzo per clarinetto e orchestra", le monografie dedicate ai poeti musicisti come Leonard Cohen e The Smiths («l'universo mitico di "The Smiths" appare coraggiosamente incluso in quella stagione dell'adolescenza e della prima giovinezza avara di piacevolezze e ricca invece di difficoltà, di domande non risolte, di angosce,...» da "Rockstar" n. 69 - Giugno 1986), e via fantasticando. Fa un certo effetto trovare questi scritti nati per essere episodici riuniti in un unico libriccino di un centinaio scarso di pagine che lo stesso "Rockstar" ha provveduto a ristampare e ad allegare a un suo numero, alcuni anni fa, titolandolo "Culture Club su Rockstar". Perché‚ lo sguardo d'insieme è potente; perché‚ lette di seguito queste escursioni risultano ancora più affascinanti e imperscrutabili nella loro apparente mancanza di un progetto; perché queste pagine sono diventate un diario pubblico che istiga all'immedesimazione; perché‚ in queste pagine tutti possono sentire il vero Tondelli, il Tondelli nomade dell'anima e, liberato dalle convenzioni letterarie, capace di abbracciare tutta la nostra "sottocultura" in un armonioso Blob.
Da scrittore che parla di altri scrittori TONDELLI, quasi sempre benevolo o entusiasta, si accende poi di una luce particolare quando anche coloro di cui tratta si confrontano fisicamente con la musica. Così l'audioragnatela di Tondelli non può non investire personaggi come Jack Kerouac, capace di tradurre l'emozione scattante del be-bop nell'intera trama vagabonda di "On the Road" ("Comincia il primo chorus, poi organizza le sue trovate... la gente dice... sì, sì, ma hai voglia, e poi egli affronta il suo destino e gli tocca suonare in modo da esserne degno...") così come di sentirsi musicare il suo libro, una sera di ottobre, in un club del Quebec, dal bluesman Mark Murphy. L'occhio di riguardo coinvolge anche la gelida Patricia Higsmith, puntuale nel trovare l'ambientazione sonora per le sue storie di uomini degradati, dalla "Satellite of love" di Lou Reed per il suo bersaglio di sempre Tom Rypley, all'easy jazz da ballo in coppia, molto anni Quaranta, che grottescamente lo smorfioso adolescente "middle class" protagonista di "Gente che bussa alla porta" sembra gradire. Oppure James Baldwin, scrittore afroamericano che in "Un altro mondo" ribadisce l'appartenenza del ritmo alla cultura dei negri ("Un negro, diceva suo padre, vive tutta la sua vita, vive e muore battendo il ritmo. E col ritmo, cacchio, ci scopa pure e il pupo che ne esce, be', anche lui il ritmo non lo molla più e nove mesi dopo schizza fuori come un dannato tamburino"), e poi trascrive brani da Bessie Smith o Dinah Washington, perpetuando un'equazione che piace anche agli altri preferiti di Tondelli, e a Tondelli stesso: la fatale alternanza tra l'euforia e la torbidità del sesso e la malinconia della colonna sonora della nostra vita.
Caldamente consigliato, se avrete la fortuna di trovarlo (urge ristampa!).

Madmanmoon




Il sinfonismo mahleriano
La prima sinfonia: Titano

La Sinfonia N 1 di Mahler fu eseguita per la prima volta a Budapest nel 1889. A dirigerla era l'autore stesso, che l'aveva composta tra il 1884 e il 1888. Con i suoi primi movimenti distesi, la sua bizzarra, tragico-ironica "Marcia Funebre", e il suo selvaggio Finale, rappresenta sicuramente un capolavoro. Mahler era originariamente intenzionato a dare un titolo e un programma esplicativo, ma temendo di essere frainteso abbandonò successivamente entrambi. Il lavoro doveva fare riferimento all'opera più famosa di J. P. Friedrich Richter (1763-1825), detto Jean Paul, in cui Rocquairol, il Titano, incarna un personaggio faustiano suicida. Ma in verità non esiste alcun legame tra la musica e il contenuto del romanzo. La sinfonia è strutturata in 4 movimenti.
I - "LANGSAM. SCHLEPPEND. WIE EIN NATURLAUT" ("Lento. Trascinato. Come un suono di natura"). All'inizio del movimento sta un sibilo fastidioso, che sembra discendere dal cielo e da cui prendono avvio richiami multipli, che evocano suoni della natura (canti di uccelli, segnali di caccia, fanfare lontane). Si giunge così ad una canzone popolare, una dolce, cantabile melodia "'Ging Heut' Morgen Übers Feld" ("Me ne andavo stamani per i prati") tratta dalla raccolta di Lieder "Eines Faherenden Gesellen" ("Canti di un giovane giramondo"). Si avverte un clima apertamente bucolico, con tutto un pullulare di dolci arie. Mahler stesso è il viandante o il giramondo. Facile trovare un'analogia nel viandante del "Winterreise" di Schubert, un amante sfortunato in amore che trova consolazione in un continuo peregrinare. Ma mentre il ciclo di lieder schubertiano si conclude in una disperazione totale, la sinfonia di Mahler allontana ogni pensiero suicida dalla testa del giovane errante, riconciliandolo, attraverso la bellezza della natura che lo circonda, alla vita.
II- "KRÄFTIG BEWEGT, DOCH NICHT ZU SCHNELL-TRIO: RECHT GEMÄCHLICH" ("Vigorosamente mosso, ma non troppo presto-Trio: Molto tranquillo"). Consta di uno Scherzo, cui segue un Trio. E' una danza popolare che ben si accorda con la tradizione classica sfociando in un valzer languido e sentimentale.
III- "FEIERLICH UND GEMESSEN, OHNE ZU SCHLEPPEN" ("Solenne e misurato, senza strascico"). E' il motivo della celebre canzone popolare francese "Frère Jacques". E' una marcia con una forte componente grottesca, che inizia piano, in modo molto semplice, raggiungendo nella parte centrale un'impressionante sonorità per poi estinguersi lentamente.
IV- "STÜRMISCH BEWEGT" ("Tempestosamente agitato") Prende avvio da uno scatto rabbioso dell'orchestra che lo stesso Mahler indicò come "un atto di disperazione", che ci porta successivamente ad una complessa elaborazione dei temi del primo movimento. Si susseguono momenti di sonorità esasperata alternati a languidi "cantabili". Mahler da esperto direttore d'orchestra e con grande maestria dà un saggio di come trattare con grande ponderatezza temi popolari e marce militari.
Si può affermare che in tale sinfonia confluiscono quasi tutti gli elementi dell'universo mahleriano; e non nego che molti, al termine dell'ascolto, possano trovarsi in imbarazzo. La prolissità, rilevabile soprattutto nelle succesive sinfonie, è infatti uno dei più grossi ostacoli che incontra chi vuole avvicinarsi a Mahler. La sua ampollosità, il gigantismo, la megalomania, andavano controcorrente nella musica fin de siècle, sempre più improntata alla sobrietà, al rigore formale. Anche Schubert aveva avuto le sue "lungaggini", ma erano "lungaggini celesti" (himmlische Länge). Stravinskij diceva infatti "... con Schubert ci si addormenta, ma ci si sveglia in cielo!". Per Mahler invece il problema si pone, non solo per l'ascoltatore, ma anche per l'interprete. Quando l'idea è stata esposta, perchè dilungarsi oltre ogni più ragionevole aspettativa? Nonostante ciò la musica di Mahler riesce a ipnotizzare l'ascoltatore. Il potente apparato orchestrale che egli usa (trombe, contrabbassi, legni che suonano talora in modo sguaiato) esercita un fascino immenso sul pubblico. Ci si sente strappati alle miserie di questo mondo e lanciati vorticosamente e misteriosamente verso altre mete. E ...il naufragare è dolce!
Resta ancora da accennare al rinnovamento operato da Mahler in campo sinfonico, all'introduzione cioè nella sinfonia di elementi che potremmo dire estranei alla forma classica. Ecco perchè allora come quei motivetti banali, elementari, che costellano le sue composizioni, siano intrisi di sferzante ironia e di angoscia per quello che sta per succedere. Il '900 che sta nascendo apre sotto i piedi del genere umano un baratro immenso. Stanno sorgendo le premesse di rivoluzioni, guerre, tragedie immani, lutti e sofferenze per tutta l'umanità. Nella sua musica avvertiamo tutto ciò. Anche se Mahler morì tre anni prima dello scoppio della 1 guerra mondiale.

n.c.

Bibliografia
Theodor W .Adorno, "MAHLER", Einaudi Editore
Bruno Walter, "GUSTAV MAHLER", Editori Riuniti
Giacomo Manzoni, "GUIDA ALL'ASCOLTO", Feltrinelli Editore



Battiato & Sgalambro
M
usica, Parole e Altro ancora...

Sono sicuramente la coppia più originale nel panorama musicale nostrano: il sodalizio artistico ed intellettuale tra Franco Battiato e Manlio Sgalambro iniziò nell'autunno '93, quando Battiato chiese al filosofo il libretto per un'opera sulla guerra di Troia, alla quale stava lavorando già da tempo. Accadde poi che la Regione Sicilia commissionò loro, per l'ottocentenario della nascita di Federico II, l'opera "Il cavaliere dell'intelletto" così che i due diedero la priorità a quel lavoro: da allora hanno sempre lavorato insieme.
L'incontro con Sgalambro ha maggiormente arricchito la carriera artistica di un musicista già costantemente proteso a superare le mete di volta in volta raggiunte: non un semplice desiderio di nuovo o di originalità: piuttosto, un rinnovamento stilistico dettato da esigenze spirituali profonde, che, va detto con sincerità, possiamo solo intuire: «Non mi sento un "compositore di Dio". Però sono convinto che la Musica venga dal Cielo. Io, uomo mediocre, tento di esprimerla con i miei poveri mezzi ». Tuttaltro che mediocre, in realtà, la sua musica.
Era il tempo (ottobre '93) dell'album "Caffè de la Paix": giungeva al limite estremo la ricerca musicale iniziata verso la metà degli anni '80; il distacco dal mondo della musica popolare e leggera era completo: musica magica, atmosfere indiane ed orientali, strumenti esotici. Intanto portava nelle chiese italiane la "Messa Arcaica", che egli stesso definiva «materiale per la meditazione... questi quaranta minuti di musica devono servire solo per questo». Il punto di non ritorno: quale suono è ancora possibile? Nessuno, solo il silenzio forse.
Collaborando con Sgalambro, Battiato ebbe la possibilità di riesaminare il cammino fino allora percorso: oramai non più cantautore, ma piuttosto musicista, compositore: nell'aprile '95 vide la luce il transitorio "L'ombrello e la macchina da cucire" (dove, addirittura, ricompaiono sonorità tipiche dello sperimentalismo anni Settanta, quando si esibiva a Parigi sul palco dei Velvet Underground); nell'ottobre '96 "L'imboscata", che segna una tappa fondamentale: preziosi i collaboratori: il bassista Saturnino (Jovanotti), il chitarrista David Rhodes (Peter Gabriel), le voci di Antonella Ruggiero (ex-Matia Bazar) e di Giovanni Lindo Ferretti (C.S.I.): ottimo il risultato. E' vero che non c'è più traccia di misticismo, è vero che con i testi di Sgalambro nelle canzoni fanno ingresso argomenti più "terreni": ma trovo banale ridurre tutto ciò ad un semplice passaggio alla "carnalità" dell'esperienza: la dimensione spirituale resta fondamentale. Piuttosto, la via alla riflessione non passa più per l'ascetismo, ma si immerge nella vita. Dice del filosofo Battiato: «Io definisco la mia presenza nel silenzio, lui si assenta nel rumore di bar affollatissimi». E' la sua natura di pensatore: il mondo è davanti ai suoi occhi: «Sì che lo vedo. Io passo le mie serate nei bar, nei pub. Vedo questi ragazzi, li perseguito col mio sguardo, sono uno spione. Non è un caso che volessi fare il commissario di polizia. Se leggessi solo libri sarei fottuto».
Auf Wiedersehen!

Sakurambo



Chi ha paura della "canzonetta"?

Dedicato a Franco Battiato, con cui Manlio Sgalambro collabora da tempo (ricordiamo il libretto dell'opera 'Il cavaliere del''intelletto', i testi de 'L'ombrello e la macchina da cucire' e de 'L'imboscata'), il libro "Teoria della Canzone" si presta a diventare una prima prova saggistica con il fine di teorizzare ciò che la riflessione ha finora disertato: la musica reale. Pochi sono stati i tentativi, fra le pubblicazioni di questi anni, di cogliere l'essenza di una musica, quella rock (musica cosiddetta leggera o troppo 'heavy', ma comunque mai classica), che siano riusciti ad isolare un suo carattere eleggibile ad attributo. In generale ci si è fermati sulla soglia di una sociologia della musica moderna. Secondo Sgalambro (oltre che musicologo anche filosofo, è del 1982 l'importante e tagliente opera critica 'La morte del sole'), l'attributo della musica d'oggi, in grado di afferrarne l'esistenza nei suoni, è la "canzone". E per un semplice motivo di fondo: la sua brevità, il non durare che per alcuni istanti o minuti. Di fronte alla pretesa del 'Lied' romantico o del brano di musica classica di eternarsi, essendo un'espressione dello spirito, il nostro secolo che dello spirito si è disfatto uccidendolo, vive di momenti e, nel momento, di ciò che "si sfascia la sera stessa". Fra questi pensieri e aforismi, numerati da uno a settantotto, la comprensione del vero discorso sulla musica avviene attraverso paragoni e contrapposizioni; diventa quasi d'obbligo citare nomi, sprazzi di teorie del passato, antichi maestri e moderni rockers. Così la bella straniera, la musica rock, oggi vera perché frenetica, disequilibrata, lesta a scomparire e rinascere, entra nella galleria del pensiero filosofico, del pensare breve, come altrove scrisse lo stesso Sgalambro, rappresentativa del vivere moderno, dei suoi ritmi allucinati, e forse perché musica dei nervi che "riflette questo mondo come un perfetto doppio". La canzone è arte della decadenza, dice il filosofo, perciò suscita godimento. Allora teorizzarla significa portarla fuori dall'ambito del piacere per giudicarla e oggettivarla. Poi di tanto in tanto compaiono più come nomi che per un riferimento filosofico: Boezio, Kant, Goethe, Schopenhauer, Jankelevitch, Cioran; ribadire la loro presenza viene utile a isolare "la forma musicale dominante dell'epoca contemporanea": la canzone. Dominante soprattutto per il fatto di essere vittima sacrificale del desiderio eccedente del consumatore, di chi vive per ascoltare musica, vale a dire "il platonico odierno".

Decus