ANTEPRIMA

DUBWAR
Wrong side of beautiful
(Earache, 1996)

Secondo album "con il botto" per i DUBWAR. La band inglese, a giudicare da pezzi del calibro di Prisoner o della verve dimostrata all'esordio, rientrerebbe tra le maggiori candidate a raccogliere lo scettro dei Red Hot Chili Peppers. Di certo non sarà così: nei quattordici brani di Wong Side of Beautiful c'è il meglio del rock contaminato attuale. Vedrete scorrere la sinuosa Control, di una leggerezza quasi impalpabile (manco stessimo parlando di una evocatrice torta della nonna!). Ogni tanto, nel tema conduttore, la chitarra esplode fragorosa, più spesso accompagna e asseconda basso e batteria in un clima jazzy (ma sentite le aperture dub). Pare di assistere ad un concerto di Galliano in un fumoso pub di periferia! Bellissimo il terzo brano dall'introduzione percussiva, a cui fa seguito (con tanto di chitarre spianate) un cantato ragga deciso. È evidente che ha contato parecchio la lezioni dei Liiving Colour e si vede a partire dal singolo Enemy Maker (qui il cantante mi ricorda Corey Glover): ma è pure la migliore dimostrazione che il gruppo riesce ad essere fruibile (ascoltabile per puro svago) senza mai cedere un'oncia della propria credibilità crossover. Questo pellegrinaggio tra i generi musicali ha creato lo stile dubwar. Un po' come Knulp, il personaggio di Herman Hesse capace di parlare adeguandosi al linguaggio e alla mentalità dell'interlocutore. Cercateli e non perdeteveli.

Vincenzo Capitone




BOO RADLEYS
C'mon Kids
(Creation, 1996)

Il quartetto di Liverpol (toh, che coincidenza!) capitanato da Martin Carr e da Sice torna alla carica con un nuovo disco a poco più di un anno da quel Wake up Boo!, così solare e beatlesiano (seconda coincidenza), che aveva scontentato i fans del più cerebrale e 'pasticciato' Giant Steps (1993), il quale all'epoca era piaciuto un po' a tutti, compreso a quelli che di 'pop inglesÈ non ne volevano sentir parlare, ed era diventato una sorta di paradigma della contaminazione made in England (chitarre acustiche e feedback, trombe tromboni violoncelli e dub, musica da cartone animato e stridori metallici, e così via). Per i critici evoluzionisti Wake up Boo! era un disco troppo uniforme e limpido, dunque un passo indietro: come se 'Penny LanÈ fosse uscita DOPO 'Revolution n. 9' (e ci risiamo!)... Ora, siccome i BOO RADLEYSnon sono un teorema che attende di essere applicato, ma un insieme di 4 musicisti curiosi, stimolati dalle fonti sonore più disparate, e dotati di un gusto assolutamente autonomo (lo stesso che ha forgiato grandi gruppi inglesi molto diversi tra loro come Tears for Fears, Talk Talk o Xtc), ecco C'mon Kids e tutti zitti. Il disco è grandioso, richiama è vero quello di tre anni fa quanto ad avventurosità, ma è, come dire, più sintetico: spariti gli orpelli fiatistici e accentuato il ruolo 'alieno' delle tastiere, le chitarre ruggiscono di più (ascoltare la title track o What's in the box per credere), Sice canta con voce meno efebica, ma soprattutto i generi musicali non sono più accostati (com'era ancora in parte in Giant Steps): sono inestricabilmente fusi - Get on the bus, Four saints, l'incredibile Ride the tiger, che nel finale mi ha ricordato le follie soul-funk-techno di Prince - o anormalmente deformati - il dub a 16 giri di Fortunate sons parla da solo. A ciò aggiungete un'attitudine festaiola (come interpretare i rutti conviviali che introducono Meltin's Worm?), il gusto per le melodie gioiose, da arrangiarsi con vocals multistrato, e capirete perché i BOO RADLEYS richiamano alla mente non i soliti quattro 'Baronetti', ma un altro gruppo di geni sperimentatori del pop: i Beach Boys. Anche se non erano di Liverpool.

Madmanmoon




CASINO ROYALE
1996, Adesso!
(Blackout, 1996)

ÜSTMAMO'
Baby dull
( Virgin, 1996)

È il momento dei dischi dal vivo per i "nuovi" gruppi italiani. pochi mesi dopo l'azzeccato 'In diretta dal solÈ degli Africa Unite escono quasi in contemporanea questi due live. Per i CASINO ROYALE, una volta convinti fautori dello ska, poi spostatisi verso il cross- over hip-hop/rock con l'ottimo ma misconosciuto Dainamaita, infine approdati a suoni influenzati dal soul/trip-hop di Bristol e al successo, si tratta di un vero e proprio live, che riprende la gloriosa tradizione dei doppi LP dal vivo formato 7''. Il risultato è ottimo, sia come documentazione dei cambi di rotta che la band milanese ha più volte impresso al proprio cammino, sia come disco nuovo in sé: Alioscia, Giuliano Palma & C. ripercorrono alcuni degli episodi più salienti di Dainamaita e di buona parte dell'ultimo Sempre più Vicini, modificando e talvolta stravolgendo i suoni rispetto alle versioni in studio. Ad esempio Re Senza Trono in origine suadente raggae melodico (pure lovers style!), viene velocizzata con iniezioni di jungle, pur mantenendo le melodie vocali di partenza e creando un contrasto intrigante di stili, a metà tra Goldie e gli Everything But The Girl. Dainamaita, da perfetto esempio di crossover hard-rock/rap diventa un brano rarefatto e strascicato alla Tricky. Così facendo i CASINO recuperano alla grande l'improvvisazione fondamentale per un grande disco live; questa capacità appare ancora più sorprendente se si considera che nel 1995, come ricorda il sottoscritto, le esecuzioni live dei pezzi di 1996 Adesso! erano ancora un'altra cosa, più aggressive e chitarristiche.
L'accusa di opportunismo e di inseguimento delle mode spesso lanciata ai CASINO ROYALE da alcuni fans della prima ora, mi pare più plausibile per gli ÜSTMAMO', che hanno abbandonato l'eclettismo tra punk, hard, folk e raggae dei primi due album per giungere con Üst a territori sonori molto simili ai CASINO, ma otto mesi dopo Sempre più Vicini. Il loro live appare quindi di buon livello ma inferiore e non solo per la durata (esattamente la metà di 1996 Adesso!). Anche loro aggiungono alle registrazioni live un paio di remix in studio; ma se Cose Difficili cantata da Giuliano Palma insieme a 'Neffa' e ai 'Sangue Misto' è uno dei più riusciti brani italiani dell'anno, Baby Dull remixata dai Moloko, gruppo trip-hop di Bristol è solo interessante o poco più, mentre la versione live pare penalizzata dai trascorsi problemi di corde vocali della cantante Mara Redeghieri. Per fortuna a risollevare le sorti del disco intervengono i tredici minuti di Filidub intrigante calderone dub, fumigante di psichedelia (come i migliori strumentali dei concerti degli 'Africa UnitÈ) che valgono da soli il prezzo, tra l'altro ridotto, del disco.

Corvo Rosso




ARIA PALEA
Zoicekardi'a
(Lizard/Pick up, 1996)

La Pick up di Bassano del Grappa è sicuramente la più attiva tra le giovani etichette specializzate in produzioni progressive. E così dopo il ripescaggio dei 'vecchi' Nuova Era, ci propone alcune band esordienti tra le quali spiccano gli ARIA PALEA. Trattasi di cinque ragazzi leccesi molto giovani, eppure parecchio influenzati dal tipico sound inglese dei primissimi anni '70, quando il prog era ancora un ibrido in via di definizione, ed iniziava a fare breccia nei cuori e nelle menti di gruppi in cerca di affermazione (Jade Warrior, Rare Bird, Raw Material, Still Life) che, se da un lato mantenevano - sempre più vaga - una matrice rock-blues come punto di partenza, dall'altro cercavano di evolverla in qualcosa di più stimolante e meno canonizzato. Gli ARIA PALEA si avvicinano molto a questo risultato, complice anche l'assoluta mancanza di elettronica (hi, Alberto Campo!) nei loro pezzi, dove il flauto di Gianluca Milanese sostituisce le "solite" tastiere come alternativa ad una chitarra elettrica quasi sempre "pulita" e scevra di effetti ma efficace. Troviamo così brani assai dilatati o vicini all'improvvisazione, quali Ipuno? e Zoicekardi'a (Il volo), o variegati di venature bluesy come la splendida Scena dopo scena, che ci richiama alla mente i Jethro Tull di 'This Was'. Di sicuro effetto si rivelano inoltre gli interludi 'quasi' recitati del bassista Apollonio Tommasi, che hanno il merito di riportare sulla retta via coloro che, nel frattempo, si erano smarriti nella ...Terra di mezzo seguendo la voce del pazzo folletto Gigi De Giorgi. Un disco, quindi, particolarmente consigliato a chi - come il sottoscritto - continua a credere che la musica si faccia con gli strumenti musicali appositamente costruiti anziché con diavolerie informatiche ad altro fine utilissime; un altro genuino prodotto della terra di Puglia, dopo i (forse sopravvalutati) Aufklärung.

io




ANGLAGARD
Buried alive
(Musea, 1996)

Recita un celebre proverbio che i migliori sono quelli che se ne vanno.. o che si separano, come in questo caso. Dopo lo split degli Echolyn, infatti, ecco giungere - meno inatteso ma più doloroso - anche quello degli ANGLAGARD, sicuramente il gruppo prog più geniale degli anni '90. I lettori più attenti ricorderanno le recensioni degli altri dischi di questa eccezionale band svedese, apparse entrambe su queste pagine. Lo storico Hybris (1993) li rivelò all'attenzione dei fan più aperti, grazie a quel suono a tratti duro, eppure sognante, che è un po' il loro marchio di fabbrica; ma la consacrazione avvenne con la partecipazione (in qualità di rimpiazzi!!!) al Progfest di Los Angeles del 1993: un grandissimo successo, tant'è che gli organizzatori vollero riproporli l'anno successivo. Ed infatti su questo Buried Alive è riportata la loro esibizione del 1994 nella città degli angeli: vi troviamo per intero il disco di esordio, più alcuni brani di Epilog, uscito quasi in contemporanea allo svolgimento del festival. La resa sonora è buona, i pezzi sono eseguiti in maniera fedele rispetto agli originali, a testimonianza del fatto che la nota perizia tecnica dei sei vichinghi prescinde da alchimie di studio. Peccato che non potremo più ascoltarli on stage eseguire classici quali Ifran Klarhet Till Klarhet o la monumentale Hostsejd; e chissà quali altri capolavori ancora ci avrebbe regalato la fervida e balzana fantasia di Tord Lindman & c... Pazienza, ci rifaremo! Le verdi foreste scandinave continuano a regalarci frutti saporiti (Anekdoten, Ritual, White Willow); pensate se magari, un giorno, rivedremo qualcuno di questi ragazzi suonare fianco a fianco con quel genio di Pär Lindh ... Sognare è permesso.

io




FUN LOVIN' CRIMINALS
Come Find Yourself
(Emi, 1996)

Sono indubbiamente la rivelazione dell'anno nel campo dell'hip hop contaminato: nella stagione in cui ottimi rappers come Fugees e NAS sbancano le classifiche di mezzo mondo, si affacciano al grande pubblico anche questi cinque newyorkesi. MTV già da un paio di mesi passa il loro video Scooby Snacks che campiona dialoghi di alcuni film di Quentin Tarantino: questi per non piantare grane legali ha addirittura preteso di figurarne come coautore(!). Il pezzo risente comunque, anche nell'ambientazione filmica, dell'atmosfere alla Pulp Fiction in cui il regista italoamericano è maestro. Ma è l'intero album a muoversi su ottimi livelli, senza cadute di tono, pur cambiando registro stilistico quasi ogni canzone: si passa così dal quasi country di The Fun Lovin' Criminal alla riuscitissima alternanza tra dolcezza e agressività di Passive Agressive (appunto!), dalle basi morbide di The Grove And the Constant, al riff semplice e diretto (è la prima parte del riff di 'Smoke On The Water') di Bombin' the L, in perfetto Beastie Boys style. Grande eclettismo quindi per questi 'criminali che amano divertirsi': un filo conduttore può essere trovato nell'attitudine rilassata e cool che percorre tutto il disco, e talvolta sfocia nella ballata suadente ma non convenzionale (la cover di Louis Armstrong We Have All Time In The World, in cui il vocalist abbandona il rapping per un cantato con echi persino di Dire Straits). Chissà se riusciranno a mantenere questa rilassatezza e spontaneità anche sotto la pressione del buon successo che stanno riportando. Per adesso godiamoci questo Come Find Yourself, che affastella in modo pregevole titoli molto cinematografici (King of New York come l'opera di Abel Ferraro), basi rigorosamente suonate (e con un'ottima chitarra: ascoltate ad esempio il solo di I Can't Get With That) e un'atmosfera che fa pensare a locali fumosi, immersi nella penombra, popolati da gente magari ben vestita ma sospetta...

Corvo Rosso




emegenze rock - Saluzzo

Anthenora:
giovani guerrieri del metal, reduci da un entusiasmente "Heineken Tour"

Gli IRON MAIDEN sono stati un pezzo importante di storia dell'Heavy metal. Qualitativamente non lo sono più almeno da una decina di anni. Noi di INTERFERENZE abbiamo cercato lo spirito maideniano e lo abbiamo trovato soltanto in certi gruppi che ne ripercorrono sinceramente le orme, magari proprio dietro casa. Gli ANTHENORA -recente rivelazione dell'Heineken Tour- sono tra questi. Impressione confermata dall'ascolto della band e da una chiacchierata con il batterista Fabio 'Smaro' Smareglia.
D: Subito una carta di identità della band...
R: Siamo nati nell' 88. All'inizio suonavamo molto più 'soft', soprattutto covers di Bon Jovi, Deep Purple e, più lentamente, degli IRON. L'abbandono del tastierista e la sostituzione del chitarrista sono stati la nostra svolta. In quel periodo è uscito il primo demo.
D: Era forse finita l'era della 'cover band'?
R: Era lo spirito del gruppo ad essere diverso, uno spirito "comunitario". Qualcosa che prima non percepivamo. Te lo posso dire perché sono l'ultimo superstite della formazione originaria. Per esempio: mi occupo di scrivere i testi, ma esprimo sentimenti, idee che spesso condividiamo.
D: A proposito di testi (nda: l'ho beccato mentre si arrovellava su una rima): ci sono versi bellissimi ("il sole nero nei miei occhi"), talvolta troppo scenografici, com' era nell'immaginario heavy anni '80...
R: Hai ragione, il rischio c'è. Tieni conto però che adoro la letteratura "fantasy": ognuno di noi ha messo qualcosa di proprio. Ci sono molti riferimenti classici: Dante, Shakespeare. "King of Scotland" non esisterebbe senza il "Macbeth".
D: Non c'è traccia di rabbia 'politica'...
R: Non siamo predicatori. Abbiamo conservato la rabbia per il nostro sound.
D: Se non sbaglio, il vostro ultimo demo comincia sulla falsariga di "Eruption" di Van Halen, un'impostazione direi tecnica. Siete così anche dal vivo?
R: Ogni membro ha le proprie passioni e il proprio stile: un chitarrista stravede per gli Halloween, mentre quello nuovo trasmette la sua passione per i Pink Floyd e i Mr. Big., il nuovo bassista si chiama 'StevÈ (di nome e di fatto). Ma davanti al pubblico conta solo l'affiattamento!
D: Programmi futuri?
R: Un nuovo demo, suonare, suonare e ancora suonare. E magari vincere... -avversità permettendo- il prossimo concorso Heineken!!!
Grazie, Fabio: buona distruzione!!

Vincenzo Capitone

Per contatti rivolgersi a: Luigi - (0175) 41425




emegenze rock - babeliche '96

IL MARTELLO DI ESTER

I CCCP non esistono più, nel passaggio a CSI hanno cambiato anche modo di fare musica. Gli Üstmamo non fanno più la musica con cui si sono fatti conoscere. Cosa ci resta? Ma ci resta Il MARTELLO DI ESTER! Questo gruppo cuneese riunisce «la migliore tradizione» dandone un'interpretazione attuale e personale. Basta ascoltare un pezzo come Contro il cielo (presente sul loro demo che contiene sei brani) per rendersi subito conto di trovarsi di fronte ad un gruppo che conosce i mezzi per fare la musica che vuole. Tutte le componenti della loro musica vengono messe in risalto nei loro brani, senza che nessuna si appiattisca sulle altre: la voce di Milena a volte dolce a volte squillante, il gran lavoro del basso e della batteria campionata usati intelligentemente (ovvero senza farne dei meri metronomi), le due chitarre. Sono contento che questo gruppo sia apparso a Babeliche, anche se purtroppo non ho potuto esser presente, perché ritengo che IL MARTELLO DI ESTER stia a dimostrare come una musica ormai considerata "passata" possa arricchirsi di nuova linfa grazie a scelte intelligenti e coraggiose, e dia dei punti a quella musica che ci propinano come nuova ma che in realtà puzza di stravecchio! Ma... IL MARTELLO DI ESTER... che sia quello che serve per battere il Cuneo?

Marziobarbolo



LA ZONA

Lo ammetto. L'aver diviso con i LA ZONA il palco di BabelichÈ96 (un caldo saluto anche agli altri gruppi!) non mi permette di giudicare imparzialmente il loro Demo-live. Il fatto è che la band di Tommy & C. mi piace e parecchio. Ottimi arrangiamenti, ottimi suoni, la giusta dose di rumore e di melodia, ottimi testi e la giusta attitudine. Grandi!
Per chi non li conoscesse i LA ZONA sono Tommy De Chirico (voce e chitarra), Marco Donda (basso), Gabriele Petullà (batteria), Stefano Pitton (chitarra) più Mauro "Turbinator M.T." Tavella alle tastiere ed al mixer (già fonico degli Africa Unite) e suonano un rock moderno ed accattivante, cantato in italiano, dalle forti connotazioni "industrial-progressive".I LA ZONA si fanno apprezzare per la loro grande capacità di spaziare su più fronti, di recepire e rielaborare, con indubbia personalità, le esperienze musicali più significative dell'ultimo decennio, a conferma delle loro doti di manipolatori della materia rock e delle sorprendenti capacità compositive. Inutile dire che tutti i brani presenti in questo demo-tape sono meritevoli di attenzione, ma personalmente il titolo che preferisco è l'opener L'eroe della classe operaia, il cui testo è nientemeno che di John Lennon. Concludo con un consiglio: ascoltate i gruppi ed i demo-tapes che vi proponiamo, scoprirete un'universo affascinante e sconosciuto tutto da esplorare, un mondo di suoni e di energia di cui neanche immaginate l'esistenza e di cui non potrete più fare a meno. Usate la vostra testa e boicottate la robaccia che vi viene propinata dai "Cecchetti" di turno (vedi Articolo 31, B-nario et similia).Ricordatevi che l'underground italiano ha parecchio da dire...basta voler ascoltare!

AXIOM (Unwelcome)

Per contatti telefonate a Tommy De Chirico (tel. 0173-619989, alla sera), oppure alla redazione di INTERFERENZE blu.



UNWELCOME

Un gruppo praticamente nato sulle nostre pagine. Hanno dimostrato (anche dal vivo: vedi Babeliche) di essere enormemente cresciuti nonché differenziati dalla massa di imitatori dei Rage Against The Machine. Il nuovo demo Orgasm Addicted (pensate viene aggiornato di continuo) migliora di molto l'impatto dell'esordio They kill the children.
Apre il tetro abisso di rumore e di paura (i Korn!) di Unreal -prossimamente nella compilation "Soniche Avventure"- poi si cambia immediatamente registro. L'ipnotico refrain di Extermination, lo sralunato (o stonato?) scherzo di Eraserhead, la sintetica quanto urgente esecuzione -degna dei primi Minor Threat- di Sonic Death ci lasciano ben presto storditi. Il lamento della chitarra in Lost in time e il sordido urlo (in Why?) modello Alboth, estratto dall'ugola di Axiom mi inducono a credere che molto presto le riviste specializzate si accorgeranno di loro. Basta dare un'occhiata ai nuovi pezzi: Son(g) for None, Be a dream e Saturday, ovvero la chitarra motosega di LeeV.O., ricca di effetti e pulsazioni acide-elettroniche, il poderoso approccio alla Zeni Geva (segno di una cultura musicale mostruosa) e un rap-core elastico ed instabile. Saranno famosi: ricordatevene.

Vincenzo Capitone



JEDEN ABEND

È con grande piacere che vi parlo del nuovo demo dei JEDEN ABEND, non solo per l'amicizia che mi lega a questo gruppo, ma per i costanti progressi che questa band ha fatto fino ad oggi. Sono state limate alcune asperità che contraddistinguevano il suono dei primi JEDEN ABEND per lasciare spazio ad un suono più pieno, che però non vuol dire piattamente uniforme, anzi trovo che il basso e la seconda chitarra abbiano acquisito maggiore autonomia, dando vita assieme alla chitarra di Massimigliano, ad un tessuto sonoro più composito. Ed è proprio da sopra questo piedistallo che si slancia la voce di Massimigliano che tocca vette inaspettate e corde di sensi remoti. Sono rimasti inalterati i testi, sempre ottimi, altro punto di forza di questo gruppo che malgrado il nome germanico canta in italiano. Gli episodi migliori del demo sono quelli in cui i JEDEN ABEND si dimenticano per un attimo della musica che li circonda per dare di quest'ultima un'interpretazione altamente personalizzata, rendendola cosa "diversa" e gradita. Mi piace pensare questo gruppo come un volatile che arrivato sul bordo del nido si ferma un momento a controllare che gli strumenti atti al volo siano tutti in ordine e poi si libra nel vuoto per imparare a volare. Bene, tutto è pronto, non resta che spiccare il volo! Vi saremo vicini.

Marziobarbolo




Spazio Interferente
News from the inside

Passata l'edizione '96 di Babeliche I NTERFERENZE ringrazia chi ci ha seguito per il secondo anno e tutti i gruppi che hanno suonato, Alberto Campo e Illusioni Digitali, sentendo l'importanza dell'iniziativa per l'Associazione. Vorrei raccontare in due parole l'edizione di Babeliche per ripensare all'evento in sé come organizzatori in previsione di future edizioni e dare una personale opinione riguardo alla situazione cittadina su questo argomento.

Come organizzatori siamo stati soddisfatti della partecipazione, degli interventi dei gruppi, della loro disponibilità e i dell'atmosfera che si è creata nelle tre serate.
Babeliche per INTERFERENZE significa poter dar corpo e visibilità ai discorsi e interessi dell'Associazione, entrare in contatto con chi condivide le nostre idee i nostri stimoli nonché un modo per creare una situazione virtualmente associativa. Sicuramente è da due anni occasione di condivisione, di incontro, di emozione.
Quest'anno ha significato molto soprattutto per il concerto. Infatti insieme all'Happening è stata l'unica occasione cittadina per ascoltare musica rock, proposta senza nessun nome di richiamo, ma dando la possibilità a gruppi del cuneese di sicura tecnica espressiva e con idee nuove di esprimersi, di farsi conoscere e di sperimentare sul campo le loro ricerche. L'entusiasmo, l'adesione che si è creata nella serata e la richiesta di ripetere l'esperienza sta a significare la necessità di situazioni del genere nella nostra città, che possono nascere spontanee con un minimo contributo del comunale e l'impegno e l'impegno disinteressato di alcune persone.
Il tema scelto quest'anno era veramente titanico: il digitale, non si potrebbe pensare di esaurirlo in qualche incontro speriamo però di aver creato interesse. Certo è che quando gli eventi sono così variè difficile valutare e forse non è neanche così importante.
La serata di Alberto Campo è stata di impronta storica e divulgativa mentre nella serata su Internet con ospiti Illusioni digitali si è cercato di affrontare in modo non banale, cercando di lanciare spunti, idee nuove per un argomento così attuale in evoluzione e che può essere affrontato sotto molteplici punti di vista.
Difficoltà nell'organizzazione?
Le solite: un mese dietro a carte, raccolta fondi e la ricerca di uno spazio, che manca, dove si possa ascoltare musica. Chi è venuto alle serate si sarà accorto delle gravi carenze tecnico-architettoniche e della inadeguatezza delle strutture comunali mentre l'attenzione del personale comunale va segnalata e ringraziata.
E i media locali, che attenzione hanno dato all'evento?
Si sono dimostrati molto disattenti tranne lo spazio riservatoci amichevolmente da Tanaro 7 che ringraziamo e (unico feedback) un'articolo sul "Corriere Langhe e Roeri" di Beppe e Katia Robaldo che ringraziamo da queste pagine. Per contro la stampa nazionale (La Stampa, La Repubblica nelle loro versioni regionali) han sempre segnalato e presentato con attenzione gli eventi.


Le attività dell'Associazione riprendono per il suo secondo anno: infatti un anno fa di questi giorni nasceva ufficialmente davanti al notaio INTERFERENZE. Da un anno siamo ancora in attesa della sede, di uno spazio che possa permetterci di avere un contatto diretto, continuo e più ricettivo con chi condivide con noi certi interessi e la voglia di ascoltare qualcosa di diverso, di fuori dal coro.
Quest'anno, come è stato deciso dal consiglio di gestione tenutosi pochi giorni fa, lo sforzo maggiore sarà per la creazione di un archivio permanente che possa servire ai soci come documentazione e in previsione come mediateca per chi ci verrà a trovare nella tana. Inviateci le vostre idee per acquisti intelligenti, anche impossibili. Viste le non esagerate possibilità finanziarie dell' Associazione e soprattutto per creare un qualcosa con il contributo di tutti (spirito associativo) se alla sera registrate qualcosa di particolare alla televisione in tema con la musica e con i linguaggi artistici: portateci la videocassetta vi pagheremo il costo e così metterete qualcosa a disposizione di altri. Contribuirete a far crescere un'idea e si condivideranno con altri.
Speriamo che quest'anno si arrivi a vivere maggiormente la realtà associativa finora vissuta sempre in maniera fugace: in "uscite esterne" o in pochi altri momenti. Speriamo in questo di essere favoriti anche dalla presenza di uno spazio che non può più tardare ad arrivare e tra l'altro promessoci più volte.
Vi stiamo preparando e ci stiamo preparando delle belle sorprese seguiteci più da vicino, costruiamo ad Alba una realtà che non c'è mai stata ma che abbiamo sembre desiderato ci fosse.

Johnny




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mauro decastelli
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parallelo zero

Cinema rock.
il cinema d'animazione secondo Vincenzo Gioanla

VINCENZO GIOANOLA fa videoclip musicali. La definizione non va presa come un insulto: non si tratta di raffinati quanto prevedibili veicoli promozionali per brani musicali più o meno di successo, e nemmeno di lambiccati "arredi virtuali" che tentano di dare un corrispettivo visivo a musiche dall'elevato contenuto tecnologico. Vincenzo Gioanola è uno sperimentatore. Con ciò non si intende parlare di un cineasta che destruttura il racconto filmico, o "straccia le palle" con sovrapposizioni di inquadrature. Vincenzo Gioanola, infine, fa cartoni animati. O meglio, cinema d'animazione, che è diverso... ma non troppo. Insomma, che cosa fa Vincenzo Gioanola?"Boogie" (1982), il suo film d'esordio, chiarisce tutto: si parte da una canzone ("Boogie Woogie" di Paolo Conte), e il film le si costruisce attorno non solo seguendo la scansione ritmica del pezzo, ma anche traducendone in immagini il testo. In questo senso è qualcosa più di un videoclip: non c'è la vaga evocazione di un'atmosfera, ma la transcodificazione passo per passo della canzone; c'è l'impatto visivo, fatto di immagini cangianti e metamorfosi a catena, la cui velocità è data dalla particolare tecnica impiegata da Vincenzo, il dipinto direttamente su pellicola (o su carta): e con lo sperimentale, anche se non più d'avanguardia, ci siamo... Poi, se non ci sono attori di carta che riconducano all'idea classica di "cartoon", ci sono eventi riconoscibili e riconducibili al testo della canzone, figure in costante movimento, un tocco caricaturale e umoristico: insomma animazione "pura" di macchie di colore e cartone animato fusi assieme. Nello stesso anno di "Boogie" esce "Garybaldy Blues": se il primo era lussureggiante e traboccante di colori come l'immaginario tra Sudamerica e Belle Epoque di Conte, questo è asciutto come lo swingante blues che fa da colonna sonora ma carico di umorismo come il testo, autentico nonsense inventato di sana pianta sul tema della spedizione dei Mille, che cita in ordine sparso l'inevitabile "Garibaldi fu ferito...", Bixio "da Busto Arsizio", Anita "la preferita", il Re che "A Teano gli strinse la mano" facendogli un gran male. Conclusione con Garibaldi che balla a tempo di blues con la sagoma dell'Italia, mentre un "W?" sintetizza il dubbio per l'entusiastico finale "Viva l'Italia unita, viva...". Intromettersi nella Storia con un cartoon? Gioanola farà ancora di più in "Russian Roulette" (1985): di nuovo una canzone originale, ed è un combat folk incazzoso degli irlandesi Moving Hearts, dall'eloquente titolo "Hiroshima-Nagasaki Russian Roulette". Non ho avuto modo di verificare le corrispondenze testo- immagini, ma il film è talmente drammatico che parla da solo: NO NUKES! (gli anni sono più o meno quelli...).Nella continuità tecnica Gioanola dimostra un invidiabile eclettismo del gusto musicale e spettacolare: "9 secondi e mezzo" (1986) è un'autentica presa per i fondelli del celebre film con Mickey Rourke e Kim Basinger in cui due conigli copulano freneticamente (con un campionario di tutte le pratiche sessuali più o meno note...) nel tempo indicato dal titolo, senza alcuna base musicale, mentre i titoli di testa e di coda riprendono il tormentone di "You can leave your hat on". L'effetto di questo brevissimo film è dirompente: pura comicità slapstick con in più la spregiudicatezza dei giorni nostri. "Tobacco Road" (1986) è dipinto su carta, e si vede: l'animazione è più ordinata, meno folle, anche perchè supporta un messaggio che deve essere compreso dai più giovani: il pericolo del tabagismo. La storia è semplice: il teenager protagonista vede che tutti i suoi idoli (Humphrey Bogart, il motociclista, il latin lover) fumano la sigaretta e prontamente li imita; il film in sè è un po' goffo, tra il pezzo musicale che non manca mai, un technopop (molto anni '80 nei suoni) con il testo "rappato" che al solito funge da serbatoio di immagini, e la speaker che si inserisce sul finale elencando i danni del fumo sugli adolescenti, ma data la sua destinazione educativa se ne comprende il perché. Dopo il più ornamentale "Dobrodolska Hora" (1989), su musica solo strumentale dei 3 Mustaphas 3, passano alcuni anni prima di vedere di nuovo qualcosa firmato Gioanola, ma "Fight da Faida" (1994), costruito sull'omonimo brano del rapper italiano Frankie Hi-Nrg Mc ripaga le attese e fa il botto, non rimane un bel pezzo di cinema d'animazione per pochi estimatori, ma passa su Videomusic facendo valere tutti i suoi pregi di videoclip musicale, senza cambiare una virgola quanto a stile. Le parole arrabbiate di Frankie Hi-Nrg Mc sono sassi scagliati contro la generale inettitudine del governo italiano e contro le sue connivenze con il potere mafioso, e Vincenzo da par suo segue passo per passo i virtuosi scioglilingua con immagini ancora più crudeli di quelle di "Russian Roulette": maiali in doppiopetto, defecazioni, forbici che tagliano qualunque cosa, uomini che finiscono nel tritacarne, sparatorie, ecc. Una congerie di mutazioni reciproche che restituiscono un malessere civile non più nascondibile e censurabile: se questo non è cinema civile... "Fight da faida" sigilla per ora la carriera di Gioanola, ma un nuovo film è in cantiere, che dovrebbe mettere in fila la trasposizione visiva di alcuni titoli di film pornografici in maniera parodistica; sarebbe il suo primo film "a soggetto", secondo certa terminologia cinematografica, ma è meglio ribadire quanto la musica sia stata un solido soggetto e una sincera ispiratrice per l'artista torinese, soprattutto pensando a quanto la critica ufficiale si affanna a individuare nuovi campioni della sinestesia cinema/musica tra i registi che infarciscono i loro film con una colonna sonora rock: clamoroso equivoco...

Madmanmoon




Perfezione e nevrosi:
il genio di Gustav Mahler

Il più grande compositore austriaco del '900 fu scoperto come tale solamente intorno al 1960; e solo in questi ultimi trent'anni le sue opere hanno trovato la meritata collocazione nel grande repertorio sinfonico, raggiungendo una popolarità che certamente costituisce uno dei casi musicali più interessanti del nostro secolo. Non poco contribuì alla diffusione della sua fama il regista Visconti, che utilizzò l'Adagio della sua Sinfonia no.5 nel film "Morte a Venezia".
MAHLER (1860-1911) è stato il più famoso direttore d'orchestra europeo, fino all'arrivo del grande Toscanini. Per molti mantenne questa superiorità anche dopo.
Fu uomo dalla personalità artistica e psicologica estremamente complessa, in preda a grosse nevrosi ossessive, che lo costrinsero a chiedere l'assistenza di Sigmund Freud, padre della psicanalisi. Freud lo esaminò molto attentamente, fu colpito dalla sua genialità, ma non riuscì a fare nulla per lui. Uno dei sintomi caratteristici della sua nevrosi era la perenne preoccupazione per problemi di cui la stessa natura impedisce una soluzione logica: l'eterno problema della vita, dell'esistenza dell'aldilà, della presenza del dolore e della morte.

MAHLER ebbe fama di direttore-tiranno. Personaggio scorbutico, a volte anche villano nel comportamento, cercava in modo ossessivo la perfezione. Era dotato di una resistenza non comune alla fatica; i musicisti mediocri che gli capitavano sotto avevano vita difficile.
Da un punto di vista storico-musicale MAHLER si colloca nel tardo-romanticismo viennese, in un mondo che sta per finire, in una civiltà che va scomparendo.
Grandissimo in campo liederistico, altrettanto grande come sinfonista, le sue sinfonie sembrano colossali affreschi, in cui si rilevano marcati contrasti nell'uso dei mezzi espressivi e nei contenuti. Si passa cioè da temi celestiali a momenti di disarmante banalità o preoccupante volgarità, da marce funebri a suggestivi adagi, da momenti di grande spiritualità a momenti grotteschi.
Il sinfonismo mahleriano ha poi delle caratteristiche peculiari. La sinfonia allarga le sue dimensioni (5 o 6 movimenti), aumentando il numero degli strumenti e dei componenti del coro. Si arriva così al gigantismo sinfonico già toccato da Beethoven nella sua nona sinfonia, da Wagner in campo operistico, e da Bruckner. Un'altra caratteristica è l'uso che MAHLER fa degli strumenti musicali. I violoncelli ad esempio suonano nei loro registri più acuti, perdendo quella pastosità, quel calore loro propri nei registri medi. All'opposto strumenti dai suoni più brillanti sono costretti ad operare nei loro registri più gravi. Ma non finisce qui: allo scopo di ottenere sonorità ed espressioni nuove, addirittura fa scordare il violino, per ottenerne un effetto diabolico. Questi procedimenti con le forzature sugli strumenti si trovano anche nella "Fantastica" di Berlioz o nella "Danza macabra" di Saint-Sæns. MAHLER nelle sue sinfonie usa poi delle melodie popolari, marcette varie, che sanno di banale.
Schoenberg e Berg davano vita in quel periodo all'atonalità. MAHLER invece rimane radicato alla tonalità, anche se la spinge ai suoi limiti estremi.
Si sa che MAHLER, su ispirazione di Berlioz, per le sue prime tre sinfonie elaborò un testo di accompagnamento, tuttavia voleva che nessuno ne parlasse. Lui voleva infatti che, una volta scritte e sviluppate, le sinfonie venissero percepite come musica assoluta, cioè senza programma, senza alcuna mediazione. Le indicazioni date cioè potevano essere rimosse, così come si può rimuovere un'impalcatura quando la costruzione è finita.

enne.ci.




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Terzo e ultimo: l'esaudimento.

L'album The starres are marching sadly home conclude il ciclo-trilogia Theinmostlight e riprende dopo i tredici brani di All the pretty little horses la struttura a brano unico del primo: Where the long shadows fall. La durata è di circa venti minuti. Durante questo breve tempo che immaginiamo coincidere con il momento-attimo del risveglio, un tempo nullo ancor più se a svegliarsi è un bambino in parte assonnato e con la fronte incredula, succede che dall'interno ci illumini una luce tutta interiore, un po' come quella propria del santo, l'aureola raffigurata in oro dai pittori; una luce altrimenti inattingibile, non fisica, non solare, nascosta in noi per accompagnarci al risveglio. È lo stato dell'aumentata luminosità della mente e della graduale trasfigurazione del corpo. Nel testo vi si allude nella forma di 'fontana dell'oro', sorgente di freschezza, simbolo di un tempo azzerato; stimolo, nella sua geometria verticale ridotta ad un punto, per vedere, osare il Paradiso, "the Teeth of Paradise". E nello sguardo, nel lambire con l'occhio, si incontrano, riunite, la luce della conoscenza e il calore del cuore; questa luce si irradia nelle forme di una semplice melodia sussurrata fra palato e labbra per cullare il bambino in preda all'ansia, alla feroce e insopportabile presenza del mondo. "Ma il Buddha risplende irraggiante giorno e notte" (Dhammapada, 387), ci dicono i testi sacri indiani: "It is all empty", tuttoèvuoto, privo di realtà, si ripete nel testo, a farlo è la voce di David Tibet, creatore dei versi. Qui e là una parola sale di un tono sottolineata dalla voce di Andria Degens che, con la sua presenza, crea l'alternanza maschile femminile. Il poema, terribile e tragico, sebbene lontano, rarefatto, esprime un senso di congedo amaro e pessimistico, poi ad un tratto il quadro cupamente malato ruota su sé stesso e si capovolge. L'oscurità ferale, nel penultimo passaggio letto dalla voce femminile, in cui ogni senso nemmeno più trattenuto dal linguaggio sfuma, subisce un superamento; le parole scandite si animano in una filastrocca-ninnananna: "Hush You bye/Don't You cry...When You wake/You shall ride...Down in the meadow". E con forza radiosa essa illumina la magmatica abbondanza del negativo su una linea di senso non più allucinatoria, ora riportata alla semplicità dell'infanzia. Si intrufola, dopo un ossessivo 'buzzing', la flebile voce del bimbo: "When You wake You shall ride all the little pretty horses", caro desiderio e speranza per