ANTEPRIMA


CYPRESS HILL
Unreleased & rewamped (ep)
(Sony 1996)

Sarà che in questi cipressi scorre anche un po' di linfa italiana, ma c'è qualcosa nella loro musica che indubbiamente mi attira e mi abbaglia. E' come sentire stampata su un cd la propria parte più scura venire fuori.
Ho un rapporto strano con la musica dei CYPRESS HILL. Già ascoltando per la prima volta Black Sunday avevo provato un senso di rifiuto, mentre dopo pochi altri ascolti sono arrivato ad amare morbosamente le sue atmosfere cupe e dense. Anche questa volta, pur essendo ormai un amante del gruppo californiano, c'è voluto un secondo ascolto per apprezzarne la qualità. Quest'album è composto da remix (uno dei quali dei Fugees) e missaggi vari che potenziano nella magia sonora canzoni già affascinanti come Hand on the pump o Hits from the bong.
Le atmosfere sempre molto spettrali di uno dei più grandi gruppi rap del momento catturano ancora volta l'ascoltatore con suoni ipnotici e tetri, in cui compare stridente la voce nasale di B-real.
La qualità dei suoni dei cipressi vi rapirà nel corso dell'album, tra fruscii al vinile e intermezzi quasi horror; i CYPRESS HILL rendono sempre più solide le scheletriche strutture della loro musica, dalla lenta e fatale Whatta you know alla più essenziale e ritmata Throw you hands in the air fino ad una straordinaria When the ship goes down.
E ancora culto della Marijuana, toni minacciosi e vari "muthafucka" sparsi qua e là per le tracce di quest'album dalle sonorità suadenti ed inquietanti.
Una nuova, languida esperienza di funerario piacere e di grande impatto che conferma la mia opinione sui CYPRESS HILL: se non il miglior gruppo hip-hop, di certo il più affascinante.

Godot



TYPE O NEGATIVE
October Rust
(xxxxx, 1996)

Finalmente, tre anni dopo lo splendido Bloody Kisses, i TYPE O NEGATIVE tornano a proporre la loro opera. October Rust sembra confermare ciò che tutti già sanno, ossia che il gruppo di Steele non è più quello che aveva debuttato col feroce e tragico Slow, Deep and Hard e che il talento dei quattro musicisti in questione è fuori discussione.
Quest'ultimo album pone sempre più l'accento sul lato gotico del suono dei nostri, ergendolo a manifesto sonoro, mentre il senso di totale negatività che ha sempre pervaso la loro musica è qui rarefatto e anzi, a tratti, del tutto assente. Steele parla sempre di donne. Ferocemente odiate nel primo album, perversamente deviate nel secondo, morbosamente complici ora; e questa complicità pur malata è per Steele fonte di serenità, aspetto che per la prima volta fa capolino tra le note di un suo lavoro.
Ma certo non è musica solare. E allora l'atmosfera che si respira è la stessa di un decadente, languido e lascivo melodramma fatto di deviazioni sessuali e perversioni emotive. Amore e morte secondo Nosferatu. Si passa dall'iniziale Love You to Death, dove la sottomissione viene innalzata a credo amoroso, attraverso la iper-gotica Red Water, il perverso compiacimento di My Girlfriend's Girlfriend fino alle conclusive Wolf Moon, licantropico inno lunare, e Haunted, lentissimo e apocalittico affresco doom-dark nel quale tutto è sommerso dalla catacombale e maestosa voce di Peter.
Non solo note liete, però. Forse per la prima volta in questo lavoro dei T.O.N. appaiono due pezzi, In Praise of Bacchus e soprattutto Die With Me, che mostrano uno Steele poco ispirato e piuttosto scontato. Si può anche rilevare una sorta di pomposità troppo autoindulgente che percorre l'album per tutta la sua durata.
Ma una cosa è certa: in un panorama di desolanti band che ci presentano il loro gothic-sound colmo di infantilismi e banalità, l'intensa espressività e la luciferina ispirazione di Steele e soci si ergono inavvicinate.
Ne uccide più la lingua della spada. E', apparentemente, la miglior descrizione di Peter Steele, delle sue idee strane, integraliste, che hanno finito per offuscare il talento musicale. Ma, diciamolo: anche la stampa musicale -depositaria del nostro portafogli - ha dato il suo bel contributo di miopia. Quella italiana non fa eccezione. Pressoché‚ unanime il giudizio: October Rust sarebbe la logica (d)evoluzione stilistica di chi pensa solo al denaro. Vediamo qualche giudizio in dettaglio. Spietata l'arringa del direttore di Rumore, Claudio Sorge, che riduce il disco ad una "torbida gelatina dark" e Steele ad una "caricatura [...metal...] di Phil Spector", accusandolo di commercialità (nda: e così ha fatto il suo gioco). Altrettanto severo il parere di Mohdi Broggi (Dinamo!). Vede in questo album - molto diverso dal precedente - una "non approfondita rivisitazione dei Dead Can Dance", "monotono, banale" a causa delle "molte, forse troppe tastiere". Più moderati Paolo Giordano (Metal Shock) e Stefano Cerati (Flash). Il primo definisce il disco "un'occasione perduta": il dark storico (quello dei Bauhaus) sul "lettino dello psicologo". Il secondo, pur puntando il dito sull'eccessiva "uniformità di temi musicali, si sforza di comprendere il singer americano, sottolineando che con gli anni soltanto ha stemperato la sua amarezza". Definitelo come meglio vi piace: è la singolarità del personaggio e della sua musica a far sì che quest'album - ormai lontano dagli esordi e forse inferiore - si distingua nell'asfittico panorama del rock. O, se preferite, come benissimo ha detto Beppe Riva di Rockerilla (il quale, manco a dirlo, lo ha descritto positivamente), "uno dei grandi album dell'anno".

Vincenzo Capitone



ORBITAL
In sides
(1996)

Reminiscenze di biologia apprese ai tempi del liceo mi dicono che l' "orbitale" è quell'area intorno al nucleo dell'atomo nella quale si può dare per assai probabile l'esistenza di almeno un elettrone dotato di una certa energia. Quando si vuole dare una rappresentazione grafica dell'atomo nella maniera più classica - un pallino-nucleo circondato da altri pallini orbitanti a varia distanza, con le loro traiettorie nitidamente tracciate - si deve perciò sempre tenere presente che quelle "orbite" non sono fisse e immutabili, ma possono cambiare raggio e angolazione in maniera continua e "fluida"... Tutta questa premessa pseudo-scientifica per arrivare alla constatazione che sì, la musica dei fratelli "orbitali" Paul e Phil Hartnoll ha davvero molto a che fare con il nome che si sono dati. Partiamo per esempio dal primo brano di questo loro In Sides: The girl with the sun in her head ha uno sviluppo molto lento e meditato, basato su una traccia melodica che si ripete circolarmente per un certo numero di volte, poi avviene una lieve mutazione armonica o ritmica, e più avanti un'altra e un'altra ancora, ma senza che l'idea di partenza ne risulti stravolta; così su una struttura simile si svolgono i brani più compatti di In Sides come Adnans e Dwr Budr, mentre Outwhere Somewhere e la meravigliosa The Box sono più lunghe e frastagliate, vere e proprie suites in più movimenti: ogni traccia è dunque un orbitale, in rotazione dinamica e variabile, non monotona, attorno a un nucleo che è l'essenza stessa della "canzone"... Ma In Sides non è solo puntuale esplicitazione di una struttura di natura. In Sides è anche un manifesto di pura ecologia musicale: ricicla idee (campionamenti, sissignore), utilizza materiali non inquinanti (The girl... è stato registrato sfruttando l'energia elettrica prodotta da un generatore solare), segue il ritmo naturale dell'atomo. E gli ORBITAL sono un gruppo "elettronico" (in ogni senso!) che non deve fare i conti con le altre formazioni di area elettronico-ambient: utilizzano sintetizzatori analogici anzichè digitali; sfruttano le intuizioni della "jungle" ponendo l'accento non sul momento percussivo ma su quello di sospensione del ritmo (di fatto In Sides non è studiato per "serate danzanti"...); non si presentano come un gruppo "senza volto" nascosto dietro un'abusata imagerie tecnologico-virtuale, ma come esseri umani visibili che rilasciano interviste e fanno concerti. Un atteggiamento preciso dei fratelli Hartnoll che si riflette nell'espressività della loro musica, al di là di qualunque struttura: il suono di In Sides ha un respiro "drammatico" (penso soprattutto a The Box, uscito peraltro come singolo e corredato da un video molto cupo di ambientazione urbana) sconosciuto ad altre formazioni, ed è ricco di melodie struggenti, piuttosto che di pulsazioni elettroniche di scuola minimale-seriale-colta. E pensare che In Sides non è perfetto come il precedente album, Snivilisation...

Madmanmoon



SKINNY PUPPY
The Process
(American, 1996)

In 'Doom', recente pellicola di Gregg Araki sul 'mondo' giovanile, i membri degli SKINNY PUPPY interpretano la parte dei teppisti. Ruolo azzeccatissimo che vale a descrivere, in un modo più simbolico che pittoresco, il talento non comune di questa band canadese. Sono passati tredici anni dal loro primo ep 'Remission' e proprio non si vedono: quest'album è effettivamente stato un "travaglio" per il gruppo. Prima l'incendio degli Shangri-La Studios a Malibu, dove stavano registrando (1993). Poi la morte per overdose del tastierista Dwayne Goettel. Infine l'abbandono del 'mago del suono' Roli Mosimann. Non importa: il disco è finalmente arrivato in porto. Le iniziali Jahya e Death ci proiettano immediatamente in una dimensione surreale, creata da una base elettronica su cui si sviluppano campionamenti (di chitarre), voci, rumori fino alla nascita di un sottofondo ritmico. Audioscultura, come ha efficacemente sentenziato lo 'Skinny' Cevin Key. E' un gioco sonoro di luci e di ombre, più evidente nell'apertura schizoide di Hardset Head, più soffusa nel maestoso techno-pop (sentite le tastiere!) di Cult o nei ritmi squadrati della title-track. Si finisce con la tempesta ultra-noise di Cellar hea'. Non so voi, ma io ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad un gruppo di valore assoluto: comincio veramente a capire da dove vengono le cupe sensazioni metalliche di Al Jourgensen e le affannose drum-machines dei Front Line Assembly. Sembra qualcosa di naturale, ma gli SKINNY PUPPY al passo d'addio (il leader Nivek Ogre si dedicherà ai suoi Welt) ci regalano un capolavoro molto "denso". Denso di rumore e di melodia.

Vincenzo Capitone



WORKMAN
Suffering Reaction
(Supporto Italiano)

Personaggio volutamente atipico e schivo questo polistrumentista perugino - Seghetti Piero in arte Workman -. «Ascolto di tutto, dai Led Zeppelin ai Voiod, dai Killing Joke ai Savatage.Ma non c'è nessuna influenza definitiva. Assorbo di tutto». Ce ne siamo accorti, caro Piero.
Dal 1988 ha già inciso altri due demo-tapes (a nome Thumbscrew) e negli ultimi anni ha diradato le sue performances pubbliche, oltre ai contatti con la stampa. Ora è tornato riproponendo le sue provate capacità di one man band. La cassetta si caratterizza per la quasi totale assenza di testi. La breve introduzione ci proietta in Flowing Madness, un brano-manifesto. Rappresenta effettivamente l'album: una sorta di power trash (qui è presente anche la classica voce cavernosa) tinteggiata da momenti più tecnologici e squarciata - talvolta - da rilassanti melodie. Non cambia il registro in Deadly Circle dove si comincia ad intravedere la sua perizia chitarristica (alcuni passaggi in puro Satriani-style) e l'incredibile martellare del basso. Forse meno interessante il secondo lato. Ho però apprezzato tantissimo Thumbscrew brano di metal (?) ipertecnico, dall'assolo allucinante, ma che sembra suonato da quei pazzi e scalcinatissimi Cows. Ottimo il finale: melodico, poi pesantissimo con tastiera di sottofondo.
«Il demo è servito come premessa per un gruppo "in fase di decollo", composto da quattro persone. Ma senza quel demo non potrei fare nulla. Il cantante (nda: diversamente da ora) sarà fondamentale, perché messo parecchio sotto pressione!».«Cercheremo di mettere d'accordo la spazialità delle tastiere con i gusti di ciascuno (al nuovo bassistapiacciono i Red Hot Chili Peppers) ». Ascoltatelo, non ve ne pentirete.

Per contatti rivolgersi a:
Piero Seghetti, Via Sacco e Vanzetti n.12, Tavernelle (PG)-tel.075/832437.

Vincenzo Capitone



AREZZO WAVE millenovecentonovantasei

Un gran bel compleanno, non c'è che dire. Arezzo Wave ha fatto 10, anzi ha fatto 13 diciamo noi! Quella appena conclusa è stata una cinque giorni davvero buona durante la quale abbiamo potuto assistere a diverse esibizioni dal vivo, molto eterogenee e varie, non per questo qualitativamente scadenti. Anzi, è stato proprio uno degli anni più belli sia per la scelta degli artisti, sia per l'organizzazione. E' stato l'anno della svolta: Arezzo Wave 1996 diviene un festival per le famiglie!!! La scelta dello stadio quale sede del main stage implicava considerazioni di tal sorta già a priori senza attendere il responso del campo. Il netto miglioramento delle strutture igieniche e degli stands gastronomici (ma forse la parola stands in questo caso limita e non descrive appieno quello che a tutti gli effetti era da considerare un servizio di ristorante), la novità del Kinder park, tutto questo ha contribuito ad avvicinare le famiglie (finora diffidenti) e ad elevare l'età media dei presenti. Seppur contrario a questa nuova sistemazione devo riconoscere e fare un plauso all'organizzazione per aver compiuto un lavoro ottimo, anche se l'affluenza del pubblico mi è parsa minore rispetto alle edizioni precedenti. Sicuramente non è colpa di FOSSATI, primo big ad esibirsi nel main stage; invitato come padrino della manifestazione, il cantautore ligure non ha tradito le aspettative della vigilia esibendo un repertorio mirato più al gusto che al business: Terra dove andare in evidenza, ma anche Panama molto bene eseguita. Grande attesa per la serata di giovedì dove era data in scaletta la presenza di due tra le più attive formazioni del britpop: LEEPER e SKUNK ANANSIE. Delusione per il gruppo capitanato da Louise Wener: snob, freddi, sottotono si sono fatti notare solo per la bellezza della singer; ci sono sembrati inadatti ad un'esibizione live. Sicuramente i loro brani acquistano una certa rilevanza solo in sala di registrazione: bocciati! All'estremo opposto gli SKUNK ANANSIE: il loro Paranoid & Sunburnt ha fatto centro; quello che ha maggiormente colpito chi era ospite della serata è stato il fisico "olimpico" di Skin, voce e leader del gruppo. Fisico asciutto e gran ritmo, Skin non ha fatto altro che saltare su e giù per il palco, senza un attimo di tregua, incitando il pubblico ad applaudire e a pogare. Evidentemente sorretta da una preparazione fisica degna di una atleta, la "coloured" ha messo in vetrina una voce da esportazione, accompagnata ottimamente dalla band: energia e melodia, grinta e canto poetico da far invidia persino a Whitney Houston. La serata dub del venerdì era introdotta dalla presenza dei KARMA (seconda partecipazione nella provincia in un mese) allo Psyco Stage: purtroppo mi sono perso metà concerto, comunque si capiva a chius'occhi che questi erano i veri KARMA, non quelli dei San Giovanni. Cosa resta è stata introdotta dal bellissimo gesto di Moretti che ha dedicato questa canzone e un saluto al compianto percussionista di Jovanotti, in nome di una solidarietà tra artisti che va ben al di là di convenzionali classificazioni tra generi musicali. Dopo l'ora del crepuscolo erano di scena gli ALMA MEGRETTA, di cui non ho potuto apprezzare appieno le qualità; infine chiusura con i RENEGADE SOUNDWAVE, ritmi da trip-hop ad alto voltaggio, inframezzati da splendide cavalcate psichedeliche. Il giorno seguente vedeva protagonisti i LOS FABULOSOS CADILLACS, gruppo argentino travolgente e arrembante, famoso in tutto il mondo e presente qui ad Arezzo a coronare un tour mondiale da paura!! Inutile presentare Matador brano che li ha consacrati nello star-system grazie al suo tambureggiante e brillante sound che molti altri artisti invidiano. Tutti aspettavano questo pezzo e i LOS FABULOSOS lo hanno capito, infiammando la platea che fino a quel momento si era "controllata". Dopo è stato il finimondo, fioccavano bis a ripetizione in un tourbillon davvero entusiasmante. Era dai tempi dei Manonegra (un lontano Arezzo Wave che aveva dimora nella fortezza medicea) che non assistevo ad uno spettacolo così esuberante. Si può dire che Arezzo Wave '96 ha trovato la sua bandiera nei LOS FABULOSOS. La serata finale di domenica è stata altrettanto interessante (ma difficile da gustare perché ero oramai sazio dal sabato): SCISMA (giovane band italiana molto promettente) e MAU MAU su tutti. Il gruppo torinese si è confermato uno dei più pimpanti nel panorama etnico nazionale, ed ha sfoderato i brani estratti dal recente Viva Mamanera a conferma di un impegno sociale molto forte e vivo. Per concludere, un'annata da incorniciare con la speranza che Arezzo Wave 1996 non sia un punto di arrivo per Mauro Valenti, colui che con i suoi collaboratori ha creato una porta dove prima era il vuoto. A te Mauro, i migliori auguri e complimenti da parte del sottoscritto; che questa porta diventi presto una grande casa!!

Swan



Spazio Interferente
La rubrica dell'Associazione


«C'è bisogno di terrorismo. Terrorismo culturale, non sporca ma fa male: viene combattuto aspramente, perché disorienta le coscienze».
David Sienkiewicz


Perdonate la citazione provocatoria: in realtà questa paginetta, per lo più innocente, vuole solo spiegare ciò che ruota attorno al giornale: un'idea, qualche progetto: perché questo lavoro?
È stata una risposta ad una necessità naturale.
Necessità naturale, fisica: i media non danno spazio al pensiero non-convenzionale, soprattutto quando viene da subito etichettato come "giovane": per carità, la libertà di espressione è garantita nella forma, ma costretta nei canali della cultura ufficiale, accademica, o, peggio del peggio, "massificata". La cultura di massa ha i suoi vantaggi, certo: teneteveli pure, non ne vogliamo parlare: ci interessano molto più i difetti: la cultura di massa è ottusa e rende ottusa le menti, pigre: appagate e sostanzialmente inerti, illuse da un facile ottimismo da quattro soldi: noi non vogliamo guardare al domani con sorriso ebete: il pessimismo è l'angolo acuto dell'intelletto, l'ottimismo è l'angolo ottuso: e c'è gran bisogno di pungere, di crivellare.
Interferenze deve diventare un mezzo, un canale per diffondere il pensiero, il lavoro di chi non trova spazio altrove. Si potrebbe parlare a lungo di questi problemi: la massificazione del rock e della musica cosiddetta "alternativa": noi stessi ne siamo comunque toccati: tempo al tempo: se ne parlerà prossimamente: ora andiamo al sodo.
Nel gennaio di quest'anno è ufficialmente nata INTERFERENZE, un'associazione culturale senza fini di lucro che ha lo scopo di diffondere tutte le forme di linguaggio: musica, teatro, cinema, pittura, letteratura,... utilizzando mezzi diversi: è un'associazione "multimediale", che si vuole servire della carta stampata (blu!), delle cassette (audio e video) e delle tecnologie avanzate (cd-rom, reti telematiche). Se il giornale è stato il momento di inizio che ha coinvolto un gruppo tutto sommato ristretto tra amici e collaboratori vari, le iniziative intraprese più avanti sono diventate sempre più consistenti. Di stare stretti stretti in quattro pagine proprio non ne abbiamo voglia.
Il nostro obiettivo principale è l'apertura di una sede al pubblico, cioè agli associati, che potranno ascoltare quello di cui scriviamo e tutto il materiale raccolto fino ad ora: demo, videocassette, fanzine, riviste. Pazienti, aspettiamo che il Comune di Alba ci assegni uno spazio dove traslocare con tutta la mercanzia, ma i tempi della burocrazia sono difficilmente prevedibili e allora ...
Sta, invece, già dando buoni frutti l'ultra-sito su internet, che è alternativa virtuale ad uno spazio fisico: con il modem, potete venire a trovarci ogni volta che vi và: indirizzo: http:\\www.arpnet.it\~interf e http://www.archimede.com/interf/default.html. Abbiamo avuto occasione di presentarlo anche in pubblico durante due manifestazioni torinesi: a Mediasuq, organizzata dall'Associazione Culturale ID, con il contributo della Città di Torino e della Telecom Italia (era settembre, finiva l'estate); e al recente Salone della Musica, dove abbiamo conosciuto iniziative simili alla nostra, realizzate in altre città italiane.
L'ultimo progetto a cui accenno è la nuova edizione di Babeliche, che movimenterà i sabati albesi a cavallo tra novembre e dicembre. La formula sarà più o meno la stessa dell'anno scorso, che aveva ottenuto un buon successo: un concerto, un incontro sulla musica elettronica (parteciperà il giornalista Alberto Campo), e una dimostrazione pratica di come funziona Internet, fatta in collaborazione con la Telecom: presentazione del nostro sito e navigazioni guidate sulla rete.
Ben bene, giovani uomini e giovani donne, tempo è ormai di saluti, baci e abbracci. Spero che potremo vederci tutti a Babeliche. Confido in voi. E mi scuso anche: sì, perché gli ultimi numeri di Interferenze blu vi sono arrivati in ultra-ritardo e fate bene a lamentarvi: ma sappiate che le cause non sono dovute alla nostra poca volontà, ma piuttosto ai nostri pochi soldi e a problemi di distribuzione. Non mollateci! Ricordate che le uniche entrate del giornale sono i vostri abbonamenti!
Alla prossima.

Sakurambo



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INTERFERENZE

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Babeliche '96

Sabato 30 novembre
Concerto: jeden aben, unwelcome, martello di Ester, la Zona

Sabato 7 dicembre
Alberto Campo: la musica elettronica come nuovo punk

Sabato 14 dicembre
Internet: musica on-line, come si ascolta e cosa si produce

nella sala del Palazzo Mostre e Congressi
INGRESSOLIBERO



"...chi ama non dorme."
Le veglia del musicista Elisa nel romanzo di Robert Schneider

Il primo romanzo di ROBERT SCHNEIDER, ex-studente di musica del Conservatorio di Vienna, ha creato un caso letterario nei paesi di lingua tedesca conquistando spazio nelle cronache letterarie e ambiti riconoscimenti. L'opera prima di questo studente di musica dall'intensa capacità immaginifica ha qualcosa di strabiliante e visionario, tanto da richiamare paragoni con i più grandi autori della letteratura sudamericana. Il paese di Eschberg, sulle Alpi austriache degli inizi dell'800, è una piccola Macondo e le vicende del giovane Johannes Elias Alder, musicista geniale e incompreso e amante infelice, dalle prime pagine lasciano intuire un destino tragico e grottesco che ricorda molto le atmosfere dei romanzi di Garcìa Màrquez e gli insoliti e tragicomici destini di un Aureliano Buendìa o di un Florentino Aziza. Come nella tradizione delle fiabe nordiche, però, l'amore e la morte sono fortemente intrecciate e sconfinano nell'orrido e nel mostruoso con la descrizione cupa di personaggi malvagi e deformi e la presenza inquietante di un Dio che sembra giocare, beffardo e crudele, con le sofferenze degli uomini. Elias nasce con una sensibilità musicale straordinaria che stupisce e turba profondamente i genitori e la piccola comunità del villaggio. E sembra veramente di assistere, leggendo queste pagine, all'esecuzione di una maestosa sinfonia iperromantica di disperazione e di amore. Poche volte, credo, la musica ha avuto un ruolo protagonista come ne Le voci del mondo. La confusa e meravigliosa sinfonia di suoni e rumori naturali percepiti da Elias nel delirio nel quale si immerge in uno dei momenti più carichi di suggestione del romanzo, infatti, "suona" davvero come una pagina di musica d'avanguardia, che ricorda i Momente di Karlheinz Stockhausen.
«Tempeste di suoni e rumori si abbattevano sulle orecchie di Elias con inaudita violenza. Un pandemonio di battiti cardiaci, uno scricchiolare di ossa, un ronzare modulato di infinite vene e arterie... il frusciare dei capelli e quello più selvatico del pelo animale... l'urlo del sangue... per non parlare del forsennato caos di voci umane e versi animali sulla terra e nelle sue viscere...».
Lungo le rive del fiume, su una misteriosa lastra di roccia levigata, quasi "un'impronta del piede di Dio" si apre al suo orecchio uno scenario fantasmagorico di "grida e chiacchiericci, strilli e mormorii... fino all'ultimo risuonare delle corde vocali sulle porte del silenzio e al ronzio metafisico dei pensieri. E poi scenari più lontani e abissali: i mostri delle profondità marine, il canto dei delfini, i lamenti grandiosi delle balene in agonia.. il canto delle maree... il sibilo dell'acqua succhiata dal sole, il suono limpido della luce..."
Fino ad un suono sottile, quasi impercettibile, che viene da Eschberg: il debole battito del cuore di un bambino non ancora nato che appartiene all'amata Elsbeth. Le metamorfosi prodotte nel suo corpo e nella sua voce da questa esperienza estatica e il suo talento compositivo geniale lo allontanano ancora di più dalla comunità. Il racconto di Elias è il racconto di un talento eccezionale ma è innanzi tutto una storia di emarginazione, tratteggiata finemente con ironia su una trama gotica inquietante, ricca di episodi a volte raccapriccianti, dove il genio viene schiacciato e irriso e l'ignoranza più violenta trionfa. La sua condanna è la musica e Elias trascorre le sue notti componendo melodie straordinarie, selvagge e primitive, ma che non sa trascrivere su carta. Fino alla fine inevitabile e annunciata già nelle prime righe del libro: se il sentimento di Elias per Elsbeth non può che essere una veglia d'amore, lontano dall'amata ma sempre attento a lei, così non resta che non dormire più perchè "..chi ama non dorme".

Beth



ROBERT SCHNEIDER
Le voci del mondo
Einaudi Editore



ludibria ventis

FAREWELL REEL

It's been a hard time
and when it rains
it rains on me
the sky just open
and when it rains
it pours
i walk alone
assaulted it seems
by tears from heaven
and darling i can't help
thinking those tears are yours

Our wild love came from above
and wilder still
is the wind that howls
like a voice that knows it's gone
cause darling you died
and well i cried
but i'll get by
salute our love
and send you a smile
and move on

So darling farewell
all will be well
and then all will be fine
the children will rise
strong and happy be sure
cause your love flows
and the corn still grows
and god only knows
we're only given
as much as the heart can endure

But i don't know why
but when it rains
it rains on me
the sky just open
and when it rains
it pours
but i look up
and a rainbow appears
like a smile from heaven
and darling i can't
help thinking that smile
is yours.

Testo: Patti Smith dall'LP "Gone Again" 1996


ADDIO REEL

Sono tempi duri
e quando piove
piove su di me
il cielo si apre appena
e quando piove
è un rovescio
cammino sola
assalita pare
da lacrime dal cielo
e tesoro non posso fare a meno
di pensare che quelle lacrime siano le tue

Il nostro amore selvaggio venne dall'alto
e più selvaggio ancora
è il vento che ulula
come una voce che sa ch'è andato
perché tesoro tu moristi
e sì io piansi
ma sopravviverò
saluterò il nostro amore
e ti manderò un sorriso
e andrò avanti

Così tesoro addio
tutto andrà bene
e poi tutto sarà bello
i bambini cresceranno
forti e felici stanne certo
poiché il tuo amore scorre
e il grano cresce ancora
e dio solo sa
che ci è dato soltanto
quanto il cuore può sopportare

Eppure io non so dire perché
ma quando piove
piove su di me
il cielo si apre appena
e quando piove
è un rovescio
ma guardo su
e un arcobaleno appare
come un sorriso dal cielo
e tesoro non posso
fare a meno di pensare che quel sorriso
sia il tuo.

Traduzione: Marziobarbolo


Carl W. Stalling
Un visionario della musica al servizio del cartoon

Fa un certo effetto venire a sapere dell'esistenza di The Carl Stalling Project, voll.1-2 (Warner Bros): un compact dedicato a uno dei più grandi compositori di colonne sonore per cartoons è infatti, discograficamente parlando, evento raro se non eccezionale. La qualità della compilazione sonora di questo compact costituisce invitante occasione per ritornare (cfr. "Interferenze Blu" n....) sulla peculiarità del rapporto tra sonoro e cinema d'animazione, ma soprattutto per rendere evidente il modo speciale in cui STALLING risolse tale rapporto. CARL STALLING (1888/1974) attraversò non certo come una meteora, il mondo della musica da film: dopo un apprendistato, comune a molti, come "human juke-box" (se mi si passa il termine!) in presa diretta per i film muti, il suo primo lavoro di rilievo fu per le "Silly Symphonies" di Walt Disney; nel 1936 fu comunque assunto dalla Warner Bros, presso la quale lavorò fino al 1958, componendo le musiche per oltre 600 cortometraggi d'animazione. In questo notevole arco di tempo STALLING seguì in pratica tutte le trasformazioni strutturali cui il cartoon andò incontro in quanto genere cinematografico: conformemente a tali mutamenti si può dire che STALLING passò da uno status di musicista "puro" a uno di "sonorizzatore". Ma vediamo di fare qualche passo indietro. E' indubbio che il disegno animato trovò nella musica, soprattutto agli albori dell'arte del cinematografo, un efficace sostegno strutturale. Al cartoon mancava la fisicità, mancava un referente materiale per l'ipotetica riproduzione di un "proprio" suono: così, mentre nel cinema dal vero l'utilizzo della musica rimase quasi sempre un ripiego in attesa della riproducibilità tecnica di voci e rumori, nel cartoon la musica divenne "Il Suono", l'orchestratore ritmico e narrativo. I cambiamenti apportati dall'avvento del sonoro, in un primo tempo, nocquero in verità alla sostanza dei cartoons: negli anni Trenta gran parte del cinema d'animazione fu al servizio della tradizione tutta statunitense del "sing along", e produsse perciò film in funzione della canzone di turno (regolarmente caramellosa e insopportabile) piuttosto che viceversa, in cui i personaggi cantavano, ballavano, saltavano su un canovaccio narrativo quasi sempre molto esile. Proprio le serie prodotte in quegli anni dalla WB, "Merry Melodies" e "Looney Tunes" (letteralmente "Melodie Allegre" e "Motivetti Birboni", il che è tutto dire!), rappresentarono un tipico frutto di tale concezione. Quando STALLING venne assunto in Warner questa fase produttiva era già stata superata e si trovò a collaborare con registi di valore come Clampett, Tashlin e Avery. Musicista "onnivoro", STALLING abbandonò rapidamente lo stile "ragtime" e "sing along" ancora dominante nella cultura del tempo e ideò un pastiche sonoro in cui convivevano inevitabili ricordi sinfonici, "abiti smessi" dai musicals prodotti dalla stessa Warner, canzone popolare, jazz. In questo sofisticato "blob" musicale due sono i fatti da sottolineare: il primo è che STALLING acquistò una riconoscibilità e un tocco stilistico inconfondibile pur sfruttando materiali spesso composti da altri. Ciò accadde perchè STALLING imparò a codificare le azioni da visualizzare codificando anche i brani musicali che venivano loro abbinati: da semplice e talora meccanica citazione musicale l'operazione di STALLING si tramutò in scoperta di "segni" acustici: l'esempio più celebre è l'ouverture del "Guglielmo Tell" di Rossini, sfruttata ogni qual volta si dovette illustrare un inseguimento. Si potrebbero citare innumerevoli brani più o meno celebri caduti in questa rete, l'importante non è riconoscerli in quanto citazioni, ma riconoscere quanto essi siano diventati parte di un codice artistico e linguistico per il quale non erano stati certo appositamente realizzati. Spesso inoltre si trattò di citazioni tutt'altro che letterali: frequenti accelerazioni, libertà degli arrangiamenti, fusione arbitraria di due o più temi musicali furono per STALLING pratica quotidiana in prefetta consonanza con la dinamicità anarcoide dei cartoons Warner. Il secondo fatto è che un simile lavoro fu in grado di armonizzarsi con il resto del sonoro, che non era certo irrilevante: personaggi come Bugs Bunny e Duffy Duck parlavano senza sosta con un timbro di voce caricaturale - dovuto allo straordinario doppiatore Mel Blanc - in grado di "rubare la scena"*, frequenti erano i giochi di parole studiati da sceneggiatori come Michael Maltese o Warren Foster, riccamente assortita la panoramica degli effetti sonori. La musica di STALLING si configurò così come più sorniona, felpata, e in fin dei conti più ironica di altre musiche coeve, come quella roboante - ma sempre di pregio - di Scott Bradley per la serie "Tom & Jerry" (serie nella quale del resto era privilegiata l'azione rispetto al dialogo). Con il passare degli anni STALLING rese sempre più essenziale il suo stile, aderendo emotivamente alle storie più problematiche e psicologicamente approfondite di registi come Chuck Jones: nei cartoons aventi per protagonisti Sylvester o Wile E. Coyote la musica ha spesso coloriture tenebrose, subisce pause di attesa, lascia spazio a prolungati silenzi; in questa fase l'arte "per sottrazione" di STALLING giunse a compimento, diventando essa stessa un effetto sonoro inseparabile dai rumori extramusicali. Due esempi per tutti di questa arte: il pizzicato d'archi che sonorizza i passi felpati e furtivi di un personaggio; la figura discendente di pianoforte che sonorizza una caduta o una discesa rapida. Dopo questi acuti, la fuoriuscita dalla Warner, appena prima della crisi economica e creativa, e il silenzio. Oggi, che il cinema d'animazione sta vivendo un ritorno di interesse, qualcuno dovrà far notare che la bellezza di certi cartoons Warner o MGM non risiede solo nella loro comicità, ma nel loro essere Cinema, nella loro raffinata costruzione drammatica e scenica, nella creatività del sonoro: anche i cartoons hanno il loro Bernard Herrmann, e il suo nome è CARL W. STALLING.

Madmanmoon



Current93
All the pretty little horses

- Le promesse dell'immaginazione -

All the pretty little horses l'ultimo album dei CURRENT 93, delinea l'incantevole incontro di due anime, una nata nel 1995 e l'altra morta pochi mesi prima. Il sonno che coglie nei primi brani il neonato, rassicurato nei suoi timori dalla voce materna, fa da esordio ai tredici brani che ripercorrono in uno spazio fantastico e interiorizzato, in quadri ricchi di immagini e colori, le aspirazioni a incontrarsi dei due protagonisti, durante una vicenda sentimentale più accennata che svolta. Al sonno del bambino fa da contrappunto il sonno eterno della donna che a lui appare in sogno sotto l'aspetto di amica e amante quasi per esortarlo a riflettere sul suo destino. Nel percorso dei testi, prevalenti sulla musica che tuttavia interviene a creare il carattere della parola, il ritmo e la sua accentatura, si delinea un fulcro di inquietudini vicino alle domande essenziali della vita. Pervade la sequenza delle immagini un bisogno di assoluto che volutamente stona con la figura del bambino sognatore, eppure il messaggio sottinteso è rivolto all'infanzia e vuole rivelarle che a foggiarla sono le promesse dell'immaginazione. Di queste si nutre l'intermittente semplicità infantile in tutte le sue allusioni, illusioni e sconfinamenti nella morte. La canzone This carnival is dead and gone nasconde e svela nel 'divertissement' puro, un naturale "lasciarsi andare a morte", coloro che partecipano al party sono ombre e per il bambino davanti alla luce interiore, queste fantasie rappresentano un'educazione, né più, né meno di tutti i graziosi cavallini che circondano il suo letto. In chiusura si incontrano citazioni da Pascal, Th.Browne e le singolari parole di Burke: "What shadows we are, what shadows we pursue" (Che ombre siamo, che ombre inseguiamo).
Per trasmettere con più efficacia l'importanza dell'immaginazione nel mondo creativo dei CURRENT 93, si è tentato di reinventare l'atmosfera dei testi inglesi initaliano utilizzando immagini dei brani insieme ad altre fantasie, confluite in parte nella prosa lirica che segue e per il resto nell'acquerello improvvisato qui a fianco.

decus


- Metamorphoses nocturnes -