Copertina



PATTI SMITH
Gone Again
(BMG, Arista 1996)


Devo ammetterlo. Ho una istintiva repulsione per i ritorni sulla scena di più o meno vecchi eroi del rock; e anche in questo caso, nel momento in cui appresi la notizia di un nuovo album a firma PATTI SMITH, lo scetticismo la fece da padrone. Nelle orecchie avevo le note di Radio Ethiopia, Wave e Easter, dei vecchi cavalli di battaglia della nostra. Quali potevano essere gli stimoli della SMITH 20 anni dopo quelle grandi prove? Da dove sarebbe sgorgata l'ispirazione che le avrebbe consentito di non sfigurare al cospetto del suo passato?
Ma basta accostarsi all'ascolto di questo suo nuovo album per ricordarsi che PATTI SMITH è diversa, per ricordarsi che non è tipo per i colpi di teatro fini a se stessi o da cadere in opportunistiche autocelebrazioni. Ed ecco allora riemergere il suo stile di sempre, la sua vena espressiva ancora intatta, la sua musica colma di tensione emotiva, di disperata alienazione, di rabbiosa denuncia di una realtà che ancora, evidentemente, non accetta. PATTI SMITH è un'anima tormentata e il suo tormento prende la forma della tesa Beneath the Southern Cross, della ferocia di Summer Cannibal e Wicked Messenger, dell'obliquo country-style di Dead to the World, della rassegnata nenia di Fireflies, o dell'ultima, ipnotica Farewell Real.
E allora la risposta alle mie domande è una sola: PATTI SMITH è tra noi semplicemente perché ha ancora qualcosa da dire.

K.G.