CRISIS
Deathshead Extermination
(Metal Blade 1996)


Una voce suadente e melliflua. Oppure blu di rabbia come una riot-grrrl. Oppure ancora, libera di sperimentare e di gorgheggiare come farebbe una Diamanda Galas. Sembra essere questa la natura instabile dell'ugola di Karyn Crisis, leader dell'omonima band multirazziale, giunta ora al suo secondo album.Predomina, e già accadeva nel precedente 8 Convulsion, la cupezza dei suoni. Ma i brani sono talmente articolati e complessi da non poter essere assimilati dopo pochi superficiali ascolti. È questo il loro massimo pregio (o limite?) che li differenzia dai connazionali Deftones, di gran lunga più immediati. Basta un po' di pazienza e scaveremo nel favoloso intro psichedelico su tempi estremi di Onslaught, perseguitata dagli incubi bestiali e dalle sdolcinature della cantante. Non si fa in tempo a gustare i primi tre brani che, repentino, arriva il singolo The watcher, un tesissimo dialogo tra le distorsioni della seicorde di Afzaal Nasiruddeen - chitarrista di origine pakistana - e la disperazione di quattro, nude corde vocali. Deadfall e Methology fanno raggiungere al disco livelli di eccellenza, accennando a sonorità doom. Il ritmo si fa greve, rallenta. Gli strumenti sembrano granito. Fino all'annullamento della musica, allo zero assoluto. Ottima Bloodlines, che pare una copia moderna della zeppeliniana Immigrant Song, ma adeguatamente trattata con una dose di furia carcassiana: il Robert Plant di turno è femmina e sembra veramente una scheggia impazzita. Notevole il lavoro della batteria in Different Ways e senza l'ausilio di sequencers o altre diavolerie tecnologiche! É proprio qui la grandezza dei Crisis: un gruppo che tramite i propri strumenti sa essere industriale (nel suo approccio rumoristico) amplificando enormemente l'idea di metal. Non andate a presentare questo gioiellino a chi si crogiuola (nel 1996!) con Iron Maiden e Halloween. Non capirebbero questo linguaggio!!!

Vincenzo Capitone