AA.VV
The Japanese/American noise treaty
(Relapse, 1995)


A volte è sufficiente un banalissimo motivetto a giustificare l'acquisto di un disco. Non capiterà certamente per questa lunghissima doppia compilation (più di due ore e mezzo) da poco reperibile sul mercato italiano; quattordici bands giapponesi e quindici statunitensi alle prese con un modo di intendere la musica decisamente poco fruibile: rumore purissimo, in tutte le variazioni possibili.
Resta poco da dire davanti alla furia cieca di MASONNA (spaventose le sue urla sintetiche), al concerto per percussioni e campane metalliche offerto da K2, alle stilettate di elettricità quiescente di PAINJERK, al rantolo scordatissimo di DIESEL GUITAR. Ogni brano crea una propria dimensione come se fosse un'impronta sonora del mondo esterno. Il sottobosco del Sol Levante (e diciamo così soltanto perché pur avendo già un buon seguito in patria, sono ancora poco noti al grande pubblico) merita attenzione. Dopo due o tre ascolti cominceranno a farsi strada pure l'ossessivo tappeto techno-rumoroso di CCCC e il frustrante temporale noise di MERZBOW, del quale riuscirete a cogliere le vibrazioni soltanto a volume altissimo (attenti ai vicini!).
Altrettanto brutali, ma leggermente più carenti dal lato della spontaneità e dell'espressività, i gruppi americani. Ho trovato comunque molto stuzzicanti i macchinari infernali dei CRAWL UNIT, l'atmosfera bellica dei WALKING TIME BOMBS (pensate ad uno stormo di stukas in picchiata), gli ambienti tenebrosi - che danno un senso di vuoto - dei WHITE ROSE. Ma il significato di questi ascolti diventa evidente nei COCK ESP, dove quella che potrebbe sembrare un'aria popolare cinese viene distrutta da una spirale vorticosa di rumore.
Il noise ha dunque trovato una propria, estrema strada: non più punk destrutturato e nemmeno, forse, pura contaminazione. Per chi ascolta, più semplicemente, la realtà colta e conosciuta attraverso la riproduzione di tutte le forme sonore percettibili. Credo che quest'opera sia un viatico utile ad eliminare qualche scoria di troppo di conservatorismo rock. Grazie Relapse!

Vincenzo Capitone