Gennaio-Febbraio 1996
Oggi predomina la cattiva cultura del rock: nasconde conformismo sotto
coloriture locali.
Starobinsky
Eh si`, ne ha fatta di strada dai suoi esordi quell'entita` chiamata
rock. Da timido svago/passatempo per alternativi, ai suoi primordi ad aggre-
gatore di folle (nel nome del sociale prima, della politica poi) attraverso
gli anni '60/70; finche' di esso si e` accorto lo show-biz, e si e` giunti
al paradosso rappresentato dal nemico che tenta - ed in alcuni casi riesce
a fagocitare, rendendolo inoffensivo, colui che lo minaccia. Cosi` almeno
la pensa Starobinsky, ed e` difficile dargli torto. Basta pensare a come
vengono sempre piu` ridotti alla ragione anche coloro i quali hanno sempre
dato addosso al sistema, alle istituzioni, al mondo rutilante del Music
business: spesso ingabbiati in celle dorate, appositamente costruietegli
da un mondo dello spettacolo che tutto tende ad appiattire, a mantenere
costante ab aeternum, a massificare. Eppure, qualche piccola, sparuta real-
ta` continua imperterrita- o inizia, a seconda dei casi- nel proprio cammi-
no, cercando di sfuggire alle ferree leggi di mercato anche se per questo
motivo resta di solito circoscritta ad ambienti ben limitati ( gia` la
diffusione a livello nazionale rappresenta un miraggio): e` a queste che
bisogna guardare per farle conoscere, diffonderle; in barba a chi lavora
per pianificare anche il nostro desiderio di ascoltare la musica.
io
RECENSIONI - 360 gradi
GEORGE THOROGOOD AND THE DESTROYERS
Let's work together
(live)
Let's start the party! E non rimane che una cosa da fare: saltare
sui tavoli e ballare! Con questo album live (quanto e` riduttiva questa
parola...) GEORGE e la sua band documentano tutta l'energia che sprigionano
dal vivo. E non e` poca. Gia` la prima canzone lo fa intendere, non e`
possibile star fermi. Place to go di Chuck Berry fa parte della migliore
tradizione rock'n'roll. Giusto per far capire l'atmosfera che il chitarrista
vuole instaurare col pubblico. Let's go rhythm'n'blues ! Josephine e` un
omaggio a Bo Diddley e Bad boy fa capire che neanche il sax scherza. E
non e` tutto: la chitarra potente di GEORGE semina e spara note ovunque
e la ritmica e` affiatatissima. A meta` dell'album e` concessa qualche
divagazione, ma non pensate male! Cocaine blues e` un bel pezzo country
e I'll change my style e` una grande ballata ad alto tasso alcolico. Tutto
questo, penso, per calmare un po' il pubblico, che senz'altro e` parecchio
agitato. Ma dura un attimo: Gear jammer ci risveglia subito. La voce di
GEORGE e` roca e grintosa, in puro stile rock-blues, e mi riesce difficile
capire come, contemporaneamente, riesca a suonare la chitarra in quel modo.
Magie della passione e di 250 serate all'anno nei club del profondo sud,
Mississipi o Georgia che sia. Move it on over, gran pezzo rock e You talk
too much ci conducono verso l'apoteosi e l'ultimo pezzo, degno finale di
questo avvincente album, indovinate qual e`? Su, non ci vuole molto! Come
dite? Johnny be goode? Centro!!!
E che Dio benedica il rock vero, il blues sano, la birra, i club da
trecento posti, le notti come questa, Rory Gallagher e Stevie Ray Vaughan
che da lassu` senz'altro staranno sorridendo; scomparsi, maledizione, troppo
presto.
Mad Dog
PAOLO CONTE
Una Faccia in Prestito
(CGD 1995)
Niente blues questa volta, miei cari lettori (come dicono i giornalisti
fighetti), ma vi parlero` di un artista che per estrazione sociale, temati-
che trattate e modo di intendere la vita, sento molto vicino.
Sara` forse per il fatto che il musicista sornione visto esibirsi
al Madison Square Garden di New York, all' Olympia di Parigi, alla Royal
Albert Hall di Londra e in tanti altri templi sacri della musica in tutto
mondo, e` lo stesso avvocato che venti venticinque anni fa cantava "La
Topolino amaranto" nel parco del castello dei Conti Malabaila di Canale,
lo stesso uomo che l'anno scorso ha cantato gratuitamente in una scuola
materna di San Damiano d'Asti. E' questa sua grandeur d'artista unita alla
semplicita` dei suoi gusti ed il sapere contadino della sua parlata e dei
temi trattati nelle sue canzoni, a renderlo unico ed inimitabile. Continua
ad essere convinto che solo chi e` cresciuto a stretto contatto della civil-
ta` contadina piemontese puo` comprendere pienamente le sue canzoni, ma,
la continua e pignola ricerca melodica e musicale, gli ha, giustamente,
conquistato schiere di ammiratori in tutto il mondo. Ma questi capiscono
perche' il sole e` un lampo giallo al "parabr•s"? E' da molto tempo che
seguo Paolo Conte ed ho assistito ad un continuo processo di affinamen-
to-raffinamento (il termine non e` molto elegante ma rende l'idea) fino
a raggiungere l'eccelente qualita` odierna. Questa sua ultima fatica e`
uno splendido album. Non smetterei mai di ascoltarlo anche perche' Conte
e` Conte solo al centesimo ascolto. Bellissime le sue melodie, e` incredibi-
la come il caro avvocato sa coniugare il suono delle parole-melodia, sa
far combaciare sentimento-suono-significato-emozione. E allora si va, si va,
epoca degli abiti tuoi che prezzo mi fai... Canto tutto e niente, una musica
senza musica, dove tutto e` niente come musica nella musica. Si va a dedica-
re un'orazione d'onore al Teatro Alfieri di Asti chiuso da tempo: "dorme
un teatro scolpito al centro di un'agricola contrada... Anticamente si
sguainavano la` dentro le parole...", l'incedere e` marziale e martellante,
le parole pesanti come macigni in un ambiente, una citta` come Asti che
ha bisogno di cultura, di un teatro come il deserto ha bisogno d'acqua
ma e` inutile perche' Sijmadicandhapajiee. Brillante, tenero e sognante,
old classic jazz in Don't throw it in the W.C. storia, suppongo, di una
melodia morta anzitempo, vittima della sconsiderata mania di pulire che
ci agita. Splendido, semplicemente splendido. E che faccia, Paolo che viso,
il viso di chi ha vissuto intensamente ed ogni evento sie` un po' scolpito
sulla faccia, con quel sorriso, il miglior sorriso della mia faccia, forse
ma e` il migliore, ma sai la stanchezza, l'amore... comunque e` un bel
sorriso, il sorriso di chi ha deciso di avere te.
Come si fa a non innamorarsi di chi sa scrivere parole del genere,
come si fa? Un doveroso cenno ai suoi musicisti, non "dei" musicisti ma "i"
musicisti: l'inseparabile Jino Touche al contrabbasso e l'onnipresente
Massimo Pitzianti (Max Pitz) che suona con la stessa disinvoltura sax e
fisarmonica e quant'altro. Sarebbe interessante andare a scoprire l'umanita`
che si cela sotto questi nomi da romanzo noir di Raymond Chandler ma,
purtroppo, non ne abbiamo il tempo. Un lampo ed e` tutto finito, Paolo,
spero di rincontrarti al Bar Mocambo.
T-Bone Malone
CABLE REGIME
Brave New World
(Audioglobe 1995)
Non so voi. Ma la prima volta che ho ascoltato i CABLE REGIME sono
rimasto esterrefatto. Senza che me ne fossi accorto, quell'assurda rincorsa
tra due note mal definite (Novocaine Kul) mi aveva ammaliato. Il trio ingle-
se torna ora a farsi sentire con cinque nuove composizioni mediamente lun-
ghe. E ci (ri)propone la <<sua>> visione della musica moderna, basata su
due fondamentali aspetti, che sono - in verita` - le peculiarita` del rock
attuale. L'uno e` l'immutabilita` del suono con le proprie variazioni minime
non percettibili istantaneamente. L'altro e` -ovviamente- la capacita`
di sperimentare e di usare la tecnologia in modo creativo. Si puo` gia`
cogliere questo divario nella title-track subito ossessiva, in seguito
pero` piu` misurata e pregna di umori funky. Stesso procedimento per la
splendida Paranoia in the funhouse che inizia obliqua -secondo i dettami
dei Primus- e malsana per poi accelerare. Fino ad impantanarsi, con tanto
di effetti spaziali, in un giro di chitarra senza capo ne' coda. Blue con-
ferma che quella dei CABLE REGIME e` musica profondamente meditativa (per-
cio` accostabile a certe movenze dub/metal degli Scorn), se vogliamo anche
robusta. Il tempo si ferma. Ma poi subentrano voci confuse e filtrate.
Effetti rumorosi e sinistri. Chitarre. Ancora pulsazioni tecnologiche.
Il tutto suonato e miscelato con distacco, senza il minimo cenno di dramma-
ticita`. Il futuro e` gia` arrivato e si e` fatto sentire...
Vincenzo Capitone
THE ANCIET VEIL
The Ancient Veil
(Mellow,1995)
<<Contro il logorio della vita moderna>> recitava un vecchio adagio
pubblicitario di 10-15 anni or sono. Ma potrebbe tuttora risultare attuale,
visti i ritmi e l'impossibile, esagerata frenesia che contraddistingue
l'esistenza di noi tutti, se applicato in campo musicale a dischi come
questo: il suo andamento quasi sempre dolce e pastorale puo` conciliare
alla perfezione quel desiderio di tranquillita`, di pace, di <<quiete dopo
la tempesta>> da tutti anelato.
Edmondo Romano ad Alessandro Serri, cioe` gli ANCIENT VEIL, rappresen-
tavano gia` alcuni anni or sono l'anima piu` sognante di quel grande grup-
po-meteora che sono stati gli Eris Pluvia (autori di Rings of earthly light,
Musea, 1991). Anche in quest'opera quasi solistica non smentiscono la loro
fama, confezionando un prodotto dai contorni molto soffusi, con fiati,
violini e chitarre acustiche a dettar legge; fragile come un cristallo
di Boemia. L'ombra lunga della new age pare coprire in qualche caso L'Antico
Velo, vedi Landscape and Two oppure la - comunque - splendida Gleam, gioiel-
lino strumentale dai connotati na•f. In altre occasioni un'ipotesi di <<fu-
sione>> un po' troppo a freddo potrebbe minare l'integrita` dell'album (la
corale Walking Around sembra un estratto da Carmina Burana), ma sono solo
episodi che in un contesto complessivo di 60 minuti ci possono anche stare.
E complimenti al duo genovese per la scelta dei collaboratori, alcuni
pressoche' sconosciuti, altri gia` noti nell'ambiente, come Sergio <<Fini-
sterre>> Grazia (autore di alcune <<fughe>> di flauto decisamente memorabi-
li); tutti in grado di fare la propria parte in maniera egregia in questo
disco che, se solo avesse dei testi un po' meno banali, potrebbe tranquilla-
mente essere ascritto tra i capolavori assoluti; e non solo del 1995 appena
terminato.
io
FAIRYTALE
Once I Knew a man who used to sell little red baloons
Little red baloons for all, at the corner, down there
With each little red baloon, a little story he gave
When I bought one he said
<<You'll be glad when you're dead>>
And he stole my soul away
I fell down with no pain
Demon's plan
Devil in desguise
Dark again
Demon's plan
I was crushed down to earth, killed, destroyed
When an angel, touched by grace, saw me and came
Under female divine forms, beaming beauty
She said <<You are not alone>>
Then she kissed me, I think
And I'm back to life, someway
I raised up with a scream
I live again
Devil beaten down
A light trough pain
I live again
So, when I woke up
I absolutely wanted to see that man again
When I was down there, realized there were none
A little look around
And I saw an inscription on the wall
Saying <<Remember, my dear friend,
A part of you... still belongs to me>>
And I'm back to life someway
I raised up with a scream
I live again
Devil beaten down
A light trough pain
I live again
Once I knew a man who used to sell little red baloons. l
u
Testo dei BUG d
i
b
r
i
a
v
e
n
t
i RACCONTO FATATO
s
Una volta conoscevo un uomo che vendeva palloncini rossi
Palloncini rossi per tutti, all'angolo, laggiu`
Con ogni palloncino rosso, regalava una storiella
Quando ne comprai uno mi disse
<<Sarai felice quando morirai>>
E mi porto` via l'anima
Caddi senza dolore
Disegno diabolico
Diavolo mascherato
Di nuovo le tenebre
Disegno diabolico
Fui schiacciato a terra, ucciso, distrutto
Quando un angelo toccato dalla grazia, mi vide e venne
Sotto divine forme femminili, risplendente bellezza
Disse <<Tu non sei solo>>
Poi mi bacio`, penso
e sono rinato in qualche modo
Mi alzai con un grido
Vivo di nuovo
Il diavolo e` stato abbattuto
Luce attraverso il dolore
Vivo di nuovo
Cosi` quando mi svegliai
Volli a tutti i costi vedere di nuovo quell'uomo
Quando fui laggiu`, capii che non c'era nessuno
Un breve sguardo attorno
E vidi una scritta sulla parete
Che diceva <<Ricorda, mio caro amico,
Una parte di te... ancora mi appartiene>>
E ora sono tornato a vivere in qualche modo
Mi alzai con un grido
Vivo di nuovo
Il diavolo e` stato abbattuto
Una luce attraverso il dolore
Vivo di nuovo
Una volta conoscevo un uomo che vendeva palloncini rossi.
Traduzione di Bombastic e Marziobarbolo
THE CARDIGANS
Life
(Stockolm Records, 1995)
Eh si`: la Svezia nel campo musicale non produce solo metallari lungo-
criniti o technocrati come Dr. Alban, ma anche pop di gran classe. La prova
e` l'album (probabilmente d'esordio) di questi CARDIGANS rivelatisi con
il godibilissimo singolo Carnival. Sono quattro maschietti ed una deliziosa
cantante, Nina, dalla voce sottile ed adolescenziale (immaginate una Bjork
senza impennate e gridolini), irresistibile sia nei pezzi piu` ritmati
sia quando si cimenta accompagnata solo dal piano come in After All. Gli
altri quattro propongono un tessuto sonoro che da l'idea di quello che
dovrebbe essere il pop, ovvero musica fatta per piacere al maggior numero
di persone ma senza eccessive mielosita`, e con intelligenza. Le chitarre
funkeggianti della gia` citata Carnival e Tomorrow le tastiere ammiccanti
di Sick And Tired, Daddy's Car Rise and Shine e Hey! Get Out of My Way:
tutto e` costruito per piacere al grande pubblico, e funziona benissimo.
Da notare come questi svedesi sanno dribblare l'ostacolo del gia` sentito,
che se e` un grosso problema gia` per il rock cosiddetto alternativo figu-
riamoci per il piu` ristretto ed affollato mondo del pop. Eppure quante
volte i "maglioncini coi bottoni" riescono a trasformare un attacco che
ricorda un centinaio di altre canzoni in un brano con un grosso tocco di
originalita`! Inoltre non si adagiano sugli stilemi della musica di consumo
ma piu` volte virano verso atmosfere piu` sofisticate come le suadenti
e jazzate Travelling With Charley (confidenziale, cool e con tanto di ar-
chi!) e Celia Inside. Alla fine riescono pure a piazzare la ciliegina sulla
torta con una divertente e straniante versione di un classico del rock
duro come Sabbath Bloody Sabbath, che da anthem satanico diventa nelle
loro mani un gattone che fa le fusa. Che altro dire ? E' bello passare
l'inverno cullati dal calduccio dei CARDIGANS.
Corvo Rosso
DEFTONES
Adrenaline
(Maverick-Wea, 1995)
Il modo migliore di iniziare musicalmente il '96 passa attraverso
un solo gruppo: i DEFTONES. Vengono da Sacramento (California) e si appre-
stano a dare lustro alla propria citta` piu` della locale squadra di basket
NBA (i Kings). Risorge in loro un tipo di crossover ermetico e spigoloso
che nell'ultimo anno pereva essere scomparso, ma che qui rinasce spontaneo
e senza paura di confronti con i Rage Against The Machine piu` arrabbiati (a
proposito: che fine hanno fatto?) o con il noise-core dei celebrati Orange
9MM. Prevale fin dall'inizio un senso di chiusura e di malessere: e` la
chitarra a distribuire riffs secchi, funkeggiamenti sotterranei, a scavare
ipnotici solchi (sentite la splendido giro arabeggiante di Root). Ma e`
la voce che, flebile o aggressiva -un po' come accadeva per i Korn- da`
la misura della loro intensita` espressiva. Noisebleed ci dice che il gruppo
e` di origini hardcore, quello dei primi anni'80 (Bad Brains, naturalmente),
aperto a tutte le contaminazioni sintetizzabili nel proprio sound: perfino
l'hip-hop! Il risultato e`, a dir poco deragliante. Da tempo non si vedeva
una band capace di coniugare la propria radicale attitudine con un ricchis-
simo campionario di immagini che deborda al di fuori del rock. Ne sentiremo
ancora parlare...!
Vincenzo Capitone
THE RIVER OF CONSTANT CHANGE
A Tribute to Genesis (AA.VV.)
(Mellow,1995)
Prendo spunto dall'uscita di questo doppio CD per fare un discorso
piu` generale, riguardante gli album-tributo a questo o quel gruppo/artista.
Solitamente risulta oltremodo difficile eseguire una rilettura veramente
<<personale>> di un pezzo del proprio beniamino, sia a causa del fattore
emotivo (al cuor non si comanda!), sia perche' si corre il rischio di passa-
re per <<fotocopiatrice>>, da un lato, o come "storpiatore", dell'altro.
Se la cosa puo` apparire tollerabile dal vivo, durante un concerto, lo
e` sicuramente di meno - visto i prezzi correnti - al momento dell'acquisto
di un LP/CD. Se a cio` aggiungiamo che il progressive non e` sicuramente
il genere che piu` si presta a simili operazioni (spesso i singoli pezzi
sono collegati tra loro da un filo conduttore ed estrapolati dal contesto
perdono il loro significato dal punto di vista strettamente musicale),
i presupposti per dare un giudizio finale non possono essere positivi.
Opinione peraltro suffragata dall'ascolto, almeno in questo caso. Seppur
alcuni gruppi forniscano interpretazioni piu` che valide (i "soliti" Men
of Lake, i Germinale e le piacevoli novita` Decode ed Evolution; non dimen-
tichiamo che nel disco vi sono 27 gruppi ognuno dei quali esegue un pezzo
diverso!), nel complesso si ha una sensazione di disagio al momento dell'a-
scolto, soprattutto da parte di chi ha veramente <<vissuto>> i protagoni-
sti - Genesis in questo caso. Oltre tutto, l'accusa rivolta al progressive
anni '90 dai suoi maggiori detrattori e` proprio quella di copiare i propri
capostipiti (perche', poi, i suddetti detrattori non rivolgono le loro
preziose attenzioni anche ad altri generi, come il blues ed il country
ad esempio, dove cover e rifacimenti vari sono all'ordine del giorno, non
l'ho mai capito...); ma e` gia` nei negozi un doppio cd tributo ai Van
der Graaf Generator...
io
INTERFERENZE blu
rivista di cultura musicale
P.zza Garibaldi, 3 - 12051 Alba (CN)
Tel. 0173/362041-281917 Fax 0173/297001
Distribuzione Telematica 2:334/108.9@Fidonet.org
direttore editoriale:
gianni corino
capi redattori:
gianni borello
emanuele giaccardi
redattori:
luca berlinghieri
beppino costa
mauro decastelli
paolo foglino
massimo giachino
beppe marchisio
mauro piazza
responsabile telematico:
matteo calorio
collaboratori:
associazione culturale Cascina Macondo
andrea marasea
cristiano rota
ermanno franco
grafica:
elisa giaccardi
impaginazione:
sandro corino
BRA - la scena di casa - DAISJI CHAIN
<<Stiamo preparando due serate al Centro Polifunzionale G.Arpino di
Bra all'interno di una manifestazione per dire NO alla droga. Vi aspettiamo
per un concerto acustico ad Aprile con la gradita presenza come ospite
di Elena Ruggero.>>
Il nome di questa band di Bra (eh gia` neanche a farlo apposta!) aveva
fin da principio, cioe` da quando lo avevo letto su una locandina qualche
tempo fa, dato origine ad un'eco di pensieri e di ricordi. Ecco perche'
appena ho avuto l'opportunita` di incontrarli ho voluto sgombrare il campo
da ogni fantasma, e in questo sono stato aiutato da Marco ed Ivano, due
componenti del gruppo, che mi hanno fatto capire fin da subito che il lo-
ro <<bisogno>> di fare musica non proveniva da sollecitazione esterne,
o almeno in minima parte, ma dalla voglia di contaminare il maggior numero
di persone possibile con la loro voglia di fare musica. Ma facciamo le
cose per bene, presentiamo la band: Marco Cangemi voce e chitarra; Fabio
Gallo alla batteria; Davide Testa al basso; Ivano Zorgniotti e Marco Gerace
alle chitarre. C'e` una loro caratteristica che mi ha favorevolmente impres-
sionato quando li ho incontrati in sala prove; ovvero la capacita` di trova-
re un punto di equilibrio tra le loro diversita`. Questo punto d'equilibrio
lo si ritrova nella musica dei Daisji Chain; capaci di eseguire lunghe
ballate e brani molto piu` ritmati ed aggressivi con la stessa facilita`
di esecuzione, ottenendo lo stesso effetto di fascinazione sull'ascoltatore.
Capaci di conciliare le loro differenti personalita` e i loro diversi gusti
musicali senza che cio` vada a discapito di nessuno, e specialmente della
musica. Logicamente tanta intraprendenza personale si trova a combattere
con tutta una serie di problemi che vanno dalla difficolta` di reperire
un mixerista (cosi` che Marco deve inventarsi tale), a tutte le difficolta`
a cui una band emergente deve far fronte in un territorio non propriamente
ricettivo come il nostro. Ritornando al discorso piu` strettamente musicale,
sono impaziente di avere tra le mani il loro primo CD che uscira` a Feb-
braio, visto che alcune delle canzoni che mi hanno fatto sentire, e che
saranno incise sul CD promettono davvero molto bene. I Daisji Chain si
trovano con una facilita` disarmante, caratteristica che consente loro
di tirare fuori i pezzi nuovi con un lavoro di e'quipe. Aspettando di avere
a loro disposizione un lavoro finito con cui farsi conoscere i Daisji Chain
portano in giro la loro voglia di suonare e di far divertire chi li sta
ad ascoltare, cosi` che non sarebbe una brutta idea dare un'occhiata alla
nuvoletta qui sopra e decidere di andarli a sentire! Per prendere contatti
con la band telefonate a Marco 0172-411190 oppure a Fabio 0172-431380.
Marziobarbolo
Punto fugato - G-FUNK: sparatorie soft?
Il mondo del rap USA e` un autentico mare magnum, fucina di stili
sia verbali sia musicali: dal "edutainment", misto di educazione ed intrat-
tenimento, di KRS 1 e Public Enemy alle libere trivialita` di gente come
2 Live Crew; dal rap-metal degli Hard Corps, autori gia` cinque anni fa
di una trascinante versione di Back In Black degli AC/DC, al sofisticato
jazz-rap di Digable Planets e Guru. Negli ultimi tre anni e` accaduto un
fenomeno quantomeno curioso: il gangsta-rap, frangia estremista
dell'hip-hop, che coniugava l'esaltazione della violenza di strada con
campionamenti di conflitti a fuoco e con le basi dure e senza fronzoli
dei vari Ice T, Ice Cube e NWA, ha virato verso sonorita` piu` morbide,
senza perdere un'oncia della propria virulenza verbale. E` cosi` nato il
G-FUNK (G sta sempre per Gangsta), le cui origini piu` immediate possono
essere fatte risalire all'album "The Chronic" di Dr. Dre`, ex membro con
Ice Cube e Eazy E dei gia` citati NWA. Segni caratteristici: ritmi rallenta-
ti, tastiere onnipresenti e basi costruite con campionamenti del funk anni
70 piu` psichedelico e del soul piu` morbido (in "The Chronic" si ruba
qualcosa persino a Barry White!). Tra gli album piu` importanti e piu`
riusciti prima del 95 vi e` l'esordio di Snoop Doggy Dogg di fine 93 ("Doggy
Style"), "It Takes A Thief" di Coolio e "Regulate... G-Funk Era" di Warren
G. Quest'anno la scena ha presentato il ritorno di 2Pac e l'esordio di
Bone Thugs'N'Harmony. Il primo ha visto pubblicato l'album "Me Against
The World" mentre era gia` in carcere: il disco e` stato composto in
un periodo in cui il rapper ha dovuto fronteggiare due tentativi di omici-
dio, oltre all'accusa di violenza carnale che lo ha poi portato dietro
le sbarre, e ne risente inevitabilmente. Titoli come Me against The World,
Fuck The World, If I Die 2Nite e Death Around The Corner testimoniano un
perenne stato di lotta con il mondo esterno, che si conclude sempre negati-
vamente. Anche le basi riportano a un'atmosfera pessimistica, in alcuni
casi addirittura a un sentore di morte imminente: i grooves sono profondi,
quasi sepolcrali, e il suono acuto di tastiere, vero marchio di fabbrica
del G-FUNK, non accompagna, come per Dr. Dre`, gioiosi inni alla marijuana
ma la vita braccata di un outlaw. I Bone Thugs'N'Harmony, giovane posse
di Cleveland, si mettono invece dalla parte del grilletto (vedi titoli
come Mo'Murda, Die Die Die) ma narrano le loro storie di ultraviolenza
urbana rallentando ulteriormente i ritmi e ammorbidendo le melodie, che
a volte assumono un forte sentore di sostanze proibite (rap psichedelico?).
In certi momenti viene spontaneo associare il genere al trip-hop che
furoreggia nella vecchia Albione, anche se non ne ha l'ecletticita` di
riferimenti musicali: in fin dei conti il G-FUNK come somma di rap piu`
basi lente e languide e` abbastanza limitato, anche se sicuramente redditi-
zio (tutti i dischi citati sono entrati nei top 5 di Billboard). Lo dimostra
il fatto che le legioni di imitatori di Dr. Dre` e 2Pac hanno prodotto
pochissimo di originale: lo stesso Coolio nel suo ultimo album "Gangsta's
Paradise" propone solo l'ottimo singolo omonimo e 3-4 pezzi di buona fattura
mentre gli altri brani scivolano inesorabilmente verso la banalita` piu`
assoluta.
Ormai, secondo me, solo gli interessi delle case discografiche possono
tenere in vita uno stile che non ha piu` molto da dire.
Corvo Rosso
Punto fugato - 1995 L'ANNO DEL CONTATTO
Si sono chiusi dodici mesi di uscite discografiche. Dodici mesi, direi,
di transizione: le grandi utopie del crossover e del Seattle-sound sono
sulla via del tramonto. Nessun dubbio pero` sul fatto che tra le band che
meglio hanno incarnato lo spirito moderno del rock, senza sprofondare in
<<nuovismi>> Pop/Punk, ci siano gli Smashing Pumpkins. Semplicemente
monumentali nel loro ultimo Mellon Collie and Infinite Sadness (dura quasi
due ore!) suddiviso in due dischetti.
Non e` cambiato nulla dal '91, dai tempi del primo singolo "I am one".
Domina incontrastato il genio di Billy Corgan, capace di sfoderare due
pezzi come Zero e Bullet, di un'immediatezza sconvolgente e scopertamente
ispirati ai Nirvana pesanti-melodici. Tante canzoni, dicevamo. Eppure scivo-
lano via come maschere di carnevale: ognuna rappresenta uno stato d'animo
diverso, con una particolare ed insistita predisposizione per le atmosfere
tristi e melanconiche (vedi le numerose ballate lente e/o acustiche), con
una levita` quasi beatlesiana. Credo che nessuno meglio di Corgan sappia
adattarsi a questo clima mutevole: la sua versatile voce sa modularsi sulle
cadenze oscure - alla Fudge Tunnel - di Where boys o intrufolarsi nella
tensione di Lily od ancora esprimere i propri umori deboli e forti in Porce-
lina. Certamente non manca una punta di prolissita`, di esagerazione. Ma
che volete farci se il personaggio e` l'emblema del narcisismo rock: lo
era anche il miglior Bowie di vent'anni fa.
Solcando territori decisamente piu` estremi, troviamo Demanufacture,
il secondo album effettivo dei FEAR FACTORY. Sono sicuro che non dimentiche-
remo facilmente questo gruppo. Il loro modo di intendere il grind-core
e assolutamente integralista: suoni secchi, scarni, di una pesantezza inau-
dita, impastati elettronicamente dalla drum-machine del terrorista tecnolo-
gico Rhys Fulber dei Front Line Assembly. La chitarra di Cazares riesce
veramente a erigere un muro, esattamente come i Meshuggah descritti qualche
mese fa. Qui pero` le scelte sono ancora piu` convincenti. Tutti sanno
supportare e seguire benissimo la grande voce di Burton C. Bell che, oltre
ad essere un <<grugnitore>> professionista dimostra le sue capacita` intro-
ducendo un tono mistico (ascoltate A Therapy for pain), quasi estatico.
Avrete notato che e` la stessa primordiale spiritualita` provocata dalla
visione di un interno di cattedrale gotica. Ed e` pure la stessa sobrieta`,
che sottilmente permea tutto l'album, tipica del periodo New Wave (Dog
Day Sunrise). Al di la` dell'intrinseca validita` del gruppo, resta comunque
l'ottima prestazione del buon Burton, qualcosa di diverso dai soliti orsi
bruni del metal. Di cio` sembra essersi accorto quella vecchia volpe di
Geezen Butler, primo e storico bassista dei Black Sabbath; che non ha atteso
molto a coinvolgerlo nel proprio disco solista, a nome GZR, intitolato
Plastic Planet. L'apporto del cantante non e` differente rispetto ai Fear
Factory, ma risultera` tanto piu` evidente ove si rilevi che il sound e`
un po' piu` trash (e dunque piu` piatto) ed appena arricchito da qualche
passaggio (ovviamente retro`) funereo. Interessante. Deludente, invece,
l'esordio dei DOWN. Dischi come Nola potrebbero effettivamente fare la
felicita` di tutti i sociologhi-menagrami del rock. E` stato presentato
ufficialmente come il frutto dell'incontro casuale di un gruppo di amici:
Philip Anselmo, potente voce dei Pantera, Pepper Keenan dei Corrosion of
Comformity e l'intera sezione ritmica dei Crowbar. Con un solo obiettivo
esplicito ricreare e rinverdire i fasti dei primi Black Sabbath. Ed i pezzi
sono stati costruiti secondo la ripetizione - fino alla nausea - dei soliti
riff neri e compressi, magari intercalati da un bell'assolino di chitarra
o da un intervallo acustico. Non dico che sia tutto da buttare (Keenan
in Swan song manovra la propria sei corde come un trattore e Temptation's
Wing ricorda la dinamicita` dei Kyuss). Ma sono episodi. Il fatto di voler
riportare in auge il gruppo di Birmingham con qualche leggera riverniciatura
e` un'idea ridicola, perfino esteticamente. Il risultato e` un prevedibile
tracollo. Proprio l'identico ed avvilente destino toccato a chi (I Cather-
dral) ha esagerato con i Sabbath. Di troppo amore... si puo` morire!
Devo pero` ammettere che quest'anno non pochi gruppi hanno evitato
di appisolarsi sul malcostume del <<remake>> a tutti i costi. Lo vediamo
anche ascoltando Rolling Thunder Music, il secondo album del fantastico
sestetto americano di Phoenix dei BEATS THE HELL OUT OF ME. La copertina-e-
tichetta conferma la qualita` del prodotto (an exhilerating robust blend
of fine music imported from Tempe), gia` positivamente apprezzata nel disco
precedente. Chiarisco subito che qui e` riduttivo - se non fuori luogo -
parlare di <<nuovo hard>> o <<nuovo rock>>. Provate ad ascoltare Track -
vigorosa ma sempre orecchiabile - e il crostoso impatto di Kazooka e
Jackpot (pero` sapientemente dosato come avrebbero fatto i primi Soundgar-
den): e comunque fresca e originale. Ma il meglio deve ancora venire. Una
stravolgente serie di visioni acide (ascoltate pure la crescita psicadelica
di Wouldn't buy it) ed incessanti allucinazioni che si susseguono sino
a slabbrare l'andamento delle canzoni. Come nelle illusoni oniriche di
19,5, rigurgito di una voce su tempi lentissimi. Come in G-Nite Lee Van
Cleef dove l'eterno contrasto tra chitarra elettrica ed acustica genera
un curioso effetto <<root>>. Degna conclusione col funkettone baldanzoso
di Freeway, dove trova ancora spazio l'ugola del cantante. Sostanzialmente
un tipo alla Henry Rollins, ma con un approccio meno recitativo (nien-
te "spoken words") e con le dosi necessarie di calore e di pathos interpre-
tativo. Siete invitati a scoprirlo.
Idee altrettanto fresche e sperimentazioni incombenti sono le coordina-
te per inquadrare Ali, l'ultima fatica degli ALBOTH! Il quartetto svizzero,
che gia` si distingue per il semplice fatto di assegnare al piano il ruolo
normalmente affidato alla chitarra, si esprime attraverso suoni apparente-
mente caotici, alcuni dei quali mutuati dal Free Jazz. Dico "apparentemente"
perche' ogni brano ha un suo proprio linguaggio ed una sua inafferrabile
logica (anche nei rumori piu` ossessivi e disarticolati). Pare incredibile
la disinvoltura con cui si passa dalle scariche grind-core di Sigi, figlia
del sax di John Zorn, alle suggestioni minimali/ambient di Berger, col
pianoforte quasi uscito di senno. In ogni elemento c'e` creativita`. Il
cantante -se cosi` mi e` concesso chiamarlo- usa la voce in maniera sempre
differente: furiosa in Freivogel, metallica in Von Rźti, astrusa in Hans
U. Hertel. Riesce addirittura a trasformarla in strumento quando, duettando
con la batteria in Rosenbaum, utilizza le parole (o presunte tali) come
se fossero suoni, in modo onomatopeico. Completano il lavoro un paio di
ottimi techno-remixes, rimaneggiati rispetto all'album precedente. Gli
ALBOTH!, a parte il riconoscibile basso alla Nomeansno, sono veramente
ostici per qualunque orecchio. I loro ritmi frenetici e le loro scheggie
strumentali risultano in fin dei conti, dei veri accumulati di idee di
qualsiasi forma e provenienza. Assolutamente incatalogabili. La prova del
nove della loro validita` si ha con Barscheld. Ne' piu` ne' meno della
definitiva macellazione di 21st century schizoid man classico dei King
Crimson sepolto sotto le urla di Lieder. Sara` pure un periodo difficile
per il rock, ma i gruppi che sanno "osare" ci mandano tanti piccoli segna-
li (per esempio i vagiti di metallo industriale dei Nerve). Segnali e frut-
tuosi contatti fra generi diversi, di cui godremo i risultati.
Micamalequestomillenovecentonovantacinque!
Vincenzo Capitone
BERGAMO - emergenze! - le vibrazioni dei BUG
Alla ricerca di band giovanili meritevoli di attenzione, ci allontania-
mo dalla ribalta locale cuneese per parlare dei BUG, uno dei gruppi piu`
promettenti della zona di Bergamo. Nati nel '92, profondamente rinnovatisi
due anni dopo, hanno prodotto nella primavera del '95 il loro primo album,
Vibe. Ormai affermati a livello locale, hanno meritato recensioni lusinghie-
re su quasi tutte le riviste specializzate: proprio questo mese se ne parla
su Rumore. Benito, il batterista del gruppo, mi spiegava che dalle loro
parti ci sono tanti gruppi, alcuni molto buoni (puo` darsi che torneremo
a parlarne nei prossimi numeri), ma in citta` non ci sono posti dove suona-
re. Si deve sempre fare riferimento alla provincia, perche' l'ambiente
di Bergamo e` molto chiuso, conservatore. Loro, i BUG non perdono l'occasio-
ne di parlarne, anche in toni <<pesanti>>, nelle loro canzoni: <<My time
is hanging and my flesh crowls, trapped in this town>> e anche <<Nothingnes-
s / Orgiastic rituals based on catholic truths. / Scratch the surface,
friend>> ... decisamente <<a bomba>> sul problema. Non crediate che i loro
pezzi siano il solito pastone di sociale falsamente impegnato che ci propri-
nano gruppi e posse assortiti: i problemi vengono affrontati nella dimensio-
ne dell'individuo, con leggerezza (che non e` superficialita`) e senza
retorica. Complimenti! Ora passiamo all'album. Il loro stile si avvicina
molto a quello di gruppi come Soundgarden e Monster Magnet che si rifanno
alla scena angloamericana tra gli anni '60 e '70. Non e` il solito saccheg-
gio a piene mani di sonorita` e strutture musicali per seguire la moda
del momento, il solito remake buono per ragazzetti e quarantenni nostalgici.
La loro musica e` di forte impatto, la voce e` spesso urlata; la sezione
ritmica, potente, chiude tutti gli spazi e sostiene con forza la linea
melodica, che si impone nell'economia di ogni brano. Le strutture musicali
che vengono cosi` a formarsi risultano particolarmente efficaci: alcune
piu` semplici altre piu` complesse, sfruttando sempre ripetizioni e simme-
trie. Nelle code di alcuni brani, queste variazioni risultano particolarmen-
te interessanti: si alternano la ripresa dei ritornelli, di loro parti,
gli stacchi prolungati in crescendo, i cori, gli assoli, i cambi di tempo.
Le chitarre ora sostengono la voce, ora la sezione ritmica, o ancora si
mettono in disparte cucendo la tela tra le due, senza mai diventare un
semplice ornamento. Azzeccata la scelta della lingua inglese anche se la
struttura metrica dei versi non sempre coincide con quella del periodo
musicale cosi` che il cantante e` costretto a mangiare qualche parola qua
e la` per far quadrare il tutto: ma niente parola, il libretto del CD con-
tiene tutti i pezzi e vi assicuro che vale la pena di leggerli. Nel primo
pezzo Hypnos One (dal greco antico: ypno§: sonno), il ritmo cadenzato e
insistito, la voce che alterna un verso cantato e uno urlato, ci introducono
in quell'atmosfera rabbiosa e un po' oppressiva che caratterizza tutto
l'album. Nelle parole alla fuga e al tormento interiore si contrappone
un forte desiderio di liberta`, di autonomia di pensiero <<Running naked
through your / inner fields without being / Embarassed is a word to forget /
When you are on your own). Unico spiraglio per una pacificazione momentanea
e` il senso di appartenenza all'universo che esalta la visione di un paesag-
gio crepuscolare: difesa della propria mente. Bomb my heart e` una canzone
d'amore molto bella, originale e intensa. Parole e musica si sposano perfet-
tamente. La struttura del brano e` semplice: tono e volume della voce cre-
scono sempre piu`. Il cantante esprime l'intensita` del proprio amore attra-
verso il desiderio di diventare parte degli elementi naturali che accompa-
gnano la vita della donna amata (vento, tramonto, luce, pioggia...). Il
crescendo delle immagini e della musica esplode nel ritornello: voce e
coro urlano la totale dissoluzione della persona nei suoi elementi (mente,
io, anima) ai quali rinuncia per penetrare nella fisicita` della donna (car-
ne, pancia, sangue).
In the Mist descrive un paesaggio esistenziale, interiore, dove e`
la nebbia degli eventi a confondere la via e impedire il cammino. Nemmeno
forse vale sperare in un aiuto (anche se divino) perche' alla fine questa
situazione di stallo, di costante instabilita` (<<constant fickleness>>)
si rivela l'unico appiglio per vivere (<<always keeps me alive and well>>).
Le chitarre distorte che ripetono lo stesso riff contribuiscono a rendere
piu` <<nebbioso>> il brano (atmosfera insistente, ossessiva): la struttura
si conclude con una coda ipnotica, due lunghi crescendo che introducono
la ripetizione (anche una dozzina di volte) dello stesso verso: <<And I
am wading / through the mist>> (avanzo a fatica nella nebbia).
La Corner Song e` un anti-inno, anarchico e ribelle. Roba che non
si prende alla leggera: <<voglio cancellare la mia identita`>> (Erase my
identity), <<piazzarmi nella caverna piu` profonda>> (to seat down in the
deepest cave).
Part of me e` un pezzo composto prima della rifondazione del gruppo:
una canzone d'amore allegra e danzereccia, molto orecchiabile, programmata
piu` volte da radio popolare nelle zone di Bergamo e Brescia.
Uhm... e` una canzone a suo modo violenta. Le chitarre riffano instan-
cabili con pause improvvise: il ritmo e` continuamente spezzato. Il testo
e` molto forte, nero che piu` non si puo`, rabbioso invito a rifiutare
le parole vuote, a raggiungere una (forse) impossibile immediatezza di
sentimenti (<<Thought. Feel. Heart. Mind. Fusion. Visions. / Utopia?>>),
a scavare nelle cose (<<So go down, deep within / Straight to the core,
get in>>).
Si distacca, almeno in parte, da questi temi Fairytale della quale
riproduciamo a pag.2 il testo, invero molto suggestivo. La voce <<soffoca-
ta>> nel microfono e` proprio azzeccata e mi e` piaciuta moltissimo la
melodia che la chitarra disegna nelle strofe, leggera e godibile.
A passage to Dreamland e` il pezzo col quale i BUG sono soliti aprire
i loro concerti. La musica e la ripetizione dell'unica strofa (<<Enter
the dream / leave the pains behind / liberate your light>>) creano un'atmo-
sfera ipnotica. E` un pezzo molto breve, ma riassume tutte le qualita`
del gruppo. Redemption ha una struttura semplicissima. Nel finale mi e`
piaciuto molto il tremolo in crescendo che accompagna l'invocazione <<To
the sky>> desiderio di purezza e di redenzione, paura della <<malattia>>
del nostro mondo.
Il mondo "malato" e` l'argomento dell'ultimo pezzo Nothin' of sick
love, che da` il nome al loro primo demo (1993) ma qui viene completamente
trasformata. E' il brano piu` violento dell'album, una scarica di immagini,
ora crude (Pussy power, dickless nerds) ora decisamente allucinate.
Ben bene, cari lettori, spero proprio di aver stuzzicato il vostro
interesse: se e' cosi` rivolgetevi pure alla nostra redazione, oppure diret-
tamente alla <<live manager>> dei BUG: 0363/302047 (Vibe e` anche in distri-
buzione presso la Vacation House di Biella).
Mr. Bombastic
Death in June
LA SUBLIME LEGGEREZZA DELLA MALINCONIA
Era il '79 quando il punk, dopo aver scosso alcuni anni prima il mondo
del rock con tutta la forza di una rabbia volta all'anarchia piu` assoluta,
ormai esangue in tutta Europa, si risollevo` dalla crisi in cui era caduto,
<<appoggiandosi all'ala meno violenta ma piu` inquietante del movimento>>,
quella del dark punk. I DEATH IN JUNE nati dalle ceneri del punk come i
CURE, S.SIOUX AND THE BANSHEES, i JOY DIVISION e i BAUHAUS, furono gli
artefici di quell'oscuro limbo di suoni fortemente legato all'introspezione,
al crepuscolarismo notturno e tenebroso definito "dark". Influenzati
dall'esistenzialismo, dalla letteratura neogotica e da scrittori come A.
Camus e E.A. Poe, gli artisti dark definirono una musica angosciosa, fatta
di sonorita` plumbee che divenivano ipnotiche, inscenando un universo sonoro
quasi apocalittico. La <<noia>> dell'esistere e` il male che sempre affiora
incupito da chitarre sul filo della distorsione e tastiere elettroniche
glaciali da brivido, e in quell'elettricita` stagnante, il suicidio sembra
essere, come paradosso, l'unica liberazione ancora possibile o catarsi
definitiva.
Sin dai primi album i DIJ si distinsero come i piu` angosciosi cantori
di <<morte>> di tutto il movimento dark. E mentre gli altri gruppi con
il passare degli anni cedettero alle lusinghe del mercato, stemperando
quei suoni oscuri in un sound piu` scanzonato, i DIJ continuarono per la
loro strada fatta di ostinazione e lealta` verso i propri ideali, nell'oscu-
rita` infinita delle notti malinconiche, come astri di luminosa e indicibile
poesia. E sino a oggi, regalando al mondo nere perle di incomparabile
bellezza, ci hanno reso la vita piu` preziosa.
Tuttavia molte furono le traversie che il gruppo dovette superare,
da parte della stampa che gli riservo` un pessimo trattamento, e all'interno
della formazione con l'abbandono di Tony Wakeford nel '83 e di Patrick
Leagas nel '85. Questo non impedi` a Douglas Pearce di tenere alta la 'fiac-
cola nera' della 'morte in giugno', pubblicando sino a oggi album di incom-
mensurabile bellezza, che hanno innalzato quel tempio creativo, identificato
nel cuore degli uomini, dove la poesia malinconica, che e` nella caducita`
della vita, scopre nei simboli di luce e oscurita` una piu` profonda co-
scienza, legata indissolubilmente al passato. E sembra vivere un istante
di eternita` in quelle note di sublime leggerezza. Doug Pearce e` il cantore
dell'effimero che sa toccare tutte le corde dell'anima con la vellutata
fragranza delle rose, e` l'eterno sacerdote della notte che si aggira nella
foresta magica dei simboli cercando nella luce che sfugge il segreto della
vita; e` il nobile e fiero crociato in questa nostra epoca di disgregazione
dei valori. La musica dei DIJ e` una cascata di accordi puri, come la perla-
cea rugiada nell'alba degli eroi, e` il soffio del vento tra gli alberi
di una foresta nella notte, e` la luce che danza nelle ombre, la vita che
e` nella morte. Nella notte trapunta di stelle, ogni suono riluce e versi
intensi di lacrime e sangue cadono nei nostri cuori come angeli e demoni.
Alle statue bianche marmoree che si innalzano in un cielo ombroso
alle rose che perdono i loro petali profumati nel tempo
all'uomo che cade nel silenzio della morte
il vento sembra bisbigliare:
la bellezza e` nella sofferenza
la sublime leggerezza della malinconia,
la tragica intensita` che e` nella caducita` delle cose.
AufWiedersehen!
La Notte
I NERI GIORNI DELLA DECADENZA
La <<notte dei lunghi coltelli>> fra il 29 e il 30 giugno del 1934,
sarebbe rimasta negli anni a venire il momento in cui si decisero le sorti
di una nazione e dell'Europa: quelle ore quando Hitler scelse di eliminare
le SA (Sturmabteilungen) e cio` che e` accaduto in quella notte del mese
di giugno.
A distanza di decenni i DEATH IN JUNE, <<la morte in giugno>>, ripensa-
no idealmente quei momenti, data storica di provenienza del nome del gruppo;
ad un certo punto e` significativo sapere che <<se Hitler fosse morto,
come voleva Rohm, vivremmo in tutt'altro mondo>> (Douglas P). E' significa-
tivo per loro ma anche per noi ascoltatori della loro musica, sebbene poi
per entrambi quei giorni di giugno sfumino in qualcos'altro implicando
cose diverse per diverse persone. Una matrice di esperienze comuni e percio`
storiche, come poi la seconda guerra mondiale, la guerra fredda e il muro
di Berlino, sono la prima possibile spinta a comporre testi di musica.
I DIJ nascono come studenti di storia, legati all'estrema sinistra, infine
scontenti del Bolscevismo, attratti da uomini come Gregor Strasser e Ernst
Rohm e poi di fronte al ridicolo e all'impotenza di una rivoluzione radicale
irrealizzabile, sperimentata col nome di CRISIS, la scelta di cambiare
il mondo si rovescia nella scelta di cambiare se stessi. I fatti storici,
i simboli utilizzati dal Nazismo, le uniformi, che Douglas P scelse di
indossare per rimarcare <<potere, ordine, disciplina e dignita`>>, diventano
una ascendenza nascosta, per assicurare la maschera alle loro liriche.
Il nascondersi, il non amare esibirsi in pubblico, luogo dell'imperfezione,
sono le amabili irrequietezze di un perfezionista. Douglas P che fra le
piu` felici immagini delle sue liriche introduce la visione del mondo come
<<fremente quantita` di pazzia>> (seething mass of insanity), riscopre
nei simboli retorici prebellici e della mitologia nordica, tutta la comples-
sita` al di sotto della superficie e da questa crea nuovi simboli: i luoghi
inattuali della fede estrema. Un <<teschio d'oro>> (gold Totenkopf), esibito
senza smascherarne la simbolica, diventa 'segno' per ogni occhio capace
di coglierlo; le canzoni Heaven Street, echi sarcastici delle iscrizioni
nel campo di concentramento di Sobibor:Road to Heaven, per indicare la
strada ai forni crematori, sono il <<qualche cosa>> (una memoria tormentata,
un veleno necessario, un'informazione orribile) che risolverebbe la ossessi-
vita` rassomigliante al tic-tac d'orologio del brano Crush My Soul nella
semplice melodia che in fin dei conti questa canzone e`, ma non puo` esser-
lo. Sono il <<qualche cosa>> di cui e` priva <<la morta societa` senz'anima
e cuore>> (Douglas P), senza i quali nessun simbolo e` attuale. Questa
tematica e le sue assonanze in Nietzsche, Junger, Mishima meriterebbero
un discorso a parte, ma daltronde chiare sono le parentele col militarismo
sia nello scrittore tedesco Junger (Nelle Tempeste d'Acciaio) che nel giap-
ponese Mishima (Confessioni di una Maschera).
DALLA TORTURA ALLA COSCIENZA
Nell'istante in cui il testo si spoglia delle caratteristiche di oppo-
sizione alla societa` e si orienta nell'ambito ben piu` profondo dell'indi-
viduo, alle dolci melodie interne e alle paure nascoste, la canzone dei
DIJ si fa lirica e struggente parola recitata di fronte alla societa`.
Il linguaggio figurato, scandito per parlare, oltre l'io psicologico, subito
all'inconscio, nasce allora dalla sofferenza inquietante dell'anima tortura-
ta, il giardino delle torture poi e` anche il luogo predestinato dei CUR-
RENT '93, e muore nel culto finale del credere in se stessi. Metafore
dell'uomo solo che come un fiore di petalo in petalo fiorisce e sfiorisce,
per i DIJ fondamentale e` essere simboli di una coscienza vincolata alla
miseria e purezza o non essere affatto.
Decus
DISCOGRAFIA
Burial '83
The guilty have no pride '84
Nada '85
The corn years '87
The cathedral of tears '88
The wall of sacrifice '89
"stenbrăun '89 (collaborazione con LES JOYAUX DE LA PRINCESSE)
Rose clouds of holocaust '94
But, what ends when the symbols shatter?
Occidental Martyr '95
Per acquisto: DEMOS srl Napoli, tel. (081) 459021
LA MIGLIOR SCELTA POSSIBILE
Avete appena acquistato un disco (pop, reggae, dance o classica che
sia), siete cioe` entrati in possesso di un <<pezzo di materiale fonografico
contenente musica>>. Siete contenti della scelta fatta, perche' sapete
gia` che vi piacera`. Domanda: come fate/avete fatto a saperlo? E poi,
siete davvero convinti di aver scelto? Se non sapete darvi da soli le rispo-
ste, eccovi un ventaglio di possibilita`:
a) Avete ascoltato uno o piu` brani di un certo artista alla radio.
Ottima scelta, certo: quale mezzo piu` adatto di quello radiofonico per
verificare se una certa musica vi piace o meno? La trasmissione acustica
e` immediata, immediato e libero da ulteriori interferenze sensoriali l'a-
scolto, immediato il giudizio che ovviamente si rifa` al vostro gusto,
immediata la scelta in mezzo alle centinaia di brani musicali che la radio
quotidianamente propone. Ora, partiamo proprio da quest'ultimo punto: da
che <<campionario>> avete scelto, ovverosia quale stazione radiofonica
ascoltate? Qualunque essa sia, senza graduatorie di meritevolezza, vi rende-
rete conto da soli che UNA stazione radiofonica non e` <<la Radio>>, e
che quindi il campionario di ascolto e` preordinato, guidato; senz'altro
dai programmatori radiofonici, che sono uomini e ascoltatori come voi,
soltanto <<sanno quello che il pubblico vuole>> e loro glielo danno (e
sui meccanismi che motivano richiesta e offerta non avventuriamoci ol-
tre...); in pesante misura dai fili invisibili del mercato discografico,
un mercato dominato dalle compagnie piu` potenti (le famigerate <<majors>>)
che sono in grado di assicurare una distribuzione piu` capillare nelle
radio e nei negozi dei dischi da loro prodotti. Nell'uno e nell'altro caso
non bisogna essere delle aquile per capire che ci sono musiche che hanno
piu` diritti di altre a essere programmate, quindi a stampigliarsi nella
memoria del potenziale acquirente, e che non e` questo quello che si intende
normalmente con <<liberta` di scelta>>. L'unica possibilita` che vi rimane
e` quella di non fossilizzarvi su di una frequenza sola: ma le radio stesse
sanno che il proprio pubblico e` molto conservatore, e voi siete cosi`
pigri...
b) Avete letto una rivista specializzata: Rumore, Buscadero, Amadeus
o... Interferenze Blu. Complimenti: vuol dire che forse la musica non vi
interessa solo per i suoi valori estetici, ma anche come fenomeno culturale
e di costume: non la ascoltate soltanto, la vivete. Ma quale rivista legge-
te? E` importante stabilirlo, perche' ognuna di esse e` guidata da una
diversa visione della cultura musicale, visione che determina poi l'apriori-
stica inclusione o esclusione di determinati dischi - talvolta di interi
generi musicali - nel novero delle segnalazioni. E dopo questo primo setac-
cio c'e` finalmente la recensione, che spesso non solo cerca di sostituirsi
al momento dell'ascolto, ma addirittura pretende di completarlo, con un
giudizio critico che sta a noi fidarci di condividere. Non ci siamo: la
scelta e` ancora piu` ristretta, la percezione incompleta e naturalmente
faziosa, in relazione ai gusti del Re Censore... Il parco lettori, natural-
mente, non dimostra maggiore intelligenza nel rapportarsi alla rivista:
dall'assunzione critica del giudizio (salvo poi acquistare il disco recensi-
to e restarne delusi) alla ribellione (astiosa di fronte alla <<stroncatu-
ra>>), alla lettura di sole alcune recensioni, scelte in base al genere
trattato o alla firma, o di una sola rivista (spesso motivata da assurde
contrapposizioni <<politiche>>). Ancora una volta la soluzione, quella
di leggere piu` riviste sembra improponibile a un pubblico contento di
coltivare il suo orticello.
c) Avete letto un quotidiano? Allora sapete a malapena chi sono i
Beatles, Eric Clapton o <<quei drogati marci>> dei Litfiba. Discorso chiu-
so...
d) Avete visto un video-clip. Il video-clip e` senz'altro il miglior
strumento pubblicitario per la musica, sia che le immagini usate costitui-
scano un semplice sfondo, sia che esse si integrino artisticamente e
significativamente con la musica, perche' comunque la sua fruizione rimane
in qualche modo separabile e non interferente rispetto alle immagini. Dove
l'avete visto? Su Videomusic, su MTV o su altri (pochi) canali via satellite
esclusivamente dedicati alla musica. Radiofonia per immagini, percio`...
e si ricade nel punto 1!
e) Siete andati al cinema. Avete visto Vacanze di Natale '95, poi
siete corsi come razzi a comprare il doppio compact-disk Vacanze di Nata-
le '95 Compilation... Come? Non era la colonna sonora? Pazienza, ma intanto
il disco lo avete acquistato! Ed e` inutile che ridete, voi, che quello
schifo di film lo avete sdegnato, ma poi siete cascati come pere per Forrest
Gump o Filadelfia...
f) Avete visto uno spot pubblicitario. Dove? Quando? Non se ne vedono
quasi mai! Gia` questo e` un indice sufficiente della scarsa liberta` insita
nel mezzo. Inoltre, quando capita di vederne uno, ha questa forma tipo:
immagini tratte dal piu` recente video-clip dell'artista; primo piano sulla
copertina del disco da promuovere; collage di due o tre brani musicali
soffocati dalla voce invariabilmente stentorea dello speaker che annun-
cia <<il nuovo, fantastico album di X>>. Fine. Perfino per dei pannolini
sono capaci di studiare spot piu` belli e informativi di questi, a riprova
della reciproca estraneita` che esiste tra musica e linguaggio pubblicita-
rio. (Vedi Interferenze Blu di Novembre).
g) Domandone finale: ma allora e` la musica o sono i mezzi di informa-
zione a imporsi dei limiti? E questi limiti sono voluti o no? Che l'Entropia
vi protegga...
Madmanmoon
?