Gennaio-Febbraio 1996

     Oggi predomina la cattiva cultura del rock: nasconde conformismo  sotto
coloriture locali.

                                                                 Starobinsky


     Eh si`, ne ha fatta  di  strada  dai suoi esordi quell'entita` chiamata
rock. Da timido svago/passatempo per alternativi, ai suoi primordi ad aggre-
gatore di folle (nel nome del  sociale prima, della politica poi) attraverso
gli  anni '60/70; finche' di esso si e` accorto lo show-biz, e si e`  giunti
al paradosso rappresentato dal nemico  che  tenta - ed in alcuni casi riesce
a  fagocitare, rendendolo inoffensivo, colui che lo minaccia.  Cosi`  almeno
la pensa Starobinsky, ed  e`  difficile  dargli  torto. Basta pensare a come
vengono  sempre piu` ridotti alla ragione anche coloro i quali hanno  sempre
dato addosso al  sistema,  alle  istituzioni,  al  mondo rutilante del Music
business:  spesso  ingabbiati in celle dorate,  appositamente  costruietegli
da un mondo dello  spettacolo  che  tutto  tende  ad appiattire, a mantenere
costante ab aeternum, a massificare. Eppure, qualche piccola, sparuta  real-
ta` continua imperterrita- o inizia, a  seconda dei casi- nel proprio cammi-
no,  cercando di sfuggire alle ferree leggi di mercato anche se  per  questo
motivo resta di  solito  circoscritta  ad  ambienti  ben  limitati ( gia` la
diffusione  a  livello nazionale rappresenta un miraggio): e` a  queste  che
bisogna guardare per farle  conoscere,  diffonderle;  in  barba a chi lavora
per pianificare anche il nostro desiderio di ascoltare la musica.

                                                                          io




                           RECENSIONI - 360 gradi



                     GEORGE THOROGOOD AND THE DESTROYERS
                             Let's work together
                                   (live)

     Let's  start  the  party! E non rimane che una cosa  da  fare:  saltare
sui tavoli e  ballare!  Con  questo  album  live (quanto e` riduttiva questa
parola...) GEORGE e la sua band documentano tutta l'energia che  sprigionano
dal vivo. E non e`  poca.  Gia`  la  prima  canzone  lo fa intendere, non e`
possibile  star  fermi. Place to go di Chuck Berry fa parte  della  migliore
tradizione rock'n'roll. Giusto per far capire l'atmosfera che il chitarrista
vuole  instaurare  col pubblico. Let's go rhythm'n'blues ! Josephine  e`  un
omaggio a Bo Diddley e  Bad  boy  fa  capire  che  neanche il sax scherza. E
non  e`  tutto: la chitarra potente di GEORGE semina e  spara  note  ovunque
e la ritmica  e`  affiatatissima.  A  meta`  dell'album  e` concessa qualche
divagazione,  ma  non pensate male! Cocaine blues e` un  bel  pezzo  country
e I'll change my style e`  una  grande ballata ad alto tasso alcolico. Tutto
questo,  penso, per calmare un po' il pubblico, che senz'altro e`  parecchio
agitato. Ma dura un  attimo:  Gear  jammer  ci  risveglia subito. La voce di
GEORGE  e` roca e grintosa, in puro stile rock-blues, e mi riesce  difficile
capire come, contemporaneamente, riesca a  suonare la chitarra in quel modo.
Magie  della  passione e di 250 serate all'anno nei club del  profondo  sud,
Mississipi o Georgia che sia. Move  it  on  over, gran pezzo rock e You talk
too  much  ci conducono verso l'apoteosi e l'ultimo pezzo, degno  finale  di
questo avvincente album, indovinate qual  e`?  Su,  non ci vuole molto! Come
dite? Johnny be goode? Centro!!!
     E  che  Dio benedica il rock vero, il blues sano, la birra, i  club  da
trecento posti, le notti come  questa,  Rory  Gallagher e Stevie Ray Vaughan
che da lassu` senz'altro staranno sorridendo; scomparsi, maledizione, troppo
presto.

                                                                     Mad Dog



                                 PAOLO CONTE
                           Una Faccia in Prestito
                                 (CGD 1995)

     Niente blues questa volta, miei cari lettori (come dicono i giornalisti
fighetti), ma vi parlero` di un artista che per estrazione sociale,  temati-
che trattate e modo di intendere la vita, sento molto vicino.
     Sara` forse per  il  fatto  che  il  musicista  sornione visto esibirsi
al  Madison  Square Garden di New York, all' Olympia di Parigi,  alla  Royal
Albert Hall di Londra e in  tanti  altri  templi sacri della musica in tutto
mondo,  e`  lo  stesso avvocato che venti venticinque  anni  fa  cantava "La
Topolino amaranto" nel parco  del  castello  dei  Conti Malabaila di Canale,
lo  stesso  uomo che l'anno scorso ha cantato gratuitamente  in  una  scuola
materna di San Damiano d'Asti.  E'  questa sua grandeur d'artista unita alla
semplicita`  dei suoi gusti ed il sapere contadino della sua parlata  e  dei
temi trattati nelle sue canzoni,  a  renderlo unico ed inimitabile. Continua
ad essere convinto che solo chi e` cresciuto a stretto contatto della civil-
ta` contadina piemontese  puo`  comprendere  pienamente  le sue canzoni, ma,
la  continua  e pignola ricerca melodica e musicale,  gli  ha,  giustamente,
conquistato schiere di ammiratori  in  tutto  il  mondo. Ma questi capiscono
perche'  il  sole e` un lampo giallo al "parabr•s"? E' da  molto  tempo  che
seguo Paolo Conte ed  ho  assistito  ad  un  continuo processo di affinamen-
to-raffinamento (il  termine  non e` molto elegante ma  rende  l'idea)  fino
a raggiungere l'eccelente  qualita`  odierna.  Questa  sua  ultima fatica e`
uno  splendido  album. Non smetterei mai di ascoltarlo anche  perche'  Conte
e` Conte solo al centesimo ascolto. Bellissime le sue melodie, e` incredibi-
la  come  il caro avvocato sa coniugare il suono  delle  parole-melodia,  sa
far combaciare sentimento-suono-significato-emozione. E allora si va, si va,
epoca degli abiti tuoi che prezzo mi fai... Canto tutto e niente, una musica
senza musica, dove tutto e` niente come musica nella musica. Si va a dedica-
re  un'orazione  d'onore al Teatro Alfieri di Asti chiuso  da  tempo: "dorme
un teatro  scolpito  al  centro  di  un'agricola  contrada... Anticamente si
sguainavano la` dentro le parole...", l'incedere e` marziale e  martellante,
le parole pesanti come  macigni  in  un  ambiente,  una citta` come Asti che
ha  bisogno  di  cultura, di un teatro come il deserto  ha  bisogno  d'acqua
ma e` inutile  perche'  Sijmadicandhapajiee.  Brillante,  tenero e sognante,
old  classic  jazz in Don't throw it in the W.C. storia,  suppongo,  di  una
melodia morta anzitempo,  vittima  della  sconsiderata  mania  di pulire che
ci agita. Splendido, semplicemente splendido. E che faccia, Paolo che  viso,
il viso di chi ha vissuto  intensamente  ed ogni evento sie` un po' scolpito
sulla  faccia, con quel sorriso, il miglior sorriso della mia faccia,  forse
ma e` il migliore,  ma  sai  la  stanchezza,  l'amore...  comunque e` un bel
sorriso, il sorriso di chi ha deciso di avere te.
     Come  si  fa a non innamorarsi di chi sa scrivere  parole  del  genere,
come si fa? Un doveroso cenno  ai suoi musicisti, non "dei" musicisti ma "i"
musicisti:  l'inseparabile  Jino  Touche al  contrabbasso  e  l'onnipresente
Massimo Pitzianti (Max Pitz)  che  suona  con  la  stessa disinvoltura sax e
fisarmonica e quant'altro. Sarebbe interessante andare a scoprire l'umanita`
che si cela  sotto  questi  nomi  da  romanzo  noir  di Raymond Chandler ma,
purtroppo,  non  ne abbiamo il tempo. Un lampo ed e`  tutto  finito,  Paolo,
spero di rincontrarti al Bar Mocambo.

                                                               T-Bone Malone



                                CABLE REGIME
                               Brave New World
                              (Audioglobe 1995)

     Non so voi. Ma la  prima  volta  che  ho  ascoltato i CABLE REGIME sono
rimasto esterrefatto. Senza che me ne fossi accorto, quell'assurda  rincorsa
tra due note mal definite (Novocaine Kul) mi aveva ammaliato. Il trio ingle-
se  torna ora a farsi sentire con cinque nuove composizioni mediamente  lun-
ghe. E ci (ri)propone  la <<sua>>  visione  della  musica moderna, basata su
due  fondamentali aspetti, che sono - in verita` - le peculiarita` del  rock
attuale. L'uno e` l'immutabilita` del suono con le proprie variazioni minime
non  percettibili  istantaneamente.  L'altro  e` -ovviamente-  la  capacita`
di sperimentare e di  usare  la  tecnologia  in  modo creativo. Si puo` gia`
cogliere  questo  divario  nella title-track subito  ossessiva,  in  seguito
pero` piu` misurata e  pregna  di  umori  funky.  Stesso procedimento per la
splendida  Paranoia  in the funhouse che inizia obliqua -secondo  i  dettami
dei Primus- e malsana per  poi  accelerare.  Fino ad impantanarsi, con tanto
di  effetti spaziali, in un giro di chitarra senza capo ne' coda. Blue  con-
ferma che quella dei  CABLE  REGIME e` musica profondamente meditativa (per-
cio`  accostabile a certe movenze dub/metal degli Scorn), se vogliamo  anche
robusta. Il tempo  si  ferma.  Ma  poi  subentrano  voci confuse e filtrate.
Effetti  rumorosi  e  sinistri. Chitarre.  Ancora  pulsazioni  tecnologiche.
Il tutto suonato e miscelato con  distacco, senza il minimo cenno di dramma-
ticita`. Il futuro e` gia` arrivato e si e` fatto sentire...

                                                           Vincenzo Capitone



                               THE ANCIET VEIL
                              The Ancient Veil
                                (Mellow,1995)

     <<Contro  il  logorio della vita moderna>> recitava un  vecchio  adagio
pubblicitario di 10-15 anni or  sono. Ma potrebbe tuttora risultare attuale,
visti  i  ritmi  e l'impossibile, esagerata  frenesia  che  contraddistingue
l'esistenza di noi  tutti,  se  applicato  in  campo  musicale a dischi come
questo:  il  suo andamento quasi sempre dolce e  pastorale  puo`  conciliare
alla perfezione quel desiderio  di  tranquillita`, di pace, di <<quiete dopo
la tempesta>> da tutti anelato.
     Edmondo Romano ad Alessandro Serri, cioe` gli ANCIENT VEIL,  rappresen-
tavano gia` alcuni anni or sono  l'anima  piu` sognante di quel grande grup-
po-meteora che sono stati gli Eris Pluvia (autori di Rings of earthly light,
Musea, 1991). Anche in quest'opera  quasi  solistica non smentiscono la loro
fama,  confezionando  un  prodotto dai contorni molto  soffusi,  con  fiati,
violini e chitarre  acustiche  a  dettar  legge;  fragile  come un cristallo
di Boemia. L'ombra lunga della new age pare coprire in qualche caso L'Antico
Velo, vedi Landscape and Two oppure la - comunque - splendida Gleam, gioiel-
lino strumentale dai connotati na•f. In altre occasioni un'ipotesi  di <<fu-
sione>> un po' troppo  a  freddo potrebbe minare l'integrita` dell'album (la
corale  Walking Around sembra un estratto da Carmina Burana), ma  sono  solo
episodi che in un contesto complessivo  di 60 minuti ci possono anche stare.
E  complimenti  al  duo genovese per la  scelta  dei  collaboratori,  alcuni
pressoche' sconosciuti, altri gia`  noti  nell'ambiente, come Sergio <<Fini-
sterre>> Grazia (autore di alcune <<fughe>> di flauto decisamente  memorabi-
li); tutti in grado di fare  la  propria  parte in maniera egregia in questo
disco che, se solo avesse dei testi un po' meno banali, potrebbe tranquilla-
mente essere ascritto tra i capolavori  assoluti; e non solo del 1995 appena
terminato.

                                                                          io




                                  FAIRYTALE

            Once I Knew a man who used to sell little red baloons
            Little red baloons for all, at the corner, down there
             With each little red baloon, a little story he gave
                          When I bought one he said
                     <<You'll be glad when you're dead>>
                          And he stole my soul away
                          I fell down with no pain
                                Demon's plan
                              Devil in desguise
                                 Dark again
                                Demon's plan
               I was crushed down to earth, killed, destroyed
              When an angel, touched by grace, saw me and came
                  Under female divine forms, beaming beauty
                       She said <<You are not alone>>
                         Then she kissed me, I think
                        And I'm back to life, someway
                          I raised up with a scream
                                I live again
                              Devil beaten down
                             A light trough pain
                                I live again
                             So, when I woke up
                  I absolutely wanted to see that man again
               When I was down there, realized there were none
                            A little look around
                    And I saw an inscription on the wall
                     Saying <<Remember, my dear friend,
                   A part of you... still belongs to me>>
                        And I'm back to life someway
                          I raised up with a scream
                                I live again
                              Devil beaten down
                             A light trough pain
                                I live again
           Once I knew a man who used to sell little red baloons. l
                                                              u
                                Testo dei BUG             d
                                                      i
                                                  b
                                              r
                                          i
                                      a

                              v
                          e
                      n
                  t
              i                RACCONTO FATATO
          s
          Una volta conoscevo un uomo che vendeva palloncini rossi
               Palloncini rossi per tutti, all'angolo, laggiu`
              Con ogni palloncino rosso, regalava una storiella
                       Quando ne comprai uno mi disse
                       <<Sarai felice quando morirai>>
                           E mi porto` via l'anima
                             Caddi senza dolore
                              Disegno diabolico
                             Diavolo mascherato
                             Di nuovo le tenebre
                              Disegno diabolico
                 Fui schiacciato a terra, ucciso, distrutto
           Quando un angelo toccato dalla grazia, mi vide e venne
             Sotto divine forme femminili, risplendente bellezza
                          Disse <<Tu non sei solo>>
                            Poi mi bacio`, penso
                        e sono rinato in qualche modo
                            Mi alzai con un grido
                                Vivo di nuovo
                        Il diavolo e` stato abbattuto
                          Luce attraverso il dolore
                                Vivo di nuovo
                          Cosi` quando mi svegliai
              Volli a tutti i costi vedere di nuovo quell'uomo
               Quando fui laggiu`, capii che non c'era nessuno
                          Un breve sguardo attorno
                       E vidi una scritta sulla parete
                    Che diceva <<Ricorda, mio caro amico,
                  Una parte di te... ancora mi appartiene>>
                 E ora sono tornato a vivere in qualche modo
                            Mi alzai con un grido
                                Vivo di nuovo
                        Il diavolo e` stato abbattuto
                        Una luce attraverso il dolore
                                Vivo di nuovo
          Una volta conoscevo un uomo che vendeva palloncini rossi.

                   Traduzione di Bombastic e Marziobarbolo




                                THE CARDIGANS
                                    Life
                          (Stockolm Records, 1995)

     Eh si`: la Svezia nel campo musicale non produce solo metallari  lungo-
criniti o technocrati come Dr. Alban, ma  anche pop di gran classe. La prova
e`  l'album (probabilmente  d'esordio) di questi  CARDIGANS  rivelatisi  con
il godibilissimo singolo Carnival. Sono  quattro maschietti ed una deliziosa
cantante,  Nina, dalla voce sottile ed adolescenziale (immaginate una  Bjork
senza impennate  e  gridolini),  irresistibile  sia  nei  pezzi piu` ritmati
sia  quando  si cimenta accompagnata solo dal piano come in After  All.  Gli
altri quattro propongono  un  tessuto  sonoro  che  da  l'idea di quello che
dovrebbe  essere il pop, ovvero musica fatta per piacere al  maggior  numero
di persone ma senza  eccessive  mielosita`,  e con intelligenza. Le chitarre
funkeggianti  della gia` citata Carnival e Tomorrow le  tastiere  ammiccanti
di Sick And Tired, Daddy's Car  Rise  and  Shine  e  Hey! Get Out of My Way:
tutto  e`  costruito per piacere al grande pubblico, e  funziona  benissimo.
Da notare come questi svedesi  sanno  dribblare l'ostacolo del gia` sentito,
che  se e` un grosso problema gia` per il rock cosiddetto alternativo  figu-
riamoci per il piu`  ristretto  ed  affollato  mondo  del pop. Eppure quante
volte  i "maglioncini  coi bottoni" riescono a trasformare  un  attacco  che
ricorda un centinaio di altre  canzoni  in  un  brano con un grosso tocco di
originalita`! Inoltre non si adagiano sugli stilemi della musica di  consumo
ma piu` volte  virano  verso  atmosfere  piu`  sofisticate  come le suadenti
e  jazzate Travelling With Charley (confidenziale, cool e con tanto  di  ar-
chi!) e Celia Inside. Alla fine  riescono pure a piazzare la ciliegina sulla
torta  con  una  divertente e straniante versione di un  classico  del  rock
duro come Sabbath  Bloody  Sabbath,  che  da  anthem  satanico diventa nelle
loro  mani  un  gattone che fa le fusa. Che altro dire ?  E'  bello  passare
l'inverno cullati dal calduccio dei CARDIGANS.

                                                                 Corvo Rosso



                                  DEFTONES
                                 Adrenaline
                            (Maverick-Wea, 1995)

     Il modo  migliore  di  iniziare  musicalmente  il '96  passa attraverso
un  solo gruppo: i DEFTONES. Vengono da Sacramento (California) e si  appre-
stano a dare lustro alla propria  citta` piu` della locale squadra di basket
NBA (i  Kings).  Risorge in loro un tipo di crossover ermetico  e  spigoloso
che nell'ultimo anno pereva essere  scomparso,  ma che qui rinasce spontaneo
e senza paura di confronti con i Rage Against The Machine piu` arrabbiati (a
proposito: che fine hanno fatto?)  o  con il noise-core dei celebrati Orange
9MM.  Prevale  fin dall'inizio un senso di chiusura e di  malessere:  e`  la
chitarra a distribuire riffs  secchi,  funkeggiamenti sotterranei, a scavare
ipnotici  solchi (sentite  la splendido giro arabeggiante di  Root).  Ma  e`
la voce che, flebile  o  aggressiva -un  po'  come  accadeva per i Korn- da`
la misura della loro intensita` espressiva. Noisebleed ci dice che il gruppo
e` di origini hardcore, quello dei primi anni'80 (Bad Brains, naturalmente),
aperto  a tutte le contaminazioni sintetizzabili nel proprio sound:  perfino
l'hip-hop! Il risultato e`, a dir  poco  deragliante. Da tempo non si vedeva
una band capace di coniugare la propria radicale attitudine con un  ricchis-
simo campionario di immagini che deborda  al di fuori del rock. Ne sentiremo
ancora parlare...!

                                                           Vincenzo Capitone



                        THE RIVER OF CONSTANT CHANGE
                        A Tribute to Genesis (AA.VV.)
                                (Mellow,1995)

     Prendo  spunto  dall'uscita di questo doppio CD per  fare  un  discorso
piu` generale, riguardante gli album-tributo a questo o quel gruppo/artista.
Solitamente  risulta  oltremodo difficile eseguire una  rilettura  veramente
<<personale>> di un pezzo  del  proprio  beniamino,  sia a causa del fattore
emotivo (al cuor non si comanda!), sia perche' si corre il rischio di passa-
re per <<fotocopiatrice>>,  da  un  lato,  o come "storpiatore", dell'altro.
Se  la  cosa  puo` apparire tollerabile dal vivo, durante  un  concerto,  lo
e` sicuramente di meno - visto  i prezzi correnti - al momento dell'acquisto
di  un  LP/CD. Se a cio` aggiungiamo che il progressive non  e`  sicuramente
il genere che piu`  si  presta  a  simili operazioni (spesso i singoli pezzi
sono  collegati tra loro da un filo conduttore ed estrapolati  dal  contesto
perdono il  loro  significato  dal  punto  di  vista strettamente musicale),
i  presupposti  per  dare un giudizio finale non  possono  essere  positivi.
Opinione peraltro suffragata  dall'ascolto,  almeno  in  questo caso. Seppur
alcuni  gruppi  forniscano interpretazioni piu` che  valide (i "soliti"  Men
of Lake, i Germinale e le  piacevoli novita` Decode ed Evolution; non dimen-
tichiamo  che nel disco vi sono 27 gruppi ognuno dei quali esegue  un  pezzo
diverso!), nel complesso si ha una  sensazione di disagio al momento dell'a-
scolto,  soprattutto da parte di chi ha veramente <<vissuto>>  i  protagoni-
sti - Genesis in questo caso.  Oltre  tutto, l'accusa rivolta al progressive
anni '90 dai suoi maggiori detrattori e` proprio quella di copiare i  propri
capostipiti (perche',  poi,  i  suddetti  detrattori  non  rivolgono le loro
preziose  attenzioni  anche  ad altri generi, come il blues  ed  il  country
ad esempio, dove cover e  rifacimenti  vari  sono all'ordine del giorno, non
l'ho  mai  capito...);  ma e` gia` nei negozi un doppio cd  tributo  ai  Van
der Graaf Generator...

                                                                          io




                              INTERFERENZE blu
                         rivista di cultura musicale

                    P.zza Garibaldi, 3 - 12051 Alba (CN)
                   Tel. 0173/362041-281917 Fax 0173/297001
              Distribuzione Telematica 2:334/108.9@Fidonet.org

                            direttore editoriale:
                                gianni corino

                               capi redattori:
                               gianni borello
                             emanuele giaccardi

                                 redattori:
                              luca berlinghieri
                                beppino costa
                              mauro decastelli
                                paolo foglino
                              massimo giachino
                               beppe marchisio
                                mauro piazza

                          responsabile telematico:
                               matteo calorio

                               collaboratori:
                   associazione culturale Cascina Macondo
                               andrea marasea
                               cristiano rota
                               ermanno franco

                                  grafica:
                               elisa giaccardi

                               impaginazione:
                                sandro corino




                    BRA - la scena di casa - DAISJI CHAIN

     <<Stiamo preparando due  serate  al  Centro  Polifunzionale G.Arpino di
Bra all'interno di una manifestazione per dire NO alla droga. Vi  aspettiamo
per un concerto  acustico  ad  Aprile  con  la  gradita presenza come ospite
di Elena Ruggero.>>

     Il nome di questa band di Bra (eh gia` neanche a farlo apposta!)  aveva
fin da principio, cioe` da  quando  lo  avevo letto su una locandina qualche
tempo  fa,  dato origine ad un'eco di pensieri e di  ricordi.  Ecco  perche'
appena ho avuto l'opportunita` di  incontrarli  ho voluto sgombrare il campo
da  ogni  fantasma, e in questo sono stato aiutato da Marco  ed  Ivano,  due
componenti del gruppo, che mi hanno  fatto  capire  fin da subito che il lo-
ro <<bisogno>>  di  fare  musica non proveniva  da  sollecitazione  esterne,
o almeno in minima parte, ma  dalla  voglia di contaminare il maggior numero
di  persone  possibile  con la loro voglia di fare musica.  Ma  facciamo  le
cose per bene, presentiamo  la  band:  Marco  Cangemi voce e chitarra; Fabio
Gallo alla batteria; Davide Testa al basso; Ivano Zorgniotti e Marco  Gerace
alle chitarre. C'e` una loro caratteristica che mi ha favorevolmente impres-
sionato quando li ho incontrati in sala prove; ovvero la capacita` di trova-
re un punto di equilibrio tra  le loro diversita`. Questo punto d'equilibrio
lo  si  ritrova  nella musica dei Daisji Chain; capaci  di  eseguire  lunghe
ballate e brani molto  piu`  ritmati  ed  aggressivi con la stessa facilita`
di esecuzione, ottenendo lo stesso effetto di fascinazione sull'ascoltatore.
Capaci di conciliare le loro differenti  personalita` e i loro diversi gusti
musicali  senza che cio` vada a discapito di nessuno, e  specialmente  della
musica. Logicamente tanta  intraprendenza  personale  si  trova a combattere
con  tutta  una serie di problemi che vanno dalla  difficolta`  di  reperire
un mixerista (cosi` che Marco deve  inventarsi tale), a tutte le difficolta`
a  cui una band emergente deve far fronte in un territorio non  propriamente
ricettivo come il nostro. Ritornando al discorso piu` strettamente musicale,
sono  impaziente  di avere tra le mani il loro primo CD che uscira`  a  Feb-
braio, visto che alcune  delle  canzoni  che  mi  hanno fatto sentire, e che
saranno  incise  sul  CD promettono davvero molto bene. I  Daisji  Chain  si
trovano con  una  facilita`  disarmante,  caratteristica  che  consente loro
di tirare fuori i pezzi nuovi con un lavoro di e'quipe. Aspettando di  avere
a loro disposizione un lavoro finito  con cui farsi conoscere i Daisji Chain
portano  in  giro la loro voglia di suonare e di far divertire  chi  li  sta
ad ascoltare, cosi` che non  sarebbe  una  brutta idea dare un'occhiata alla
nuvoletta  qui sopra e decidere di andarli a sentire! Per prendere  contatti
con la band  telefonate  a  Marco  0172-411190  oppure  a Fabio 0172-431380.

                                                               Marziobarbolo




                   Punto fugato - G-FUNK: sparatorie soft?

     Il  mondo  del  rap USA e` un autentico mare magnum,  fucina  di  stili
sia verbali sia musicali: dal "edutainment",  misto di educazione ed intrat-
tenimento,  di  KRS 1 e Public Enemy alle libere trivialita` di  gente  come
2 Live Crew; dal  rap-metal  degli  Hard  Corps,  autori gia` cinque anni fa
di  una  trascinante versione di Back In Black degli AC/DC,  al  sofisticato
jazz-rap di Digable Planets e  Guru.  Negli  ultimi  tre anni e` accaduto un
fenomeno   quantomeno   curioso:   il   gangsta-rap,   frangia    estremista
dell'hip-hop, che  coniugava  l'esaltazione  della  violenza  di  strada con
campionamenti  di  conflitti  a fuoco e con le basi dure  e  senza  fronzoli
dei vari Ice T, Ice  Cube  e  NWA,  ha  virato verso sonorita` piu` morbide,
senza  perdere  un'oncia della propria virulenza verbale. E` cosi`  nato  il
G-FUNK (G sta sempre per  Gangsta),  le  cui  origini piu` immediate possono
essere  fatte  risalire all'album "The Chronic" di Dr. Dre`, ex  membro  con
Ice Cube e Eazy E dei gia` citati NWA. Segni caratteristici: ritmi rallenta-
ti,  tastiere onnipresenti e basi costruite con campionamenti del funk  anni
70 piu` psichedelico  e  del  soul  piu`  morbido (in  "The Chronic" si ruba
qualcosa  persino  a  Barry White!). Tra gli album piu`  importanti  e  piu`
riusciti prima del 95 vi e` l'esordio di Snoop Doggy Dogg di fine 93 ("Doggy
Style"), "It  Takes A Thief" di Coolio e "Regulate... G-Funk Era" di  Warren
G. Quest'anno la scena  ha  presentato  il  ritorno  di  2Pac e l'esordio di
Bone  Thugs'N'Harmony.  Il  primo ha visto  pubblicato  l'album "Me  Against
The World" mentre  era  gia`  in  carcere:  il  disco  e`  stato composto in
un  periodo in cui il rapper ha dovuto fronteggiare due tentativi di  omici-
dio, oltre all'accusa  di  violenza  carnale  che  lo  ha poi portato dietro
le  sbarre, e ne risente inevitabilmente. Titoli come Me against The  World,
Fuck The World, If I  Die  2Nite  e  Death Around The Corner testimoniano un
perenne stato di lotta con il mondo esterno, che si conclude sempre  negati-
vamente. Anche le  basi  riportano  a  un'atmosfera  pessimistica, in alcuni
casi  addirittura a un sentore di morte imminente: i grooves sono  profondi,
quasi sepolcrali, e il  suono  acuto  di  tastiere, vero marchio di fabbrica
del  G-FUNK, non accompagna, come per Dr. Dre`, gioiosi inni alla  marijuana
ma la vita braccata  di  un  outlaw.  I  Bone Thugs'N'Harmony, giovane posse
di  Cleveland,  si  mettono invece dalla parte  del  grilletto (vedi  titoli
come Mo'Murda, Die  Die  Die)  ma  narrano  le  loro storie di ultraviolenza
urbana  rallentando  ulteriormente i ritmi e ammorbidendo  le  melodie,  che
a volte assumono un forte  sentore di sostanze proibite (rap psichedelico?).
     In  certi momenti viene spontaneo associare il genere al  trip-hop  che
furoreggia nella vecchia  Albione,  anche  se  non  ne  ha l'ecletticita` di
riferimenti  musicali:  in fin dei conti il G-FUNK come somma  di  rap  piu`
basi lente e languide e`  abbastanza limitato, anche se sicuramente redditi-
zio (tutti i dischi citati sono entrati nei top 5 di Billboard). Lo dimostra
il fatto che le  legioni  di  imitatori  di  Dr.  Dre` e 2Pac hanno prodotto
pochissimo  di originale: lo stesso Coolio nel suo  ultimo  album "Gangsta's
Paradise" propone solo l'ottimo singolo omonimo e 3-4 pezzi di buona fattura
mentre  gli  altri brani scivolano inesorabilmente verso la  banalita`  piu`
assoluta.
     Ormai, secondo me, solo gli  interessi delle case discografiche possono
tenere in vita uno stile che non ha piu` molto da dire.

                                                                 Corvo Rosso




                   Punto fugato - 1995 L'ANNO DEL CONTATTO

     Si sono chiusi dodici mesi di uscite discografiche. Dodici mesi, direi,
di transizione: le  grandi  utopie  del  crossover  e del Seattle-sound sono
sulla  via del tramonto. Nessun dubbio pero` sul fatto che tra le  band  che
meglio hanno incarnato lo  spirito  moderno  del  rock, senza sprofondare in
<<nuovismi>>  Pop/Punk,  ci  siano  gli  Smashing  Pumpkins.   Semplicemente
monumentali nel loro ultimo  Mellon  Collie and Infinite Sadness (dura quasi
due ore!) suddiviso in due dischetti.
     Non e` cambiato nulla dal '91, dai tempi del primo singolo "I am  one".
Domina incontrastato il  genio  di  Billy  Corgan,  capace  di sfoderare due
pezzi  come Zero e Bullet, di un'immediatezza sconvolgente  e  scopertamente
ispirati ai Nirvana pesanti-melodici. Tante canzoni, dicevamo. Eppure scivo-
lano  via come maschere di carnevale: ognuna rappresenta uno  stato  d'animo
diverso, con una particolare  ed  insistita predisposizione per le atmosfere
tristi  e melanconiche (vedi le numerose ballate lente e/o  acustiche),  con
una levita` quasi beatlesiana.  Credo  che  nessuno  meglio di Corgan sappia
adattarsi a questo clima mutevole: la sua versatile voce sa modularsi  sulle
cadenze oscure - alla  Fudge  Tunnel -  di  Where  boys o intrufolarsi nella
tensione di Lily od ancora esprimere i propri umori deboli e forti in Porce-
lina. Certamente non manca  una  punta  di  prolissita`, di esagerazione. Ma
che  volete  farci se il personaggio e` l'emblema del  narcisismo  rock:  lo
era anche il miglior Bowie di vent'anni fa.
     Solcando territori  decisamente  piu`  estremi, troviamo Demanufacture,
il secondo album effettivo dei FEAR FACTORY. Sono sicuro che non dimentiche-
remo facilmente questo  gruppo.  Il  loro  modo  di  intendere il grind-core
e assolutamente integralista: suoni secchi, scarni, di una pesantezza  inau-
dita, impastati elettronicamente dalla  drum-machine del terrorista tecnolo-
gico  Rhys  Fulber dei Front Line Assembly. La chitarra  di  Cazares  riesce
veramente a erigere un muro,  esattamente come i Meshuggah descritti qualche
mese  fa.  Qui  pero` le scelte sono ancora piu`  convincenti.  Tutti  sanno
supportare e seguire benissimo la grande  voce  di Burton C. Bell che, oltre
ad essere un <<grugnitore>> professionista dimostra le sue capacita`  intro-
ducendo un tono  mistico (ascoltate  A  Therapy  for  pain), quasi estatico.
Avrete  notato  che e` la stessa primordiale spiritualita`  provocata  dalla
visione di un interno di cattedrale  gotica. Ed e` pure la stessa sobrieta`,
che  sottilmente  permea  tutto l'album, tipica del  periodo  New  Wave (Dog
Day Sunrise). Al di la` dell'intrinseca validita` del gruppo, resta comunque
l'ottima  prestazione del buon Burton, qualcosa di diverso dai  soliti  orsi
bruni del metal. Di  cio`  sembra  essersi  accorto  quella vecchia volpe di
Geezen Butler, primo e storico bassista dei Black Sabbath; che non ha atteso
molto a coinvolgerlo  nel  proprio  disco  solista,  a  nome GZR, intitolato
Plastic  Planet. L'apporto del cantante non e` differente rispetto  ai  Fear
Factory, ma risultera` tanto piu`  evidente  ove  si  rilevi che il sound e`
un  po'  piu` trash (e dunque piu` piatto) ed appena arricchito  da  qualche
passaggio (ovviamente  retro`)  funereo.  Interessante.  Deludente,  invece,
l'esordio  dei  DOWN.  Dischi come Nola potrebbero  effettivamente  fare  la
felicita` di tutti  i  sociologhi-menagrami  del  rock.  E` stato presentato
ufficialmente  come il frutto dell'incontro casuale di un gruppo  di  amici:
Philip Anselmo, potente voce  dei  Pantera,  Pepper  Keenan dei Corrosion of
Comformity  e  l'intera sezione ritmica dei Crowbar. Con un  solo  obiettivo
esplicito ricreare e rinverdire i fasti  dei primi Black Sabbath. Ed i pezzi
sono stati costruiti secondo la ripetizione - fino alla nausea - dei  soliti
riff neri e compressi,  magari  intercalati  da un bell'assolino di chitarra
o  da  un  intervallo acustico. Non dico che sia  tutto  da  buttare (Keenan
in Swan song manovra la  propria  sei  corde come un trattore e Temptation's
Wing  ricorda la dinamicita` dei Kyuss). Ma sono episodi. Il fatto di  voler
riportare in auge il gruppo di Birmingham con qualche leggera riverniciatura
e`  un'idea ridicola, perfino esteticamente. Il risultato e` un  prevedibile
tracollo. Proprio l'identico ed  avvilente  destino toccato a chi (I Cather-
dral)  ha  esagerato  con  i Sabbath. Di troppo  amore...  si  puo`  morire!
     Devo pero` ammettere  che  quest'anno  non  pochi  gruppi hanno evitato
di  appisolarsi  sul malcostume del <<remake>> a tutti i costi.  Lo  vediamo
anche ascoltando Rolling  Thunder  Music,  il  secondo  album del fantastico
sestetto americano di Phoenix dei BEATS THE HELL OUT OF ME. La  copertina-e-
tichetta conferma la  qualita`  del  prodotto (an  exhilerating robust blend
of fine music imported from Tempe), gia` positivamente apprezzata nel  disco
precedente. Chiarisco subito che  qui  e`  riduttivo -  se non fuori luogo -
parlare  di  <<nuovo hard>> o <<nuovo rock>>. Provate ad  ascoltare  Track -
vigorosa ma  sempre  orecchiabile -  e  il  crostoso  impatto  di  Kazooka e
Jackpot (pero`  sapientemente dosato come avrebbero fatto i primi  Soundgar-
den): e comunque fresca e  originale.  Ma  il meglio deve ancora venire. Una
stravolgente serie di visioni acide (ascoltate pure la crescita  psicadelica
di Wouldn't buy  it)  ed  incessanti  allucinazioni  che  si susseguono sino
a  slabbrare  l'andamento  delle canzoni. Come nelle  illusoni  oniriche  di
19,5, rigurgito di una  voce  su  tempi  lentissimi.  Come in G-Nite Lee Van
Cleef  dove  l'eterno contrasto tra chitarra elettrica  ed  acustica  genera
un curioso  effetto <<root>>.  Degna  conclusione  col funkettone baldanzoso
di  Freeway, dove trova ancora spazio l'ugola del cantante.  Sostanzialmente
un tipo alla  Henry  Rollins,  ma  con  un  approccio meno recitativo (nien-
te "spoken words") e con le dosi necessarie di calore e di pathos  interpre-
tativo. Siete invitati a scoprirlo.
     Idee altrettanto fresche e sperimentazioni incombenti sono le coordina-
te per inquadrare Ali, l'ultima fatica degli ALBOTH! Il quartetto  svizzero,
che gia` si distingue per il  semplice  fatto di assegnare al piano il ruolo
normalmente  affidato alla chitarra, si esprime attraverso suoni  apparente-
mente caotici, alcuni dei quali mutuati dal Free Jazz. Dico "apparentemente"
perche'  ogni  brano ha un suo proprio linguaggio ed una  sua  inafferrabile
logica (anche nei rumori piu`  ossessivi  e disarticolati). Pare incredibile
la  disinvoltura con cui si passa dalle scariche grind-core di Sigi,  figlia
del sax di  John  Zorn,  alle  suggestioni  minimali/ambient  di Berger, col
pianoforte  quasi  uscito di senno. In ogni elemento  c'e`  creativita`.  Il
cantante -se cosi` mi e` concesso  chiamarlo-  usa la voce in maniera sempre
differente:  furiosa  in Freivogel, metallica in Von Rźti, astrusa  in  Hans
U. Hertel. Riesce addirittura a  trasformarla in strumento quando, duettando
con  la  batteria in Rosenbaum, utilizza le parole (o  presunte  tali)  come
se fossero suoni, in  modo  onomatopeico.  Completano  il  lavoro un paio di
ottimi  techno-remixes,  rimaneggiati  rispetto  all'album  precedente.  Gli
ALBOTH!, a  parte  il  riconoscibile  basso  alla  Nomeansno, sono veramente
ostici  per  qualunque orecchio. I loro ritmi frenetici e le  loro  scheggie
strumentali risultano in  fin  dei  conti,  dei  veri  accumulati di idee di
qualsiasi  forma e provenienza. Assolutamente incatalogabili. La  prova  del
nove della loro validita`  si  ha  con  Barscheld.  Ne'  piu` ne' meno della
definitiva  macellazione  di  21st century schizoid man  classico  dei  King
Crimson sepolto sotto le  urla  di  Lieder.  Sara` pure un periodo difficile
per  il rock, ma i gruppi che sanno "osare" ci mandano tanti piccoli  segna-
li (per esempio i vagiti di metallo  industriale dei Nerve). Segnali e frut-
tuosi contatti fra generi diversi, di cui godremo i risultati.
     Micamalequestomillenovecentonovantacinque!

                                                           Vincenzo Capitone




                BERGAMO - emergenze! - le vibrazioni dei BUG

     Alla ricerca di band giovanili meritevoli di attenzione, ci allontania-
mo dalla ribalta locale cuneese  per  parlare  dei  BUG, uno dei gruppi piu`
promettenti  della zona di Bergamo. Nati nel '92, profondamente  rinnovatisi
due anni dopo, hanno prodotto  nella  primavera del '95 il loro primo album,
Vibe. Ormai affermati a livello locale, hanno meritato recensioni lusinghie-
re su quasi tutte le riviste  specializzate: proprio questo mese se ne parla
su  Rumore.  Benito, il batterista del gruppo, mi spiegava  che  dalle  loro
parti ci sono tanti  gruppi,  alcuni  molto  buoni (puo` darsi che torneremo
a parlarne nei prossimi numeri), ma in citta` non ci sono posti dove  suona-
re. Si  deve  sempre  fare  riferimento  alla  provincia, perche' l'ambiente
di Bergamo e` molto chiuso, conservatore. Loro, i BUG non perdono l'occasio-
ne di parlarne,  anche  in  toni <<pesanti>>,  nelle loro canzoni: <<My time
is hanging and my flesh crowls, trapped in this town>> e anche <<Nothingnes-
s / Orgiastic  rituals  based  on  catholic  truths. /  Scratch the surface,
friend>> ...  decisamente <<a bomba>> sul problema. Non crediate che i  loro
pezzi siano il solito pastone di sociale falsamente impegnato che ci propri-
nano gruppi e posse assortiti: i problemi vengono affrontati nella dimensio-
ne dell'individuo,  con  leggerezza (che  non  e`  superficialita`)  e senza
retorica.  Complimenti!  Ora passiamo all'album. Il loro stile  si  avvicina
molto a quello di gruppi  come  Soundgarden  e Monster Magnet che si rifanno
alla scena angloamericana tra gli anni '60 e '70. Non e` il solito  saccheg-
gio a piene mani  di  sonorita`  e  strutture  musicali  per seguire la moda
del momento, il solito remake buono per ragazzetti e quarantenni nostalgici.
La loro musica e` di  forte  impatto,  la  voce e` spesso urlata; la sezione
ritmica,  potente,  chiude  tutti gli spazi e sostiene con  forza  la  linea
melodica, che si impone nell'economia  di  ogni brano. Le strutture musicali
che  vengono  cosi` a formarsi risultano  particolarmente  efficaci:  alcune
piu` semplici altre piu`  complesse,  sfruttando sempre ripetizioni e simme-
trie. Nelle code di alcuni brani, queste variazioni risultano particolarmen-
te interessanti: si  alternano  la  ripresa  dei  ritornelli, di loro parti,
gli  stacchi prolungati in crescendo, i cori, gli assoli, i cambi di  tempo.
Le chitarre ora sostengono  la  voce,  ora  la  sezione ritmica, o ancora si
mettono  in  disparte  cucendo la tela tra le due, senza  mai  diventare  un
semplice ornamento. Azzeccata la  scelta  della  lingua  inglese anche se la
struttura  metrica  dei  versi non sempre coincide con  quella  del  periodo
musicale cosi` che il cantante  e`  costretto  a mangiare qualche parola qua
e  la` per far quadrare il tutto: ma niente parola, il libretto del CD  con-
tiene tutti i pezzi e vi  assicuro  che  vale la pena di leggerli. Nel primo
pezzo  Hypnos  One (dal greco antico: ypno§: sonno), il  ritmo  cadenzato  e
insistito, la voce che alterna un verso cantato e uno urlato, ci introducono
in  quell'atmosfera  rabbiosa  e un po' oppressiva  che  caratterizza  tutto
l'album. Nelle parole  alla  fuga  e  al  tormento  interiore si contrappone
un  forte  desiderio di liberta`, di autonomia di  pensiero <<Running  naked
through your / inner fields without being / Embarassed is a word to forget /
When you are on your own). Unico spiraglio per una pacificazione  momentanea
e` il senso di appartenenza all'universo che esalta la visione di un paesag-
gio  crepuscolare: difesa della propria mente. Bomb my heart e` una  canzone
d'amore molto bella, originale e intensa. Parole e musica si sposano perfet-
tamente.  La struttura del brano e` semplice: tono e volume della voce  cre-
scono sempre piu`. Il cantante esprime l'intensita` del proprio amore attra-
verso  il desiderio di diventare parte degli elementi naturali che  accompa-
gnano la vita  della  donna  amata (vento,  tramonto,  luce, pioggia...). Il
crescendo  delle  immagini  e della musica esplode nel  ritornello:  voce  e
coro urlano la totale  dissoluzione  della persona nei suoi elementi (mente,
io, anima) ai quali rinuncia per penetrare nella fisicita` della donna (car-
ne, pancia, sangue).
     In the Mist  descrive  un  paesaggio  esistenziale,  interiore, dove e`
la  nebbia degli eventi a confondere la via e impedire il  cammino.  Nemmeno
forse vale sperare in un  aiuto (anche  se  divino) perche' alla fine questa
situazione  di  stallo, di costante  instabilita` (<<constant  fickleness>>)
si rivela l'unico appiglio per  vivere (<<always keeps me alive and well>>).
Le  chitarre distorte che ripetono lo stesso riff contribuiscono  a  rendere
piu` <<nebbioso>> il  brano (atmosfera  insistente, ossessiva): la struttura
si  conclude  con una coda ipnotica, due lunghi  crescendo  che  introducono
la ripetizione (anche una  dozzina  di  volte)  dello  stesso verso: <<And I
am wading / through the mist>> (avanzo a fatica nella nebbia).
     La  Corner  Song  e` un anti-inno, anarchico e ribelle.  Roba  che  non
si prende alla  leggera: <<voglio  cancellare  la  mia identita`>> (Erase my
identity),  <<piazzarmi nella caverna piu` profonda>> (to seat down  in  the
deepest cave).
     Part of me e` un  pezzo  composto  prima della rifondazione del gruppo:
una  canzone d'amore allegra e danzereccia, molto orecchiabile,  programmata
piu` volte da radio popolare nelle zone di Bergamo e Brescia.
     Uhm... e` una canzone a suo  modo violenta. Le chitarre riffano instan-
cabili  con pause improvvise: il ritmo e` continuamente spezzato.  Il  testo
e` molto forte, nero  che  piu`  non  si  puo`,  rabbioso invito a rifiutare
le  parole  vuote,  a raggiungere una (forse)  impossibile  immediatezza  di
sentimenti (<<Thought.  Feel.  Heart.  Mind.  Fusion. Visions. / Utopia?>>),
a  scavare  nelle cose (<<So go down, deep within / Straight  to  the  core,
get in>>).
     Si distacca, almeno  in  parte,  da  questi  temi Fairytale della quale
riproduciamo  a pag.2 il testo, invero molto suggestivo. La  voce <<soffoca-
ta>> nel microfono  e`  proprio  azzeccata  e  mi  e` piaciuta moltissimo la
melodia che la chitarra disegna nelle strofe, leggera e godibile.
     A  passage to Dreamland e` il pezzo col quale i BUG sono soliti  aprire
i loro  concerti.  La  musica  e  la  ripetizione dell'unica strofa (<<Enter
the dream / leave the pains behind / liberate your light>>) creano  un'atmo-
sfera ipnotica. E`  un  pezzo  molto  breve,  ma  riassume tutte le qualita`
del  gruppo.  Redemption ha una struttura semplicissima. Nel  finale  mi  e`
piaciuto molto il  tremolo  in  crescendo  che accompagna l'invocazione <<To
the  sky>>  desiderio di purezza e di redenzione,  paura  della <<malattia>>
del nostro mondo.
     Il mondo "malato"  e`  l'argomento  dell'ultimo  pezzo  Nothin' of sick
love,  che da` il nome al loro primo demo (1993) ma qui viene  completamente
trasformata. E' il brano piu`  violento dell'album, una scarica di immagini,
ora crude (Pussy power, dickless nerds) ora decisamente allucinate.
     Ben  bene,  cari lettori, spero proprio di aver  stuzzicato  il  vostro
interesse: se e' cosi` rivolgetevi pure alla nostra redazione, oppure diret-
tamente alla <<live manager>> dei BUG: 0363/302047 (Vibe e` anche in distri-
buzione presso la Vacation House di Biella).

                                                               Mr. Bombastic




                                Death in June


                   LA SUBLIME LEGGEREZZA DELLA MALINCONIA

     Era il '79 quando il punk, dopo  aver scosso alcuni anni prima il mondo
del rock con tutta la forza di una rabbia volta all'anarchia piu`  assoluta,
ormai esangue in tutta Europa, si  risollevo` dalla crisi in cui era caduto,
<<appoggiandosi  all'ala meno violenta ma piu` inquietante del  movimento>>,
quella del dark punk. I  DEATH  IN  JUNE  nati  dalle ceneri del punk come i
CURE,  S.SIOUX  AND  THE BANSHEES, i JOY DIVISION e i  BAUHAUS,  furono  gli
artefici di quell'oscuro limbo di suoni fortemente legato all'introspezione,
al   crepuscolarismo  notturno  e  tenebroso  definito "dark".   Influenzati
dall'esistenzialismo, dalla letteratura  neogotica  e  da  scrittori come A.
Camus  e E.A. Poe, gli artisti dark definirono una musica angosciosa,  fatta
di sonorita` plumbee che divenivano ipnotiche, inscenando un universo sonoro
quasi apocalittico. La <<noia>> dell'esistere e` il male che sempre  affiora
incupito da chitarre  sul  filo  della  distorsione  e tastiere elettroniche
glaciali  da brivido, e in quell'elettricita` stagnante, il suicidio  sembra
essere, come  paradosso,  l'unica  liberazione  ancora  possibile  o catarsi
definitiva.
     Sin dai primi album i DIJ si distinsero come i piu` angosciosi  cantori
di <<morte>> di tutto  il  movimento  dark.  E  mentre  gli altri gruppi con
il  passare  degli  anni cedettero alle lusinghe  del  mercato,  stemperando
quei suoni oscuri in un  sound  piu`  scanzonato,  i DIJ continuarono per la
loro strada fatta di ostinazione e lealta` verso i propri ideali, nell'oscu-
rita` infinita delle notti malinconiche, come astri di luminosa e indicibile
poesia.  E  sino  a oggi, regalando al mondo  nere  perle  di  incomparabile
bellezza, ci hanno reso la vita piu` preziosa.
     Tuttavia molte furono  le  traversie  che  il  gruppo dovette superare,
da parte della stampa che gli riservo` un pessimo trattamento, e all'interno
della formazione con  l'abbandono  di  Tony  Wakeford  nel '83  e di Patrick
Leagas nel '85. Questo non impedi` a Douglas Pearce di tenere alta la 'fiac-
cola nera' della 'morte in giugno', pubblicando  sino a oggi album di incom-
mensurabile bellezza, che hanno innalzato quel tempio creativo, identificato
nel cuore degli uomini, dove  la  poesia malinconica, che e` nella caducita`
della  vita,  scopre nei simboli di luce e oscurita` una piu`  profonda  co-
scienza, legata indissolubilmente  al  passato.  E  sembra vivere un istante
di eternita` in quelle note di sublime leggerezza. Doug Pearce e` il cantore
dell'effimero che sa  toccare  tutte  le  corde  dell'anima con la vellutata
fragranza delle rose, e` l'eterno sacerdote della notte che si aggira  nella
foresta magica dei simboli cercando  nella  luce che sfugge il segreto della
vita; e` il nobile e fiero crociato in questa nostra epoca di  disgregazione
dei valori. La musica dei DIJ e` una cascata di accordi puri, come la perla-
cea  rugiada  nell'alba degli eroi, e` il soffio del vento  tra  gli  alberi
di una foresta nella notte, e`  la  luce  che danza nelle ombre, la vita che
e`  nella morte. Nella notte trapunta di stelle, ogni suono riluce  e  versi
intensi di lacrime e sangue  cadono  nei  nostri cuori come angeli e demoni.

     Alle statue bianche marmoree che si innalzano in un cielo ombroso
     alle rose che perdono i loro petali profumati nel tempo
     all'uomo che cade nel silenzio della morte
     il vento sembra bisbigliare:
     la bellezza e` nella sofferenza
     la sublime leggerezza della malinconia,
     la tragica intensita` che e` nella caducita` delle cose.

AufWiedersehen!

                                                                    La Notte


                        I NERI GIORNI DELLA DECADENZA

     La <<notte dei lunghi coltelli>> fra  il  29  e  il 30 giugno del 1934,
sarebbe  rimasta negli anni a venire il momento in cui si decisero le  sorti
di una nazione e dell'Europa:  quelle  ore quando Hitler scelse di eliminare
le  SA  (Sturmabteilungen) e cio` che e` accaduto in quella notte  del  mese
di giugno.
     A distanza di decenni i DEATH IN JUNE, <<la morte in giugno>>, ripensa-
no idealmente quei momenti, data storica di provenienza del nome del gruppo;
ad un certo  punto  e`  significativo  sapere  che <<se  Hitler fosse morto,
come voleva Rohm, vivremmo in tutt'altro mondo>> (Douglas P). E'  significa-
tivo per loro ma anche  per  noi  ascoltatori della loro musica, sebbene poi
per  entrambi  quei  giorni di giugno sfumino  in  qualcos'altro  implicando
cose diverse per diverse persone. Una matrice di esperienze comuni e percio`
storiche,  come poi la seconda guerra mondiale, la guerra fredda e  il  muro
di Berlino, sono  la  prima  possibile  spinta  a  comporre testi di musica.
I  DIJ nascono come studenti di storia, legati all'estrema sinistra,  infine
scontenti del Bolscevismo, attratti da  uomini  come Gregor Strasser e Ernst
Rohm e poi di fronte al ridicolo e all'impotenza di una rivoluzione radicale
irrealizzabile, sperimentata  col  nome  di  CRISIS,  la  scelta di cambiare
il  mondo si rovescia nella scelta di cambiare se stessi. I  fatti  storici,
i simboli utilizzati  dal  Nazismo,  le  uniformi,  che  Douglas P scelse di
indossare per rimarcare <<potere, ordine, disciplina e dignita`>>, diventano
una ascendenza  nascosta,  per  assicurare  la  maschera  alle loro liriche.
Il nascondersi, il non amare esibirsi in pubblico, luogo  dell'imperfezione,
sono le amabili irrequietezze  di  un  perfezionista.  Douglas  P che fra le
piu`  felici immagini delle sue liriche introduce la visione del mondo  come
<<fremente  quantita`  di  pazzia>> (seething  mass  of  insanity), riscopre
nei simboli retorici prebellici e della mitologia nordica, tutta la comples-
sita` al di sotto della superficie e  da questa crea nuovi simboli: i luoghi
inattuali della fede estrema. Un <<teschio d'oro>> (gold Totenkopf), esibito
senza smascherarne  la  simbolica,  diventa 'segno'  per  ogni occhio capace
di  coglierlo;  le canzoni Heaven Street, echi sarcastici  delle  iscrizioni
nel campo di  concentramento  di  Sobibor:Road  to  Heaven,  per indicare la
strada ai forni crematori, sono il <<qualche cosa>> (una memoria tormentata,
un veleno necessario, un'informazione orribile) che risolverebbe la ossessi-
vita`  rassomigliante  al tic-tac d'orologio del brano Crush My  Soul  nella
semplice melodia che in fin dei conti  questa canzone e`, ma non puo` esser-
lo. Sono il <<qualche cosa>> di cui e` priva <<la morta societa`  senz'anima
e cuore>> (Douglas  P),  senza  i  quali  nessun  simbolo e` attuale. Questa
tematica  e  le sue assonanze in Nietzsche,  Junger,  Mishima  meriterebbero
un discorso a parte, ma  daltronde  chiare sono le parentele col militarismo
sia nello scrittore tedesco Junger (Nelle Tempeste d'Acciaio) che nel  giap-
ponese Mishima (Confessioni di una Maschera).


                        DALLA TORTURA ALLA COSCIENZA

     Nell'istante in cui il testo  si spoglia delle caratteristiche di oppo-
sizione alla societa` e si orienta nell'ambito ben piu` profondo  dell'indi-
viduo, alle dolci melodie  interne  e  alle  paure  nascoste, la canzone dei
DIJ  si  fa  lirica e struggente parola recitata di  fronte  alla  societa`.
Il linguaggio figurato, scandito per parlare, oltre l'io psicologico, subito
all'inconscio, nasce allora dalla sofferenza inquietante dell'anima tortura-
ta, il giardino delle torture  poi  e`  anche il luogo predestinato dei CUR-
RENT '93,  e  muore  nel culto finale del credere  in  se  stessi.  Metafore
dell'uomo solo che come un fiore  di  petalo in petalo fiorisce e sfiorisce,
per  i  DIJ fondamentale e` essere simboli di una coscienza  vincolata  alla
miseria e purezza o non essere affatto.

                                                                       Decus


DISCOGRAFIA
Burial '83
The guilty have no pride '84
Nada '85
The corn years '87
The cathedral of tears '88
The wall of sacrifice '89
"stenbrăun '89 (collaborazione con LES JOYAUX DE LA PRINCESSE)
Rose clouds of holocaust '94
But, what ends when the symbols shatter?
Occidental Martyr '95

Per acquisto: DEMOS srl Napoli, tel. (081) 459021




                         LA MIGLIOR SCELTA POSSIBILE

     Avete appena acquistato  un  disco (pop,  reggae,  dance o classica che
sia), siete cioe` entrati in possesso di un <<pezzo di materiale fonografico
contenente musica>>.  Siete  contenti  della  scelta  fatta,  perche' sapete
gia`  che  vi  piacera`. Domanda: come fate/avete fatto a  saperlo?  E  poi,
siete davvero convinti di aver scelto? Se non sapete darvi da soli le rispo-
ste, eccovi un ventaglio di possibilita`:
     a)  Avete  ascoltato uno o piu` brani di un certo artista  alla  radio.
Ottima scelta, certo:  quale  mezzo  piu`  adatto  di quello radiofonico per
verificare  se  una certa musica vi piace o meno? La  trasmissione  acustica
e` immediata, immediato e  libero  da ulteriori interferenze sensoriali l'a-
scolto,  immediato  il  giudizio che ovviamente si rifa`  al  vostro  gusto,
immediata la scelta in mezzo alle  centinaia  di brani musicali che la radio
quotidianamente  propone.  Ora, partiamo proprio da quest'ultimo  punto:  da
che <<campionario>>  avete  scelto,  ovverosia  quale  stazione  radiofonica
ascoltate? Qualunque essa sia, senza graduatorie di meritevolezza, vi rende-
rete conto da  soli  che  UNA  stazione  radiofonica  non e` <<la Radio>>, e
che  quindi  il campionario di ascolto e` preordinato,  guidato;  senz'altro
dai programmatori  radiofonici,  che  sono  uomini  e  ascoltatori come voi,
soltanto <<sanno  quello  che  il pubblico vuole>> e  loro  glielo  danno (e
sui meccanismi  che  motivano  richiesta  e  offerta  non avventuriamoci ol-
tre...);  in  pesante misura dai fili invisibili del  mercato  discografico,
un mercato dominato dalle  compagnie piu` potenti (le famigerate <<majors>>)
che  sono  in  grado di assicurare una distribuzione  piu`  capillare  nelle
radio e nei negozi dei dischi  da  loro prodotti. Nell'uno e nell'altro caso
non  bisogna  essere delle aquile per capire che ci sono musiche  che  hanno
piu` diritti di altre  a  essere  programmate,  quindi a stampigliarsi nella
memoria del potenziale acquirente, e che non e` questo quello che si intende
normalmente con <<liberta` di scelta>>.  L'unica  possibilita` che vi rimane
e` quella di non fossilizzarvi su di una frequenza sola: ma le radio  stesse
sanno che il  proprio  pubblico  e`  molto  conservatore,  e voi siete cosi`
pigri...
     b)  Avete letto una rivista specializzata: Rumore,  Buscadero,  Amadeus
o... Interferenze Blu. Complimenti:  vuol  dire  che  forse la musica non vi
interessa solo per i suoi valori estetici, ma anche come fenomeno  culturale
e di costume: non la ascoltate  soltanto, la vivete. Ma quale rivista legge-
te?  E`  importante  stabilirlo, perche' ognuna di esse e`  guidata  da  una
diversa visione della cultura musicale, visione che determina poi l'apriori-
stica  inclusione  o esclusione di determinati dischi - talvolta  di  interi
generi musicali - nel novero delle  segnalazioni. E dopo questo primo setac-
cio c'e` finalmente la recensione, che spesso non solo cerca di  sostituirsi
al momento dell'ascolto,  ma  addirittura  pretende  di  completarlo, con un
giudizio  critico  che sta a noi fidarci di condividere. Non  ci  siamo:  la
scelta e` ancora  piu`  ristretta,  la  percezione incompleta e naturalmente
faziosa, in relazione ai gusti del Re Censore... Il parco lettori,  natural-
mente, non  dimostra  maggiore  intelligenza  nel  rapportarsi alla rivista:
dall'assunzione critica del giudizio (salvo poi acquistare il disco recensi-
to e restarne delusi)  alla  ribellione (astiosa di fronte alla <<stroncatu-
ra>>),  alla  lettura di sole alcune recensioni, scelte in  base  al  genere
trattato o alla firma,  o  di  una  sola rivista (spesso motivata da assurde
contrapposizioni <<politiche>>).  Ancora  una  volta  la  soluzione,  quella
di leggere piu`  riviste  sembra  improponibile  a  un  pubblico contento di
coltivare il suo orticello.
     c)  Avete  letto  un quotidiano? Allora sapete a malapena  chi  sono  i
Beatles, Eric Clapton o <<quei  drogati  marci>> dei Litfiba. Discorso chiu-
so...
     d)  Avete visto un video-clip. Il video-clip e` senz'altro  il  miglior
strumento pubblicitario per la musica,  sia  che le immagini usate costitui-
scano  un  semplice  sfondo,  sia che esse  si  integrino  artisticamente  e
significativamente con la musica,  perche'  comunque la sua fruizione rimane
in  qualche modo separabile e non interferente rispetto alle immagini.  Dove
l'avete visto? Su Videomusic, su MTV o su altri (pochi) canali via satellite
esclusivamente  dedicati  alla musica. Radiofonia per  immagini,  percio`...
e si ricade nel punto 1!
     e) Siete andati  al  cinema.  Avete  visto  Vacanze  di Natale '95, poi
siete  corsi come razzi a comprare il doppio compact-disk Vacanze  di  Nata-
le '95 Compilation... Come? Non era  la colonna sonora? Pazienza, ma intanto
il  disco  lo avete acquistato! Ed e` inutile che ridete,  voi,  che  quello
schifo di film lo avete sdegnato, ma poi siete cascati come pere per Forrest
Gump o Filadelfia...
     f)  Avete visto uno spot pubblicitario. Dove? Quando? Non se ne  vedono
quasi mai! Gia` questo e` un indice sufficiente della scarsa liberta` insita
nel  mezzo.  Inoltre, quando capita di vederne uno, ha  questa  forma  tipo:
immagini tratte dal piu` recente  video-clip dell'artista; primo piano sulla
copertina  del  disco  da promuovere; collage di due o  tre  brani  musicali
soffocati dalla  voce  invariabilmente  stentorea  dello  speaker che annun-
cia <<il  nuovo,  fantastico album di X>>. Fine. Perfino per  dei  pannolini
sono capaci di studiare spot piu`  belli  e informativi di questi, a riprova
della  reciproca estraneita` che esiste tra musica e linguaggio  pubblicita-
rio. (Vedi Interferenze Blu di Novembre).
     g) Domandone finale: ma allora e` la  musica o sono i mezzi di informa-
zione a imporsi dei limiti? E questi limiti sono voluti o no? Che l'Entropia
vi protegga...

                                                                  Madmanmoon

                                      ?