Settembre-Ottobre 1995

     Autunno,  si sa e` sinonimo di tristezza; il sole della bella  stagione
lascia il posto alle piogge  battenti  ed  alla nebbia, le vacanze sono solo
piu`  un ricordo sbiadito, e tutti ormai sono tornati alle  loro  rispettive
occupazioni. Tra questi ci siamo  anche  noi di Interferenze blu, navigatori
solitari  ed instancabili, intrepidi nocchieri che pilotano il loro  azzurro
veliero tra le onde (corte? medie? lunghe?) dell'oceano musicale.
     Va beh, torniamo  seri,  e  riprendiamo  possesso  di  quella patina di
sobrieta`  che ci ha sempre contraddistinto, lontano dal rutilante  universo
dei periodici piu` o meno  di  cassetta.  Ed eccovi quindi servita la solita
carrellata sul panorama musicale: le ultime uscite ai raggi X, le rubriche -
     divenute ormai un  punto  fermo  della  pubblicazione - e (inedito!) un
abbinamento  intervista  piu`  recensione ad alcuni  esponenti  della  scena
underground cuneese, protagonisti  della compilation "Provincia in grata"...
un po' di campanilismo non guasta! Ed ora spazio alla musica e buona lettura
(o buon ascolto?!).

                                                                          io




                           RECENSIONI - 360 gradi



                                  MESHUGGAH
                            Destroy Erase Improve
                         (CD - Nuclear Blast - 1995)

     Potrebbe essere una lugubre colonna  sonora estiva per un popolo balca-
nico  al  martirio. E` invece il secondo album dei  MESHUGGAH (nome  che  in
yiddish indica la pazzia). Ad un primo  approccio gia` mi pare un buon passo
in  avanti  rispetto al solito, irrazionale <<catastrofismo>>  death  metal,
di cui pero` conserva la  pesantezza.  Tema centrale: la creazione di un'in-
telligenza  artificiale  e  di una possibile  generazione  umanoide -  meta`
uomo e meta` macchina - sottomessa ad  un nuovo Dio tecnologico. E` un'inda-
gine che si snoda attraverso la descrizione di particolari reali e di scena-
ri futuribili ma, come  si  evince  dai testi, con risvolti <<psicologici>>.
Ne  risulta un insieme suggestivo ed assai credibile:  sicuramente  migliore
di qualunque romanzo fantascientifico  e  di film alla Terminator/Blade Run-
ner.
     Naturalmente  gran  parte  di  queste  suggestioni  sono   richiamate -
nelle dieci  tracce -  dallo  spigoloso  e  potente impatto (ascoltate 'Soul
Burn').  Ma  anche  se il violento chitarrismo ci riporta  ai  Pantera  piu`
recenti, il piglio dell'album  e`  decisamente  estremista; e affine - anche
per  i temi affrontati - ai furiosi ritmi metallici dei Fear Factory o  alle
catartiche colate di  puro  grind-core  stile  Brutal  Truth. Di particolare
interesse  mi  pare  l'ambientazione. Non  solamente  pulsazioni  industria-
li ('Future Breed Machine') e cupe, ma pure un gradevole gioco di chiaroscu-
ri,  di luci ed ombre di matrice fusion. In questo solco  s'inseriscono  gli
interventi chitarristici di  Fredrick  Thordenthal  che sono sempre misurati
e  solo occasionalmente caotici. Evocativo quanto il tramonto di un  tiepido
solicello polare, il  bellissimo  intermezzo di 'Acrid Placidity'. Considero
questo  album, cosi` compatto ed acre, riuscito grazie alla propria  ambiva-
lenza: il gruppo svedese non  si  snatura  mai,  eppure ci presenta un lento
ma  sostanziale passaggio da una prospettiva estremista ad  una -  estrema -
evoluzione del genere. Sembra  essere  proprio  questo il modo piu` naturale
di  perseguire  la cosidetta <<contemporary  death-fusion>>.  Lasciando  che
due tradizioni diverse rimangano su  due  piani diversi, anche se paralleli.
Limitando  al  massimo certi concilianti spunti progressivi.  E  soprattutto
evitando, ecco, l'errore  dei  Cynic  di "Focus",  di  seppellire il proprio
sound  sotto  un inutile e prolisso ipertecnicismo. Che qui pare in  via  di
estinzione. Siete dunque  avvertiti:  l'homo  tecnologicus  dei MESHUGGAH e`
una  realta`  gia`  tutta nel titolo. E  distrugge.  Cancella.  Progredisce.

                                                           Vincenzo Capitone



                                   ECHOLYN
                                As the World
                          (1995, U.S.A., Sony/Epic)

     Cosa  non si fa per una major... Da sempre, uno dei sogni piu`  o  meno
reconditi di ogni musicista  o  gruppo  e`  quello  di approdare sotto l'ala
protettrice  di una grande etichetta, quella che ti assicura contratti  lun-
ghi, pubblicita` e (soprattutto)  conquibus;  ma  in  cambio  appone sul tuo
prodotto  una  sorta di franchigia giudicante, del tipo <<questo  pezzo  non
va, e` troppo  lungo>>, <<la`  ci  vuole  qualcosa  di piu` orecchiabile>> e
via  censurando.  Discorso vecchio, si dira`, se non retorico;  ma  e`  cio`
che si sentirono dire  gli  ECHOLYN  allorquando,  lo scorso anno, si videro
sottoporre il fatidico contratto (per 8 dischi!) dalla Epic/Sony. La novita`
fece il giro del mondo progressivo, inculcando il seme periglioso del dubbio
nelle  menti  dei numerosi fans, che il gruppo si era creato grazie  ai  due
album precedenti, ECHOLYN e SUFFOCATING THE  BLOOM,  ed al mini cd AND EVERY
BLOSSOM. In essi il gruppo aveva sintetizzato cosi` bene il proprio obietti-
vo, cioe` ripescare gli  elementi  basilari  della lezione dei Grandi Vecchi
del prog (Gentle Giant, Yezda Urfa) ed inserirli in un contesto piu`  moder-
no, diavolerie tecnologiche a  parte  grazie  al  cielo! Il risultato finale
di  tale sintesi e` una musica ariosa, a tratti quasi <<leggera>>,  con  una
carica di freschezza spesso  assente  nelle opere dell'austero prog europeo;
eppure dotata di un'intrinseca complessita`, elaboratamente perfezionistica.
Evidentemente in questo  strano  miscuglio i (solitamente) poco lungimiranti
dioscuri  della Sony hanno intravisto una possibile nuova tendenza  dell'un-
derground statunitense, da contrapporre ai  cavalieri in armatura di metallo
fiammante  targati  Magna  Carta (Magellan, Shadow Gallery &  C.).  Ed  ecco
questo AS THE WORLD,  col  quale  i  cinque della Pennsylvania dimostrano di
aver  assorbito  con classe la <<sindrome da compromesso  discografico>>  di
cui si diceva. Hanno solo frammentato un  po' piu` del solito le loro suites
ad ampio respiro, senza tuttavia minarne i contenuti. Una piacevole  confer-
ma, quindi, con la speranza che  anche  in futuro gli ECHOLYN possano conti-
nuare ad usufruire di tale e tanta <<liberta` di manovra>>.

                                                                          io



                                  THE VERVE
                               A Northern Soul
                                (Hut/Virgin)

     Sono  entrati nell'ala protettiva della stampa  specializzata  musicale
e delle radio alternative,  ricevendone recensioni entusiastiche, programma-
zioni  radiofoniche  a tutto spiano, oltre a tutti  gli  spazi  promozionali
che ne conseguono. Si  sono  rivelati  con  l'opera seconda, laddove il loro
disco  d'esordio  era stato accolto con indifferenza se non  con  ostilita`;
sono amati piu` come paradigma musicale  che come insieme di musicisti crea-
tivi (perche'  la  critica <<militante>> prima fabbrica un  modello  ideale,
poi ne cerca l'inveramento piu` completo  tra gli artisti che in quel momen-
to <<sfilano  in  vetrina>> -  un po' cinico ma  realistico  come  panorama,
no?...). Il disco che  segue  e`  gia`  una  delusione  a detta di molti, un
tradimento delle direttive impostate (da chi?)...
     A  quanti  artisti puo` adattarsi questa descrizione? A  molti,  credo,
negli ultimi anni. Non  mi  pronuncio  sul  loro  destino critico nel futuro
immediato,  ma  e`  chiaro che il presente dei VERVE e`  questo:  un  disco,
A NORTHERN SOUL celebrato dappertutto  come una tappa importante della rina-
scita  psichedelica  di  marca inglese (domanda:  doveva  rinascere,  oppure
era gia` viva ma nessuno se ne era accorto?); un periodo di riconsiderazione
critica,  dopo l'arcigno trattamento riservato al gruppo  precedente (giusto
due anni fa, quando dare  addosso  agli artisti inglesi era assai proficuo).
Copertine  e  interviste al presuntuoso cantante  Richard  Ashcroft (ma  gli
Oasis non sono anche piu` strafottenti?).
     Dati  questi  pesanti  condizionamenti  esterni (non  ultimo  la scelta
di  un produttore <<giusto>> come Owen Morris), resta da valutare  come  sia
in se' quest'opera dei VERVE. E` un disco molto bello, variegato, sfaccetta-
to,  anche  contraddittorio  nel clima e nelle atmosfere. Ma  non  mi  sento
di dipingerlo come  un  capolavoro  come  si  e`  fatto altrove, per diversi
motivi:  il  primo  e` che capolavoro realmente non e`; il  secondo  e`  che
escludere fin da ora  un  qualche  margine  di miglioramento significa avere
poca  considerazione  delle  capacita` artistiche altrui; il  terzo  e`  che
i VERVE non mi sembrano destinati a produrre un unico capolavoro con contor-
no  di  tanti dischi <<minori>>, ma una lunga serie di  dischi  interessanti
e stimolanti,  all'interno  della  quale  stilare  graduatorie  di merito si
rivelerebbe ridicolo.
     E  infatti A NORTHERN SOUL non e` migliore ne peggiore  dell'esordio 'A
Storm in Heaven': e`  semplicemente  diverso.  In  A  NORTHERN SOUL non sono
piu`  presenti  gli psicotici arrangiamenti di saxofono  di 'The  Sun', 'The
Sea' e 'Butterfly', ed  e`  stata  ridotta  la componente piu` visionaria ed
eterea del loro stile, qui limitata al finale di 'Stormy Clouds -  Reprise',
peraltro splendido; al  loro  posto  troviamo  suoni  piu` acidi e irruenti,
quelli che rivestono 'A New Decade' e lo strepitoso anthemico* singolo 'This
is Music' (la loro "Born to be wild"?); ma anche ballate nitide e carezzevo-
li  come 'On  Your Own', 'So it Goes' e 'History', che  ha  fatto  scomodare
John Lennon per qualificarne  la  bellezza;  e poi ancora chitarre taglienti
e  intricate  sequenze  ritmiche in 'Brainstrom  Interlude'  e  nella  title
track (quest'ultima con  una  vaga  cadenza  dance),  esempi  di psichedelia
espansa.  Ormai una garanzia sono le raffinatissime chitarre di Nick  McCabe
e la voce di Richard, veramente  fuori dal comune per intensita` ed emotivi-
ta` (fattore determinante per il successo di un gruppo).

     * ANTHEMICO:  da anthem. termine che indica una canzone che si  presta,
in concerto,  alla  partecipazione  del  pubblico,  spesso  a essere cantata
in coro.

                                                                Mad Man Moon



                                   NOMADI
                           Lungo le Vie del Vento
                                     CGD

     Secondo disco della band post-Daolio. La voglia di rinnovarsi continua-
mente,  cercare  nuove strade ed emozioni, _ evidente  in  quest'album  piu`
che nel precedente,  LA  SETTIMA  ONDA  che,  a  mio avviso, soffriva ancora
di  un  comprensibile disagio, essendo il primo lavoro  che  Beppe  Carletti
fondatore ed ora  leader,  affrontava  senza  Augusto (come confermato anche
in un'intervista). Beh, dopo trent'anni insieme...
     Molto  del  viaggio in India, fatto a marzo, e` presente a  livello  di
testi: i saggi, gli dei, un  mondo totalmente nuovo da esplorare, il ricordo
di  Gandhi.  Riflessioni maturate giorno per giorno, dove c'e`  spazio  piu`
per il personale che per il sociale. Musicalmente il gruppo e` piu` compatto
che  mai.  Con il proseguire dell'album, appare chiaro  un  filo  conduttore
che lega tutte le canzoni. Il  sempreverde  Beppe  fa la parte del leone con
le  tastiere,  ma gli altri solisti non sono da meno:  Cico  alle  chitarre,
specialmente nel VENTO DEL NORD  ed  in 'Puoi', dove il gruppo, tra l'altro,
esplora  sonorita` e ritmi non propriamente suoi; Francesco ai fiati  emerge
a buon profitto ovunque; 'Dove stanno gli  dei' ne e` un esempio, arricchita
da  un bellissimo scambio vocale tra lo stesso Francesco e Danilo.  Le  loro
voci sono ormai ben rodate ed  e`  bello, appunto, sentirli duettare in piu`
canzoni. 'Viaggiatore', incalzante, ne e` un altro bell'esempio.
     Un  ultimo  particolare, forse inosservato, ma  per  me  significativo:
ne 'Il saggio e Lungo le Vie del Vento', tutto il gruppo canta nel ritornel-
lo;  un bel segno di unione. L'unione che, nonostante le disavventure  degli
ultimi anni, ha fatto dei  NOMADI  non  solo  un gruppo musicale ma, come ha
detto  Daniele  il batterista, un movimento di ideali ed  una  filosofia  di
vita. Per confermare questa affermazione, invito chi non ha ancora assistito
ad  un  loro concerto ad andarci. Non ne sarete delusi  e  capirete  perche'
c'e` gente che, come me,  e`  arrivata al suo trentaduesimo concerto. Aspet-
tando  il prossimo capitolo di una storia che ha ancora tante,  molte  cose,
da dire e da fare.

                                                                     Mad Dog



                   J.COTTON / J.WELLS / C.BELL / B.BRANCH
                                 Harp Attack
                             (Alligator records)

     Imperdibile per gli amanti  dell'armonica  che  si trovano ad ascoltare
una  specie di All Star della Chicago Blues Harp. L'impressione di  trovarsi
di fronte ad  un'operazione  commerciale  e`  abbastanza  forte ma, insomma,
con artisti di tale calibro (vi assicuro molto, molto grande), e` una sensa-
zione assolutamente tollerabile ed  inoltre  stiamo parlando della Alligator
Records from Chicago Illinois, non di Claudio Cecchetto o di un  Festivalbar
qualsiasi (scandaloso, ha ragione  Freak  Antoni  quando  dice che in Italia
non c'e` gusto ad essere intelligenti). Ma bando alle divagazioni e  veniamo
ai nostri valorosi armonicisti, sui quali e` doveroso soffermarsi.
     JAMES COTTON, classe 1936, da Tunica, Mississippi, storico harp player,
cresciuto  alla  scuola di quell'autentica leggenda che e`  e  rimane  Sonny
Boy Williamson II, se ne ando`  di  casa  all'eta` di 9 anni perche' l'unico
futuro per lui era quello di suonare blues. Il suo primo singolo a 18  anni.
Ha suonato con tutti i migliori:  Howling  Wolf, 11 anni con l'immenso Muddy
Waters  finche',  nel 1966 intraprese una splendida carriera  solista.  Cult
artist!
     JUNIOR WELLS, classe  1934,  from  Memphis,  Tennessee, e` un musicista
di  classe  non comune, come ho potuto constatare nel  recente  concerto  al
Lingotto di Torino, dotato  di  uno  stile  personale e raffinato. Nelle sue
performance  live  e`  assolutamente imperdibile visto che,  grazie  al  suo
repertorio sempre molto  funky  ed  alla  sua  voce  sensuale ed intrigante,
ti costringe a strapparti i vestiti! Long live to Junior.
     CAREY  BELL,  classe 1936, born in Macon, Mississippi, non  molto  noto
al grande pubblico,  comincio`  a  suonare  come  professionista all'eta` di
13  anni  (fortunatamente  non c'era una "Non e` la Rai"  a  devastargli  il
cervello, pensate a  cosa  potrebbe  succedere  in  Italia se si spendessero
piu` soldi per la diffusione di una cultura musicale decente), per approdare
a 20 a suonare  nei  clubs  di  Chicago.  Memore dell'insegnamento di grandi
maestri  quali  Little Walter e Big Walter Horton, e` un  virtuoso  nell'uso
dell'armonica cromatica.
     BILLY BRANCH, classe 1953, da Chicago, fa parte della nuova generazione
di musicisti, cresciuto imparando i trucchi del mestiere dai tre precedenti,
come ironicamente ci  ricorda  nell'ultima  traccia 'New  kid on the block'.
     La band di supporto e` formata da sessionmen di tutto rispetto: Michael
Coleman, ex-chitarrista di Cotton,  puntuale  e preciso, il prodigioso Lucky
Peterson,  Johnny  B.Gayden e Ray "Killer" Allison alla  batteria,  un  vero
rullo compressore, come piace a me.
     Il cd e`  molto  piacevole  all'ascolto,  nessuna sorprendente novita`,
ma vi sono alcune chicche. Prima fra tutte uno strepitoso WELLS  nell'intri-
gante 'Keep your hands  out  of  my  pockets';  splendida e densa di feeling
e` 'My eyes keep me in trouble', con Carey Bell molto ispirato alla cromati-
ca e  questo  non  fa  che  esaltare  la  sua  voce  piena  e  matura. E poi
c'e` 'Black  Night',  la mia preferita, calda e  sensuale  come  l'abbraccio
di una dark lady  in  una  gelida  notte  invernale. Da sola vale l'acquisto
dell'album.
     This is Blues and here's my life, baby
     P.S.:  nessun  bluesman si e` ancora fatto vivo  attraverso  le  nostre
folgoranti Pt. Cosa  state  aspettando?  che  Zucchero  faccia  un album con
John  Lee Hooker? (Ah, Ah...). Vivro` nella trepidante attesa  delle  vostre
missive,  nel  frattempo  potremo  incontrarci  ai  prossimi  concerti  del-
la "Longs' Valley Blues Band". Accorrete numerosi.

                                                               T-Bone Malone



                               DIROTTA SU CUBA
                               Dirotta Su Cuba
                                    (CGD)

     Ed eccoci qua! Siamo tornati?
     Un nuovo autunno  e`  alle  porte,  indossiamo  i  primi indumenti piu`
spessi con in tasca i ricordi delle ultime vacanze trascorse.
     I piu` fortunati, invece, partono in questo periodo, aggirano la  calca
dei <<ferragosto italiani>> e  si  distendono  su qualche spiaggia tropicale
al  ritmo colorato delle grandi orchestre sudamericane. Noi si  rimane  qui,
con la musica di  casa  nostra  che  e`  altrettanto allegra e variegata. Ad
esempio, prendiamo un disco di quest'anno: Dirotta su Cuba.
     Questa  neoformazione  musicale,  al suo esordio  discografico,  si  e`
subito posta all'attenzione del pubblico per l'allegria e per l'apprezzabile
precisione  della sua musica. E` un lavoro che nasce da una unione  di  idee
di tre giovani  agguerriti  e  ben  equipaggiati,  riconoscibili nei nomi di
Stefano  Di Donato al basso, Rossano Gentili alle tastiere e Simona  Bencini
ugola funky degli ultimi  tempi.  Ultimi  tempi  che hanno visto crescere la
voglia di funky italiano, unitamente ad una selezione artistica piu`  severa
da parte del non vasto ma fedele pubblico del settore.
     Riguardevoli collaboratori  musicali  si  possono  enumerare  in questo
disco. A coadiuvare, infatti, gli spunti percussivi del bassista Di  Donato,
troviamo alle  batterie,  alternandosi:  Daniele  Biondi  ed  Alfredo Golino
e un infaticabile percussionista come Mario Seggio. Le chitarre sono affida-
te  a  due  musicisti <<frippertronici>>*:  Gabriele  Paoleschi  e Pierpaolo
D'Emilio, con un risultato decisamente incisivo. Pur non invadendo territori
altrui, sanno cosa  fare  per  non  apparire  ripetitivi  e troppo virtuosi.
     Una  sezione fiati armonizza e da` corpo a tutto questo album,  pennel-
lando a tratti marcati ogni  paesaggio musicale. Umberto Marcandelli, Miche-
langelo  Piazza, Michael Applebain sono alle trombe e flicorni; i  sassofoni
sono affidati ad un  abile  Luca  Signorini  e  i  flauti a Nino Radicavoli.
Il  piano,  rigorosamente elettrico, e` gestito da Claudio Baccara  e  Fabio
Nuzzolese, arragiantori,  peraltro,  della  quasi  totalita`  dei  brani. Il
risultato, mi pare molto gradevole. Mi sono divertito, infatti, ad inseguire
mentalmente il disegno degli incastri  musicali realizzati dai singolo stru-
menti,  sorridendo  sulle verita` nascoste nei testi,  talvolta  intriganti.
     Che ci sia  un  ritorno  ai  suoni  e  colori degli anni '70? Sottovoce
posso  quasi  affermarlo e <<largo ai giovani!>> sembra  voglia  far  capire
la grinta decisa della sezione vocale formata da: Renato Carrozzo, Francesca
Agosta,  Alfio  Scoparo, Andrea Pieroni, Raffaella Lisi  ed  il  chitarrista
Pierpaolo D'Emilio. Mi auguro che questo  disco sia uno sprono a ben operare
per questa Italia che vuole e deve crescere. A risentirci.
     * Frippertronici: (da  frippertronics),  sperimentazioni  a  meta`  tra
musica, in senso  tradizionale,  ed  elettronica -  attuati  da Robert Fripp
intorno  alla meta` degli anni '80; musicisti in questione  riprendono  tale
esperienza.

                                                                Stormbringer



                                SWERVEDRIVER
                          Ejector Seat Reservation
                            (Creation LP-CD,1995)

     Dopo gli indimenticabili RAISE (91) e MEZCAL HEAD (93) gli SWERVEDRIVER
tornano  con  un  altro grande disco. Seguendo la  loro  magica  formula  ed
infischiandosene delle mode cicliche che  MTV e i giornali inglesi impongono
senza  pieta`  ai loro consumatori, i nostri quattro ragazzi  di  Oxford  ci
danno ancora la ormai sempre piu`  rara  possibilita` di volare con un pezzo
di vinile.
     La  loro  musica carica di chitarre, di feedback, con il  suo  incedere
trascinato ha infatti  una  carica  emozionale  molto  coinvolgente. E` come
un liquido densissimo che travolge e libera.
     EJECTOR  SEAT  RESERVATION si compone di dieci  episodi.  Dopo  l'intro
etereo di  'Single  Finger  Salute' (chitarra,  violino,  tromba  e rumori),
c'e` 'Bring Me The Head Of The Fortune Teller' che col suo energico crescen-
do condito di  feedback  permette  subito  di  assaggiare l'atmosfera che si
respirera`  nel  resto dell'album. 'The Other Jesus' prosegue  sulla  stessa
lunghezza d'onda e  precede 'Son  Of  A  Jaguar'  E  dolcemente ipnotica con
il ritornello sostituito da chitarre lancinanti.
     Segue  la  bellissima 'I Am Superman' che mette il pop su  strani  giri
di chitarra, mentre  chiude  in  tranquillita`  il  lato A 'Bubbling Up': un
lento  vagamente  psichedelico.  Il lato B raggiunge  quasi  la  perfezione:
dopo la lunga ma non  spettacolare  canzone  che da` il titolo alla raccolta
ci  sono i migliori tre pezzi dell'ellepi`. 'How Does It Feel To  Look  Like
Candy?' (Shoegazing pop), 'Last  Day  On  Earth' (uscita anche come singolo;
eccezionale  con i suoi violini) e 'The Birds' (che suona piu` o  meno  come
un jingle jangle americano degli  anni  sessanta  suonato dai Jesus And Mary
Chain).
     Se siete vivi non potete fare a meno degli SWERVEDRIVER.

     P.S. Se ve lo volete proprio comperare, prendete la versione in vinile,
c'e` in regalo un 7" con due bonus tracks.

                                                            Michele Apicella



                                  FRONT 242
                                  Geography
                                    (RER)

     Il  mondo della dance nostrana dai Black Box a  Corona,  magistralmente
descritto da  Fabio  De  Luca  e  Carlo  Antonelli nell'imperdibile libretto
Disco  Inferno,  deve molto - piu` o meno consapevolmente -  a  gruppi  come
i Cabaret Voltaire (l'ala  piu`  elettronica  della  New  Wave inglese) e ai
belgi Front 242. Questi ultimi inaspettatamente sono stati tra i  protagoni-
sti del grande festival itinerante  Lollapalooza edizione 1993. Hanno quindi
avuto  la  possibilita`  di far ascoltare la loro musica,  oggi  ai  confini
tra techno ed industrial,  a  milioni  di  giovani  in  tutti gli USA. Molta
differenza rispetto ai tempi di questo GEOGRAPHY registrato su 4 o al massi-
mo 8 piste!, e dalla  confezione  talmente spartana da non riportare nemmeno
l'anno di pubblicazione. Comunque se dovessi azzardare un'ipotesi  sull'anno
d'uscita indicherei i primi  anni '80:  i suoni sono totalmente elettronici,
scarni,  <<robotici>> e proiettano l'ascoltatore in un mondo grigio  in  cui
i replicanti di  Blade  Runner  marciano  marzialmente  verso  un nemico che
forse  non  esiste neppure. L'alternarsi di pezzi cantati  agli  strumentali
non cancella la sensazione  di  gelo  che  pervade  il cd: emergono comunque
chiari  i debiti che gente come i Depeche Mode ha con questa  formazione (vi
e` cosi` poco di umano nella  loro  musica che non si puo` definirli <<grup-
po>>!)  mentre  la  meccanicita`  delle  strutture  sonore  li  avvicina  ai
Kraftwerk mitica band elettronica  tedesca anni '70 il cui album "Man-Machi-
ne"  ha  il titolo che meglio descrive  questo <<prodotto>>.  Ciononostante,
anzi forse proprio  per  questo,  GEOGRAPHY risulta quantomeno affascinante,
pur non concedendo molto alla commercialita`. Se volete ascoltare i Flinsto-
nes della techno  fate  uno  sforzo  e  cercate anche quest'album (meglio se
a prezzo ridotto perche' dura solo 32 minuti).

                                                                 Corvo Rosso




                 La scena di casa - BRACCIANTI ON THE STAGE

     1990.  Nasce il gruppo, ufficialmente con il nome: FIELDMANS  OF  BLUES
che poi viene tradotto e  riadattato  in  italiano come: BRACCIANTI. La loro
fonte  di ispirazione e` il blues di Muddy Waters, John Lee  Hooker,  ecc...
     I componenti della band si  chiamano: Gian Marco Ballestracci voce &ar-
monica,  eta`  32 "leone";  Diego Bergamin,  chitarra,  eta`  27, "vergine";
Armanno de Luch,  i  basso,  eta`  27 "sagittario";  Basso Michele batteria,
eta` 27 "cancro".
     Il  motivo  che spinge molti giovani a formare una band e  a  darsi  da
fare da questo punto di vista,  il  piu`  delle volte deriva dal fatto che :
ci si vuole divertire. Qualcuno ha imparato a suonare la chitarra comprando-
sela con i propri risparmi o noleggiandola in qualche negozio. C'e` qualcosa
alle  spalle;  in questo caso, come anche in molti altri, troviamo  un  lato
storico: un periodo storico  della  musica:  troviamo  il Blues. Unico punto
d'incontro  che  unisce la band e la fa viaggiare alla continua  ricerca  di
nuovi luoghi dove potersi  esprimere.  Un  messaggio  storico: quello che e`
Blues  che  lancia alla gente, che lo assimila e lo trasforma  in  movimento
del corpo in battito, insieme alla  band  che  in quel momento e` al massimo
dell'affiatamento.  La band in questione e` quella dei  BRACCIANTI:  quattro
musicisti tutti di  Castelfranco  Veneto.  Hanno  cominciato  la loro strada
nel  1990 scegliendo la via del Blues, ripercorrendo percorsi  sonori  fatti
di cover, passando da Muddy  Waters,  a  John Lee Hooker... come iniziatori,
passando poi a cover sul genere Dream Sindacate, Lou Reed ecc... Ora  pero`,
da due anni a questa parte hanno  intrapreso una strada che li porta all'in-
dipendenza  sonora sia negli arrangiamenti che nei testi. Ognuno  di  questi
ragazzi e` legato ad una  propria cultura musicale, che nell'insieme diventa
ricerca quotidiana del loro stile. Hanno sviluppato un'originalita` alquanto
interessante, tenendo  conto  che  sono  ancora  giovani.  In questo periodo
sono arrivati al loro centesimo concerto dal vivo, e alla domanda: <<Perche'
suonate?>> Loro  rispondono: <<Noi  suoniamo  per  divertimento,  e la gente
che  ci ascolta si diverte: questo e` il punto>>. Il loro stile,  potrebbero
benissimo identificarsi nel  Rock  Italiano,  ma  loro  percepiscono il loro
stile  come  una sonorita`, come un'immagine sonora,  un  preciso  messaggio
che appartiene alla "insolita quotidianita`".  E visto che in questo periodo
hanno cominciato a scriverei testi in italiano, ecco che il messaggio diven-
ta anche piu` comprensivo.  La  loro  musica  e` reperibile in musicassetta,
su  ordinazione, telefonando al 0423/491248-496315 o telefonando alla  reda-
zione

                                                                  Bergaminin




                              INTERFERENZE blu
                         rivista di cultura musicale

                    P.zza Garibaldi, 3 - 12051 Alba (CN)
                   Tel. 0173/362041-281917 Fax 0173/297001
              Distribuzione Telematica 2:334/108.9@Fidonet.org

                            Direttore editoriale:
                           gianni corino (Johnny)

                               Capi redattori:
                             gianni borello (io)
                     emanuele giaccardi (Marziobarbolo)

                                 Redattori:
                     beppe marchisio (vincenzo capitone)
                        beppino costa (T-Bone Malone)
                          mauro decastelli (Decus)
                       paolo foglino (Ken Parker O68)
                       massimo giachino (Corvo Rosso)
                        mauro piazza (S.S.T, ex M.P.)

                          Responsabile telematico:
                           matteo calorio (Dronag)

                               Collaboratori:
                   associazione culturale Cascina Macondo
                     carlo bogliotti (Michele Apicella)
                        andrea marasea (Stormbringer)
                          andrea marcarino (Axiom)
                         stefano bergamin (bergamin)
                         cristiano rota (Madmanmoon)
                          ermanno franco (Mad Dog)

                                  Grafica:
                      elisa giaccardi (Emma Dulcamara)

                               Impaginazione:
                            sandro corino (Jaco)




                                  TAJ MAHAL
                        an evening of acoustic music

     Il cd che  vi  presento  testimonia  di  una  serata di musica acustica
trasmessa  in  diretta  da Radio Brema in...  in...  Germania!  registazione
del  1993.  Radio  Brema  con  la  collaborazione  della  casa  discografica
T&M (tradition &  moderne) si e` impegnata a trasmettere e a  far  conoscere
artisti di blues di grande  calibro  come Taj Mahal permettendogli di espri-
mersi  per  un  pubblico ancora piu` allargato di quello  che  aveva  scelto
di essere in sala: anche all'ascoltatore passeggero delle onde radio. Possi-
bilita`  rara  per  questo genere, trovare spazio  nella  programmazione  di
una radio. Spendo due  parole  perche'  secondo  me  Radio Brema ha fatto un
passo  per  risolvere  una contraddizione di questa  nostra  societa`  della
comunicazione. Comunicazione che, uno  dice,  avendo la possibilita` di rag-
giungere  un numero tot di persone le quali possono scegliere tra un  numero
tot di proposte musicali,  dovrebbe  garantire  una  liberta` di scelta e di
espressione  praticamente infinita. Ma ultima invenzione, invece di  pescare
tra le infinite proposte in  tutti  i campi possibili immaginabili gia` esi-
stenti o in embrione... addirittura, udite udite, si creano dei nuovi  biso-
gni e si inventano  dei  replicanti  per  soddisfarli  e allora Take that...
Sssss, basta meglio fermarsi
     Diamo  a  Cesare quel che e` di Cesare. Henry Saint  Claire  Fredericks
nasce nel 1942 e  in  seguito  diventera`  Taj  Mahal: nome di un bellissimo
mausoleo  ricordo dell'imperatore per la propria amata sposa  morta  durante
il parto. Secondo voi c'entra con  il  nostro  TAJ MAHAL, sara` segno di una
coversione  all'islamismo comune tra molti neri americani, ma!  se  qualcuno
sa rispondermi... lo  faccia.  La  voce  monumentale  tiene  tutta la scena:
un'atmosfera arcaica creata con poche cose: voce, chitarra, un piano: ogget-
ti di scena.  Le  corde  vengono  accarezzate  al  ritmo: cadenza del blues,
ne'  fretta  ne' forza nel tocco che ha il fascino di un  balzo  di  felino:
nota per nota arriva al cuore con incanto immutato. Il suono sempre delicato
della chitarra si mescola bene alla voce che brucia prima di emergere all'a-
scolto. Shakespeare in Harlem, TAJ  rivive personaggi storici di provenienza
e  tradizione  diverse:  Robert Johnson ('Dust My  Broom', 'Come  On  In  My
Kitchen'), Rev. Gary Davis ('Candy  Man'), Mississippi John Hurt ('Satisfied
'N'  Trickeld  Too') Little Walter ('Blues With a Feeling').  Cultore  della
musica popolare nera e delle varie forme di espressione del popolo americano
nero, il suo popolo, TAJ MAHAL ha fatto esperienze diverse: teatro, natural-
mente la musica, il  cinema  e,  dopo  pellegrinaggi  di  una decina di anni
per le strade di Spagna e d'Europa, ha scritto fiabe per bambini in  seguito
musicate ed incise. Un uomo  eclettico  sia  nei  gusti che nelle scelte: da
un contratto per la Columbia, ottenuto a soli vent'anni alla musica  improv-
visata sulla strada. E`  lui  che  con  questa  esperienza ora ripercorre da
solo  la  storia  di un genere attraverso le sue  voci  piu`  significative.
Storia di un popolo che ha  visto  la  schiavitu` e i lavori massacranti per
costruire  una societa` che poi gli diceva <<eat in kitchen>> qui  ricordata
con 'Take This Hammer' una railroad  worksong (cfr. box testo) fino ad arri-
vare  alla lotta per i diritti di espressione attraverso  un  riconoscimento
culturale con il poeta  Lagstone  Hughes  con  cui  TAJ collaboro` in teatro
e  di  cui qui troviamo un poesia musicata, 'Crossing'.  E`  sicuramente  un
artista molto particolare che dal vivo, a giudicare da questa registrazione,
sa  affascinare  il  pubblico con ogni mezzo: trovando il  tempo  anche  per
una breve lezione di  musica:  se  uno  vuole  farla battendo le mani. Nelle
ultime  canzoni  c'e` l'intervento di un vecchio  compagno,  Haward  Johnson
prima al tuba poi al penny  whistle (flautino da un penny, flauto giocattolo
insomma).  Vi sembrera` strano l'utilizzo di un simile strumento  in  questo
genere infatti si tratta di una tradizione che si va perdendo principalmente
perche'  poco  utilizzata  e che lega il blues alla  sua  matrice  africana.
Ogni canzone contiene un mondo immensamente  vivo nella voce e nello spirito
di  questo autore esegutore della <<solo tradition>> (musica suonata  singo-
larmente con pochi e semplici  strumenti)  e tutto l'album corre via leggero
come  un  boogie-woogie.  Lunga vita a TAJ MAHAL e a voi  buon  ascolto,  un
ultimo pensiero-rimpianto:  chissa`  se  in  quella  notte  pioveva come ora
quando la radio emetteva queste vibrazioni

                                                                      Johnny

     Se  qualcuno avesse dei problemi a trovarlo si rivolga alla  redazione,
c'e` sempre una soluzione... in tutti i sensi.




    CASCINA MACONDO   Musicarteatro Culture Associate   ON THE ROAD MUSIC
                   Mabo` Band: spettacolo dell'espressione

     Musicisti  da  strada di primordine, la MABO` BAND e` nata  da  quattro
ragazzi maceratesi suonatori di fiati, che coinvolgono la platee dei Buskers
Festivals  italiani e stranieri. Con una solida preparazione  musicale  alle
spalle, la Mabo`  Band  si  distingue  per  affiatamento, originalita` delle
gags,  improvvisazione  di brani filo-jazz a seconda  delle  situazioni  che
capitano, dando sempre prova di freschezza.
     Piu` che descrivere la loro musica o il loro spettacolo, e` piu` facile
andarli a vedere; infatti non e` un concerto, non e` cabaret, non e`  teatro
comico, ma e` un insieme di tutte queste cose.
     Probabilmente il loro segreto e`  che  si  divertono da matti e, avendo
conosciuto <<in diretta>> il mondo accademico del conservatorio, preferisco-
no non  essere  per  forza <<etichettati>>  e  rinchiusi  all'interno di una
sterile  definizione  di  genere. Una loro  performance  e`  uno  spettacolo
dell'espressione, che e` comica anche  per poter cosi` esorcizzare i filolo-
gi. Ma per comprenderli meglio, leggiamo sul loro biglietto da  visita (pic-
colo  e  lungo,  piegato  a  fisarmonica): <<Potete  buttarlo  via subito. /
Pero` non sta bene inquinare l'ambiente. Potete usarlo come carta igienica /
pero` e` troppo duro e  potrebbe  farvi  male  al culo. Potete cambiarlo con
due  da cinque / basta trovare qualcuno abbastanza scemo.  Potete  guardarlo
con amore e sentimento / pero`  e`  inutile,  non esiste il suo tipo. Potete
mangiarlo con due fette di pane / basta aggiungere molta, ma molta maionese.
Potete conservarlo  e  farlo  vedere  a  tutte  le  persone che incontrate /
per  voi sarebbe lo sputtanamento totale. Ma la Mabo` Band ne sarebbe  molto
felice. Potete provare a venderlo  o  barattarlo  con un bicchiere di vino /
anche  in questo caso la Mabo` Band sarebbe molto felice. Potete  farci  una
cravatta / e` piu` facile  di  quanto possiate credere. Potete incorniciarlo
e  appenderlo  al  muro come un'opera d'arte / pero` e`  troppo  brutto  per
spenderci i soldi della cornice.  Potete  prenderci il telefono e ingaggiare
la  Mabo`  Band per: cerimonie, inaugurazioni,  matrimoni,  party,  divorzi,
funerali, etc... anche se,  piuttosto  che  sprecare i vostri soldi, sarebbe
molto meglio darli ai bisognosi>>.

                                                               Beppe Finello




        Punto fugato - QUICKSAND, I FIGLIASTRI DELLO "STRAIGHT EDGE"

     Musica aggressiva,  abrasiva,  combinazione  di  velocita`  e  di riffs
taglienti.  E`  la formula che da oltre tre lustri  rappresenta  il  marchio
di  fabbrica  dell'hardcore <<straight  edge>>  americano.  Espressione  che
qualifica sinteticamente anche il radicale neopuritanesimo - una contesazio-
ne positiva della politica e  dell'ipocrisia  borghese - a cui hanno aderito
due generazioni di musicisti appartenenti a realta` variegate, dal queer-co-
re omosessuale di S.  Francisco  al  krishna-core  di New York. L'ascolto di
un  recente  album come <<Destroy the Machine>> degli EARTH  CRISIS,  ultimi
portabandiera di questi ideali  e  alfieri  del salutismo, chiarisce che ben
poco  sembra  essere  cambiato. Solo negli ultimi anni  c'e`  stato  qualche
sporadico tentativo di far  evolvere  o modificare certe sonorita` standard.
Se  da  un  lato gli ORANGE 9MM. hanno  rinnovato  il  genere  dall'interno,
consolidandone lo spessore con contaminazioni <<noise>>, dall'altro appaiono
diverse le soluzioni adottate dagli INTO ANOTHER (rock stradaiolo  frammisto
ad echi dark). Fino  alla  rottura  completa  di  tutti i canoni in alcuni -
come  direbbe  un Alessandro Bergonzoni - cumulonembi sonori  degli  ICEBURN
piu` recenti, capaci di dimenticare le  proprie origini e di mettere insieme
free-jazz,  metal  e progressive. Un piccolo terremoto,  dunque.  Con  MANIC
COMPRESSION, il secondo disco dei newyorkesi QUICKSAND, che risale a qualche
mese fa, il termine <<post-hardcore>> e` diventato di uso comune.  L'analisi
diretta dell'album ci  conferma  quest'ansia  di  cambiamento. Apre pero` le
danze  la sinuosa e pesante girandola ritmica di Backward  seguita  da 'Bea-
ster' e  da 'Supergenius',  che  evidenziano  l'origine  del gruppo. Abbiamo
poi  una  manciata di buone canzoni. Rumorose al punto giusto (ma  dal  vivo
lo sono di piu`) come nell'atmosfera elettrica di 'Thornin My Side'. Distor-
te negli strumenti e nella voce. Godibili e quiete soltanto in alcune  melo-
die acustiche ed  irrancidite (le  chiamano <<roots>>), che rientrano spesso
di  soppiatto  con modi zeppeliniani 'Brown Gargantuan'.  Lecito  concludere
che MANIC COMPRESSION sia un album versatile, raffinatissimo ed alla ricerca
di una propria identita`. Il suo limite al di la` di qualunque considerazio-
ne ideologica o testuale e`  la  pretesa  assurda di essere il manifesto del
post-hardcore. E si concretizza appena si pongono i frequenti ammiccamenti -
in  'East  3rd  Street'  e  'Simpleton'  si  rasenta  il  plagio  -  a  quel
gioiello di hard psichedelico chiamato <<Louder Than Love>> dei SOUNDGARDEN,
anno di grazia 1989.  Davvero  un'occasione  sprecata  per gli eredi dell'HC
made in USA.

                                                           Vincenzo Capitone




                     OGNI SERA NELLA PROVINCIA IN GRATA

     La provincia  in  questione  e`  Cuneo:  una  provincia sterminata, beh
forse  ho  esagerato, ma dire granda era troppo facile. Dove  spesso  ci  si
sente fuori dai grandi  circuiti,  anche  dal  punto  di vista musicale. Una
situazione ben riassunta da Paolo Bogo nel libretto di un CD che si intitola
PROVINCIA IN GRATA e che raccoglie  il  lavoro di cinque gruppi della nostra
provincia:  i JEDEN ABEND di Fossano, PUNTO G., MACHINA  VELENIA,  NERVITESI
di Cuneo e SANE INSANITY di Dronero.
     Ogni sera nella provincia in grata,  pero`, c'e` qualcosa che si muove,
che  pulsa, magari in posti impensati, e cosi` capita di essere  gentilmente
invitati ad assistere alle  prove  dei  JEDEN ABEND. Un'occasione per sapere
qualcosa in piu` sul loro conto e sul CD a cui hanno collaborato.
     Questa  sera  i  JEDEN ABEND provano con un  nuovo  bassista:  Massimo,
siccome Bruno ha deciso  di  abbandonare  per  problemi di lavoro; gli altri
componenti del gruppo sono Massimiliano: voce e chitarra, Alberto: chitarra,
Marco: batteria e  Mauro:  terza  chitarra,  presente  nei  brani incisi per
il CD ma non stasera.
     jeden  abend  e` un'espressione tedesca che Massimiliano  ci  chiarisce
dandoci anche alcune indicazioni su come si sia formato il gruppo.
     MASSINILIANO: JEDEN ABEND vuol dire  tutte le sere/ogni sera. La storia
che  ci  sta dietro e` semplicemente questa: ci trovavamo in  una  localita`
balneare dove c'e` il  solito  locale  che  fa  suonare  dei gruppi, per cui
sul  cartello  degli avvisi c'era il nome del gruppo con scritto  vicino  in
tutte le lingue <<tutte le  sere>>,  abbiamo letto <<jeden abend>> e abbiamo
detto: <<eh  che  carino,  non sarebbe male...>> La cosa  e`  nata  cosi`...
Ci siamo incontrati praticamente per  caso  a un convegno per l'orientamento
universitario tenutosi a Fossano...
     MASSIMILIANO (Parlando  di  Marco): Prima di allora io non  sapevo  chi
era lui, lui non sapeva chi ero io eppure gli stavo sul culo a mia insaputa!
     MARCO:  Lui usciva con una ragazza che prendeva il mio  stesso  pullman
per andare a scuola,  tutte  le  mattine  quando  scendevo dal pullman c'era
sempre lui con la sua cartella...
     Passiamo  poi  a  parlare del CD e Massimiliano ce ne  spiega  corpo  e
anima.
     MASSIMILIANO: L'idea e` sempre quella, cercare di raccogliere il testi-
mone  di  certe esperienze e portarlo avanti... La cosa e` nata  con  l'idea
di investire dei soldi, recuperare  cio`  che  era stato speso e reinvestire
in progetti futuri.
     MARCO:  E`  stato bello farlo anche per gli amici, quelli  che  vengono
sempre a sentirti ai concerti.
     MASSIMILIANO: TERRA CHE MUOVE - CANTINE  DI NORD OVEST e` semplicemente
il  marchio  che ci siamo dati noi gruppi che abbiamo partecipato  a  questa
iniziativa... e` tutto autoprodotto, autotassato... sia per quel che riguar-
da la grafica che altri aspetti, abbiamo avuto la fortuna che per una  serie
di circostanze c'era chi aveva  la  possibilita`  di usare dei software, chi
l'impianto di registrazione... e` il preludio, se tutto va bene, a costruire
poi qualcosa: fare  una  cosa  piccolissima,  non  diciamo  etichetta che e`
una parola grossa, e cercare poi di portare avanti un minimo il  discorso...
Piero (Pippi) Leardi ci ha fatto da  mixerista un paio di volte e dopo l'ul-
timo  concerto  ci ha chiesto se volevamo entrare  nel  progetto...  assieme
agli altri gruppi  siamo  riusciti  ad  abbattere  dei costi... Piero Leardi
era  gia`  attrezzato  con un piccolo studio di  registrazione  in  cantina,
affittando un 8 tracce a livello di registrazione... Lui veniva nelle singo-
le  sale prove a registrare le basi (la batteria e due chitarre  nel  nostro
caso) e poi finivamo  il  lavoro  in  cantina  e  li` abbattevamo i costi...
La masterizzazione del CD e` avvenuta a Torino.
     Effettivamente  il prodotto finito e` veramente ottimo sia  per  quanto
riguarda la qualita` del suono,  che  per  la  veste grafica, e con tanto di
libretto!  Complimenti! Il CD e` distibuito manualmente dai  singoli  gruppi
e per corrispondenza (gli indirizzi li trovate  a fine articolo) e da alcuni
negozi  di  dischi  quali: Totodischi a Fossano, Via Roma  16;  Muzak  Corso
Nizza, 27; Cuneo, a Busca e a Dronero.
     I JEDEN  ABEND  hanno  contribuito  al  CD  con  tre canzoni: 'Tentati-
vi', 'Sussurro  Uncino' e 'Bianco Assurdo'. Prima di questo  lavoro  avevano
partecipato all'Hiroshima Mon Amour  alle  selezioni  per Arezzo Wave; erano
inoltre stati i protagonisti di uno special montato da Radio Torino  Popola-
re, che li aveva  registrati  in  occasione  di  un loro concerto al circolo
G.  da  Giau. Come avrete notato dai titoli delle loro  canzoni  cantano  in
italiano, come tutti gli altri gruppi presenti sul CD eccetto i SANE INSANI-
TY.  Per definire la musica dei JEDEN ABEND mi piace affidarmi  alle  parole
di Massimiliano.
     MASSIMILIANO: Son cresciuto fin da bambino, avendo i genitori abbastan-
za  giovani, a pane e Rolling Stones; quello che suono e` una  minima  parte
di quello che ascolto,  mi  piacciono  cose  molto  dure e atonali, pero` io
fondamentalmente  scrivo  cose melodiche, tante cose nostre sono  anche  pop
se vuoi, assieme ad un  mucchio  di  altre  cose...  Ho impattato duro con i
Sonic Youth che veramente hanno aperto una strada... Il suono  chitarristico
che mi piace di piu` e` il loro  assieme a quello dei Pixies, dei Thin White
Rope, dei Jane's Addiction...
     Chiediamo  al  gruppo un'ultima delucidazione sul modo  di  comporre  i
loro brani:
     MASSIMILIANO:  Io  fondamentalmente  do  il  canovaccio,  magari arrivo
con  un riff, con un giro, raramente arrivo con la canzone... I  testi  sono
miei... Magari hai  una  strofa,  hai  qualcosa  e  mentre la melodia arriva
ti arrivano anche delle parole...
     MARCO:  Comunque  il gruppo e` abbastanza democratico le  decisioni  si
prendono sempre coralmente.
     Abbandoniamo per un  attimo  i  JEDEN  ABEND  per passare ad analizzare
in breve le canzoni degli altri quattro gruppi. PUNTO G., che sarebbe  Pippi
Leardi con ospiti, ha  contribuito  con tre brani: l'omonimo, 'Insolitamente
Lento' e 'Pezzi di Me'. punto g. guarda alla musica da un'angolazione  inso-
lita per quel che  riguarda  il  panorama della provincia. La programmazione
si  interseca con la musica di strumenti piu` tradizionali  facendo  spirare
da Bristol una fresca brezza  fin  quaggiu`. 'Pezzi  di me' tenta di fondere
due  diverse  concezioni del termine percussioni. I MACHINA  VELENIA  vicini
non solo per affinita` musicali  ai  JEDEN  ABEND, usano due voci che creano
uno  spazio  a due dimensioni sul fondo in alta  frequenza  delle  macchine,
che e` il  termine  con  cui  loro  stessi  definiscono la parte strumentale
sul  libretto  in  contrapposizione ai veleni vocali.  Anche  loro  eseguono
tre pezzi: l'omonimo,  'Cocci'  e 'Greve'.  I  NERVITESI  fanno un uso molto
interessante della voce del flauto e del contrabbasso; in particolare  l'uso
della voce  in 'Rose  Nel  Vento'  ricorda  lievemente (senza  fare paragoni
che  non  servono a nessuno) quella di Demetrio Stratos. I  NERVITESI  fanno
scoprire una provincia lacerata  tra  due  spinte contrapposte: quella verso
sud,  verso  il mediterraneo ('Un'Anima d'Argilla'), e  quella  trobadorica,
transalpina del cantastorie ('Dans Ma Maison' richiama alla memoria i Pigal-
le).  Ultimo  loro pezzo non ancora citato e` 'Il Re delle Unghie'.  I  SANE
INSANITY sono  caratterizzati  da  un  uso  massiccio  delle chitarre spesso
in  assolo. Un suono in bilico tra ritmi <<pesanti>> e  psichedelici.  Anche
per loro tre  brani: 'Innoffensive',  'Scandle  Light', 'I Must Eat Somebody
Today'.  Chiude  il CD '(H) ombre' un pezzo solo musicale  di  Frank  Priola
percussionista dei NERVITESI, che  si  firma  con lo pseudonimo FRANK TRANK,
un experimento che e' molto vicina alle coordinate dei PUNTO G.
     Mi piace concludere con una dichiarazione di intenti da parte di  Marco
batterista dei JEDEN ABEND.
     MARCO: Finora quel che  c'e'  mancato  e'  stata la continuita`. Adesso
pero`...
     Sono sicuro che non mancheranno loro le opportunita` per rendere questa
provincia un po' meno <<ingrata>>,  intanto  ci  lasciamo con un appuntamen-
to-promessa  di presentazione del CD, simile a quella tenutasi al  Nuvolari,
verso fine novembre al Capolinea di Entracque.
     Per contatti con i  JEDEN  ABEND:  Massimiliano Rosso, via San Giovanni
Bosco, 84 - 12045 Fossano. Tel. 0172/635144.
     Per  contatti  con  TERRA  CHE  MUOVE -  CANTINE  DI  NORD  OVEST   ph.
0330/204526 - 0360/441706 -  0171/692028:  Leardi,  Corso  Nizza, 20 - 12100
Cuneo.

                                                               Marziobarbolo




                                 JOHN PATTON
                          imprevedibile organo jazz

     Chiunque  abbia  avuto  contatto col mondo della musica  sa,  in  tutta
semplicita`, quanto ogni genere sia legato a un gruppo di strumenti caratte-
ristici  e quanto inusuale sia in confronto la scelta di modificare,  magari
rimescolando le  carte,  questo  dato.  Vi  furono  strumenti  a  corda come
la  cetra  per accompagnare la recitazione dei poemi omerici  e  non  altro,
l'aggraziata arpa, cara  ai  Minnesanger germanici, indissolubilmente legata
alle  loro  sofferte  canzoni d'amore. E vi fu il  violoncello,  un  simbolo
certo della musica romantica, dei segreti di malinconia e ancora oggi fedele
suscitatore  di  sentimenti riposti. Non basta, anche piu`  recentemente  la
chitarra e il basso  sono  divenuti  emblemi  del 'rock',  come del resto la
batteria, ribadendo la rinnovata stabilita` del meccanismo.
     Le  ragioni  di  questo sodalizio sono molteplici. In  prima  linea,  e
a fondamento, sta  un  bisogno  di  espressione  vincolato  ad un certo tipo
di  sonorita`.  E pare che per ottenere  questo  risultato,  ogni <<musica>>
abbia elaborato una  sua  prospettiva;  le  prospettive  dunque variano e si
moltiplicano  ma  tutte, in quanto nate da una scelta di  melodia,  ritmo  e
armonia mettono in  avviso  l'ascoltatore  sul  loro genere di appartenenza.
Ovviamente,  sia  detto per inciso, e` significativo che un'ampia  gamma  di
strumenti resti pur sempre comune a  piu`  generi, primo fra tutti il piano-
forte. Non lo stesso purtroppo e` accaduto, nel campo del Jazz, con  l'orga-
no, rimasto incautamente patrimonio indiviso della musica classica.
     Strumento discusso  e  causa  di  controversie,  l'organo  entro` nella
musica  jazz  con Fats Waller che nel  lontano  millenovecentoventisei  vide
in esso buone possibilita`  per  interpretazioni  blues. Lo seguirono, anche
se senza troppa 'verve' Count Basie impegnato sporadicamente sia  all'organo
a canne che  a  quello  elettrico  e  con  maggiore civetteria, confidenza e
volutta` Wild Bill Davis, oramai gia` nella seconda meta` degli anni quaran-
ta. Questa apparente incompatibilita` apri`  tuttavia le porte a Jimmy Smith
che  dieci anni dopo ottenne grande e duratura popolarita`. Nonostante  cio`
e nonostante le sue virtu`,  l'organo  non e` comunque mai entrato ufficial-
mente  fra  gli  strumenti tipicamente jazz. Forse  un  anatema,  rafforzato
dal giudizio di  alcuni  critici  che  paragonarono  il  suo suono impegnato
nella  ritmica  jazz allo stonare di un gessetto sulla lavagna,  lo  escluse
dalla prospettiva musicale dei maggiori jazz-men. O forse perche' non otten-
ne l'appropriata attenzione, rimanendo eluso o rivisitato  superficialmente.
     Ad ogni modo mi  e`  sembrato  doveroso,  indicare l'opera di revisione
intrapresa  dalla  critica posta di fronte ai  decisivi  risultati  ottenuti
da JOHN PATTON. Gia`  autore  di  Boogaloo e Understanding (Blue Note), JOHN
PATTON pubblica or ora Minor Swing, opera impegnativa realizzata in collabo-
razione con John Zorn al  sax  alto.  L'organo suonato da Patton e` inserito
all'interno  di un quartetto che oltre a Zorn si compone di Ed  Cheery  alla
chitarra e Kenny Wollesen  alla  batteria.  E`  evidente che l'organo sembri
qui sostituire un probabile pianoforte, ma senza veramente volerlo;  piutto-
sto spinge avanti un'intenzione di  innovare,  di uscire dalla strada facile
e  prevedibile obbligando il compositore all'imprevedibile. E Patton,  quale
compositore, e` attento a cogliere ogni novita` entro la tensione espressiva
creata  dal suo strumento. E` dunque difficile sottrarsi  all'inganno  dello
stile. Pero`, conoscendo  la  distanza  del  suo  vocabolario da improbabili
cliche',  lo stile dimesso sospinge in ogni caso a formulare alcuni  sommari
giudizi sul modo di  comporre.  Una  prima  attendibile ricerca si indirizza
all'estrema economia del suono, a tratti molto esplicita, che per naturalez-
za e ingannevole spirito solo secondariamente lascia riflettere sulla strut-
tura  coerente,  lirica e melodica dei brani. Infinitamente  piu`  ricca  di
ogni tentativo accaduto dopo Jimmy Smith.  Egli da` avvio, e` ovvio, cercan-
dolo  di  proposito, a un dialogo fra cuore e mente,  con  caparbieta`,  per
fare della propria coscienza il punto  di  fuga di una memoria antica blues.
I  brani  eccellentemente  variati come tempo e stile, ma  sarebbe  il  caso
di dire umore (mood),  esprimono  di  un progressivo appropriarsi dell'espe-
rienza  del  blues  e della sua ritmica. Della quale  ritroviamo  un  chiaro
monito nel titolo  Minor  Swing,  anch'esso  impostato sull'intensita` dello
swing  determinata  dal  livello dinamico e dal modo di  sentire  il  tempo,
ossia ancora una volta il mood.  Sono pensieri, questi, che vengono in mente
ascoltando  il  terzo  brano, dal quale e` ricavato il titolo,  e  in  esso,
il tempo compreso fra il quinto  minuto  quando a suonare sono il batterista
e  l'organo  di Patton sino quasi all'ottavo minuto quando entra il  sax  di
Zorn. Qui,  nel  componimento  centrale,  si  modula  stupendamente lo swing
ponendo  l'organo  in  primo piano come al terzo minuto  si  era  verificato
per la chitarra. E va da se', che alla superficialita` generata dall'inganno
di  uno  stile dimesso non si possa credere, Patton si nasconde,  e`  dunque
credibile esattamente il  contrario:  che  cioe',  il  suo stile autoridotto
sia  fontana di moltiplicata creativita` e ricchezza, anche se  sempre  piu`
si irraggi a coincidere,  secondo  una  intimistica tensione espressiva, con
un'essenzialita`  riconducibile  all'unita` minimale. L'<<oggetto>>  che  la
musica mira a evocare, di cui  le improvvisazioni sono una sottile illustra-
zione, nasce dalla combinazione dei suoni piu` brevi in modo da far  contare
ogni singola nota  anche  nei  tempi  piu`  veloci (8/8).  Patton ha dato in
questo  album risposte non convenzionali a questioni spesso eluse, che  sono
quanto di piu` vicino esista al  senso della novita` e probabilmente all'an-
sia di immaginare il futuro, gia` svolte e sognate da altri seri compositori
e interpreti quali Robert Fripp; il  cui pensiero e` affidato a queste paro-
le: <<The  future  is  in place, and waiting, but we have  yet  to  discover
it. Our present position is  the  bridge between. This position is Hazardous
because  we  are  building  the  bridge  while  crossing  it>> ('The  Bridge
Between'). Una partita che Patton ha saputo aprire, a dispetto delle costri-
zioni,  proprio con l'organo e a partire dal discorso interrotto negli  anni
sessanta. Ebbene, si pensa a questo  punto a un lavoro dai parametri evasivi
e  contrastanti, forse troppo ingenui nella fretta innovativa, ma in  nessun
luogo come in questo, del  tentativo,  e` possibile veder crescere una selva
di  archetipi:  l'uso dei 4/4 ritmicamente ingenuo a fianco di  altri  metri
in 'B Mel Thel'; un  allegro  valzer  in 'Tyrone' (composto da Larry Young);
un  orecchiabile boogaloo squadernato in 'The Rock'; reminiscenze  di  brani
di Miles Davis secondo la lezione del periodo modale in 'Minor Swing' e 'Li-
te  Hit'.  Cio` non solo educando all'infinito l'organo ai  modi  del  jazz,
esemplare e` la coesione espressiva con il sax alto di J. Zorn dalle colori-
ture  post-bop (Phil  Woods, Cannonball Adderley) e influenzato  da  maestri
quali Eric Dolphy e Ornette Coleman. Esemplare pure il dialogo perfettamente
incuneato  nella  dinamica del quartetto, con la chitarra di Ed  Cherry.  La
scelta di uno strumento non  canonico,  e  in questo caso l'organo, acquista
quindi  anche  la funzione di rivelatore o addirittura  di  evocatore  della
personalita` di un autore, che egli lo voglia, lo sappia, o no.

                                                                       Decus