Settembre-Ottobre 1995
Autunno, si sa e` sinonimo di tristezza; il sole della bella stagione
lascia il posto alle piogge battenti ed alla nebbia, le vacanze sono solo
piu` un ricordo sbiadito, e tutti ormai sono tornati alle loro rispettive
occupazioni. Tra questi ci siamo anche noi di Interferenze blu, navigatori
solitari ed instancabili, intrepidi nocchieri che pilotano il loro azzurro
veliero tra le onde (corte? medie? lunghe?) dell'oceano musicale.
Va beh, torniamo seri, e riprendiamo possesso di quella patina di
sobrieta` che ci ha sempre contraddistinto, lontano dal rutilante universo
dei periodici piu` o meno di cassetta. Ed eccovi quindi servita la solita
carrellata sul panorama musicale: le ultime uscite ai raggi X, le rubriche -
divenute ormai un punto fermo della pubblicazione - e (inedito!) un
abbinamento intervista piu` recensione ad alcuni esponenti della scena
underground cuneese, protagonisti della compilation "Provincia in grata"...
un po' di campanilismo non guasta! Ed ora spazio alla musica e buona lettura
(o buon ascolto?!).
io
RECENSIONI - 360 gradi
MESHUGGAH
Destroy Erase Improve
(CD - Nuclear Blast - 1995)
Potrebbe essere una lugubre colonna sonora estiva per un popolo balca-
nico al martirio. E` invece il secondo album dei MESHUGGAH (nome che in
yiddish indica la pazzia). Ad un primo approccio gia` mi pare un buon passo
in avanti rispetto al solito, irrazionale <<catastrofismo>> death metal,
di cui pero` conserva la pesantezza. Tema centrale: la creazione di un'in-
telligenza artificiale e di una possibile generazione umanoide - meta`
uomo e meta` macchina - sottomessa ad un nuovo Dio tecnologico. E` un'inda-
gine che si snoda attraverso la descrizione di particolari reali e di scena-
ri futuribili ma, come si evince dai testi, con risvolti <<psicologici>>.
Ne risulta un insieme suggestivo ed assai credibile: sicuramente migliore
di qualunque romanzo fantascientifico e di film alla Terminator/Blade Run-
ner.
Naturalmente gran parte di queste suggestioni sono richiamate -
nelle dieci tracce - dallo spigoloso e potente impatto (ascoltate 'Soul
Burn'). Ma anche se il violento chitarrismo ci riporta ai Pantera piu`
recenti, il piglio dell'album e` decisamente estremista; e affine - anche
per i temi affrontati - ai furiosi ritmi metallici dei Fear Factory o alle
catartiche colate di puro grind-core stile Brutal Truth. Di particolare
interesse mi pare l'ambientazione. Non solamente pulsazioni industria-
li ('Future Breed Machine') e cupe, ma pure un gradevole gioco di chiaroscu-
ri, di luci ed ombre di matrice fusion. In questo solco s'inseriscono gli
interventi chitarristici di Fredrick Thordenthal che sono sempre misurati
e solo occasionalmente caotici. Evocativo quanto il tramonto di un tiepido
solicello polare, il bellissimo intermezzo di 'Acrid Placidity'. Considero
questo album, cosi` compatto ed acre, riuscito grazie alla propria ambiva-
lenza: il gruppo svedese non si snatura mai, eppure ci presenta un lento
ma sostanziale passaggio da una prospettiva estremista ad una - estrema -
evoluzione del genere. Sembra essere proprio questo il modo piu` naturale
di perseguire la cosidetta <<contemporary death-fusion>>. Lasciando che
due tradizioni diverse rimangano su due piani diversi, anche se paralleli.
Limitando al massimo certi concilianti spunti progressivi. E soprattutto
evitando, ecco, l'errore dei Cynic di "Focus", di seppellire il proprio
sound sotto un inutile e prolisso ipertecnicismo. Che qui pare in via di
estinzione. Siete dunque avvertiti: l'homo tecnologicus dei MESHUGGAH e`
una realta` gia` tutta nel titolo. E distrugge. Cancella. Progredisce.
Vincenzo Capitone
ECHOLYN
As the World
(1995, U.S.A., Sony/Epic)
Cosa non si fa per una major... Da sempre, uno dei sogni piu` o meno
reconditi di ogni musicista o gruppo e` quello di approdare sotto l'ala
protettrice di una grande etichetta, quella che ti assicura contratti lun-
ghi, pubblicita` e (soprattutto) conquibus; ma in cambio appone sul tuo
prodotto una sorta di franchigia giudicante, del tipo <<questo pezzo non
va, e` troppo lungo>>, <<la` ci vuole qualcosa di piu` orecchiabile>> e
via censurando. Discorso vecchio, si dira`, se non retorico; ma e` cio`
che si sentirono dire gli ECHOLYN allorquando, lo scorso anno, si videro
sottoporre il fatidico contratto (per 8 dischi!) dalla Epic/Sony. La novita`
fece il giro del mondo progressivo, inculcando il seme periglioso del dubbio
nelle menti dei numerosi fans, che il gruppo si era creato grazie ai due
album precedenti, ECHOLYN e SUFFOCATING THE BLOOM, ed al mini cd AND EVERY
BLOSSOM. In essi il gruppo aveva sintetizzato cosi` bene il proprio obietti-
vo, cioe` ripescare gli elementi basilari della lezione dei Grandi Vecchi
del prog (Gentle Giant, Yezda Urfa) ed inserirli in un contesto piu` moder-
no, diavolerie tecnologiche a parte grazie al cielo! Il risultato finale
di tale sintesi e` una musica ariosa, a tratti quasi <<leggera>>, con una
carica di freschezza spesso assente nelle opere dell'austero prog europeo;
eppure dotata di un'intrinseca complessita`, elaboratamente perfezionistica.
Evidentemente in questo strano miscuglio i (solitamente) poco lungimiranti
dioscuri della Sony hanno intravisto una possibile nuova tendenza dell'un-
derground statunitense, da contrapporre ai cavalieri in armatura di metallo
fiammante targati Magna Carta (Magellan, Shadow Gallery & C.). Ed ecco
questo AS THE WORLD, col quale i cinque della Pennsylvania dimostrano di
aver assorbito con classe la <<sindrome da compromesso discografico>> di
cui si diceva. Hanno solo frammentato un po' piu` del solito le loro suites
ad ampio respiro, senza tuttavia minarne i contenuti. Una piacevole confer-
ma, quindi, con la speranza che anche in futuro gli ECHOLYN possano conti-
nuare ad usufruire di tale e tanta <<liberta` di manovra>>.
io
THE VERVE
A Northern Soul
(Hut/Virgin)
Sono entrati nell'ala protettiva della stampa specializzata musicale
e delle radio alternative, ricevendone recensioni entusiastiche, programma-
zioni radiofoniche a tutto spiano, oltre a tutti gli spazi promozionali
che ne conseguono. Si sono rivelati con l'opera seconda, laddove il loro
disco d'esordio era stato accolto con indifferenza se non con ostilita`;
sono amati piu` come paradigma musicale che come insieme di musicisti crea-
tivi (perche' la critica <<militante>> prima fabbrica un modello ideale,
poi ne cerca l'inveramento piu` completo tra gli artisti che in quel momen-
to <<sfilano in vetrina>> - un po' cinico ma realistico come panorama,
no?...). Il disco che segue e` gia` una delusione a detta di molti, un
tradimento delle direttive impostate (da chi?)...
A quanti artisti puo` adattarsi questa descrizione? A molti, credo,
negli ultimi anni. Non mi pronuncio sul loro destino critico nel futuro
immediato, ma e` chiaro che il presente dei VERVE e` questo: un disco,
A NORTHERN SOUL celebrato dappertutto come una tappa importante della rina-
scita psichedelica di marca inglese (domanda: doveva rinascere, oppure
era gia` viva ma nessuno se ne era accorto?); un periodo di riconsiderazione
critica, dopo l'arcigno trattamento riservato al gruppo precedente (giusto
due anni fa, quando dare addosso agli artisti inglesi era assai proficuo).
Copertine e interviste al presuntuoso cantante Richard Ashcroft (ma gli
Oasis non sono anche piu` strafottenti?).
Dati questi pesanti condizionamenti esterni (non ultimo la scelta
di un produttore <<giusto>> come Owen Morris), resta da valutare come sia
in se' quest'opera dei VERVE. E` un disco molto bello, variegato, sfaccetta-
to, anche contraddittorio nel clima e nelle atmosfere. Ma non mi sento
di dipingerlo come un capolavoro come si e` fatto altrove, per diversi
motivi: il primo e` che capolavoro realmente non e`; il secondo e` che
escludere fin da ora un qualche margine di miglioramento significa avere
poca considerazione delle capacita` artistiche altrui; il terzo e` che
i VERVE non mi sembrano destinati a produrre un unico capolavoro con contor-
no di tanti dischi <<minori>>, ma una lunga serie di dischi interessanti
e stimolanti, all'interno della quale stilare graduatorie di merito si
rivelerebbe ridicolo.
E infatti A NORTHERN SOUL non e` migliore ne peggiore dell'esordio 'A
Storm in Heaven': e` semplicemente diverso. In A NORTHERN SOUL non sono
piu` presenti gli psicotici arrangiamenti di saxofono di 'The Sun', 'The
Sea' e 'Butterfly', ed e` stata ridotta la componente piu` visionaria ed
eterea del loro stile, qui limitata al finale di 'Stormy Clouds - Reprise',
peraltro splendido; al loro posto troviamo suoni piu` acidi e irruenti,
quelli che rivestono 'A New Decade' e lo strepitoso anthemico* singolo 'This
is Music' (la loro "Born to be wild"?); ma anche ballate nitide e carezzevo-
li come 'On Your Own', 'So it Goes' e 'History', che ha fatto scomodare
John Lennon per qualificarne la bellezza; e poi ancora chitarre taglienti
e intricate sequenze ritmiche in 'Brainstrom Interlude' e nella title
track (quest'ultima con una vaga cadenza dance), esempi di psichedelia
espansa. Ormai una garanzia sono le raffinatissime chitarre di Nick McCabe
e la voce di Richard, veramente fuori dal comune per intensita` ed emotivi-
ta` (fattore determinante per il successo di un gruppo).
* ANTHEMICO: da anthem. termine che indica una canzone che si presta,
in concerto, alla partecipazione del pubblico, spesso a essere cantata
in coro.
Mad Man Moon
NOMADI
Lungo le Vie del Vento
CGD
Secondo disco della band post-Daolio. La voglia di rinnovarsi continua-
mente, cercare nuove strade ed emozioni, _ evidente in quest'album piu`
che nel precedente, LA SETTIMA ONDA che, a mio avviso, soffriva ancora
di un comprensibile disagio, essendo il primo lavoro che Beppe Carletti
fondatore ed ora leader, affrontava senza Augusto (come confermato anche
in un'intervista). Beh, dopo trent'anni insieme...
Molto del viaggio in India, fatto a marzo, e` presente a livello di
testi: i saggi, gli dei, un mondo totalmente nuovo da esplorare, il ricordo
di Gandhi. Riflessioni maturate giorno per giorno, dove c'e` spazio piu`
per il personale che per il sociale. Musicalmente il gruppo e` piu` compatto
che mai. Con il proseguire dell'album, appare chiaro un filo conduttore
che lega tutte le canzoni. Il sempreverde Beppe fa la parte del leone con
le tastiere, ma gli altri solisti non sono da meno: Cico alle chitarre,
specialmente nel VENTO DEL NORD ed in 'Puoi', dove il gruppo, tra l'altro,
esplora sonorita` e ritmi non propriamente suoi; Francesco ai fiati emerge
a buon profitto ovunque; 'Dove stanno gli dei' ne e` un esempio, arricchita
da un bellissimo scambio vocale tra lo stesso Francesco e Danilo. Le loro
voci sono ormai ben rodate ed e` bello, appunto, sentirli duettare in piu`
canzoni. 'Viaggiatore', incalzante, ne e` un altro bell'esempio.
Un ultimo particolare, forse inosservato, ma per me significativo:
ne 'Il saggio e Lungo le Vie del Vento', tutto il gruppo canta nel ritornel-
lo; un bel segno di unione. L'unione che, nonostante le disavventure degli
ultimi anni, ha fatto dei NOMADI non solo un gruppo musicale ma, come ha
detto Daniele il batterista, un movimento di ideali ed una filosofia di
vita. Per confermare questa affermazione, invito chi non ha ancora assistito
ad un loro concerto ad andarci. Non ne sarete delusi e capirete perche'
c'e` gente che, come me, e` arrivata al suo trentaduesimo concerto. Aspet-
tando il prossimo capitolo di una storia che ha ancora tante, molte cose,
da dire e da fare.
Mad Dog
J.COTTON / J.WELLS / C.BELL / B.BRANCH
Harp Attack
(Alligator records)
Imperdibile per gli amanti dell'armonica che si trovano ad ascoltare
una specie di All Star della Chicago Blues Harp. L'impressione di trovarsi
di fronte ad un'operazione commerciale e` abbastanza forte ma, insomma,
con artisti di tale calibro (vi assicuro molto, molto grande), e` una sensa-
zione assolutamente tollerabile ed inoltre stiamo parlando della Alligator
Records from Chicago Illinois, non di Claudio Cecchetto o di un Festivalbar
qualsiasi (scandaloso, ha ragione Freak Antoni quando dice che in Italia
non c'e` gusto ad essere intelligenti). Ma bando alle divagazioni e veniamo
ai nostri valorosi armonicisti, sui quali e` doveroso soffermarsi.
JAMES COTTON, classe 1936, da Tunica, Mississippi, storico harp player,
cresciuto alla scuola di quell'autentica leggenda che e` e rimane Sonny
Boy Williamson II, se ne ando` di casa all'eta` di 9 anni perche' l'unico
futuro per lui era quello di suonare blues. Il suo primo singolo a 18 anni.
Ha suonato con tutti i migliori: Howling Wolf, 11 anni con l'immenso Muddy
Waters finche', nel 1966 intraprese una splendida carriera solista. Cult
artist!
JUNIOR WELLS, classe 1934, from Memphis, Tennessee, e` un musicista
di classe non comune, come ho potuto constatare nel recente concerto al
Lingotto di Torino, dotato di uno stile personale e raffinato. Nelle sue
performance live e` assolutamente imperdibile visto che, grazie al suo
repertorio sempre molto funky ed alla sua voce sensuale ed intrigante,
ti costringe a strapparti i vestiti! Long live to Junior.
CAREY BELL, classe 1936, born in Macon, Mississippi, non molto noto
al grande pubblico, comincio` a suonare come professionista all'eta` di
13 anni (fortunatamente non c'era una "Non e` la Rai" a devastargli il
cervello, pensate a cosa potrebbe succedere in Italia se si spendessero
piu` soldi per la diffusione di una cultura musicale decente), per approdare
a 20 a suonare nei clubs di Chicago. Memore dell'insegnamento di grandi
maestri quali Little Walter e Big Walter Horton, e` un virtuoso nell'uso
dell'armonica cromatica.
BILLY BRANCH, classe 1953, da Chicago, fa parte della nuova generazione
di musicisti, cresciuto imparando i trucchi del mestiere dai tre precedenti,
come ironicamente ci ricorda nell'ultima traccia 'New kid on the block'.
La band di supporto e` formata da sessionmen di tutto rispetto: Michael
Coleman, ex-chitarrista di Cotton, puntuale e preciso, il prodigioso Lucky
Peterson, Johnny B.Gayden e Ray "Killer" Allison alla batteria, un vero
rullo compressore, come piace a me.
Il cd e` molto piacevole all'ascolto, nessuna sorprendente novita`,
ma vi sono alcune chicche. Prima fra tutte uno strepitoso WELLS nell'intri-
gante 'Keep your hands out of my pockets'; splendida e densa di feeling
e` 'My eyes keep me in trouble', con Carey Bell molto ispirato alla cromati-
ca e questo non fa che esaltare la sua voce piena e matura. E poi
c'e` 'Black Night', la mia preferita, calda e sensuale come l'abbraccio
di una dark lady in una gelida notte invernale. Da sola vale l'acquisto
dell'album.
This is Blues and here's my life, baby
P.S.: nessun bluesman si e` ancora fatto vivo attraverso le nostre
folgoranti Pt. Cosa state aspettando? che Zucchero faccia un album con
John Lee Hooker? (Ah, Ah...). Vivro` nella trepidante attesa delle vostre
missive, nel frattempo potremo incontrarci ai prossimi concerti del-
la "Longs' Valley Blues Band". Accorrete numerosi.
T-Bone Malone
DIROTTA SU CUBA
Dirotta Su Cuba
(CGD)
Ed eccoci qua! Siamo tornati?
Un nuovo autunno e` alle porte, indossiamo i primi indumenti piu`
spessi con in tasca i ricordi delle ultime vacanze trascorse.
I piu` fortunati, invece, partono in questo periodo, aggirano la calca
dei <<ferragosto italiani>> e si distendono su qualche spiaggia tropicale
al ritmo colorato delle grandi orchestre sudamericane. Noi si rimane qui,
con la musica di casa nostra che e` altrettanto allegra e variegata. Ad
esempio, prendiamo un disco di quest'anno: Dirotta su Cuba.
Questa neoformazione musicale, al suo esordio discografico, si e`
subito posta all'attenzione del pubblico per l'allegria e per l'apprezzabile
precisione della sua musica. E` un lavoro che nasce da una unione di idee
di tre giovani agguerriti e ben equipaggiati, riconoscibili nei nomi di
Stefano Di Donato al basso, Rossano Gentili alle tastiere e Simona Bencini
ugola funky degli ultimi tempi. Ultimi tempi che hanno visto crescere la
voglia di funky italiano, unitamente ad una selezione artistica piu` severa
da parte del non vasto ma fedele pubblico del settore.
Riguardevoli collaboratori musicali si possono enumerare in questo
disco. A coadiuvare, infatti, gli spunti percussivi del bassista Di Donato,
troviamo alle batterie, alternandosi: Daniele Biondi ed Alfredo Golino
e un infaticabile percussionista come Mario Seggio. Le chitarre sono affida-
te a due musicisti <<frippertronici>>*: Gabriele Paoleschi e Pierpaolo
D'Emilio, con un risultato decisamente incisivo. Pur non invadendo territori
altrui, sanno cosa fare per non apparire ripetitivi e troppo virtuosi.
Una sezione fiati armonizza e da` corpo a tutto questo album, pennel-
lando a tratti marcati ogni paesaggio musicale. Umberto Marcandelli, Miche-
langelo Piazza, Michael Applebain sono alle trombe e flicorni; i sassofoni
sono affidati ad un abile Luca Signorini e i flauti a Nino Radicavoli.
Il piano, rigorosamente elettrico, e` gestito da Claudio Baccara e Fabio
Nuzzolese, arragiantori, peraltro, della quasi totalita` dei brani. Il
risultato, mi pare molto gradevole. Mi sono divertito, infatti, ad inseguire
mentalmente il disegno degli incastri musicali realizzati dai singolo stru-
menti, sorridendo sulle verita` nascoste nei testi, talvolta intriganti.
Che ci sia un ritorno ai suoni e colori degli anni '70? Sottovoce
posso quasi affermarlo e <<largo ai giovani!>> sembra voglia far capire
la grinta decisa della sezione vocale formata da: Renato Carrozzo, Francesca
Agosta, Alfio Scoparo, Andrea Pieroni, Raffaella Lisi ed il chitarrista
Pierpaolo D'Emilio. Mi auguro che questo disco sia uno sprono a ben operare
per questa Italia che vuole e deve crescere. A risentirci.
* Frippertronici: (da frippertronics), sperimentazioni a meta` tra
musica, in senso tradizionale, ed elettronica - attuati da Robert Fripp
intorno alla meta` degli anni '80; musicisti in questione riprendono tale
esperienza.
Stormbringer
SWERVEDRIVER
Ejector Seat Reservation
(Creation LP-CD,1995)
Dopo gli indimenticabili RAISE (91) e MEZCAL HEAD (93) gli SWERVEDRIVER
tornano con un altro grande disco. Seguendo la loro magica formula ed
infischiandosene delle mode cicliche che MTV e i giornali inglesi impongono
senza pieta` ai loro consumatori, i nostri quattro ragazzi di Oxford ci
danno ancora la ormai sempre piu` rara possibilita` di volare con un pezzo
di vinile.
La loro musica carica di chitarre, di feedback, con il suo incedere
trascinato ha infatti una carica emozionale molto coinvolgente. E` come
un liquido densissimo che travolge e libera.
EJECTOR SEAT RESERVATION si compone di dieci episodi. Dopo l'intro
etereo di 'Single Finger Salute' (chitarra, violino, tromba e rumori),
c'e` 'Bring Me The Head Of The Fortune Teller' che col suo energico crescen-
do condito di feedback permette subito di assaggiare l'atmosfera che si
respirera` nel resto dell'album. 'The Other Jesus' prosegue sulla stessa
lunghezza d'onda e precede 'Son Of A Jaguar' E dolcemente ipnotica con
il ritornello sostituito da chitarre lancinanti.
Segue la bellissima 'I Am Superman' che mette il pop su strani giri
di chitarra, mentre chiude in tranquillita` il lato A 'Bubbling Up': un
lento vagamente psichedelico. Il lato B raggiunge quasi la perfezione:
dopo la lunga ma non spettacolare canzone che da` il titolo alla raccolta
ci sono i migliori tre pezzi dell'ellepi`. 'How Does It Feel To Look Like
Candy?' (Shoegazing pop), 'Last Day On Earth' (uscita anche come singolo;
eccezionale con i suoi violini) e 'The Birds' (che suona piu` o meno come
un jingle jangle americano degli anni sessanta suonato dai Jesus And Mary
Chain).
Se siete vivi non potete fare a meno degli SWERVEDRIVER.
P.S. Se ve lo volete proprio comperare, prendete la versione in vinile,
c'e` in regalo un 7" con due bonus tracks.
Michele Apicella
FRONT 242
Geography
(RER)
Il mondo della dance nostrana dai Black Box a Corona, magistralmente
descritto da Fabio De Luca e Carlo Antonelli nell'imperdibile libretto
Disco Inferno, deve molto - piu` o meno consapevolmente - a gruppi come
i Cabaret Voltaire (l'ala piu` elettronica della New Wave inglese) e ai
belgi Front 242. Questi ultimi inaspettatamente sono stati tra i protagoni-
sti del grande festival itinerante Lollapalooza edizione 1993. Hanno quindi
avuto la possibilita` di far ascoltare la loro musica, oggi ai confini
tra techno ed industrial, a milioni di giovani in tutti gli USA. Molta
differenza rispetto ai tempi di questo GEOGRAPHY registrato su 4 o al massi-
mo 8 piste!, e dalla confezione talmente spartana da non riportare nemmeno
l'anno di pubblicazione. Comunque se dovessi azzardare un'ipotesi sull'anno
d'uscita indicherei i primi anni '80: i suoni sono totalmente elettronici,
scarni, <<robotici>> e proiettano l'ascoltatore in un mondo grigio in cui
i replicanti di Blade Runner marciano marzialmente verso un nemico che
forse non esiste neppure. L'alternarsi di pezzi cantati agli strumentali
non cancella la sensazione di gelo che pervade il cd: emergono comunque
chiari i debiti che gente come i Depeche Mode ha con questa formazione (vi
e` cosi` poco di umano nella loro musica che non si puo` definirli <<grup-
po>>!) mentre la meccanicita` delle strutture sonore li avvicina ai
Kraftwerk mitica band elettronica tedesca anni '70 il cui album "Man-Machi-
ne" ha il titolo che meglio descrive questo <<prodotto>>. Ciononostante,
anzi forse proprio per questo, GEOGRAPHY risulta quantomeno affascinante,
pur non concedendo molto alla commercialita`. Se volete ascoltare i Flinsto-
nes della techno fate uno sforzo e cercate anche quest'album (meglio se
a prezzo ridotto perche' dura solo 32 minuti).
Corvo Rosso
La scena di casa - BRACCIANTI ON THE STAGE
1990. Nasce il gruppo, ufficialmente con il nome: FIELDMANS OF BLUES
che poi viene tradotto e riadattato in italiano come: BRACCIANTI. La loro
fonte di ispirazione e` il blues di Muddy Waters, John Lee Hooker, ecc...
I componenti della band si chiamano: Gian Marco Ballestracci voce &ar-
monica, eta` 32 "leone"; Diego Bergamin, chitarra, eta` 27, "vergine";
Armanno de Luch, i basso, eta` 27 "sagittario"; Basso Michele batteria,
eta` 27 "cancro".
Il motivo che spinge molti giovani a formare una band e a darsi da
fare da questo punto di vista, il piu` delle volte deriva dal fatto che :
ci si vuole divertire. Qualcuno ha imparato a suonare la chitarra comprando-
sela con i propri risparmi o noleggiandola in qualche negozio. C'e` qualcosa
alle spalle; in questo caso, come anche in molti altri, troviamo un lato
storico: un periodo storico della musica: troviamo il Blues. Unico punto
d'incontro che unisce la band e la fa viaggiare alla continua ricerca di
nuovi luoghi dove potersi esprimere. Un messaggio storico: quello che e`
Blues che lancia alla gente, che lo assimila e lo trasforma in movimento
del corpo in battito, insieme alla band che in quel momento e` al massimo
dell'affiatamento. La band in questione e` quella dei BRACCIANTI: quattro
musicisti tutti di Castelfranco Veneto. Hanno cominciato la loro strada
nel 1990 scegliendo la via del Blues, ripercorrendo percorsi sonori fatti
di cover, passando da Muddy Waters, a John Lee Hooker... come iniziatori,
passando poi a cover sul genere Dream Sindacate, Lou Reed ecc... Ora pero`,
da due anni a questa parte hanno intrapreso una strada che li porta all'in-
dipendenza sonora sia negli arrangiamenti che nei testi. Ognuno di questi
ragazzi e` legato ad una propria cultura musicale, che nell'insieme diventa
ricerca quotidiana del loro stile. Hanno sviluppato un'originalita` alquanto
interessante, tenendo conto che sono ancora giovani. In questo periodo
sono arrivati al loro centesimo concerto dal vivo, e alla domanda: <<Perche'
suonate?>> Loro rispondono: <<Noi suoniamo per divertimento, e la gente
che ci ascolta si diverte: questo e` il punto>>. Il loro stile, potrebbero
benissimo identificarsi nel Rock Italiano, ma loro percepiscono il loro
stile come una sonorita`, come un'immagine sonora, un preciso messaggio
che appartiene alla "insolita quotidianita`". E visto che in questo periodo
hanno cominciato a scriverei testi in italiano, ecco che il messaggio diven-
ta anche piu` comprensivo. La loro musica e` reperibile in musicassetta,
su ordinazione, telefonando al 0423/491248-496315 o telefonando alla reda-
zione
Bergaminin
INTERFERENZE blu
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TAJ MAHAL
an evening of acoustic music
Il cd che vi presento testimonia di una serata di musica acustica
trasmessa in diretta da Radio Brema in... in... Germania! registazione
del 1993. Radio Brema con la collaborazione della casa discografica
T&M (tradition & moderne) si e` impegnata a trasmettere e a far conoscere
artisti di blues di grande calibro come Taj Mahal permettendogli di espri-
mersi per un pubblico ancora piu` allargato di quello che aveva scelto
di essere in sala: anche all'ascoltatore passeggero delle onde radio. Possi-
bilita` rara per questo genere, trovare spazio nella programmazione di
una radio. Spendo due parole perche' secondo me Radio Brema ha fatto un
passo per risolvere una contraddizione di questa nostra societa` della
comunicazione. Comunicazione che, uno dice, avendo la possibilita` di rag-
giungere un numero tot di persone le quali possono scegliere tra un numero
tot di proposte musicali, dovrebbe garantire una liberta` di scelta e di
espressione praticamente infinita. Ma ultima invenzione, invece di pescare
tra le infinite proposte in tutti i campi possibili immaginabili gia` esi-
stenti o in embrione... addirittura, udite udite, si creano dei nuovi biso-
gni e si inventano dei replicanti per soddisfarli e allora Take that...
Sssss, basta meglio fermarsi
Diamo a Cesare quel che e` di Cesare. Henry Saint Claire Fredericks
nasce nel 1942 e in seguito diventera` Taj Mahal: nome di un bellissimo
mausoleo ricordo dell'imperatore per la propria amata sposa morta durante
il parto. Secondo voi c'entra con il nostro TAJ MAHAL, sara` segno di una
coversione all'islamismo comune tra molti neri americani, ma! se qualcuno
sa rispondermi... lo faccia. La voce monumentale tiene tutta la scena:
un'atmosfera arcaica creata con poche cose: voce, chitarra, un piano: ogget-
ti di scena. Le corde vengono accarezzate al ritmo: cadenza del blues,
ne' fretta ne' forza nel tocco che ha il fascino di un balzo di felino:
nota per nota arriva al cuore con incanto immutato. Il suono sempre delicato
della chitarra si mescola bene alla voce che brucia prima di emergere all'a-
scolto. Shakespeare in Harlem, TAJ rivive personaggi storici di provenienza
e tradizione diverse: Robert Johnson ('Dust My Broom', 'Come On In My
Kitchen'), Rev. Gary Davis ('Candy Man'), Mississippi John Hurt ('Satisfied
'N' Trickeld Too') Little Walter ('Blues With a Feeling'). Cultore della
musica popolare nera e delle varie forme di espressione del popolo americano
nero, il suo popolo, TAJ MAHAL ha fatto esperienze diverse: teatro, natural-
mente la musica, il cinema e, dopo pellegrinaggi di una decina di anni
per le strade di Spagna e d'Europa, ha scritto fiabe per bambini in seguito
musicate ed incise. Un uomo eclettico sia nei gusti che nelle scelte: da
un contratto per la Columbia, ottenuto a soli vent'anni alla musica improv-
visata sulla strada. E` lui che con questa esperienza ora ripercorre da
solo la storia di un genere attraverso le sue voci piu` significative.
Storia di un popolo che ha visto la schiavitu` e i lavori massacranti per
costruire una societa` che poi gli diceva <<eat in kitchen>> qui ricordata
con 'Take This Hammer' una railroad worksong (cfr. box testo) fino ad arri-
vare alla lotta per i diritti di espressione attraverso un riconoscimento
culturale con il poeta Lagstone Hughes con cui TAJ collaboro` in teatro
e di cui qui troviamo un poesia musicata, 'Crossing'. E` sicuramente un
artista molto particolare che dal vivo, a giudicare da questa registrazione,
sa affascinare il pubblico con ogni mezzo: trovando il tempo anche per
una breve lezione di musica: se uno vuole farla battendo le mani. Nelle
ultime canzoni c'e` l'intervento di un vecchio compagno, Haward Johnson
prima al tuba poi al penny whistle (flautino da un penny, flauto giocattolo
insomma). Vi sembrera` strano l'utilizzo di un simile strumento in questo
genere infatti si tratta di una tradizione che si va perdendo principalmente
perche' poco utilizzata e che lega il blues alla sua matrice africana.
Ogni canzone contiene un mondo immensamente vivo nella voce e nello spirito
di questo autore esegutore della <<solo tradition>> (musica suonata singo-
larmente con pochi e semplici strumenti) e tutto l'album corre via leggero
come un boogie-woogie. Lunga vita a TAJ MAHAL e a voi buon ascolto, un
ultimo pensiero-rimpianto: chissa` se in quella notte pioveva come ora
quando la radio emetteva queste vibrazioni
Johnny
Se qualcuno avesse dei problemi a trovarlo si rivolga alla redazione,
c'e` sempre una soluzione... in tutti i sensi.
CASCINA MACONDO Musicarteatro Culture Associate ON THE ROAD MUSIC
Mabo` Band: spettacolo dell'espressione
Musicisti da strada di primordine, la MABO` BAND e` nata da quattro
ragazzi maceratesi suonatori di fiati, che coinvolgono la platee dei Buskers
Festivals italiani e stranieri. Con una solida preparazione musicale alle
spalle, la Mabo` Band si distingue per affiatamento, originalita` delle
gags, improvvisazione di brani filo-jazz a seconda delle situazioni che
capitano, dando sempre prova di freschezza.
Piu` che descrivere la loro musica o il loro spettacolo, e` piu` facile
andarli a vedere; infatti non e` un concerto, non e` cabaret, non e` teatro
comico, ma e` un insieme di tutte queste cose.
Probabilmente il loro segreto e` che si divertono da matti e, avendo
conosciuto <<in diretta>> il mondo accademico del conservatorio, preferisco-
no non essere per forza <<etichettati>> e rinchiusi all'interno di una
sterile definizione di genere. Una loro performance e` uno spettacolo
dell'espressione, che e` comica anche per poter cosi` esorcizzare i filolo-
gi. Ma per comprenderli meglio, leggiamo sul loro biglietto da visita (pic-
colo e lungo, piegato a fisarmonica): <<Potete buttarlo via subito. /
Pero` non sta bene inquinare l'ambiente. Potete usarlo come carta igienica /
pero` e` troppo duro e potrebbe farvi male al culo. Potete cambiarlo con
due da cinque / basta trovare qualcuno abbastanza scemo. Potete guardarlo
con amore e sentimento / pero` e` inutile, non esiste il suo tipo. Potete
mangiarlo con due fette di pane / basta aggiungere molta, ma molta maionese.
Potete conservarlo e farlo vedere a tutte le persone che incontrate /
per voi sarebbe lo sputtanamento totale. Ma la Mabo` Band ne sarebbe molto
felice. Potete provare a venderlo o barattarlo con un bicchiere di vino /
anche in questo caso la Mabo` Band sarebbe molto felice. Potete farci una
cravatta / e` piu` facile di quanto possiate credere. Potete incorniciarlo
e appenderlo al muro come un'opera d'arte / pero` e` troppo brutto per
spenderci i soldi della cornice. Potete prenderci il telefono e ingaggiare
la Mabo` Band per: cerimonie, inaugurazioni, matrimoni, party, divorzi,
funerali, etc... anche se, piuttosto che sprecare i vostri soldi, sarebbe
molto meglio darli ai bisognosi>>.
Beppe Finello
Punto fugato - QUICKSAND, I FIGLIASTRI DELLO "STRAIGHT EDGE"
Musica aggressiva, abrasiva, combinazione di velocita` e di riffs
taglienti. E` la formula che da oltre tre lustri rappresenta il marchio
di fabbrica dell'hardcore <<straight edge>> americano. Espressione che
qualifica sinteticamente anche il radicale neopuritanesimo - una contesazio-
ne positiva della politica e dell'ipocrisia borghese - a cui hanno aderito
due generazioni di musicisti appartenenti a realta` variegate, dal queer-co-
re omosessuale di S. Francisco al krishna-core di New York. L'ascolto di
un recente album come <<Destroy the Machine>> degli EARTH CRISIS, ultimi
portabandiera di questi ideali e alfieri del salutismo, chiarisce che ben
poco sembra essere cambiato. Solo negli ultimi anni c'e` stato qualche
sporadico tentativo di far evolvere o modificare certe sonorita` standard.
Se da un lato gli ORANGE 9MM. hanno rinnovato il genere dall'interno,
consolidandone lo spessore con contaminazioni <<noise>>, dall'altro appaiono
diverse le soluzioni adottate dagli INTO ANOTHER (rock stradaiolo frammisto
ad echi dark). Fino alla rottura completa di tutti i canoni in alcuni -
come direbbe un Alessandro Bergonzoni - cumulonembi sonori degli ICEBURN
piu` recenti, capaci di dimenticare le proprie origini e di mettere insieme
free-jazz, metal e progressive. Un piccolo terremoto, dunque. Con MANIC
COMPRESSION, il secondo disco dei newyorkesi QUICKSAND, che risale a qualche
mese fa, il termine <<post-hardcore>> e` diventato di uso comune. L'analisi
diretta dell'album ci conferma quest'ansia di cambiamento. Apre pero` le
danze la sinuosa e pesante girandola ritmica di Backward seguita da 'Bea-
ster' e da 'Supergenius', che evidenziano l'origine del gruppo. Abbiamo
poi una manciata di buone canzoni. Rumorose al punto giusto (ma dal vivo
lo sono di piu`) come nell'atmosfera elettrica di 'Thornin My Side'. Distor-
te negli strumenti e nella voce. Godibili e quiete soltanto in alcune melo-
die acustiche ed irrancidite (le chiamano <<roots>>), che rientrano spesso
di soppiatto con modi zeppeliniani 'Brown Gargantuan'. Lecito concludere
che MANIC COMPRESSION sia un album versatile, raffinatissimo ed alla ricerca
di una propria identita`. Il suo limite al di la` di qualunque considerazio-
ne ideologica o testuale e` la pretesa assurda di essere il manifesto del
post-hardcore. E si concretizza appena si pongono i frequenti ammiccamenti -
in 'East 3rd Street' e 'Simpleton' si rasenta il plagio - a quel
gioiello di hard psichedelico chiamato <<Louder Than Love>> dei SOUNDGARDEN,
anno di grazia 1989. Davvero un'occasione sprecata per gli eredi dell'HC
made in USA.
Vincenzo Capitone
OGNI SERA NELLA PROVINCIA IN GRATA
La provincia in questione e` Cuneo: una provincia sterminata, beh
forse ho esagerato, ma dire granda era troppo facile. Dove spesso ci si
sente fuori dai grandi circuiti, anche dal punto di vista musicale. Una
situazione ben riassunta da Paolo Bogo nel libretto di un CD che si intitola
PROVINCIA IN GRATA e che raccoglie il lavoro di cinque gruppi della nostra
provincia: i JEDEN ABEND di Fossano, PUNTO G., MACHINA VELENIA, NERVITESI
di Cuneo e SANE INSANITY di Dronero.
Ogni sera nella provincia in grata, pero`, c'e` qualcosa che si muove,
che pulsa, magari in posti impensati, e cosi` capita di essere gentilmente
invitati ad assistere alle prove dei JEDEN ABEND. Un'occasione per sapere
qualcosa in piu` sul loro conto e sul CD a cui hanno collaborato.
Questa sera i JEDEN ABEND provano con un nuovo bassista: Massimo,
siccome Bruno ha deciso di abbandonare per problemi di lavoro; gli altri
componenti del gruppo sono Massimiliano: voce e chitarra, Alberto: chitarra,
Marco: batteria e Mauro: terza chitarra, presente nei brani incisi per
il CD ma non stasera.
jeden abend e` un'espressione tedesca che Massimiliano ci chiarisce
dandoci anche alcune indicazioni su come si sia formato il gruppo.
MASSINILIANO: JEDEN ABEND vuol dire tutte le sere/ogni sera. La storia
che ci sta dietro e` semplicemente questa: ci trovavamo in una localita`
balneare dove c'e` il solito locale che fa suonare dei gruppi, per cui
sul cartello degli avvisi c'era il nome del gruppo con scritto vicino in
tutte le lingue <<tutte le sere>>, abbiamo letto <<jeden abend>> e abbiamo
detto: <<eh che carino, non sarebbe male...>> La cosa e` nata cosi`...
Ci siamo incontrati praticamente per caso a un convegno per l'orientamento
universitario tenutosi a Fossano...
MASSIMILIANO (Parlando di Marco): Prima di allora io non sapevo chi
era lui, lui non sapeva chi ero io eppure gli stavo sul culo a mia insaputa!
MARCO: Lui usciva con una ragazza che prendeva il mio stesso pullman
per andare a scuola, tutte le mattine quando scendevo dal pullman c'era
sempre lui con la sua cartella...
Passiamo poi a parlare del CD e Massimiliano ce ne spiega corpo e
anima.
MASSIMILIANO: L'idea e` sempre quella, cercare di raccogliere il testi-
mone di certe esperienze e portarlo avanti... La cosa e` nata con l'idea
di investire dei soldi, recuperare cio` che era stato speso e reinvestire
in progetti futuri.
MARCO: E` stato bello farlo anche per gli amici, quelli che vengono
sempre a sentirti ai concerti.
MASSIMILIANO: TERRA CHE MUOVE - CANTINE DI NORD OVEST e` semplicemente
il marchio che ci siamo dati noi gruppi che abbiamo partecipato a questa
iniziativa... e` tutto autoprodotto, autotassato... sia per quel che riguar-
da la grafica che altri aspetti, abbiamo avuto la fortuna che per una serie
di circostanze c'era chi aveva la possibilita` di usare dei software, chi
l'impianto di registrazione... e` il preludio, se tutto va bene, a costruire
poi qualcosa: fare una cosa piccolissima, non diciamo etichetta che e`
una parola grossa, e cercare poi di portare avanti un minimo il discorso...
Piero (Pippi) Leardi ci ha fatto da mixerista un paio di volte e dopo l'ul-
timo concerto ci ha chiesto se volevamo entrare nel progetto... assieme
agli altri gruppi siamo riusciti ad abbattere dei costi... Piero Leardi
era gia` attrezzato con un piccolo studio di registrazione in cantina,
affittando un 8 tracce a livello di registrazione... Lui veniva nelle singo-
le sale prove a registrare le basi (la batteria e due chitarre nel nostro
caso) e poi finivamo il lavoro in cantina e li` abbattevamo i costi...
La masterizzazione del CD e` avvenuta a Torino.
Effettivamente il prodotto finito e` veramente ottimo sia per quanto
riguarda la qualita` del suono, che per la veste grafica, e con tanto di
libretto! Complimenti! Il CD e` distibuito manualmente dai singoli gruppi
e per corrispondenza (gli indirizzi li trovate a fine articolo) e da alcuni
negozi di dischi quali: Totodischi a Fossano, Via Roma 16; Muzak Corso
Nizza, 27; Cuneo, a Busca e a Dronero.
I JEDEN ABEND hanno contribuito al CD con tre canzoni: 'Tentati-
vi', 'Sussurro Uncino' e 'Bianco Assurdo'. Prima di questo lavoro avevano
partecipato all'Hiroshima Mon Amour alle selezioni per Arezzo Wave; erano
inoltre stati i protagonisti di uno special montato da Radio Torino Popola-
re, che li aveva registrati in occasione di un loro concerto al circolo
G. da Giau. Come avrete notato dai titoli delle loro canzoni cantano in
italiano, come tutti gli altri gruppi presenti sul CD eccetto i SANE INSANI-
TY. Per definire la musica dei JEDEN ABEND mi piace affidarmi alle parole
di Massimiliano.
MASSIMILIANO: Son cresciuto fin da bambino, avendo i genitori abbastan-
za giovani, a pane e Rolling Stones; quello che suono e` una minima parte
di quello che ascolto, mi piacciono cose molto dure e atonali, pero` io
fondamentalmente scrivo cose melodiche, tante cose nostre sono anche pop
se vuoi, assieme ad un mucchio di altre cose... Ho impattato duro con i
Sonic Youth che veramente hanno aperto una strada... Il suono chitarristico
che mi piace di piu` e` il loro assieme a quello dei Pixies, dei Thin White
Rope, dei Jane's Addiction...
Chiediamo al gruppo un'ultima delucidazione sul modo di comporre i
loro brani:
MASSIMILIANO: Io fondamentalmente do il canovaccio, magari arrivo
con un riff, con un giro, raramente arrivo con la canzone... I testi sono
miei... Magari hai una strofa, hai qualcosa e mentre la melodia arriva
ti arrivano anche delle parole...
MARCO: Comunque il gruppo e` abbastanza democratico le decisioni si
prendono sempre coralmente.
Abbandoniamo per un attimo i JEDEN ABEND per passare ad analizzare
in breve le canzoni degli altri quattro gruppi. PUNTO G., che sarebbe Pippi
Leardi con ospiti, ha contribuito con tre brani: l'omonimo, 'Insolitamente
Lento' e 'Pezzi di Me'. punto g. guarda alla musica da un'angolazione inso-
lita per quel che riguarda il panorama della provincia. La programmazione
si interseca con la musica di strumenti piu` tradizionali facendo spirare
da Bristol una fresca brezza fin quaggiu`. 'Pezzi di me' tenta di fondere
due diverse concezioni del termine percussioni. I MACHINA VELENIA vicini
non solo per affinita` musicali ai JEDEN ABEND, usano due voci che creano
uno spazio a due dimensioni sul fondo in alta frequenza delle macchine,
che e` il termine con cui loro stessi definiscono la parte strumentale
sul libretto in contrapposizione ai veleni vocali. Anche loro eseguono
tre pezzi: l'omonimo, 'Cocci' e 'Greve'. I NERVITESI fanno un uso molto
interessante della voce del flauto e del contrabbasso; in particolare l'uso
della voce in 'Rose Nel Vento' ricorda lievemente (senza fare paragoni
che non servono a nessuno) quella di Demetrio Stratos. I NERVITESI fanno
scoprire una provincia lacerata tra due spinte contrapposte: quella verso
sud, verso il mediterraneo ('Un'Anima d'Argilla'), e quella trobadorica,
transalpina del cantastorie ('Dans Ma Maison' richiama alla memoria i Pigal-
le). Ultimo loro pezzo non ancora citato e` 'Il Re delle Unghie'. I SANE
INSANITY sono caratterizzati da un uso massiccio delle chitarre spesso
in assolo. Un suono in bilico tra ritmi <<pesanti>> e psichedelici. Anche
per loro tre brani: 'Innoffensive', 'Scandle Light', 'I Must Eat Somebody
Today'. Chiude il CD '(H) ombre' un pezzo solo musicale di Frank Priola
percussionista dei NERVITESI, che si firma con lo pseudonimo FRANK TRANK,
un experimento che e' molto vicina alle coordinate dei PUNTO G.
Mi piace concludere con una dichiarazione di intenti da parte di Marco
batterista dei JEDEN ABEND.
MARCO: Finora quel che c'e' mancato e' stata la continuita`. Adesso
pero`...
Sono sicuro che non mancheranno loro le opportunita` per rendere questa
provincia un po' meno <<ingrata>>, intanto ci lasciamo con un appuntamen-
to-promessa di presentazione del CD, simile a quella tenutasi al Nuvolari,
verso fine novembre al Capolinea di Entracque.
Per contatti con i JEDEN ABEND: Massimiliano Rosso, via San Giovanni
Bosco, 84 - 12045 Fossano. Tel. 0172/635144.
Per contatti con TERRA CHE MUOVE - CANTINE DI NORD OVEST ph.
0330/204526 - 0360/441706 - 0171/692028: Leardi, Corso Nizza, 20 - 12100
Cuneo.
Marziobarbolo
JOHN PATTON
imprevedibile organo jazz
Chiunque abbia avuto contatto col mondo della musica sa, in tutta
semplicita`, quanto ogni genere sia legato a un gruppo di strumenti caratte-
ristici e quanto inusuale sia in confronto la scelta di modificare, magari
rimescolando le carte, questo dato. Vi furono strumenti a corda come
la cetra per accompagnare la recitazione dei poemi omerici e non altro,
l'aggraziata arpa, cara ai Minnesanger germanici, indissolubilmente legata
alle loro sofferte canzoni d'amore. E vi fu il violoncello, un simbolo
certo della musica romantica, dei segreti di malinconia e ancora oggi fedele
suscitatore di sentimenti riposti. Non basta, anche piu` recentemente la
chitarra e il basso sono divenuti emblemi del 'rock', come del resto la
batteria, ribadendo la rinnovata stabilita` del meccanismo.
Le ragioni di questo sodalizio sono molteplici. In prima linea, e
a fondamento, sta un bisogno di espressione vincolato ad un certo tipo
di sonorita`. E pare che per ottenere questo risultato, ogni <<musica>>
abbia elaborato una sua prospettiva; le prospettive dunque variano e si
moltiplicano ma tutte, in quanto nate da una scelta di melodia, ritmo e
armonia mettono in avviso l'ascoltatore sul loro genere di appartenenza.
Ovviamente, sia detto per inciso, e` significativo che un'ampia gamma di
strumenti resti pur sempre comune a piu` generi, primo fra tutti il piano-
forte. Non lo stesso purtroppo e` accaduto, nel campo del Jazz, con l'orga-
no, rimasto incautamente patrimonio indiviso della musica classica.
Strumento discusso e causa di controversie, l'organo entro` nella
musica jazz con Fats Waller che nel lontano millenovecentoventisei vide
in esso buone possibilita` per interpretazioni blues. Lo seguirono, anche
se senza troppa 'verve' Count Basie impegnato sporadicamente sia all'organo
a canne che a quello elettrico e con maggiore civetteria, confidenza e
volutta` Wild Bill Davis, oramai gia` nella seconda meta` degli anni quaran-
ta. Questa apparente incompatibilita` apri` tuttavia le porte a Jimmy Smith
che dieci anni dopo ottenne grande e duratura popolarita`. Nonostante cio`
e nonostante le sue virtu`, l'organo non e` comunque mai entrato ufficial-
mente fra gli strumenti tipicamente jazz. Forse un anatema, rafforzato
dal giudizio di alcuni critici che paragonarono il suo suono impegnato
nella ritmica jazz allo stonare di un gessetto sulla lavagna, lo escluse
dalla prospettiva musicale dei maggiori jazz-men. O forse perche' non otten-
ne l'appropriata attenzione, rimanendo eluso o rivisitato superficialmente.
Ad ogni modo mi e` sembrato doveroso, indicare l'opera di revisione
intrapresa dalla critica posta di fronte ai decisivi risultati ottenuti
da JOHN PATTON. Gia` autore di Boogaloo e Understanding (Blue Note), JOHN
PATTON pubblica or ora Minor Swing, opera impegnativa realizzata in collabo-
razione con John Zorn al sax alto. L'organo suonato da Patton e` inserito
all'interno di un quartetto che oltre a Zorn si compone di Ed Cheery alla
chitarra e Kenny Wollesen alla batteria. E` evidente che l'organo sembri
qui sostituire un probabile pianoforte, ma senza veramente volerlo; piutto-
sto spinge avanti un'intenzione di innovare, di uscire dalla strada facile
e prevedibile obbligando il compositore all'imprevedibile. E Patton, quale
compositore, e` attento a cogliere ogni novita` entro la tensione espressiva
creata dal suo strumento. E` dunque difficile sottrarsi all'inganno dello
stile. Pero`, conoscendo la distanza del suo vocabolario da improbabili
cliche', lo stile dimesso sospinge in ogni caso a formulare alcuni sommari
giudizi sul modo di comporre. Una prima attendibile ricerca si indirizza
all'estrema economia del suono, a tratti molto esplicita, che per naturalez-
za e ingannevole spirito solo secondariamente lascia riflettere sulla strut-
tura coerente, lirica e melodica dei brani. Infinitamente piu` ricca di
ogni tentativo accaduto dopo Jimmy Smith. Egli da` avvio, e` ovvio, cercan-
dolo di proposito, a un dialogo fra cuore e mente, con caparbieta`, per
fare della propria coscienza il punto di fuga di una memoria antica blues.
I brani eccellentemente variati come tempo e stile, ma sarebbe il caso
di dire umore (mood), esprimono di un progressivo appropriarsi dell'espe-
rienza del blues e della sua ritmica. Della quale ritroviamo un chiaro
monito nel titolo Minor Swing, anch'esso impostato sull'intensita` dello
swing determinata dal livello dinamico e dal modo di sentire il tempo,
ossia ancora una volta il mood. Sono pensieri, questi, che vengono in mente
ascoltando il terzo brano, dal quale e` ricavato il titolo, e in esso,
il tempo compreso fra il quinto minuto quando a suonare sono il batterista
e l'organo di Patton sino quasi all'ottavo minuto quando entra il sax di
Zorn. Qui, nel componimento centrale, si modula stupendamente lo swing
ponendo l'organo in primo piano come al terzo minuto si era verificato
per la chitarra. E va da se', che alla superficialita` generata dall'inganno
di uno stile dimesso non si possa credere, Patton si nasconde, e` dunque
credibile esattamente il contrario: che cioe', il suo stile autoridotto
sia fontana di moltiplicata creativita` e ricchezza, anche se sempre piu`
si irraggi a coincidere, secondo una intimistica tensione espressiva, con
un'essenzialita` riconducibile all'unita` minimale. L'<<oggetto>> che la
musica mira a evocare, di cui le improvvisazioni sono una sottile illustra-
zione, nasce dalla combinazione dei suoni piu` brevi in modo da far contare
ogni singola nota anche nei tempi piu` veloci (8/8). Patton ha dato in
questo album risposte non convenzionali a questioni spesso eluse, che sono
quanto di piu` vicino esista al senso della novita` e probabilmente all'an-
sia di immaginare il futuro, gia` svolte e sognate da altri seri compositori
e interpreti quali Robert Fripp; il cui pensiero e` affidato a queste paro-
le: <<The future is in place, and waiting, but we have yet to discover
it. Our present position is the bridge between. This position is Hazardous
because we are building the bridge while crossing it>> ('The Bridge
Between'). Una partita che Patton ha saputo aprire, a dispetto delle costri-
zioni, proprio con l'organo e a partire dal discorso interrotto negli anni
sessanta. Ebbene, si pensa a questo punto a un lavoro dai parametri evasivi
e contrastanti, forse troppo ingenui nella fretta innovativa, ma in nessun
luogo come in questo, del tentativo, e` possibile veder crescere una selva
di archetipi: l'uso dei 4/4 ritmicamente ingenuo a fianco di altri metri
in 'B Mel Thel'; un allegro valzer in 'Tyrone' (composto da Larry Young);
un orecchiabile boogaloo squadernato in 'The Rock'; reminiscenze di brani
di Miles Davis secondo la lezione del periodo modale in 'Minor Swing' e 'Li-
te Hit'. Cio` non solo educando all'infinito l'organo ai modi del jazz,
esemplare e` la coesione espressiva con il sax alto di J. Zorn dalle colori-
ture post-bop (Phil Woods, Cannonball Adderley) e influenzato da maestri
quali Eric Dolphy e Ornette Coleman. Esemplare pure il dialogo perfettamente
incuneato nella dinamica del quartetto, con la chitarra di Ed Cherry. La
scelta di uno strumento non canonico, e in questo caso l'organo, acquista
quindi anche la funzione di rivelatore o addirittura di evocatore della
personalita` di un autore, che egli lo voglia, lo sappia, o no.
Decus