Marzo-Aprile 1995

     Sara`  la  volta buona? Direi proprio di si` arrivati a  questo  punto.
Babeliche e` alle porte:  ci  si  potra`  finalmente conoscere, guardarsi in
faccia: chi fa il giornale, i fedelissimi (gli abbonati: i primi  esplorato-
ri) che continuano ad aumentare e che ringraziamo e quanti vorranno seguirci
per questo ulteriore sentiero.
Vorrei  sottolineare, senza sviolinature, che INTERFERENZE  blu  rappresenta
sia per chi la fa e per  chi la segue un'esperienza coraggiosa ed impegnati-
va: il panorama e` vasto, le rubriche aumentano, l'analisi si estende (anti-
cipazione ci saranno persino Tom & Jerry).
I nuovi collaboratori  a  cui  diamo  il  benvenuto hanno inviato contributi
molto  interessanti,  li  scoprirete leggendo: si sente  un  nuovo  profumo.
Dove stiamo andando, che cosa stiamo  facendo?  E chi lo sa, se lo sapessimo
perderemmo ogni gusto nel farlo.
Aspettiamo  dunque  nuvi contributi che riceveremo  sempre  con  entusiasmo,
lo spazio e` limitato, ci saranno da fare delle scelte, nessuno si scoraggi.
Rinnovo  l'invito per le serate di Marzo e spargete la voce (anche  per  gli
abbonamenti).

                                                                      Johnny




                          RECENSIONI - 360 gradi



                                  MINXUS
                                 "Pabulum"
                              (Too Pure 1995)

     Era aspettato questo primo LP  dei  Minxus,  ed eccolo denso di canzoni
che  si inseguono, dandoti appena il tempo di tirare il fiato tra  un  pezzo
e l'altro. Ve li voglio  presentare  prima  di  passare a parlare della loro
musica:  Joe  Whitney alla batteria, She Rocola voce e basso,  Gavin  Pearce
voce e chitarra. Un  trio .  . . e  chissa`  che  non  porti fortuna visto i
precedenti!  Gli elementi per collocarli esattamente al centro dello  schema
musicale indipendente  anglosassone  d'oggi  giorno  ci  sono  tutti; eppure
no!  Niente  da  fare, i Minxus riescono ad introdurre in  ogni  loro  pezzo
una serie di variazioni di tempo  e  di  ritmo che lo rendono godibile dalla
prima nota all'ultima, senza mai poter dare qualcosa per scontato. La  prima
canzone a  giudicare  dal  titolo ('Minxus')  e`  una  presentazione: niente
male come biglietto da visita! Ci fanno capire fin dall'inizio quanto  siano
bravi nel tirare fuori i  suoni  che  vogliono  dai loro strumenti. E questa
una  delle  cose che mi hanno colpito di piu` di questo gruppo.  Per  quanto
riguarda la voce questa canzone  e`  du-duata  da She. Non c'e` praticamente
stacco  ed  ecco  Silkpurse dove incontriamo la voce di She  che  in  questo
pezzo ricorda leggermente quella  di  Siouxie.  Il  lavoro del batterista e`
davvero eccezionale! 'I know you want to stop' e` cantata da Gavin, i batti-
ti staccati della batteria sono  cuciti  assieme  dal  basso di She, la voce
segue la batteria e la chitarra ricama. Ecco 'Pabulum' la canzone dal titolo
latino che da nome  all'LP  in  cui  si  apprezzano  la voce e i virtuosismi
di  She  (eredita` dell'attuale scena musicale inglese?) e  la  peculiarita`
della musica dei  MINXUS  a  cui  prima  ho accennato. 'The falcon contract'
e`  un  pezzo solo strumentale che dimostra come da  un  motivetto  centrale
i MINXUS riescano a sviluppare un'intero  pezzo grazie al loro estro musica-
le. 'Vultura'  e`  una canzone che alterna un andamento  lieve  e  rilassato
ad uno piu`  incalzante,  nervoso;  la  voce  di  She, quando l'andamento e`
lieve,  e`  piu`  cantilenante, piu` gutturale quando  l'andamento  e`  piu`
nervoso. 'Wonderful pair' e` dedicata al seno  di She, il refrain e` davvero
accattivante,  mi  ritrovo  a cantarlo nei  momenti  piu`  inaspettati. 'Get
apre' il secondo lato in modo davvero superbo, la voce di She dona elastici-
ta`  al pezzo, poi c'e` un acuto di chitarra che dura un attimo ma ti  passa
da parte a parte. 'I live on sand'  e`  cantata da Gavin, sembra che la voce
esca  da  un  altoparlante. 'Monkey Theme' e` solo  strumentale,  un  saggio
di bravura dei MINXUS che non sfigurano  a confronto di bands ben piu` navi-
gate.  In 'Liberty  bodice(a)' She sfodera una voce davvero potente  che  fa
vibrare i timpani, ma sempre  controllata,  non  si ha mai la sensazione che
stia strillando. 'Fecund girls' mi sembra che il tiolo dica  tutto. 'Sunshi-
ne' e` la  terza  canzone  cantata  da  Gavin,  potrebbe tranquillamente far
parte  del  repertorio di un gruppo che si e` sciolto quando  poteva  ancora
darci molto, vi do una mano,  anche  nel  loro nome c'era una x. 'X Y Zoom':
un  altro pezzo strumentale dedicato a chi ama la velocita`,  un  bocconcino
prelibato per  gli  amanti  delle  cose  un  pochino piu` <<pesanti>>. 'Ever
since forever' ha questo suono classicheggiante di chitarra che da un  tocco
di latino e crea  un'atmosfera  grave  che  scende subito giu` nel profondo.
I MINXUS ci consegnano un concentrato di buona musica, suonata  ottimamente,
che senza allontanarsi troppo dagli  stilemi della musica da cui chiaramente
traggono  ispirazione  riesce  a trovare in essa  una  nicchia  inesplorata.
Un disco che si ascolta e  si  riascolta; proprio cosi`, questa e` la musica
che vorrei ascoltare dal mattino alla sera, dalla sera al mattino!

                                                               Marziobarbolo



                                 ANGLAGARD
                                 "Epilog"
                              (Hybris, 1994)

     Tropo  facile,  oltre che scontato, parlare in termini  lusinghieri  di
questi ragazzi. Facile, ma doveroso.  Autori  due  anni  or sono di un album
d'esordio a dir poco trascinante, in grado di calamitare l'attenzione  anche
delle orecchie meno  avvezze  a  certe  sonorita` (ciao Jaco!), erano attesi
con  impazienza  dalla critica e dai fans alla prova della conferma.  Ma  se
Hybris, nella sua complessita`, era pur sempre un disco relativamente acces-
sibile,  in  quanto lasciava emergere fra le pieghe di un  solido  substrato
progressivo  qualche  sano  spunto  rock (nell'accezione  piu`  tradizionale
del  termine),  in  questo caso il discorso e` diverso. Gia`  il  fatto  che
questo EPILOG sia interamente  strumentale  la  dice lunga: larghi spazi la-
sciati all'improvvisazione (seppur studiata a tavolino) in un ambito decisa-
mente sperimentale; tastiere onnipresenti,  con il mellotron Grande Fratello
della  situazione;  e la ricerca di un'armonia  anomala,  affascinante,  mai
banale. Sembra di vivere un  sogno.  In  una foresta brulla, non verde isola
felice  popolata di animali liberi e folletti gioiosi (come tradizione  vuo-
le), ma dove un silenzio surreale  si  erge a Signore dei Larici, una quiete
che non conosce tempo ne' dimensione e dietro la quale si nasconde, paziente
ed inesorabile, l'ombra della Fine.
     Raramente mi e`  capitato  di  notare  una  cosi`  geniale simbiosi tra
discorso musicale ed immagini di copertina; ma non voglio dilungarmi  oltre,
e lascio giudicare a chi legge ed ascolta . . .

     Dell'Epilogo

     Dietro ogni gesto c'e` un essere vero nel bere del vino come nello
                                                        spegnere un cero
     e quando pensi a cio` che e` gia` stato ti accorgi che, ormai, e`
                                                      tutto dimenticato.
     Soltanto un'ombra rimane, in eterno come la bianca coltre che tutto
                                                       copre in inverno;
     e una foglia secca che il vento porta via cosi` fa il silenzio con
                                                               l'agonia.

                                                                          io



               ALBERTO MARSICO BRUNO MARINI MAURIZIO BORGIA
                              "Hammond Blood"

     Ci troviamo di fronte  ad  un  bel  lavoro,  opera di tre musicisti non
noti  al grande pubblico benche' siano di ottima caratura (ennesima  riprova
del fatto  che  il  binomio  bravura-notorieta`  e`  labile ed evanescente).
La  formazione  e` insolita: Alberto Marsico (organo hammond),  Bruno  Mari-
ni (sax baritono  e  flauto),  Maurizio  Borgia (batteria),  come e` insoli-
ta (almeno  per  un  assiduo ascoltatore di blues  tradizionale  quale  sono
io) la loro musica. Ho cercato, per  almeno un paio di settimane, di trovare
una  definizione  e  la piu` azzeccata mi sembra  COOL  BLUES.  Innumerevoli
le emozioni e gli stati  d'animo che ti attraversano all'ascolto, curiosita`
e meraviglia per l'interssante rilettura di 'Cocaine' di J. J. Cale,  diver-
timento per 'Cats & Rockers', godimento  ed  estasi  per 'Mell of Hess', per
citare solo alcune delle 11 tracce del disco.
     Su  tutto troneggia, sereno e maestoso l'organo Hammond  e  soprattutto
il suo suono rauco, incisivo, pieno, tagliente e "vissuto" come corde vocali
rinvigorite  da  whiskey & Gauloise di Waitsiana memoria. Non ci  sono  piu`
aggettivi per descrivere  l'affascinante  suono  di  questo strumento che ha
fatto  la  storia  del blues, soul, gospel, ecc.. Chi di noi  non  ha  nelle
orecchie l'arrembante attacco  di  Green  Onions  di  Booker T, portato alla
ribalta dal cult movie The Blues Brothers con l'inimitabile ed indimenticato
John Beluschi. Doverosa menzione meritano i tre musicisti:
     ALBERTO MARSICO: valoroso hammondista  torinese, figlio d'arte, musici-
sta dotato e molto interessante, che ho visto con grande piacere innumerevo-
li volte nelle calde  Blues  Night  all'ombra  della  Mole, ora come organi-
sta (nel  gruppo The King Bees col prode armonicista Sla Bonasoro) ora  come
bassista accompagnatore  di  bluesmen  nostrani.  Ascolto  live consigliato.
MAURIZIO BORGIA: impeccabile alla batteria.
     BRUNO  MARINI:  virtuoso  sia con quel meraviglioso  strumento  che  e`
il sax baritono sia col flauto.
     Ragazzi, datevi da fare per trovare questo disco.
     Frase di rito: in vendita  nei  migliori  negozi  di dischi e anche nei
peggiori (viva la Par Condicio).
     Chi   non  riuscisse  a  trovarlo  puo`  rivolgersi   alla   redazione:
0173/362041-281917

                                                               T-Bone Malone



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|                                 OPHELIA                                  |
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|                   Where the willow trails its widow's                    |
|                             weeds in water                               |
|                       there doth she lie thy wan,                        |
|                           benighted daughter                             |
|                            no one must weep                              |
|                            no one must weep.                             |
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|                     Gold is her bed and hard is her                      |
|                                 pillow                                   |
|                   garlands for her hair entwined with                    |
|                            braids of willow                              |
|                            no one must weep                              |
|                            no one must weep.                             |
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|                  Lily white her gown which billows in                    |
|                                the water                                 |
|                        and bears her downstream                          |
|                   till the dark glass closes o'er her                    |
|                            no one must weep                              |
|                           for she but sleeps.                            |
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|                          Testo di Paul Roland           d                |
|                          LP "Sarabande" (1994)      i                    |
|                                                 b                        |
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|                t                OPHELIA                                  |
|            i                                                             |
|        s            Dove il salice trascina le sue                       |
|                      gramaglie vedovili nell'acqua                       |
|                    laggiu` giace lei, la tua pallida                     |
|                     figliola sorpresa dalle tenebre                      |
|                          nessuno deve piangere                           |
|                         nessuno deve piangere.                           |
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|                 Gelido e` il suo letto e duro e` il suo                  |
|                                 cuscino                                  |
|                  ghirlande fra i capelli annodate con                    |
|                            trecce di salice                              |
|                          nessuno deve piangere                           |
|                         nessuno deve piangere.                           |
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|                   Il suo vestito e` un bianco giglio                     |
|                        che fa ondeggiare l'acqua                         |
|                          e la conduce a valle                            |
|               dove il vetro scuro si chiude attorno a lei                |
|                          nesuno deve piangere                            |
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                             IMPALED NAZARENE
                          "Suomi Finland Perkele"
                              CD-Osmose-1994

     <<Do Oa Ip Satanas Lucifero Satanas>>
     Un  organo  tesse  furtivamente la sua trama. Una  chitarra  lo  segue.
Note che si susseguono. Elettriche,  rumorose: delineano una melodia malefi-
ca. Cavernosa si insinua una voce, anzi un grugnito, che proclama, in diver-
si idiomi, la presenza  del  Maligno. <<This  is the final burning>>. Questa
e` la sentenza definitiva: tutti saremo 666.
     Cosi` si dipana 'The Quasb', l'unico ma meraviglioso episodio  effetti-
vamente <<black>> del terzo album ad  opera dei finlandesi IMPALED NAZARENE.
Un gruppo capace di sprigionare anche in studio una ferocia inaudita. Carat-
teristico e` l'incedere furibondo  della batteria-tritacarne che si accompa-
gna, in un gioco di alternanze di velocita`, ad un flusso continuo di  riffs
abrasivi. Grind in piena regola.  Non  a caso possiamo rilevare (come accade
nel  quasi tributo di Let's Fucking Die) che questo stile e` ancora il  modo
piu` efficace per  estremizzare  il  retaggio  del miglior hardcore inglese,
ormai piu` che decennale. Poi, come screziature terribilmente cupe, affiora-
no i morbosi  messaggi  inviati  dal  cantante-sacerdote nero Mika Luttinen:
la sua voce gutturale, sostenuta da un tono fortemente imperativo si confon-
de in questo assordante magma strumentale, insieme a non infrequenti squarci
epici, come accade in 'Vitutksen Multihuipennus'.
     Per uno scherzo del diavolo, 'The Oath of the Goat' e 'Blood is Thicker
than Water' diventano improbabili  rock-song  da  funerale, in certi stacchi
perfino stralunati ed irridenti (soprattutto nei confronti di alcune pompose
figure del <<nuovo>>  black-metal).  Ma  e`  soltanto  l'allucinazione di un
attimo. Infatti ritorna, piu` bella che mai, la marziale, infida devastazio-
ne di 'Total War-Winter War', praticamente  un  inno alla guerra, un incita-
mento che si mescola alla commemorazione dei soldati finlandesi valorosamen-
te caduti sul fronte  russo  dopo  il  1939.  All'unisono riecheggia il gri-
do <<Suomi Finland Perkele!>>. Un brivido corre lungo la schiena. Preparate-
vi. Un fragore bestiale vi annientera`.

                                                           Vincenzo Capitone



                                  SHELLAC
                             "At Action Park"
                         (LP/CD, Touch & Go, 1994)

     Duro. Scarno. Potente. Nervoso. Elettrico. Teso. Efficace.  Definitivo.
Punk. Noise. Blues. Tutto. Basso  tipo martello pneumatico. Batteria a tutta
forza. Voce nevrotica e chitarra fastidiosa. Bob Weston (gia` Volcano Suns).
Todd Trainer (gia` Rifle  Sport  e  Breaking  Circus  e  Flour e Brick Layer
Cake).  Steve Albini. Albini il despota. Albini il puro. Albini  il  cinico.
Albini  l'incorruttibile.  Produttore.  Nirvana.  Pixies.  P.J.Harvey. Jesus
Lizard.  Musicista. Big Black. Rapemen. Probabilmente uno degli  album  piu`
importanti dell'underground statunitense (e  mondiale) degli anni '90. Rumo-
roso. Scheletrico. Monumentale.
'My  Black  Ass'  chitarra torturata e sbattuta e ritmo  a  mille 'Pull  the
Cup'  oscuro  strumentale   evocativo 'The  Admiral'  boogie-blues-punk  del
2000 'Crow'  percussivo duro senza compromessi 'Song of the Minerals'  schi-
zo-funk apocalittico 'A Minute' ipnotico  tormentone di inarrestabile catti-
veria 'The  Idea  of  North' riflessivo intimista  paranoico 'Dog  and  Pony
Show' martello  atroce  e  crudo 'Boche's  Dick'  country-punk alla R.A.T.M.
Il 'Porno Star' colonna sonora per un cyber-porno-show del futuro. Registra-
to elettricamente nel marzo 1994. Da amare od odiare senza riserve.

Discografia essenziale:
BIG BLACK
<<Songs About Fucking>>-Touch & Go-1987
RAPEMEN
<<Two Nuns and a Pack Mule>>-Touch & Go-1989
RIFLE SPORT
<<Primo>>-Big Money-1991
BREAKING CIRCUS
<<Smokers'Paradise>>-Homestead-1987
BREAK LAYER CAKE
<<Tragedy Tragedy>>-1994
VOLCANO SUNS
<<Thing of Beauty>>-SST-1989

                                                                       AXIOM



                                  WEEZER
                                 "Omonimo"
                              (cd/mc Geffen)

     E` questo un  disco  uscito  gia`  da  qualche  mesetto, ma salito agli
onori delle cronache soltanto in questo ultimo periodo.
     La  band  e` californiana e ruota attorno alla figura di  Rivers  Cuomo
(voce e chitarra), il classico  slacker  americano un po' genialoide, autore
di  tutte  le tracce presenti in questo debutto.  L'attitudine  dei  WEEZER,
il loro modo di porsi verso la  musica, ricorda un poco quella dei compianti
Pixies:  giocare  con i suoni e le note; alzare al massimo il  volume  degli
amplificatori; ma  soprattutto  costruire  pop  song  perfette  e scanzonate
che ti entrano in testa dopo due ascolti e non escono piu`.
     Visti  i  presupposti e` quasi naturale che  i  principali  riferimenti
musicali vadano quindi ricercati  nella attuale scena "alternativa" america-
na:  e` praticamente impossibile non accorgersi che questi  quattro  ragazzi
sono cresciuti  a  pane  e  Dinosaur  jr,  Sonic  Youth,  Sebadoh, Guided by
Voices e Pavement.
     A  conferma  di quanto detto finora ci sono le dieci  canzoni  presenti
nel CD: tutte eccezionali,  tutte  da  godere.  A  cominciare da 'My Name Is
Jonas', una ballata rumorosa in crescendo che esplode in un ritmo  forsenna-
to,  per  proseguire  nella  piu` "tirata" 'Buddy  Holly' (quasi  surf!), la
punkeggiante  'Surf Wax America' o il loro bizzarro hit 'Undone-the  Swaeter
Song'. I Weezer ci parlano dei loro miti, dei loro sogni, delle loro sfighe,
e  della  loro vita quotidiana, infarcendo il tutto con un po'  di  nonsense
per farci capire che  in  fondo  non  si  pigliano troppo sul serio ('In the
Garage').  Ci  conducono  in questo divertentissimo viaggio  fatto  di  puro
pop-rock esplosivo lasciandoci  con  la  conclusiva 'Only  In Dreams', dolce
e violenta: una lunga poesia sonica.
     Non  c'e` altro da aggiungere, se non che questo e` uno di  quei  pochi
dischi ideali che non  ci  si  stanchera`  mai  di ascoltare, perlomeno fino
alla loro prossima prova che gia` spasmodicamente attendiamo.

                                                            Michele Apicella



                                  AA.VV.
                            "Taking Liberties"
                            (2CD, Totem, 1994)

                          TRANSGLOBAL UNDERGROUND
                           "International Times"
                             (CD,Nation, 1994)

     Ecco due uscite discografiche  che  dimostrano  come la scena dance non
produca solo ottusi <<martelloni>> da stragi del sabato sera. La compilation
"Taking Liberties" vede  riuniti  quasi  tutti  i  migliori nomi del settore
in Gran Bretagna (il che, vista l'assoluta posizione dominante che la <<per-
fida Albione>> detiene in questo genere,  equivale  a dire il meglio al mon-
do).E  questo per un nobile fine: la lotta contro il Criminal  Justice  Act,
progetto di legge che con la  scusa  della  lotta al terrorismo e alla droga
viola  i diritti civili, giungendo persino a giudicare sovversivo  l'ascolto
collettivo di <<musica con ritmo ripetitivo>>. Purtoppo questo provvedimento
liberticida  e` stato poi approvato dal Parlamento britannico, ma sul  piano
musicale l'iniziativa ha  fatto  centro,  fornendo un'ampia panoramica sulle
attuali  tendenze  della musica da ballo in U.K.. Infatti  i  sedici  gruppi
presenti mostrano chiare differenze  di stile, che vanno dall'ambient-trance
dei LOOP GURU alla tecno anfetaminica degli ORBITAL, fino alle contaminazio-
ni industrial dei  TEST  DEPT  e  al  rap  con  basi  di  musica indiana dei
FUN-DA-MENTAL.  Comuni  ad alcuni dei brani sono pero` le  suggestioni  dub:
a questa musica di derivazione reggae  debbono  molto i brani di ZION TRAIN,
dei  gia`  citati  TEST  DEPT, di GALLIANO (qui presente  non  in  veste  di
rqppresentante dell'acid jazz  ma  con  una  versione <<junglist dub>> di un
brano  del  suo ultimo album), oltre a quelli di DREADZONE e  TRIBAL  DRIFT,
a mio parere le autentiche  rivelazioni  della raccolta. Uno dei compilatori
di  Taking  Liberties e` Ronnie Flood (si`, proprio il produttore  di  U2  e
Depeche Mode). Va inoltre detto  che  nella compilation compaiono anche echi
di  jungle,  il  nuovo ritmo che furoreggia oltre Manica,  basato  su  linee
di basso appunto  dub/reggae,  contrappuntate  da  una  batteria a velocita`
infernale,  oltre  le  150 battute al minuto. tutto cio`  sta  a  dimostrare
la grande  influenza  che  ha  attualmente  la  cultura reggae nell'ambiente
musicale  inglese (e non solo: basti pensare che persino nell'ultimo  Public
Enemy vi sono citazioni  da <<No  Woman  No  Cry>> in stile raggamuffin). Il
caleidoscopio  musicale  appena  visto si arricchisce  ulteriormente  con  i
TRANSGLOBAL UNDERGROUND, gia` presenti con  un brano nella succitata raccol-
ta,  che contemporaneamente escono con il loro secondo album. Tutto in  loro
parla dell'ambizione di fondere  quanti  piu`  ritmi  e suoni possibile: dal
nome ai titoli dei dischi (il primo era Dream of 100 Nations), e soprattutto
la musica. Nei 71 minuti di "International Times" vi sono infatti suggestio-
ni  provenienti da tutti i continenti, eccettuata forse l'Oceania:  da  basi
perlopiu` hip  hop-dance  si  dipartono  temi  arabeggianti ('Lookee Here'),
indiani ('Dustbowl') e cinesi (l'intro di 'Holy Roman Empire'), in un'ideale
fusione tra  ritmi  dell'Occidente  europeo  e  afroamericano  e melodie del
Medio  ed  Estremo Oriente. Il cantato varia dal rap (tra gli ospiti  vi  e`
Heitham Al Sayed dei Senser)  ai  sensuali  arpeggi vocali di Natacha Atlas,
che  sottolinea  quelli  che a mio parere sono i  pezzi  piu`  affascinanti,
cioe' 'Lookee Here', 'Taal Zaman' e 'Monter  au  Ciel';  ottime anche la ti-
tle-track e l'etno-dub di Dopi. In un'opera di tale spessore non si  possono
evitare talune cadute di tono: qui in particolare in un paio di pezzi ('Pir-
hana One Chord Boots') e le varie influenze etniche non riescono a  fondersi
ma rimangono semplicemente accostate e giustapposte. Ciononostante il livel-
lo medio dell'album e` altissimo, a dispetto delle stroncature di una  parte
autorevole della critica:  siamo  di  fronte  a  vera  world music nel senso
di musica senza frontiere.

                                                                 Corvo Rosso



                           IL TRONO DEI RICORDI
                          "Il trono dei ricordi"
                  (The Labyrinth/The laser's edge, 1994)

- Lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli sul campo di battaglia si confonde
col fragore delle armi dei cavalieri,  mentre  il suono di un corno araldico
annuncia  che  la contesa ha avuto inizio. Chissa`,  una  tale  riproduzione
sonora - con qualche  doveroso  effetto  speciale -  avrebbe reso ancor piu`
l'idea  di  quelle  che sono le fonti d'ispirazione  di  questo  dotatissimo
ensemble fiorentino, che  a  Batistuta  e  soci  antepone decisamente Artu`,
Lancillotto & compagnia cavalcante. Temi gia` ampiamente sviluppati nell'am-
bito del progressive fin dai  primi  anni '70,  ai  quali ha cercato di dare
un'impronta  meno  aulica  e piu`  letteraria  l'ultimo  arrivato (in  senso
temporale), il cantante  Alberto  Mugnaini;  le  sue  opere liriche prendono
spunto  dalle opere del poeta visionario inglese William Blake,  gia <<zio>>
putativo di un certo Jim  Morrison.  Tuttavia,  il  pezzo forte del disco e`
rappresentato dalle tastiere di Alessandro Lamuraglia, suonate con  indubbia
maestria, notevole  gusto  e  soprattutto  mai  invadenti,  come risultavano
talvolta  nei demo tapes (strumentali) editi in precedenza.  La  lunghissima
gestazione che ha preceduto l'uscita  di  questo  CD pare aver limato questo
ed altri piccoli difetti di fondo, anche se talune parti perlopiu`  strumen-
tali peccano tuttora di profondita`;  cio` non inficia comunque la validita`
complessiva  del  prodotto,  che raggiunge il suo  apice  nelle  lunghe 'The
king of memories' e 'Visions of the daughter of Albion'. Da avere.

                                                                          io




                      Punto fugato - SARANNO FAMOSI?

     Ho conosciuto  un  pittore.  Estroso,  simpatico.  Poche, scarne parole
e  mi racconta la sua vita. Poi afferma, con un sospiro carico di  amarezza,
di sentirsi piu` copista  che  artista.  Mi  porge  le  foto delle sue tele.
Le  <<nature  morte>> di Caravaggio hanno perso tutta la loro  luce  divina.
La Venezia del  Canaletto  sembra  un  qualunque  tranquillo porticciolo. Le
Tahitiane  di  Gauguin sono diventate contadine delle  campagne  fiamminghe.
Certi musicisti moderni  sono  un  po'  come  questo  pittore. Sconosciuti o
ignorati.  Ma,  finche`  la genialita` nel comporre e  ricomporre  suoni  li
assistera`, continueranno ad  usare  il  loro  pennello  o  strumento. E' il
caso dei LAUNDRY, nuovo gruppo della scena di S.Francisco (U.S.A.),  fondato
dal batterista dei seminali Primus  e  dal  cantante dei Counting Crows, che
esordiscono con Blacktongue.
     Si tratta sostanzialmente di un funky-rock molto malleabile, che spazia
a tutto campo tra diversi  generi.  Naturalmente la quantita` di idee assem-
blate, oltre alla qualita`, e` enorme e farebbe pensare ad una Primus-dipen-
denza. Non e` sempre cosi`: basta notare l'effetto <<vuoto>> creato dall'in-
serimento di uno <<stick>> a dieci corde. Basta ascoltare i giri di chitarra
in 'Skin' e nella  title-track (ricalcano  perfettamante  i Rage Against the
Machine  piu` insipirati) per comprendere come un disco minore, un  progetto
collaterale, sia in realta`  la  quinta  lezione  targata Prawn-song di puro
crossover  americano (remeber  Sausage, ecc.). La lezione  e`  servita  agli
inglesi. Almeno in un caso. Mi riferisco ai DUBWAR autori di due trascinanti
singoli (Gorrit  e Mental). Il sound? Un ragga-metal di  classe,  corrosivo,
supportato (diciamolo: forse  non  sempre  in  modo  incisivo)  da basi dub!
L'idea  non  e`  nuovissima (vedi i Basement Five)  ma  il  risultato  suona
interessante. Forse sono i prodromi  di  un genere nascente? Andiamo avanti.
Arrivano  da Phoenix (Arizona), con ardore. Si chiamano BEATS THE  HELL  OUT
OF ME. nel  loro  ultimo,  omonimo  album  hanno  scritto stupende, musicali
pagine  di  hardcore  post-rollinsiano. Per intenderci:  un  suono  pesante,
rognoso, talvolta <<discorsivo>> (ricordo  Act  like  a  man)  e  che si bea
rubacchiando  furbescamente  dal  passato. Infatti  qualche  passaggio  mol-
to <<fun>> potrebbe far venire in  mente  la  vena esilarante e violenta dei
Murphy's  Law  di  dieci anni fa. E non e` tutto. Nell'Intro  e  nei  dodici
minuti di 'Godbox'  giganteggia  la  chitarra  che  va  liquefacendosi in un
mare di rumore continuo e profondamente dissonante. O, se preferite, psiche-
delia di nuova foggia. Insomma: le  strade intraprese da questi gruppi cosi-
detti  minori dimostrano un solo, fondamentale macro-evento. Che  il <<nuovo
rock>> e` capillarmente permeato dalle contaminazioni.

                                                           Vincenzo Capitone




                             COL PASSO FELPATO

     E` il clima, quello che ci frega!
     Non  che  uno  sputi nel piatto dove mangia, ma  sicuramente  sei  mesi
di stagione invernale  all'anno  non  contribuiscono  a  tirare su il morale
a noi comuni mortali residenti nel nord Italia.
     Ci  consoliamo,  pero`, pensando che in fondo  siamo  i <<meridionali>>
di altre popolazioni  piu`  ibernate.  Carnevali  freddi,  cuori caldi, visi
birichini, cognomi italiani e nomi felini.
     Si  tratta  di GATTO PANCERI, giovane emiliano rampante.  Ci  sono  due
lavori in circolazione, a mio parere  interessanti. Il primo CD e` l'omonimo
Gatto  Panceri. Contiene undici brani spumeggianti,  rifiniti  gradevolmente
e con testi in  italiano  che  remano  controcorrente.  Nove di questi pezzi
sono  datati '91,  due sono stati registrati, poi, nel '92.  Capriccioso  ed
esigente, cambia  formazione  per  ogni  singola  incisione.  Gia` dal primo
pezzo 'Cavoli  amari'  e` possibile ascoltare  dei  musicisti  interessanti.
Vi e` una chitarra  solista  nervosa  e  micrometrica, abilmente gestita dal
fantasioso Andrea Braido, accompagnata da una rispettabile batteria  suonata
da Jean Paul Ceccarelli. I  cori  esplosivi  e  ben modulati da giovani voci
calde  e rotonde, sono tutti a cura dello stesso Gatto Panceri. E  un  disco
che accontenta, comuque, vari  generi  d'ascolto:  si trova il rock classico
anni '90.  il rhythm'n'blues, il funky striato di soul, il  melodico.  Anche
chi predilige i lenti, trovera` delle  cosine  mica male. Braido fa la parte
del  leone  con i suoi assoli di chitarra e Lele Melotti suona  la  batteria
in modo scoppiettante e  definito,  nei  pezzi dove non c'e` J.P.Ceccarelli.
Succede a chi crede e` il titolo del secondo album di questo artista, datato
1993. Sempre giovani ma  qualificati  i  nomi  dei musicisti. Segnalo: Paolo
Jones  al  basso, Naco alle percussioni, l'immancabile Andrea  Braido  sugli
assoli di chitarra coadiuvato  dal  bravo  Lucio  Bardi e dallo stesso Gatto
Panceri. Lele melotti e` alla batteria su undici dei dodici pezzi di  questo
secondo album. Un brano  viene  suonato  pero`  da Michael Barry, batterista
emergente che si spera di sentire prossimamente con altri lavori.
     Sicuramente  in  questo CD e` un gatto che fa piu`  le  fusa,  rispetto
all'album precedente; sia pure  drizzando  il  pelo qualche volta, non arcua
la  schiena  e  non graffia. Attenti pero`  a  non  carezzarlo  contropelo .
. . Credo che si sentira`  ancora parlare di questo giovane polistrumentista
dallo sguardo <<furbetto>>.
- Ci  sono  tutti i presupposti per delle rosee previsioni, e di  strada  ne
ha gia` fatta da quel Sanremo '92, che  lo ha visto presentarsi con un brano
dal titolo 'L'amore va oltre'.
     Ma tu guarda queste bestiole dal passo felpato . . .

                                                                Stormbringer




                             INTERFERENZE blu
                        rivista di cultura musicale

                   P.zza Garibaldi, 3 - 12051 Alba (CN)
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                           Direttore Editoriale:
                          gianni corino (Johnny)

                              Capi Redattori:
                            gianni borello (io)
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                    beppe marchisio (Vincenzo Capitone)

                                Redattori:
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                  associazione culturale Cascina Macondo
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                            silvio pitta (Sly)
                        cristiano rota (Madmanmoon)

                                 Grafica:
                     elisa giaccardi (Emma Dulcamara)

                              Impaginazione:
                           sandro corino (Jaco)



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|                            BLUES CHANNEL '95                             |
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|   Io penso sempre a voi,  lupacchiotti  assetati di blues. Ecco per-     |
|   che'  annuncio,  con rantolio di armonica e ruggiti  di  chitarre,     |
|   che nel mese di marzo  si  terra` a Canale, presso ex-cinema Odeon     |
|   la  rassegna <<Blues  Channel '95>>  con  i  seguenti  sfavillanti     |
|                              appuntamenti:                               |
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|                           16 - 23 - 30 marzo                             |
|           Seminario <<Le strade del Blues>> con i Bluesjeans             |
|                                                                          |
|                                31 marzo                                  |
|           <<Down in Mississippi on the road & on the river>>             |
|                immagini e suoni da Memphis a New Orleans                 |
|                                                                          |
|                                1 aprile                                  |
|                             Dario Lombardo                               |
|                        Longs' Valley Blues Band                          |
|                               in concerto                                |
|                                                                          |
|                                2 aprile                                  |
|               Giancarlo Crea e Dario Lombardo Blues Band                 |
|                    (Chicago blues e blues acustico)                      |
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|   Tutti gli appuntamenti  avranno  inizio  alle  ore  21 ad ingresso     |
|   rigorosamente  libero.  Si raccomanda  un  comportamento  sguaiato     |
|   ed un abbigliamento inadeguato.  Sono  benvenuti i cuori spezzati.     |
|                           Accorrete, o folle!                            |
|                                                                          |
|                                                        T-Bone Malone     |
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                           THE BALANESCU QUARTET

Finalmente! E' da  tempo  che  non  si  sentivano  simili applausi tributati
ad  un complesso di musica sperimentale, in un luogo per  giunta  consacrato
ad un tipo di repertorio  che  si  mantiene solitamente nei canoni classici.
Stiamo  parlando  del quartetto d'archi Balanescu che il 23  Gennaio  si  e`
esibito all'Auditorium di Torino riscuotendo grande entusiasmo in un pubbli-
co  che, per la verita`, pareva un po' bizzarro nell'austerita` di una  sala
da concerto: un vero e  proprio  tifo  da  palazzetto dello sport ha accolto
ogni singolo brano, per non parlare delle ovazioni finali che hanno  tratte-
nuto i quattro esecutori ben  oltre  i  bis  di rito. La straordinarieta` di
questo  evento va ben oltre la bravura e la simpatia del quartetto;  infatti
l'elemento innovativo  siamo  stati  noi, "noi"  pubblico:  giovani affamati
di un genere musicale che va al di fuori degli schemi, senza mai abbandonar-
li del tutto, anzi  reinventandoli  e  traendone spunti quantomai originali!
Leader  del  gruppo  e` Alexander Balanescu, di origine  rumena  ma  inglese
di adozione, ha fatto parte - all'inizio della sua formazione - del quarett-
to  Arditti,  ma, sentendosi eccessivamente vincolato  dalle  convenzioni  e
dalle regole dei quartetti classici,  ha instaurato una fruttuosa collabora-
zione  con  M. Nyman (compositore "di corte" di P.  Greenway)  fondando  nel
1987 l'omonima formazione concertistica.  Con un'immagine decisamente under-
ground il Balnanescu affronta un tipo di musica che prende spunti dal  mini-
malismo e dalle tradizioni folkloriche rumene.  Ma si tratta di un minimali-
smo non freddo o ripetitivo, e` invece estremamente vitale, emotivo e forni-
sce la curiosa  sensazione  di  una  tortuosa  fuga  in avanti. Il Balanescu
parte  dalla  classica  formazione del quartetto d'archi,  ma  la  trasforma
tramite un  intelligente  uso  dell'amplificazione:  con tale accorgimento -
del  tutto  insolito in ambito classico - gli strumenti si  trasformano.  Il
timbro originario muta: i  microfoni  posti  a  poca  distanza dalle corde e
dagli  archetti (sfilacciati!)  evidenziano  tutte  le   sonorita` "sporche"
che l'orecchio umano non riesce a cogliere, una sorta di iperealismo sonoro.
Il  suono  del violino, dolce e suadente, diventa  urticante,  cartavetrata,
quasi un suono "acido",  spesso  con  effetti  eco  e  distosioni; mentre il
violocello, da semplice basso di accompagnamento diventa cardine  principale
dell'intera base ritmica, come  una  batteria  in  un complesso rock. Tra le
musiche  preregistrate  di cui il gruppo fa abbondante  uso  colpiscono:  la
presenza di sonorita`  legate  alla  Techno-music (pump  up  the volume) che
spezzano l'atmosfera - un ulteriore "pugno nello stomaco" nel gia` complesso
discorso musicale -  nonche',  a  tratti,  l'apporto  vocale - declamato dal
primo  violino Alexander Balanescu (si fa sentire l'influenza  di  S.Reich).
Interessanti sono poi  gli  arrangiamenti  di  alcune composizioni di musica
elettronica  dei Kraftwerk: gruppo storico in questo ambito; un  adattamento
e della musica elettronica e della Techno al quartetto d'archi.
Le differenze con il Kronos Quartet? Questi ultimi non usano amplificazione,
interpretano  musiche  non proprie con un repertorio  piuttosto  eterogeneo,
da B.Bartok a J.Hendrix. Il  Balanescu  non  ha mai eseguito musica classica
contemporanea,  si  dedica maggiormente ad autori della NEW  MUSIC,  fa  uso
di amplificazione, ma  soprattutto,  compone  musiche  proprie, dando sempre
piu`  spazio  all'improvvisazione.  L'unica osservazione che  si  puo`  fare
e` la forte influenza  nei  loro  lavori  dello  stile stile di M.Nyman, per
questo  ci  augureremo che in futuro si sapranno distnguere per  una  sempre
completa autonomia artistica.
DISCOGRAFIA: Il  quartetto  Balenascu  ha  inciso  per  la  MUTE  due album:
"Possessed" e l'ultimo "Luminitza" interamente scritto da Alexander  Balane-
scu e Clare  Connors (secondo  violino).  Per  la DECCA (ARGO) diversi album
con  l'eseguzione di opere di M.Nyman, K.Vocans, D.Byrne, R.Moran,  J.Lurie,
M.Torke.
Vi consigliamo vivamente, oltre a "Possessed" e "Luminitza", i tre quartetti
di M.Nyman.
Avviso per un ascolto corretto: ALZATE IL VOLUME!

                                                                 Aigor & Sly



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                            11 - 18 - 25 MARZO
              Bluesjeans Guido Chiesa Piero Negri e Aljoscia
                                finalmente

                                 BABELICHE

               serate di ascolto e critica musicale dal vivo
                  Sala Beppe Fenoglio ore 21 - Alba (Cn)
                             INGRESSO GRATUITO
                          VI ASPETTIAMO NUMEROSI!
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   CASCINA MACONDO   Musicarteatro Culture Associate   ON THE ROAD MUSIC
                       Due bluesman e un cantastorie

     TACCHI & SPILLO e`  il  gruppo  che  nasce  dal  connubio artistico tra
un  cantastorie (Felice  Pantone) e due bluesmen (Beppe  Finello  e  Massimo
Lupotti); il risultato e` un  misto  di  tradizione e novita`: un bassotuba,
una chitarra e sega musicale, dove sono riconoscibili gli echi della  nostra
tradizione e un fenomeno, quello  della  nuova musica da strada, aperto alle
contaminazioni d'oltre oceano.
     Le  voci e gli strumenti si alternano in gags improvvisate,  a  seconda
del gioco instaurato  col  pubblico.  Questa  nuova  formazione coglie cosi`
l'occasione per presentare l'uscita del suo primo album, dal titolo  omonimo
e denso di emozioni, allegria  e  simpatiche trovate, senza perdere d'occhio
l'attualita` della musica. Se i cantastorie un tempo fungevano  da "giornali
ambulanti", i  TACCHI &  SPILLO  si  propongono  come  un'edicola variopinta
tra  poesia  e realta` (e senza le riviste porno sul  di  dietro...).  Tutti
i brani del disco sono originali;  i brani di punta deel'album sono: 'Minima
storiella'  canzone  d'amore  per bassotuba,  chitarra  cantina,  grancassa,
chitarra e  voce; 'Il  Tamburo'  dove  le  corde  accavallate della chitarra
accompagnano  con  ritmo ska l'altra chitarra, la grancassa, il  tuba  e  la
voce; 'Pesci da bar' sogno raccontato da sega sonora, tuba chitarra classica
e  voce; 'L'automobile'  rag-time/blues che, alla  maniera  degli  anni '30,
racconta i problemi di oggi da parte di chi ne possiede una; 'Latte versato'
gospel  in  italiano a tre voci sulla stupidita` dell'uomo in  quanto  tale.
FELICE PANTONE  Inizia  la  sua  attivita`  nell'80  fondando "I  Cognati di
Mefisto", musicisti dal vivo del Mago Berry e del Mago Rex. La strada diven-
ta il luogo piu` congeniale per  il rapporto con il pubblico; prosegue cosi`
l'esperienza  evolvendo  continuamente il repertorio  e  le  collaborazioni.
Dall'84 e`  professionista  del  cappello  e  con  la formazione "Barbagal e
Grazie" partecipa alle principali manifestazioni italiane di arte da  strada
(<<La notte  di  fiaba>>  a  Riva  del  Garda  TN, la regata <<Portofino-New
York>>, il <<Premio Strada>> e la <<XIX Sagra Nazionale dei  Cantastorie>>).
Nell'85 l'incontro con Celina  apre  nuovi  orizzonti  e il mondo del teatro
di  figura inizia a far parte del repertorio: "Gigi contadino a  Scarnafigi"
da` la possibilita` a questa  nuova formazione dal nome <<Teatrin del Noce>>
di  conoscere  gli aspetti del teatro-ragazzi portando lo  spettacolo  nelle
scuole a livello nazionale. Nell'86 entra con <<Barbagal e Grazie, in quali-
ta` di musicista, ne <<La Cirque Bidon>>, due anni di vita e di  esperienza.
Nell'88 fonda  il  duo <<Felice  e  Celina -  cantastorie>>  che continua il
girovagare per le piazze, per mercati, teatri e festival nazionali ed inter-
nazionali (Cecoslovacchia,  Francia,  Austria  e  Svizzera).  Nel  90 il duo
e` prodotto dal Festival Internazionale delle Figure Animate di San  Miniato
nello stesso  spettacolo  teatrale <<Ma  perche`  non  mi  avete invitato?>>
con  la  regia  di G.Cilumbriello. Lo stesso anno incide il  suo  primo  al-
bum <<Per necessita` e  vocazione>>;  riceve  il  Premio Trovatore alla XXIV
Sagra Nazionale del Cantastorie a Sant'Arcangelo di Romagna per lo spettaco-
lo  omonimo.  Nel'91  realizza  per   il  festival  Internazionale  di  Cer-
via <<Poll-poll - Storie ad alternanza magnetica>>. Nel 92 scrive con  Celi-
na <<Non piangere se il latte  si  e`  versato>>  in cartellone per tutta la
stagione  nei circuiti del teatro di strada. Nel 93, prodotto  dal  Festival
Internazionale di San Miniato realizza lo spettacolo <<Senza Storia>> scrit-
to e diretto da Alessandro Gigli.
     Il gruppo Tacchi & SPILLO e l'album omonimo sono del 1993.

Per  concerti, dischi o altro materiale telefonate allo  011/9411495  oppure
in redazione




            Punto fugato - LIZ PHAIR - Smells like teenage Riot

     Nessuno e`  riuscito  bene  a  capire  la  novita`  e  l'unicita` di un
personaggio come LIZ PHAIR, se non dopo la publicazione del suo primo  album
Exile in Guyville (Matador, 1993) che  la  presento` nelle vesti di inquieta
e provocatoria artista.
Quest'album  figuro`,  in quello stesso anno, tra i  preferiti  in  assoluto
delle riviste specializzate americane (Spin, Village voice) tanto da confer-
mare  (anche se non ce n'era fose bisogno) che si trattava di  un'interprete
assolutamente speciale. Exile in  Guyville  rivelo`  una LIZ PHAIR abile nel
destreggiarsi in diversi stili musicali: punk folk minimalista con arrangia-
menti  ridotti  ai  minimi  termini,  soffici  ballate  accompagnate  con il
piano,  semplici  ed essenziali canzoni pop costruite con  la  sua  chitarra
Fender e che richiamano ad atmosfere anni '70.
Ciascuna situazione si adatta perfettamente alla personalita dell'interprete
e al suo sofisticato individualismo. "Autocoscienza e poi senso collettivo",
"autobiografia e poi immaginario sociale" e` forse la formula piu` ricorren-
te nei suoi testi, puntualmente disinvolti e schietti. Confessioni ed  argo-
menti acuti, ed ingeniosi costituiscono la trama delle canzoni.
Se in Exile in Guyville c'era  posto  per titoli del genere 'Frick and Run',
il secondo ed ultimo album Whip Smart (Matador, 1994) si apre con una  tran-
quilla ballata, 'Chopstick', e con  le  parole: <<...  disse che gli sarebbe
piaciuto farlo di dietro; io risposi che andava bene per me, cosi`  potevamo
scopare e guardare la TV>>, tanto per non dimenticarci di chi stiamo parlan-
do.  LIZ  PHAIR, 26 anni e proveniente da Chicago, affronta in  questo  modo
i suoi temi femministi, a meta` strada tra l'irruenza di gruppi quali Bikini
Kill  o Huppy Bear e l'introspezione piu` personale di P.J.Harvey.  Tentiamo
l'ultima presentazione con  le  sue  stesse  parole (cosa  che sembra sempre
piu`  opportuna  in questi casi): <<Non c'era veramente modo  di  ribellarmi
ai miei genitori. A dieci  anni  mio  padre  mi regalo` il primo abbonamento
ad una rivista antigovernativa. Quando ero adolescente, mia madre era solita
leggere a me e ai  miei  amici  maschi  pagine  di Sexus di Henry Miller. La
mia  unica  forma di ribellione giovanile era quella  di  farmi  coinvolgere
nel gruppo di Scientologia del mio liceo...>>.

                                                                      S.S.T.




                     paralleo zero - LA MUSICA ANIMATA

     Cinema <<muto>> = cinema privo di  parole.  Non si tratta di un'equiva-
lenza  superflua: i manuali di storia sono soliti proporre una  suddivisione
di comodo <<muto>>/<<sonoro>> che non  chiarisce  in quale misura l'introdu-
zione della parola, del dialogo, fu un vero discrimine storico, strutturale,
artistico, e che  anzi  ha  implicito  nel  suo  dualismo il pregiudizio che
muto  equivalga  a <<rozzo>> o <<non significante>>.  Cinema <<parlato>>  e`
dunque quello che crebbe e si sviluppoo` a partire dagli anni '30 del nostro
secolo;  cinema  talmente  parlato da affidare quasi  tutto  lo  svolgimento
dell'azione  cinematografica  allo  scambio  verbale:  limitando  fortemente
la  mimica e gestica facciale, veri cardini espressivi del muto,  fino  alla
composta  convenzionalita`  del <<teatro  fotografato>>;  facendo  di  suoni
e rumori un uso strettamente naturalistico; riducendo a <<tappezzeria  sono-
ra>> la musica, che  eseguita  in  presa  diretta  durante la proiezione era
stata per il cinema muto l'unica <<voce>> disponibile (voce non di concetti,
ma di movimenti, di sentimenti,  di  cose). Non tutta l'arte cinematografica
reagi`  pero`  in maniera tanto limitata a un invenzione  quale  la  colonna
sonora sincronizzata con la pellicola:  e`  il caso del cinema di animazione
preso nella sua interezza.
     Il  cartoon  delle origini non era solo muto, ma anche  in  gran  parte
privo di  qualunque  sostegno  sonoro:  cosa  peraltro  poco misteriosa dato
che ben pochi film di animazione ebbero diffusione uffiale nelle sale  tanto
da poter almeno essere musicati. Cartoni <<afoni>>, dunque: ma non inespres-
sivi,  o perlomeno non insostenibili alla visione come si  constato`  essere
films con attori privati di  quelle sonorizzazioni esemporanee di cui sopra.
Come  mai?  Semplice:  mentre il cinema dal vero credette  subito  di  poter
filmare la <<vita in movimento>> per  poi  accorgersi  che la vita era anche
colore  e  soprattutto  suono (di qui l'impiego della  musica,  assurta  poi
da frettoloso espediente a cifra ritmico-espressiva), il cinema di animazio-
ne  filmo` <<forme  in  movimento>>: dagli esperimenti  lirico  astratti  di
Eggeling e di Ginna, ai  mondi  alternativi  dotati  di  loro leggi e di una
credibilita`  interna  creati da McCay, Disney,  Lantz,  Fleischer,  ecc...,
i cartoons hanno realta` in  definitiva  solo  come insieme di punti, linee,
inchiostro e celluloide proiettati su uno schermo. Ora, che suono  avrebbero
mai potuto avere cose  che  non  avevano  corrispettivi materiali in natura?
La  domanda,  di  fronte a una serie di cerchi concentrici  in  movimento  o
a una margherita che camminava  sulle  proprie  gambe, non poteva avere come
risposta  che:  cose che non esistono in natura non  possono  essere  dotate
di suono. Tutt'altro che una lacuna: una scelta filosofica.
     Quando poi il  cartoon  pote`  fare  i  conti col sonoro incorporandolo
in pieno, dimostro` senza contraddizioni di non essere mutato nella sostanza
(mentre il cinema parlato era veramente  altra cosa da quello muto). I suoni
naturali, i rumori artificiali, le voci, la musica, accostati alle  immagini
di sempre, antinaturalistiche e  deformanti,  servirono semmai ad aggiungere
nuovi  significati, a occupare nuove funzioni o aggiornarne  delle  vecchie.
La parola,  quasi  specularmente  al  cinema  di  attori,  ebbe generalmente
poco spazio nei cartoons, anche se pochi di essi la esclusero completamente.
Mancarono invece veri  e  propri  dialoghi:  il  Popeye  dei f.lli Fleischer
dice  poche  battute  isolate, piu` spesso canticchia  o  recita  borborigni
incompresibili (e non e` una pignoleria  sottolineare  che la voce di Popeye
e`  deforme  almeno quanto e` deforme la figura di  Popeye  stesso);  ancora
piu` rada e` la  presenza  di  parole  nei  Tom &  Gerry di Hanna & Barbera,
fino  al  mutismo totale degli episodi diretti da Chuck Jones;  Bugs  Bunny,
Baffy Duck  o  Sylvester  piu`  che  dialogare  monologano solipsisticamente
come  dei caratteristi da palcoscenico. La cospicua eccezione  di  Disney (i
suoi cortometraggi sono pero` piu` simili ai modelli sopracitati) meritereb-
be  una trattazione a parte. Suoni e rumori, malgrado fossero la vera  novi-
ta`, ebbero perlopiu`  il  ruolo  abbastanza  prevedibile  di sottolineare o
intensificare  determinati  passaggi.  Certo molti  rumori  funzionarono  da
brillanti motori comici, ma col  tempo  divennero un ingrediente sempre piu`
obbligatorio che necessario.
     La  musica infine riconquisto il ruolo da protagonista che aveva  avuto
nel cinema muto, in special  modo  in  quello comico: quindi non un semplice
sfondo  sonoro o un rinforzo emotivo dei sentimenti espressi  dagli  attori,
ma un allegro e  furibondo  orchestratore  ritmico delle azioni (la slapstck
comedy  degli  anni '10  era celebre pre la velocita` di ripresa  e  per  la
mimica caricata). Una musica non turgida e drammatica, ma lieve e cangiante,
che  prendeva  di volta in volta le sembianze di un pianoforte  ragtime,  di
un'orchestra jazz o di  un  balletto (e`  quest'ultima  la strada seguita da
Disney a partire da <<Steamboat Willie>>, primo cartoon sonoro della storia,
per approdare a <<Fantasia>>),  e  che  fini`  per  essere  il vero punto di
partenza  di tutta l'architettura del cartoon, il  modello <<esistenziale>>.
Poi il cartoon emigro` in TV... ma questo e` un altro discorso.

                                                                  Madmanmoon




                 L'ASPRO E IL TENERO NELLA MUSICA ATONALE
                                    di
                                ERIC DOLPHY

             <<But there is another method>> (Olive Schreiner)

     Chiamato a partecipare all'esperimento  FREE  JAZZ accanto al quartetto
di  Ornette  Coleman,  per provare un'improvvisazione non  piu`  fondata  su
temi e accordi tradizionali, il giovane Eric Dolphy, clarinettista e saxofo-
nista,  giunse  alla notorieta` pochi anni dopo  come  l'inventore,  insieme
a Mingus, del FREE JAZZ. Parigi, 1964.
     Vintage Dolphy, opera di  cui  tenteremo ora una prima interpretazione,
risale al biennio 1962/63 e si delinea gia` dalle prime note una  collezione
ricca di citazioni e allusioni.  I  brani  proposti sono sette, due composti
dallo  stesso Dolphy, tre da Gunther Schuller, musicista di origine  tedesca
con una buona  conoscenza  della  musica  classica,  uno  da Jake Byard, che
dedica  un'ode a Charlie Parker, mentre l'ultima lunga  composizione, 'Donna
Lee', e` dello stesso C. Parker.
     La spirituale attenzione  con  cui  Dolphy  dialoga  con  il suo antico
maestro, ricreandone stile e fraseggio, ripercorrendo una memoria  dell'arte
che fu  negli  anni  quaranta  rivoluzionaria,  ci  dice  di  una differenza
nell'aura di comunione fra due grandi personalita`. 'Ode to Charlie Parker',
e` una lunga citazione  ma  allo  stesso  tempo  si  propone di andare oltre
il  passato  proprio  nel senso piu` creativo, del fare  musica,  senza  con
cio` smentire minimamente il modello  dal  quale  ci si e` mossi. Tentandone
tuttavia quello che definirei non come superamento bensi` sviluppo.
     Nell'ordine  dei concetti propri della musica classica,  il  superamen-
to(1), oltre a suggerire accostamenti seppur sfumati alla filosofia romanti-
ca,  rappresenta un modo di procedere e di strutturare lo spartito  musicale
e in un piu` ampio  raggio,  una  delle  possibilita` di un nuovo artista di
porsi come individualita`. Nel jazz, il piu` o meno significativo  atteggia-
mento verso cio`  che  sta  prima,  non  implica  di  fatto la necessita` di
tendere  verso una perfezione o perfezionamento tale da  trascendere  infine
proprio quel primo momento da cui  si  prendeva  il via. Il jazz si sviluppa
attraverso  una serie di 'frazionamenti', piu` o meno avvertibili,  rispetto
al modello originario. Questo non  esclude  certo la necessita` di coltivare
uno  stile divenuto essenziale; qualcosa del genere e` accaduto con il  fra-
seggio di Parker, che  veniva  osservato come 'canonico' ovvero una presenza
dalla quale non era possibile prescindere. Fraseggio che si e` poi  rifranto
in una serie di  musicisti,  fra  i quali Julian Adderley detto 'Cannonball'
per la sua non troppo sottile sagoma.
     Dunque  la  differenza che si insinua fra  predecessore  e  innovatore,
oscilla fra  un  centro  di  sonorita`  ormai  delineate,  che credo vengano
accettate  nell'istante  in  cui le si imita, e  una  tensione  all'eccesso.
Quest'ultimo permette la spaccatura,  il  disorientamento,  di per se' fonte
di novita`.
     Il  FREE  JAZZ presente in questi brani e` una buona  illustrazione  di
una volonta` di eccedere. A  sua  volta, la stessa parola free-jazz, sceglie
di  invocare  una allusa liberta`, presentando accanto  a  sonorita`  tenere
e datate suoni inflessibili  e  atonali,  che  rendono  l'idea di uno spazio
musicale  indipendente  da  restrizioni, intervallato  piuttosto  da  attimi
d'ordinario nello straordinario.  Le  note  che  poco  a  poco accelerano il
tempo,  intensificano  il ritmo, diventano piu` veloci,  piu`  incalzanti  e
impetuose, abbracciano  a  dispetto  della  pur  sempre  presente ascendenza
parkeriana, una loro inaccessibilita`. Per chi ascoltera` questo  esperimen-
to, la prima operazione dovra` essere  quella di familiarizzare con i testi;
la  loro eclatante diversita` non impedisce questo avvicinamento  interiore,
anzi lo affretta. Il ritmo che  in  primo luogo celebra una espansione della
musica  in  vertiginose  lamentazioni, sembra conferire  un  furore  verbale
gratuito e perlomeno all'inizio  una  certa affinita` deve essere raggiunta.
Ricercata,  anche,  poiche' la novita` del FREE JAZZ  impone  questo  sforzo
personale. Lo  spaesamento  potra`  essere  vinto,  pensando  a un singolare
sodalizio. In apertura ho fatto cenno a G. Schuller e piu` oltre ho sottoli-
neato similitudini e differenze con  la  musica classica. Ma forse, e grazie
all'intervento  di  Schuller,  sono  maggiori i punti  di  incontro  che  le
divergenze.
     Ci troviamo ben oltre le somiglianze stilistiche consuete, una sorpren-
dente  analogia  lega  il brano 'Densities' alla musica  atonale.  Dolphy  e
Richard Davis,  interpretando  secondo  la  tecnica dell'improvvisazione del
FREE  JAZZ  si adattano a una composizione atonale  di  Schuller.  Risultato
non semplice  da  ottenere  e  tuttavia  pienamente  realizzato. Propongo di
ascoltare il brano a fondo, non una volta, non due volte, nemmeno tre basta-
no per esaurirlo.
     Il brano  seguente 'Night  Music'(2),  meno  impegnativo,  si  ispira a
un'americana  night-on-the-town, poi si ritorna a una maggiore  complessita`
strumentale in 'Abstraction'. La  nota  di  fondo  rimane  comunque il gioco
di avvicinamento e rottura dal fraseggio di Parker, portato avanti su diver-
si fronti, visto che  Dolphy  e`  un  polistrumentista: mi riferisco a 'Iron
Man' e 'Half Note Triplets'.
     I passaggi da suoni acuti a tenui bisbigli, inoltre, sembrano  lasciare
intuire un'intima necessita` di  confrontarsi  col  destino,  di cui le note
sono  espansione  ed  equilibrio, abbracciando i  due  momenti  dell'essere:
lo slancio ed il luttuoso.
     Infine vorrei  aggiungere  che  in  tutta  la  durata dell'opera esiste
una  sorprendente  assonanza fra jazz e musica classica  contemporanea,  non
solo riguardo  alla  struttura  compositiva,  ma  ancor  piu` nello sviluppo
della  musica, tanto da far avanzare una sottile striscia di  futuro  dentro
l'oscuro presente. Eric Dolphy  fu  per  delega  e  per ispirazione autore e
protagonista di questa speranza.

1.  Superamento (Aufhebung),  e` un concetto legato  a  quello  di 'Bildung'
cioe' di costruzione  progressiva,  si  pensi  alle  sinfonie di Beethoven e
alla musica wagneriana.
2.  Il  brano 'Night  Music' richiama in parallelo con  la  musica  classica
la ben nota "Nachtmusik" ossia la  serenata,  che in questo caso sottintende
un incontro passionale.

                                                                       Decus