Gennaio-Febbraio 1995
Puo` sembrare singolare che sia la responsabile della grafica a scrive-
re il pezzo di apertura di una rivista che si occupa di musica. Interferenze
blu vuole parlare di musica, ma non solo. Del resto un tipo di informazione
volta a coprire quanto piu` e` possibile il panorama musicale, riducendolo
spesso a mercato (perche' oggi consumiamo, e poi dimentichiamo, anche attra-
verso l'informazione, proprio quella culturale), e` gia` ampiamente offerta
da altre riviste giustamente specializzate.
Ci interessa un discorso fatto con modalita` e tempi diversi, giocato
anche sulla contraddizione e gli ossimori. Ecco che allora anche la grafica
cerca di parlare con il suo linguaggio attraverso la scelta dei titoli
delle nascenti rubriche, di un cosi` invece di cosa`, e la responsabile
grafica puo` permettersi di scrivere il pezzo di apertura.
Si puo` stravolgere una realta`, sapendo come stanno le cose e anche
come funzionano le cose? Bisogna restare sulla linea di confine. E su questa
difficile linea di confine cerchiamo di collocarci, ciascuno con la propria
individualita`, ma tutti con un discorso comune da tentare. Non opinioni,
ma cultura. Ed e` una scommessa grande, che ci mette in continua discussio-
ne. Ma ora non solo le scommesse personali, anche la natura ci si mette
a renderci la vita difficile. L'alluvione di Novembre ci ha spazzato via,
insieme al numero gia` bell'e che pronto. Anche Babeliche, le serate di
ascolto e critica musicale dal vivo in programma per quel mese maledetto,
sono state rimandate a Marzo. Abbiamo ricominciato tutto da capo, abbiamo
anche iniziato una campagna di sottoscrizioni sotto forma di abbonamento
(gia` questo numero arrivera` a quanti, incredibilmente non pochi, hanno
avuto la bonta` di darci retta, e li salutiamo, augurandoci di poter puntare
sulla nostra scommessa tutti quanti insieme). E infine, dovuto e sincero,
un grazie a quanti si sono messi in contatto con noi e ci hanno offerto
la loro collaborazione, di cui presto vedrete i frutti. Buona lettura
Emma D.
RECENSIONI - 360 gradi
SHANE MC GOWAN AND THE POPES
The Snake
(Warner Music)
L'appropiarsi di simboli ed immagini religiose e` da sempre stata
prerogativa di un certo tipo di musica rock. Come se il diavolo dovesse
per forza lavare i suoi panni sporchi nell'acqua santa. Non c'e` da stupir-
si, quindi, se il nome del nuovo gruppo che accompagna SHANE MC GOWAN,
nel suo primo disco e probabilmente anche nelle birrerie di mezza Londra,
e` quello dei POPES ovverosia dei <<papi>>.
L'ex-cantante dei Pogues apre le danze in piena crisi mistico-alcooli-
ca: <<Quando il sacro sangue del santo spirito ribolle nelle vene penso
a Gesu` crocifisso e urlo per la sua sofferenza>>. Confessando in seguito
una verita` assai poco sorprendente: <<Mio padre era un peccatore ma
mia madre una santa persona ed io ho rovinato la mia vita col bere>> tira
aria di autoflagellazione dunque, sembra che le sbornie di SHANE ultimamente
ispirino piu` malinconia che gioia di vivere. E tutte le liriche di THE
SNAKE sembrano in un modo o nell'altro confermarlo. 'The Song with no Name'
e 'That Woman's Got Me Drinking' parlano di amori non corrisposti, 'Her
Father Didn't Like Me Anyway' di una rottura sentimentale mentre 'A Mexican
Funeral in Paris' non ravviva l'atmosfera con la descrizione tetra e confusa
di una cerimonia funebre nella capitale parigina. A tutto cio` fa da con-
trappunto la musica che accompagna le parole. Fracassona, chitarrosa, roman-
tica. Ora legata alla tradizione popolare irlandese, e qui emergono strumen-
ti come il banso e lo whistle, ora alla piu` pura tradizione rock'n'roll.
Folk-punk forgiato con somma dedizione artistica e con il cuore tra le
mani. E' antipatico fare paragoni, ma al confronto, l'ultimo album dei
Pogues, onesti artigiani del genere, sparisce letteralmente. Anzi: se a
tutti i costi si vuole cercare il Pigmalione di Mc GOWAN, questo non va
cercato in Irlanda ma nella persona di Tom Waits, capace, forse, di tenergli
testa anche nel bere e non solo nelle composizioni liriche cosi` struggenti
e appassionate. Musica etnica irlandese e puro rock'n'roll fuse in un tut-
t'uno, condite con un'umanita` fuori dall'ordinario: sembra essere questo
il risultato finale di questo disco. Un ritorno gradito e qualcosa di piu`,
insomma. Speriamo di rivedere presto Mc GOWAN calcare le assi di un palco-
scenico con questo nuovo gruppo. A dicembre sara` in turne'e in Germania.
Chissa` che il nuovo anno non lo riporti nel nostro paese.
Ken Parker '68, Lupo del Nord
KITCHENS OF DISTINCTION
Cowboys And Aliens
(One Little Indian)
E' con grande piacere che vi parlo di questo gruppo che seguo dal
loro primo album. Un trio (basso, chitarra, batteria) che mi e` caro perche'
mi ha accompagnato in un itinerario musicale in cui loro, a differenza
di altri, sono rimasti un punto saldo. Quindi e` bene chiarirlo subito,
non puo` essere il mio un approccio imparziale. Ma veniamo alla loro musica,
una musica di riverberi, dove i suoni rimbalzano su superfici concave e
piaiono arrivare da chissa` quali distanze. La voce del cantante e bassista
del gruppo Patrick Fitzgerald sembra essere nata per raccontare, per raccon-
tare della quotidianita` di cui sono intrisi i loro testi (non lasciatevi
ingannare dal titolo), che non e` mai scontata ma originale, che accoglie
in se elementi di fantastico molto simile a quello che si puo` trovare
nelle favole. Questo album sembra godere di una rifinitura particolare,
per esempio l'aggiunta di una voce femminile in sottofondo in ben quattro
canzoni. Il suono e` piu` controllato, ci sono solo due brani in cui viene
data piu` liberta` agli strumenti specialmente in chiusura del pezzo ('One
of those Sometimes is now', 'Prince of Mars'). Le canzoni di questo disco
hanno la peculiarita` di piacere da subito, anche se non perdono la caratte-
ristica principale dei pezzi dei KITCHENS: quella che ce li fa apprezzare
in modo diverso ad ogni ascolto. In effetti le canzoni dei primi lavori
del gruppo dovevano essere ascoltate piu` volte prima che cominciassero
a lavorare, ma una volta cominciato era difficile farne a meno.
Si apperzza la ricchezza di canzoni come 'Here Come the Swans' in
cui ad ogni ascolto si scopre qualcosa di nuovo. Mi pare opportuno citare
ancora un paio di canzoni che emergono dal loro lavoro omogeneo. 'Cowboys
and Aliens' dal ritmo travolgente, dove la musica ricorda vagamente le
colonne sonore dei film western, ma qui a cavalcare sono le chitarre che
si fermano solo per lasciare brevi spazi alla chitarra acustica e alla
voce. 'One of those Sometimes is now' e` una stupenda canzone dal ritmo
lento con la chitarra acustica che fa da appoggio alla voce, poi all'improv-
viso si aggiungono la batteria e un'altra chitarra fino al delirante finale
in cui le parole non servono piu`.
Ancora un disco coinvolgente per un gruppo che mi auguro non rimanga
per appassionati.
Marziobarbolo
LP LOVE IS HELL
LP STRANGE FREE WORLD
LP THE DEATH OF COOL
Sing. BREATHING FEAR
Sing. WHEN IN HEAVEN
GOD MACHINE
One last laugh in a place of dying
1994 - Fiction
Lo si capiva gia` dal primo album, SCENES FROM THE SECOND STOREY.
I GOD MACHINE sono uno di quei rari gruppi capaci, anche dopo pochi suoni,
di cancellare certe recenti mediocrita` inglesi pretenziosamente hard -
vedi Terrorvision e Kerbdog. E lo fanno proponendoci un disco ad altissima
densita` di idee. Come non riconoscere il consueto possente muro di chitarre
- 'Tremelo song' - e l'approccio vocale del cantante, decisamente pop.
Eppure nulla e` banale e prevedibile. Nel mondo minimo dei GOD MACHINE
i particolari risultano deformati ed ingranditi: 'Mama' si fa ricordare
per il martellare insistente di una nota sola, 'The devil song' e` una
piena che avanza, un tranquillo soliloquio che si ingrossa di rumore. Il
senso d'interiorita`, che arriva fino alla stringatezza del titolo dei
brani, non si placa mai, nemmeno con la dolce/docile presenza degli archi.
Non basta: ci sono ancora le sinuose schitarrate di 'The love song', il
massiccio incedere di 'The flower song', i tribalismi della batteria in 'The
hunter' e 'Evol' e le onnipresenti, pulsanti linee di basso dell'ormai
compianto Jimmy Fernandez - vittima di un tumore: per questo l'album, a
lui dedicato, ha la copertina bianca. Non sara` facile trovare un sostituto
valido per questo gruppo, in crescita esponenziale. Soprattutto sara` diffi-
cile ricreare questo saund incomparabile. Per il momento non ci resta che
ascoltare ed integralmente sottoscrivere le parole scolpite da Paul Brannin-
gan - recensore di Kerrang!: A Majestic Opus!.
Vincenzo Capitone
GERMINALE
Germinale
(Mellow Records, Italia 1994)
"... fanciulli sballottati tra le onde e portati qua e la` da qualsiasi
vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia
che tende a trarre all'errore..." (Ef. 4,14)
Si puo` avere vent'anni ed amare svisceratamente gli anni '70, dal
punto di vista musicale s'intende? Parrebbe di si`, questa e` almeno la
risposta che ci danno questi ragazzi raggruppati sotto l'affascinante sigla
GERMINALE. Diciamo subito che vi sono anche altri gruppi in Italia che
seguono lo stesso filone, ed alcuni sono gia` apparsi in queste pagine;
ma il fatto che ne saltino fuori continuamente dei nuovi e` senz'altro
positivo. La musica di questo combo pisano ricorda molto da vicino le espe-
rienze di gruppi sepolti nel dimenticatoio, quali Biglietto per l'Inferno
e Pierrot Lunare - tanto per restare i Italia - oltre ai soliti Genesis,
Jethro Tull & co. Pesantemente seventies, dunque, come detto. Eppure, quella
pacata atmosfera di dolce pessimismo che pervade l'opera sembra attagliarsi
perfettamente all'epoca in cui viviamo, dominata da insicurezze e paure
del domani. Soltanto un'impressione cutanea, probabilmente, poiche` anche
le tematiche proposteci nei testi contengono parecchi richiami ad ere lonta-
ne: vedi le bifocali 'La Strega' ed 'Il Mago', naturalnente i due pezzi
piu` in evidenza, che si autoconfrontano per confondersi in un ritorno
al medioevo annunciato e replicato nel successivo 'Guardiano dei Cieli',
anch'esso pezzo degno di menzione. Peccato per un testo - ed un titolo-
fortemente retorico: e per chi non avesse capito il riferimento, la dedica
finale a Tony (Banks) & Mike (Rutherford) dissipa ogni dubbio (i Genesis?
Massi`!). Ragazzi, lasciate in pace i dinosauri del paleolitico progressivo,
e fate di testa vostra, i mezzi li avete; o no?
io
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| ONE OF THOSE SOMETIMES IS MINE |
| |
| No silver of moon |
| The dark hurts my eyes |
| Dream-chimed awake, solemnized |
| |
| Counting the breaths |
| That threaten the calm |
| Cos you're not here and it's too late to call |
| |
| Crel scenes of how bad I've been |
| Pulled low, oh how could I know? |
| Fogs, voices, tears |
| |
| Sometimes I lie shaken awake |
| Blistered with crazy thoughts of you |
| And a hundred ways to lose |
| Sometimes sense is too remote |
| Dark stars threaten to conspire |
| They scare like your eyes |
| One of those sometimes is now |
| |
| Waiting for safety |
| In the solace of the sun |
| When the fevers of love are driven home |
| |
| Help me forget |
| The last touch of you |
| I can't believe I didn't say I love you |
| |
| Sometimes I feel such shame |
| Lost words, hide my eyes |
| I'm not myself with you |
| Sometimes I feel such blame |
| How could I ever explain? l |
| When one of those sometimes is now. u |
| d |
| i |
| b |
| r |
| i |
| a |
| |
| v |
| e |
| n |
| t UNO DI QUEI TALVOLTA E` ADESSO |
| i |
| s Nessun frammento di luna |
| L'oscurita` mi ferisce gli occhi |
| Destato dallo scampanio dei sogni, solennizzato |
| |
| Contando i respiri |
| Che minacciano la calma |
| Perche' non sei qui ed e` troppo tardi per telefonare |
| |
| Scene crudeli di quanto sono stato cattivo |
| Trascinato in basso, oh come potevo saperlo |
| Nebbie, voci, lacrime |
| |
| Talvolta giaccio sveglio turbato |
| Abraso da pazzi pensieri di te |
| E un centinaio di strade per smarrirsi |
| Talvolta il senso e` troppo distante |
| Stelle oscure minacciano una congiura |
| Sgomentano come i tuoi occhi |
| Uno di quei talvolta e` adesso |
| |
| Aspettando la salvezza |
| Nel conforto del sole |
| Quando le febbri d'amore sono condote a casa |
| |
| Aiutami a dimenticare |
| L'ultimo tuo tocco |
| Non posso credere che non ti ho detto ti amo |
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| Talvolta provo una tale vergogna |
| Parole perse, nascondono gli occhi |
| Non sono me stesso con te |
| Talvolta provo una tale vergogna |
| Come potro` mai spiegarlo? |
| Quando uno di quei talvolta e` adesso. |
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|Testo di Patrick Fitzgerald tratto dall'LP COWBOYS AND ALIENS dei KITCHENS|
|OF DISTINCTION - Trad. Marziobarbolo |
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QUASAR LUX SYMPHONIAE
Abraham
(WMMS 1994)
Tanto tuono` che piovve. Mi sembra questo il modo migliore per iniziare
a disquisire su tale ABRAHAM, prima fatica dei Q.L.S., da parecchi mesi
annunciata ed ora giunta finalmente alle nostre orecchie. Gia` il demo
tape LIVE DREAMS del 1992 aveva lasciato intravedere le notevoli doti in
pectore del gruppo di Codroipo; il fatto, poi, di voler esordire con un
doppio Cd concept la dice lunga sulla sua chiarezza di idee.
Ed e` subito capolavoro, o quasi; sicuramente, e` un disco destinato
agli annali del prog italiano degli anni `90, accanto a quelli di Nuova
Era, Men of Lake e Deus ex Machina.
Si narra, l'avrete capito, la vita di Abramo, con tanto di citazioni
bibliche; ma e` certamente la parte musicale quella piu` ricca di sorprese,
in quanto combina in modo straordinariamente perfetto ingredienti svariati
nonche' molto lontani fra di loro nel tempo; cio` crea una situazione di
travaglio mistico e distacco quasi totale dalla realta` nell'animo di chi
ascolta. Dalla moderna cattiveria di 'What Rights Has My Soul?' al romanti-
cismo incontaminato di 'Sarah's Lament' e 'Trembling Star'; dal rock
lirico ("che!?") della conclusiva 'Resurrection' e degli interventi vocali
di Dio (in arte Giorgio Turcati) - spesso sottolineati dalla presenza dei
cori polifonici - alla splendida 'Night Lovers Silhouettes', dal sapore
quasi floydiano grazie ai vocalizzi di Annalisa "Sarah" Malvasio, qualcosa
piu` di un allieva della Liza Strike fluttuante sulla Faccia Scura Della
Luna. Ed ancora: la tetra 'Berit'; 'Sodom', che tra percussioni afro-asiati-
che ci propone un memorabile duetto tra Abramo e il Creatore, in veste
di giustiziere!
Potrei continuare ancora per un pezzo, ma mi sono accorto che sto
elencando quasi tutti i brani del disco... Percio` preferisco concludere
con una notazione curiosa. Come i "maestri ossianici" Jacula e Devil Doll,
anche i Q.L.S. fanno uso - seppur sporadico - di armonie estremamente disso-
nanti che un tempo (Medioevo e giu` di li`) venivano definite "Diabulus
in musica", proprio per la loro "diabolica" sgradevolezza, all'epoca assolu-
tamente proibite. Anche questo torna ad onore del gruppo e della sua ottima
preparazione musicale (e segnatamente del tastierista Paolo Paroni).
Un'altra perla, forse la piu` rilucente, da aggiungere al gia` ricco
diadema di Peter Wustmann e della sua WMMS; da oggi Asgard, Court, Mad
Puppet & C. sono in piu` che buona compagnia.
io
VINICIO CAPOSSELA
Camera a Sud
(CGD)
Il verso melodico non prevede forzature. Il ritmo del racconto e`
intimo tutte le storie raccontate sono filtrate in similitudine: realta`-in-
timita` di Vinicio. Il verso scorre: la voce italiana e la musica si spalan-
ca in una Camera a Sud. Dove la vita e` piu` lenta c'e` tempo per l'amor,
per il son, per la fuga dell'anima. Si gusta il vino che si mesce, il fresco
del lino, ci si prepara ad amar, danzar. Son le parole che svelano le storie
e la musica le trasporta lontano da queste pareti italiane, sotto un cielo
di Patagonia. L'unione di una musica ricca di riferimenti esterni o meglio
esteri con elementi e caratteristiche italiane: la musica ma soprattutto
l'utilizzo della lingua italina e del suo verseggiare e` un'operazione
riuscita a pochi in Italia e i grandi riferimenti si illuminano subito:
Paolo Conte, Fred Buscaglione. La rima e l'assonanza sono parte inscindibile
di un verseggiare intimamente legato alla musica che a volte son scelte
apposta parole con sonorita` spagnoleggianti o del tutto inventate: diziona-
rio d'immigrato. Aria di ventaglio, i riferimenti musicali non son nascosti,
anzi aumentano: i maestri lontani e vicini: si vola a Cuba e in Sud America:
el mambo, bossanova e abbiamo forse un walzer: 'Zampano`'? Notevoli i musi-
cisti: compagni dei primi tra cui giu` il cappello: Jimmy Villotti (<<Il
mio chitarrista>> Paolo Conte) e Ellade Bandini (batteria). Si squassano
le parole in un ritmo di un altro tempo di un altro spazio e il colore
caldo di alcune canzoni si unisce a lente emozioni di ballate: racconti
di chansonnier. L'ironia e l'autoironia di chi sa dir: <<son ghiro e mi
ritiro>>; dopo le ufficialita`-banalita` della vita quotidiana: la carta
da bollo per ogni diritto, solo a volte trova il mondo delle note in
contrappunto, in parallelo. <<Pagliacci unti col codino/ Mercedes bianca
e l'orecchino/ manco l'estasi vi leva/ il portamento contadino>>, disartico-
lato hammond, nere percussioni, per la sua aristocratica e primitiva forma
colpisce piu` di un rap. Piccola intusione: ho voluto marcare l'attenzione
sulla poetica della musica e della parola di Vinicio: qualita` indiscussa
per il rispetto di ambedue gli elementi in questo album ancora crescente.
Il branco non aspetta che passar ma .... Vinicio. Complimenti.
Johnny
OFFSPRING
Smash
1994 - Epitaph
Alcune bands scrivono canzoni. Altre solo una collezione di riffs.
Gli OFFSPRING compongono schegge impazzite-cariche di nitroglicerina, sudore
e grinta di punk-rock anni 90! SMASH e` e sara` una vera e propria pietra
miliare del punk. Un vero ciclone di ritmi forsennati, cori pop-orinted -
tipo Nirvana, per intenderci - chitarre a tutto volume, energia da vendere
ed un innato amore per la melodia. E qua e la` elementi di ska (!?) - 'What
happened to you?', pop, ritornelli orecchiabilissimi e furberie a` la Pixie-
s. Memorabili 'Self esteem', 'Bad habit' e l'anfetaminico, a prova di pogo,
singolo 'Come out and play'. L'atmosfera che si respira tra le quattordici
tracce e` di esasperata elettricita`, di energia quasi fisica, ma anche
di freschezza e di voglia di divertirsi e divertire, senza compromessi
di alcun genere. E allora ecco brani come 'Nitro', 'Gotta get away', 'Geno-
cide', e 'Something to believe', da urlare a squarciagola insieme ai quattro
scatenatissimi punk-rockers. Ottima anche 'Killboy powerhead', cover dei
Didjits e le conclusive 'So alone', 'Not the one' e 'Smash'. Insomma un
vero e proprio capolavoro, importante come fu, fatte le debite proporzioni,
l'esplosivo "Nevermind" dei Nirvana. Infatti, che fosse un momento di grazia
per il punk lo si era intuito da un po' di tempo, ma che stessimo per
assistere ad un'ennesima esplosione di tali sonorita` su vasta scala...
beh, forse era un po' troppo anche per i piu` ottimisti. E invece... sulla
spinta degli OFFSPRING, incredibilmente Top-10 negli USA, ecco esplodere
i Green Day, seguiti a ruota dagli ottimi NOFX, dai Down by Law e dagli
intramontabili Bad Religion.
C'e` solo da augurarsi che troppo successo non diventi nocivo per
le bands e per una scena musicale finalmente vera e non solo presunta o
del tutto inventata - robaccia tipo Dodge o New wave of the new wave o
altre amenita` spacciate da Melody Maker e New Musical Express settimanal-
mente - e sperare di essere di nuovo di fronte ad un "1994 - The year punk
broke!". Hasta la vittoria, sempre!
Axiom
COP SHOOT COP
"Release"
(CD, Big Cat, 1994)
Dischi come questo paiono fatti apposta per sbugiardare quei critici
spocchiosi e quelle ineffabili popstars (tanto per non far nomi, Mr. Sting)
che affermavano e affermano, come Mose' dal monte Sinai, "Il Rock e`
conservatore, e` praticamente morto". Infatti questi newyorkesi sono riusci-
ti nell'impresa di suonare davvero originali, pur operando una virata dalla
sperimentazione a un tipo di musica certamente piu` accessibile. Giunti
al quarto album, hanno integrato con un chitarrista-trombettista l'insolita
formazione base (due bassi, un campionatore e una batteria) sfornando un
album veramente intrigante, anche se difficilmente classificabile tra le
miriadi di generi del rock. Il sound e` percussivo e monolitico ma percorso
da frequenti interventi di piano e fiati (ascoltate 'It Only Hurts When
I Breathe' e 'Last Legs', quest'ultima ideale colonna sonora di un telefilm
poliziesco del 2020); quando il ritmo rallenta, parte una ballad anticonven-
zionale, quasi "malata" ma affascinante ('Lullaby'). La voce, piu` che
cantare, narra alla maniera di Henry Rollins storie di alienazione metropo-
litana ('Slackjaw'), di amori finiti male, di vite da dropouts, con accenti
di pessimismo, plumbea rassegnazione e disincantato cinismo, tra l'altro
molto ben rappresentati anche dai colori del booklet illustrativo. Tra
battute al vetriolo (<<Sei divertente come una banca>>, <<Ho finalmente
capito quello che ti manca: un'anima>>) e spunti autoironici (stupendo
il testo di Any Day Now) i COP SHOOT COP si candidano autorevolmente al
ruolo di nuovi guru della New York alternativa. C'e` inoltre da dire che,
se volessero, potrebbero aspirare anche al grande successo di pubblico:
pur ricordandomi i Primus nell'attitudine e nel ruolo del basso (dei bassi,
in questo caso), le loro tracks potrebbero benissimo comparire nella colonna
sonora dei milioni di giovani USA che hanno comprato, per esempio, "Meanti-
me", degli Helmet, oggi molto piu` estremi. Ah, se MTV si accorgesse
di loro... (comunque loro, probabilmente, le sputerebbero in faccia).
Corvo Rosso
LOUSIANA RED
Sing the blues...+
(Blue Sting)
Siamo di fronte a un personaggio strano, forse leggendario (lo e`
per la ristretta cerchia di appassionati), certamente singolare. Irverson
Minter, classe 1936, nato a Vicksburg, Mississippi, in arte LOUSIANA
RED (oppure Cryin' Red, Playboy Fuller, Rocky Fuller, Guitar Red, Walkin'
Slim ed una mezza dozzina di altri nomi) e` una persona molto distante
dalla figura di artista convenzionale. Cosa non nuova nel mondo del blues,
il nostro beniamino ha avuto una vita tutta particolare, infatti non si
puo` certo dire che sia nato in condizioni agiate. Adepto, suo malgrado,
del famoso trittico del blues, che si puo` riassumere:
a) lavoro: lavoro` infatti in una piantagione svolgendo le mansioni
del raccoglitore di cotone;
b) carcere. che visito` per non si sa quali misfatti;
c) viaggio: le ferrovie americane ebbero ed hanno in piacere di
ospitarlo per parecchio tempo;
LOUISIANA RED e`, tuttavia, piu` conosciuto in Europa che negli States.
Chissa` perche'?
Con una vita cosi` non poteva di certo fare il cantante di operetta,
infatti il suo blues e` duro, spigoloso, risente molto delle sonorita`
del Delta, da cui egli stesso proviene. E` molto particolare la sonorita`
che riesce ad ottenere con la chitarra, con quelle corde pizzicate, tormen-
tate, che ricordano Muddy Waters. A mio parere riesce a trasportare nelle
sue canzoni le emozioni ed amarezze di un'esistenza non facile anche se
la sua carriera di artista non sempre e` stata limpida. Ma si sa, chi ha
visto la fame molto da vicino accetta qualche compromesso piu` di non dover
piu` patire, e non mi sento proprio di condannare le sue scelte. Consigliato
ai bluesofili e a coloro che amano la musica che scaturisce dai muscoli
stanchi. Buon ascolto.
T-Bone Malone
PUNTO FUGATO - Non chiamateli outsiders!
Il 1994 musicale ha inesorabilmente chiuso i battenti.
... Ed ora state aspettando che vi propini la solita, lagnosa super-
classifica dei migliori dischi - o gruppi - dell'anno. Non lo faro` -
stravincerebbero comunque Soundgarden e Senser: vedi Interferenze blu n.
3 e 4. Mi limitero` a lasciarvi qualche appunto sperando che lo captiate.
La prima chiosa dell'annata e` obbligatoriamente dedicata ai BIG CHIEF,
formazione di Detroit, venuta consistentemente alla ribalta con l'ultimo
Platinum jive: greatest hits 1969/1999. L'ironica finzione del titolo risul-
ta programmatica. Il gruppo, una vera macchina del tempo, ha una primordiale
anima 'dura' che di volta in volta si stempera docilmente nei generi piu`
disparati: basti qui citare le robuste iniezioni di funk (lo testimonia
pure la collaborazione con la cantante nera Thornetta Davis), di rap acida-
mente interpretato o perfino di strani intermezzi ossessivi tipici dei
polizieschi americani. Ogni brano ha uno stile a se`. Semplicemente fonda-
mentale. Non meno efficaci risultano i losangelini DOWNSET, sostenuti dalle
lucide mitraliate verbali del rapper (!?) Ray Anthony Oropeza e da un
hardcore compatto e senza troppi fronzoli. Sembrano banali, neppure troppo
originali. Eppure, ogni volta, partendo magari da una scarna introduzione
di basso sanno proporci curiose - e pesanti - reazioni sonore a catena.
Piccoli e sempre piacevoli "big bang".
Una nota di merito pure per Ignaurus, semisconosciuto disco degli
INTRO ANOTHER. Autori di un hard strutturalmente complesso (non piu` hardco-
re), graziosamente annebbiato da un innato amore per le melodie e per le
atmosfere acustiche. Importante durante l'ascolto "affidarsi" alla strepito-
sa voce del cantante Richie Birkenhead, che sa via via scandire i tempi.
Ogni brano e` infatti l'assemblaggio di molte idee lentamente "scavate" -
proprio come i compagni di scuderia ICEBURN - e racchiuse sotto forma di
canzone. Ultimo disco che vi segnalo, non certamente per importanza, l'opera
prima dei KORN. Ovvero della paura. La chitarra e il basso macinano trame
oscure ed estreme, spesso incorniciati da inserti rumorosi e tecnologici.
Un nido di tensione in cui vive l'incubo di una voce lamentosa (ricorda
quella di Trent Reznor dei NINE INCH NAILS), riflessiva, a tratti un urlo
allucinato. Oppressiva verbalizzazione di complicati rapporti familiari
(padre-figlio). Un dramma che si fa musica. Una cornamusa che dolcemente
sembra spezzare questa routine. Poi di nuovo ritornano i ritmi del buio.
L'avrete capito. Il 1994 e` stato ancora una volta un anno ricchissimo
di novita`. Sempre sotto il segno della contaminazione.
Vincenzo Capitone
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CHI HA INCASTRATO PLANET ROCK?
C'era una volta su Raidue - e adesso non c'e` piu` - una benemerita
trasmissione musicale che contava ogni sera oltre mezzo milione di ascolta-
tori: si chiamava "Planet Rock". un programma in cui i conduttori non
erano comuni deejay, ma veri giornalisti esperti di musica internazionale.
E proprio la musica ha avuto il ruolo centrale: concerti dal vivo in diret-
ta, le ultime uscite discografiche, ma, al tempo stesso, il contatto con
le realta` piu` variegate e sotterranee del rock - e non solo quello. Il
pop inglese, il rap dei ghetti, il metal scandinavo, le posse italiane,
potevano, come testimoni di cultura realmente diverse, simbolicamente con-
vergere, confrontarsi e diffondersi nell'etere italiano. Planet Rock, nato
nel 1986 - in origine si chiamava "Stereodrome" - e` diventata a poco a
poco la trasmissione preferita di coloro - soprattutto giovani - che amano
ascoltare le buone canzoni, ma non le recepiscono in modo passivo e acriti-
co. Ogni ascoltatore poteva partecipare direttamente inviando idee, rifles-
sioni, suggerimenti o anche un semplice saluto. In breve un servizio pubbli-
co, fonte di informazione per il cittadino. Troppo bello per essere vero.
I nuovi vertici della RAI devono aver pensato che una tale circolazione
di idee e` tutt'altro che servile nei confronti del mutato "clima politico".
Come nelle migliori favole e` arrivata la strega cattiva piena di buoni
propositi: e cosi`... Puff!... improvvisamente Planet Rock e` stato soppres-
so. Contratti rescissi per i nuovi conduttori e nessuna spiegazione ufficia-
le. Dall'azienda solo un comunicato di stampo poliziesco, che ci riporta
indietro di oltre sessant'anni, quando esprimere le proprie idee o aderire
a una confessione religiosa era considerata un'attivita` sovversiva. D'al-
tronde secondo alcuni funzionari RAI, non ci sarebbe nulla di piu` sovversi-
vo del Rock - e chi lo dice non conosce nemmeno le sette note.
Noi di INTERFERENZE blu respingiamo con decisione questa fiera di
luoghi comuni e sollecitiamo tutte le persone che desiderano un Ente Radio-
televisivo di Stato libero e pluralista, a manifestare solidarieta` al
Planet Rock Fans Club - Tel. 0984/76336.
In secondo luogo rivolgiamo un appello a tutti i "Planetari" affinche'
vengano ad Alba alle serate musicali che abbiamo organizzato. Sara` bello,
in barba a tutti i divieti, ricordare, tramandare e ricreare, attraverso
un confronto diretto, lo stesso spirito "aperto" di Planet Rock.
Vincenzo Capitone
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AVVISO AI LETTORI
BABELICHE, le serate di ascolto e critica musicale dal vivo programmate
lo scorso Novembre, causa alluvione sono rimandate a Marzo, indicativamente
nei giorni 11-18-25 e, sempre indicativamente, seguendo lo stesso ordine
della precedente programmazione. Vi informeremo dettagliatamente nel prossi-
mo numero.
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PUNTO FUGATO - I giovani discepoli dell'acid jazz
... (continua dallo scorso numero) Da allora il movimento e` parso in
declino, specialmente per quanto riguarda le uscite della Talkin'Loud:
benche` il 1993 abbia visto l'esplosione di Jamiroquai e la comparsa dei
Mother Earth, nessuno dei due era sotto contratto con l'etichetta londinese,
le cui nuove proposte non erano, all'altezza delle precedenti. Cio` e`
testimoniato dalla nuova collection, "TALKIN'LOUD SOUND MACHINE", ben lonta-
na dalla precedente "VIBRATIONS", che presentava il meglio della prima
ondata A.J.: siamo di fronte ad una compilation pretenziosa (quasi due
ore di musica, di cui si salva poco piu` di mezz'ora) e colma di passi
falsi di stars gia` acclamate come i MARXMAN, gli YOUNG DISCIPLES e gli
INCOGNITO, e di nomi nuovi di cui francamente non si sentiva la mancanza (i
sopravvalutati nipponici UNITED FUTURE ORGANIZATION: eh, si`... ora e`
il Giappone la nuova frontiera del "genere"). Si salvano col mestiere i
pezzi nuovi di GALLIANO, mentre emergono gli URBAN SPECIES (gia` presenti
con HIDE & SEEK su "VIBRATIONS"), che con THE ROPES, riescono a mettere
splendidamente insieme un'intro di batteria jazz, un originale groove
soul-funk impreziosito da un flauto, uno spunto ragga che diventa nel finale
un dub d'antologia. Grazie al loro primo album LISTEN, la Talkin'Loud torna
a produrre qualcosa di rimarchevole: oltre alle gia` citate THE ROPES e
HIDE & SEEK (qui nobilitata da un organo molto soul) emergono la tracinante
GOTTA HAVE IT, la morbida SPIRITUAL LOVE, la title track con MC SOLAAR,
e BROTHER, che ha tutte le potenzialita` per diventare il vero inno
dell'hip-hop britannico. Cio` che piu` impressiona in Mintos, DJ Renegade
e Dr. Slim e` la loro incredibile facilita` di annullare le barriere tra
reggae, soul, funk, rap e jazz (un paio di pezzi paiono ammiccare agli
US3, come dire al jazz-rap piu` calligrafico) ed ai loro testi molto effica-
ci ed immediati, "politically correct" ma senza inutiliti velleita` predica-
torie. Vera street poetry: "listen to the plight of homeless, listen to
your heart, listen to your soul, listen to your conscience, let it take
control and just listen". Paragonati a questi Urban Species anche l'ulti-
mo "THE PLOT THICKENS" di Galliano pare perdere colpi, quantomeno sul piano
dell'immediatezza. In realta` l'album non e` male e cresce ad ogni ascolto,
ma e` sicuramente meno danzabile e piu` orientato verso il rock e i seven-
ties; come in "LONG TIME GONE", cover di David Crosby, anche se non mancano
citazioni degli Style Council (come BETTER ALL THE TIME; del resto, come
molti ricorderanno, il tastierista Mick Talbot era il secondo di Paul Weller
in quell'esperienza) e virate verso il dub (TRAVELS THE ROAD). LISTEN e
THE PLOT THICKENS a mio parere rappresentano due possibili strade cui si
trova di fronte la scena Acid Jazz: la prima porta a una piu` completa
fusione tra la black music USA, intesa nel senso piu` ampio, e le suggestio-
ni reggae, mantenendo maggiormente i contatti con il suono degli albori;
la seconda porta a cercare nel passato e nel rock nuovi stimoli per una
musica che del resto fin dagli inizi mirava ad unire il "vecchio" jazz
con i nuovi fermenti hip-hop e dance. E in Italia? Sul versante della produ-
zione discografica, come sempre da noi, non si e` mossa foglia da anni,
anche se nel 1992 si e` formata una certa audience grazie a serate "di
tendenza" in numerose discoteche semi-alternative delle grandi citta` ita-
liane: anzi, in certi ambienti e` diventato ben presto di moda "compvave
Talkin'Loud" anche senza rendersi conto che le ultime novita` dell'etichetta
non valevano poi un granche'. Hanno tentato qualcosa a partire da quegli
anni gli AEROPLANITALIANI, i RADICAL STUFF & LO GRECO BROTHERS (questi
ultimi forse i migliori selecters di Acid Jazz tra i DJ italiani), ma
solo l'EP del PAOLO ACHENZA TRIO, uscito qualche mese fa, ha raggiunto
i livelli delle produzioni d'oltremanica, tra l'altro piu` su un versante
jazz-funk classico che sulla vena soul-dance di Incognito e compagnia.
Prima o poi saltera` fuori una posse italiana autenticamente jazz-dance
e di successo? Secondo me le probabilita` sono scarse: comunque, ai posteri
l'ardua sentenza.
CORVO ROSSO
ON THE ROAD MUSIC - Marcella e i suoi giacconti
L'antico mestiere dell'artista da strada ha tra i suoi principali
rappresentanti italiani la figura del cantastorie. Se un tempo egli aveva
la funzione del giornale ambulante, raccontando in ogni piazza fatti di
cronaca ed aneddoti, oggi ha assunto differenti connotazioni. Alcuni di
essi sono commentatori sottili ed ironici e intrattengono il pubblico con
le loro storie (politica, problemi sociali, valori umani....), altri, inve-
ce, hanno conservato una vena piu` <<romantica>>, proponendo racconti e
canti della tradizione popolare alla maniera dei trovatori facendo si`
che i passanti possano sognare di essere tornati indietro di secoli: fra
questi incontriamo Marcella Pischedda e i suoi Giacconti. E la piu` giovane
dei cantastorie operante oggi sul nostro territorio.
La sua esperienza artistica per le piazze inizia nel '90 con una ricer-
ca nell'ambito della cultura popolare e medievale. Si accompagna con la
chitarra, la ghironda e dipinti che scorrono su un rullo. La sua magica
voce compenetra tutti gli elementi del suo scenario creando un'atmosfera
senza tempo e del tutto particolare. Nel suo repertorio incontriamo re,
regine, dame, cavalieri, commoventi ballate, ironici rondeau, tragedie
e storie d'amore. Brani in lingua occitana, provenzale, francese, piemontese
si alternano a leggende secolari o a fiabe piu` moderne, sempre nell'ottica
di far riscoprire a chi la ascolta il piacere della tradizione orale e
l'incantesimo che puo` creare la presenza di un cantastorie in strada.
Il suo precedente lavoro come educatrice non ha potuto farle dimenticare
l'importanza di diffondere questo tipo di cultura anche tra i piu` piccoli
in un'era dove <<l'immagine>> e` cio` che conta: ed ecco cosi` <<il castello
canta le storie>>, spettacolo per le scuole e per feste dei bambini.
Marcella ha partecipato a numerose rassegne di teatro di strada, raduni
folcloristici e feste storiche. Ad Offagna (in provincia di Ancona) ha
vinto il premio <<Menestrello '94>> con lo spettacolo Baladin che da anche
il titolo alla sua prima musicassetta.
Fate attenzione allora se capitate in qualche paese con una festa...
Chi fosse interessato puo` rivolgersi alla Sezione Musica dell'Associa-
zione Cascina Macondo: telefono 011/9411495.
Massimo Lupotti
PARALLELO ZERO - Natural born killers: film e colonna sonora
Natural Born Killers di Oliver Stone si presenta dalle prime scene
come un film violento, esasperante e modernissimo. La trama e` quella di
Mickey e Mallory che si incontrano, si sposano, viaggiano, e senza apparente
motivo uccidono in sole tre settimane 52 persone. Finiscono in carcere
e grazie ad un cinico e spregiudicato giornalista conduttore di un programma
televisivo <<American Maniacs>>, diventano eroi nazionali. Ma il soggetto
risulta essere solo l'apetto piu` superficiale, e, alla fine, rischia di
essere scontato. La critica ai media, elemento determinante dell'opera,
e` in realta` affrontata non tanto dalla rappresentazione di una storia,
ma dal film stesso in quanto media. Il risultato e` un isterico zapping
tra realta` e finzione, generi e tecniche diverse. Si passa dal colore
al bianco e nero, dal western alla situation comedy, dalla pellicola (8,
16, 35mm.) al video, alla pubblicita`, ai manga, al morphing, al trasparen-
te, all'horror alla commedia d'amore, ecc... La musica, elemento primario
e trainante, si collega perfettamente all'anarchia delle immagini. Si e`
letteralmente bombardati da una colonna sonora incessante con piu` di 75
brani diversi. Curata e prodotta da Trent Reznor (leader dei Nine Inch
Nails) presente con tre pezzi, comprende brani di: Leonard Cohen, Patti
Smith, Cowboy Junkies, Bob Dylan, Peter Gabriel, Diamanda Galas, L7, The
Dogg Pound, Puccini, Orff, Berg, Cajkovskij, Mussogsky. La musica, montata
superbamente con le immagini, ne rafforza ed esalta il significato. A volte
invece, e forse sono i momenti piu` originali, e` indipendente, creando
una forte atmosfera dell'assurdo e del grottesco. Questi momenti sublimi
sono di solito accompagnati da musica classica, giocando sul forte contra-
sto, sia con le musiche precedenti, rock prevalentemente, sia con il conte-
nuto delle immagini. Questa associazione, purtroppo viene adoperata raramen-
te, e non raggiunge mai quel mostro sacro di Arancia Meccanica che e` stato
comunque uno dei riferimenti principali di Stone durante la lavorazione.
Il disco raccoglie generosamente (Quasi 78 minuti) i brani principali del
film, conservandone spesso anche il montaggio originale. Sono anche presen-
ti, cosa piuttosto rara in genere, alcuni dialoghi e gli effetti sonori,
essendo questi inscindibili dalla musica, L'ascolto e` spesso travolto
da spari e urla, parte integrante della musica, e, privato dell'immagine,
risulta essere ancora piu` spaventoso del film.
Aigor
PUNTO FUGATO - Slackerland
IL PERSONAGGIO BECK: tra diserzione sociale ed invenzione giornalistica
<<Ho preso in mano la chitarra a 16 anni. Aveva solo due corde: la
piu` alta e la piu` bassa, mentre la musica che suonavo era situata per
lo piu` nelle corde centrali, quelle che mancavano. Successe piu` o meno
nel periodo in cui abbandonai la scuola. Mia madre non sembro` troppo con-
trariata e io smisi semplicemente di andarci. Trovai in giro dei dischi
di Woody Guthrie e passai un anno a cercare di suonare le sue canzoni.
Dopo un po' mi stufai e trovai lavoro scaricando dei camion a Watts. Con
il denaro che mi ero guadagnato viaggiai su un Greyhound attraverso il
Sud e alla fine mi ritrovai a New York. Nell'East Village mi imbattei in
gente come King Bissel; Richard Manning e il suo giro dell'anti-folk. C'era
anche un club, il Chamaleon, dove la gente era molto simpatica e la barista
mi regalava da bere anche se ero ancora minorenne. Solo allora cominciai
a suonare e comporre, perche' era quello che tutti gli altri facevano.
Fu un periodo veramente pazzo: salivo sul palco con altri tre o quattro
e per tutta al sera facevamo quel che ci passava per la mente. Era musica
folk, ma filtrata attraverso il punk e il noise>>. Colui che parla e`,
in ordine di tempo, l'ultimo dei grandi presunti punti di riferimento gene-
razionale per i nuovi ventenni d'America. Saltato fuori, quasi per caso,
dalla piu` sotterranea scena musicale statunitense, e` diventato ora, a
tutti gli effetti, uno dei personaggi piu` imprevedibilmente redditizi
per il <<corporate rock management>> americano e indiscusso fenomeno da
MTV. Per lui si sono scomodati i giornalisti delle maggiori riviste musicali
americane e non, che al solito, hanno pensato bene di dover identificare
ed inquadrare a tutti i costi lo strano caso. Tra le tante definizioni
affibiategli, ricordiamo le piu` divertenti quanto improbabili: <<il Woody
Guthrie fatto di LSD>>, <<il Dylan della Generazione X>>, <<il nipotino
cybernetico di Daniel Johnston>>. Il suo vero nome e` invece Beck o, meglio,
Beck Hansen o, meglio ancora, Beck Campbell. Proveniente dalla California,
dove e` nato 24 anni fa, Beck e` divenuto vero e proprio caso dell'anno
per le riviste specializzate di musica. Il momento chiave per capire la
sua vicenda e` probabilmente il 1991 quando Beck registra <<Loser>> che,
dopo non poche peripezie, verra` pubblicato dalla Bongload Records di Los
Angeles nel 1993. Il singolo, passando prima attraverso la programmazione
nel circuito delle radio nei college, e delle radio nazionali e distribuzio-
ne major poi, diventa in breve tempo un hit nelle classifiche di vendita.
Ma cosa aveva di tanto speciale quella canzone?
Beh, tanto per cominciare una chitarra slide con stile country su
di una base hip hop (pensate ad un improbabile incontro tra Robert Johnson
e Beastie Boys), ma soprattutto, c'e` nel testo una frase considerata da
tutti vero e proprio <<inno alla slackerness>>: <<I'm a loser baby, so
why don't you kill me?>>. A proposito di questo il giornalista Jay Stowe
scrisse: <<Un verso trainante cosi` irresistibile puo` venir fuori una
volta in un decennio, o giu` di li`. Allora, beh, saltate sul treno impazzi-
to. L'insicura gioventu` d'America non ha mai avuto un piu` assurdo -
o piu` onesto - inno (generazionale)>>.
Beck diventa cosi`, da folksinger di strada, personaggio da classifica
grazie all'interessamento della casa discografica di David Geffen e alla
benedizione di MTV ben felice di programmare in continuazione i suoi video
(Beck stesso comporra` la canzone <<MTV makes me want to smoke Crack>>
in cui, con la sua solita ironia, dice <<MTV mi fa venir voglia di fumare
crack... ogni cosa e` perfetta e splendente... mi piacciono quei video
e li guardo tutto il giorno>>.
Nei mesi successivi all'uscita di <<loser>>, e comunque nell'arco
di un solo anno, Beck pubblichera` tre album: <<Mellow Gold>> per la
DGC, <<One Foot in the Grave>> per K-Records di Olympia (Calvin John-
son -Beut Happening-) e <<Stereopathetic Soulmanure>> per l'etichetta indi-
pendente di una rivista Hardcore di Los Angeles, la Flipside.
La migliore definizione della musica di Beck arriva proprio dalle
sue parole, quando parla del nonno. Dice, infatti, di lui <<Era famoso
per ricavare oggetti artistici dall'immondizia, un po' come faccio io>>.
Cos'altro si potrebbe aggiungere ad un concetto tanto chiaro? Con la sua
personalita` eccentrica riesce a raggiungere un'improbabile combinazione
sonora di piu` elementi quali il folk, il rap, il punk, il blues, il pop,
l'utilizzo dell'armonica, di tastierine Casio e di una serie di rumori
di ogni genere (<<Se sentiro` il bisogno di suonare una chitarra elettrica
con un coltello, lo faro`>>). La maggior parte delle composizioni vengono
registrate volutamente in bassa fedelta`. Tutto questo lo abbiamo riscontra-
to pure nei suoi recenti concerti italiani dove, fin dall'inizio, Beck
ha dimostrato un amore istintivo e genuino per tutti questi diversi tipi
di musica, anche se non li riconosce come differenti. Questa e` semplicemen-
te la sua musica e, probabilmente, pure la sua visione del mondo.
Nei suoi testi c'e` tutto quanto l'immaginario, cosi` tipicamente
americano, dei nuovi giovani sfigati d'America, degli slackers. Gli elementi
caratteristica ci sono tutti: lattine di birra e di whiskey, la corvette
del vagabondo, ragazze hippy da incubo, vicini di casa camionisti, idioti
succhia anime, skaters e ragazzi sulle vecchie BMX.
Ma, in definitiva, cosa si intende per <<slacker>>? Prendiamo la
definizione dal dizionario: <<fannullone, vagabondo>>, ma anche <<apatico,
indolente>>. Le caratteristiche che li contraddistinguono sono: la loro
attitudine alla disoccupazione cronica che cessa al limite per qualche
McJob (i lavoretti precari e senza prospettiva); la loro disillusione verso
le aspirazioni della societa` americana che non condividono; si trovano
puntualmente incerti ed irrisolti davanti alle scelte e alle prospettive;
sono disimpegnati e pigri; non cercano mai di costituire una scena (vedi
Seattle o San Francisco) perche' troppo inerti ma restano sparsi e non
allineati.
Insomma, gli slackers costituiscono quella categoria di persone esclusa
dalla societa` americana cosicche' vive ai limiti di essa, e che e` proba-
bilmente sempre esistita ma che sociologi e giornalisti hanno voluto
fare, a tutti i costi, fenomeno sociale attuale e specifico. Dando per
scontato l'esistenza effettiva di una tale sottocultura, quali ne sono
stati i <<presunti>> manifesti? Sicuramente il romanzo di Douglas Coupland
<<Generation X: Tales for an Accelerated Culture>> (1991); il film di Ri-
chard Linklater <<Slacker>>.
- Ci sono stati altri musicisti che prima, e forse meglio, di Beck riusciro-
no a rappresentare in modo convincente le aspirazioni di questa nuova
generazione: pensiamo a Jay Maschis dei Dinosaur Jr e, dopo di loro, i
Sebadoh di Lou Barlow, che pure scrissero la canzone <<Losercore>>. Di
questi ultimi Beck dice: <<Mi sono accorto in ritardo di loro. Penso di
aver letto una rivista musicale e mi promisi di ascoltarli prima o poi.
Ma a quel tempo non avevo un soldo e quindi non potevo certo comprare di-
schi. Poi cominciai ad uscire con la mia ragazza che era pazza del loro
primo album <<The Freed Mau>>: era grande. Mi piacciono i testi. Non posso
ascoltare una canzone di cui non mi convinca il testo>>. Ma in America,
si sa, un fenomeno sociale e` prima o poi anche un fenomeno di mercato.
E un album di Beck e` prima di tutto un <<prodotto>> musicale. Ma Beck
si tira subito fuori e, con la sua solita ironia, dice: <<Non conosco nessu-
no della mia eta` che viva in questo modo, in questa specie di apatia,
con questa sorta di cinismo per cui pensi che tutto sia gia` stato fatto,
ho visto tutto. l'ho visto in TV, niente riesce ad impressionarmi>>. Beck
sorride e con lui la grande <<truffa del rock & roll>>.
M. P.
L'ARTE DELLA FUGA OVVERO
GLENN GOULD
La musica consegnata allo splendore di una discoteca
Sono stato, in passato, spesso affascinato dalle melodie, tristi o
decisamente allegre, andanti, dalle melodie che fuggono attraverso spazi
aperti, escono da luoghi chiusi, suonate su di una piccola spinetta o su
di un fastoso <<Steinway>>, quei fraseggi frondosi di Bach, soprattutto,
motivi incantati, che non si vorrebbe fuggissero, che giungono nelle strade
e si fanno accogliere nell'animo per un momento, per la durata di quattro
passi e finiscono per mutarsi in un sentimento di religiosa intimita`.
Questa musica ascoltata per caso, che ci e` regalata per grazia di un ascol-
tatore appassionato o d'un umile dilettante alla tastiera, nascosto lassu`
dietro qualche finestra o chiuso al riparo d'una porta in una stanza, questa
musica non resta celata, ci rende attenti, ci sensibilizza e spesso fra
innocenti dissonanze, anche il povero musicante ad un crocicchio, diventa
limpido e puro. Ci accorgiamo che <<musica>> e` sempre un messaggio che
ci parla di colui che l'ascolta e sta forse in questo, l'influenza che
hanno su di me simili suoni rubati, potrei dire laconico, che amo ascoltare
solo quello che un altro ha scelto, quello che un po' in sordina involonta-
riamente mi giunge. E la scelta del caso, l'intenzione voluta di leggere
qualcosa che altri stanno scoprendo e per ultimo la volonta` precisa, nata
anch'essa per accidente, di guardare negli altri e di sollevare un velo:
la musica come coronamento di ore solitarie. Denudare al contrario un lato
sociale, un modo di parlare anche al di la` della parola.
Accostarsi all'opera di Glenn Gould, sottintende questo tentativo
di conoscere il suo mondo e il nostro pure, di impossessarci momentaneamente
di una ricchezza, e` la gioia di renderci attenti, involontariamente piu`
sottili e desiderare l'empatia, d'essere in un angolo della stanza dove
lui stesso suonava o semplicemente dietro l'uscio suo. Trasognati. L'inten-
zione della musica, sottolineo, e` quella di ridurre <<a un unico momento>>,
tanto che l'elemento tempo nella musica e` uno solo, la musica riempie
il tempo, lo suddivide, fa si` che contenga ed evidenzi qualcosa...,
poi esiste il tempo immaginario. Suonare per un'ora vale per Glenn Gould
l'esperienza d'anni e la durata di un brano di cinque minuti, ascoltato
all'ingresso di un teatro, nel ricordo si amplia sino ad esaurire e signifi-
care uno stadio della nostra vita, quel periodo e` percio` cinque minuti
di musica e quando si pensa a quel periodo si ha di fronte sempre quei
cinque minuti di musica, e nient'altro, e` allo stesso tempo, cosi` vero
e cosi` falso.
Tutto quello che sto qui raccontando potra` apparire, me ne rendo
conto, informe, ma e` appunto tipico della musica questo esser priva di
saldi contorni e invitare a una del tutto involontaria <<sublimazione>>,
a uno stato di ampliamento dei sentimenti, di radiosita`, che richiama
per analogia lo stato gassoso di alcune sostanze chimiche.
Apertamente dichiarata, dall'altro lato, la tipica precisione matemati-
ca della notazione musicale che riesce a mantenere, unificando in un singolo
istante gli aspetti contraddittori dell'anima, in un incessante movimento,
l'intera serie (musicale) dei motivi e tuttavia a ottenere come risultante
espressiva, l'unita` di tempo. Per cui ad esempio, la sonata per pianofor-
te/violino BWV 1017 di Bach in do minore e` assunta nella sua interezza
in un momento.
In passato, nel settecento, quando questa musica veniva composta,
questo momento non era restrittivo, non costringeva il nostro orecchio
ad accordarvisi e non era limitata nel tempo, all'occasionale rivisitazione
di qualche pianista, alla quale ora ci affidiamo, era un momento significa-
tivo ovvero uno stato dal quale si effondeva una soave melodia... Non scevra
da una vena malinconica, che spinge a inventare neologismi quali <<malinco-
lodia>>, per definirla, e grazia alla sua presenza, la musica veniva
recepita con una nitida angoscia. Questa condizione non si puo` piu`
ricostruire, se questo non avviene per caso. Significa che come constata
Adorno a proposito dell'invecchiamento della musica, <<i suoni sono gli
stessi, ma e` stato rimosso il momento dell'angoscia>>, cio` e` dunque
la causa dello stare di fronte alla musica classica come di fronte a un
<<anacronismo>>. Rubare alcuni simili rari momenti, mentre si passa giu`
in strada, non e` quindi piu` un furto ma solo un risvegliare qualcosa
che gia` ci e` appartenuto e questo rubare qualcosa di proprio, e` pure
lo stato d'animo dell'interprete. Ma se nella religiosita` dell'attimo
rivissuto per una serie di circostanze, anche tramite la mano di un non
esperto pianista, e` possibile comprendere in un salto intuitivo la sostanza
da cui sono nate composizioni in se' uniche, per un prodigio dovuto piu`
a noi stessi, al nostro fluire interiore che catturato ci cattura, tutto
cio` non si verifica con un esecutore come Glenn Gould, l'arte del grande
esecutore e` un segreto latente e che pochissimi dettagli precisano, ma
e` anche sotto gli occhi di tutti.
Sicuramente il maggior interprete del Novecento, canadese, Glenn
impersona la musica classica la rarissima dote di rendere l'animo accessibi-
le agli stimoli della zona sentimental-musicale, senza esigere da parte
nostra una particolare <<Stimmung>>, cioe` creando di fronte al suo pubblico
quel momento interumano che modella l'assoluta risonanza, fa essere cento
persone un'unica persona, mettendo in scena un rapporto drammatico e reli-
gioso, penso anche ai concerti viennesi dedicati a Beethoven di Herbert
von Karajan: la stessa presa sugli animi. Ma l'ambiguita` della musica,
oscillante fra lato sociale e solitudine, e` un prestito romantico, e come
tale da noi inscindibile. Fu forse per aver questo compreso, che Gould,
nel 1964, a sorpresa, tenne a Los Angeles il suo ultimo concerto. E solo
nel privato, l'Arte della Fuga e in particolare le Variazioni Goldberg,
divennero nella loro estrema difficolta` tecnica, gli unici amati <<Klavie-
rexerzitien>> all'altezza del suo peculiare concetto di autodisciplina
e in secondo grado la maggiore realizzazione della musiliana concordanza
fra anima e precisione, la cosiddetta musica dell'anima.
Decus