Gennaio-Febbraio 1995

     Puo` sembrare singolare che sia la responsabile della grafica a scrive-
re il pezzo di apertura di una rivista che si occupa di musica. Interferenze
blu vuole parlare di musica, ma non solo. Del resto un tipo di  informazione
volta a coprire quanto piu`  e`  possibile il panorama musicale, riducendolo
spesso a mercato (perche' oggi consumiamo, e poi dimentichiamo, anche attra-
verso l'informazione, proprio quella  culturale), e` gia` ampiamente offerta
da altre riviste giustamente specializzate.
     Ci  interessa un discorso fatto con modalita` e tempi diversi,  giocato
anche sulla contraddizione e gli ossimori.  Ecco che allora anche la grafica
cerca  di  parlare  con il suo linguaggio attraverso la  scelta  dei  titoli
delle nascenti rubriche, di  un  cosi`  invece  di  cosa`, e la responsabile
grafica puo` permettersi di scrivere il pezzo di apertura.
     Si  puo` stravolgere una realta`, sapendo come stanno le cose  e  anche
come funzionano le cose? Bisogna restare sulla linea di confine. E su questa
difficile linea di confine cerchiamo di collocarci, ciascuno con la  propria
individualita`, ma tutti con  un  discorso  comune da tentare. Non opinioni,
ma cultura. Ed e` una scommessa grande, che ci mette in continua  discussio-
ne. Ma ora non solo  le  scommesse  personali,  anche  la natura ci si mette
a  renderci la vita difficile. L'alluvione di Novembre ci ha  spazzato  via,
insieme al numero gia`  bell'e  che  pronto.  Anche  Babeliche, le serate di
ascolto  e critica musicale dal vivo in programma per quel  mese  maledetto,
sono state rimandate a  Marzo.  Abbiamo  ricominciato tutto da capo, abbiamo
anche  iniziato  una campagna di sottoscrizioni sotto forma  di  abbonamento
(gia` questo numero  arrivera`  a  quanti,  incredibilmente non pochi, hanno
avuto la bonta` di darci retta, e li salutiamo, augurandoci di poter puntare
sulla nostra scommessa tutti  quanti  insieme).  E infine, dovuto e sincero,
un  grazie  a quanti si sono messi in contatto con noi e  ci  hanno  offerto
la loro  collaborazione,  di  cui  presto  vedrete  i  frutti. Buona lettura

                                                                     Emma D.




RECENSIONI - 360 gradi



                        SHANE MC GOWAN AND THE POPES
                                  The Snake
                               (Warner Music)

     L'appropiarsi  di  simboli  ed immagini religiose e`  da  sempre  stata
prerogativa di un certo  tipo  di  musica  rock.  Come se il diavolo dovesse
per forza lavare i suoi panni sporchi nell'acqua santa. Non c'e` da  stupir-
si, quindi, se il  nome  del  nuovo  gruppo  che  accompagna SHANE MC GOWAN,
nel  suo primo disco e probabilmente anche nelle birrerie di  mezza  Londra,
e` quello dei POPES ovverosia dei <<papi>>.
     L'ex-cantante dei Pogues apre le  danze in piena crisi mistico-alcooli-
ca: <<Quando  il  sacro sangue del santo spirito ribolle  nelle  vene  penso
a Gesu` crocifisso e urlo  per  la  sua sofferenza>>. Confessando in seguito
una  verita`  assai  poco  sorprendente: <<Mio padre  era  un  peccatore  ma
mia madre una santa persona ed  io  ho  rovinato la mia vita col bere>> tira
aria di autoflagellazione dunque, sembra che le sbornie di SHANE ultimamente
ispirino piu` malinconia che  gioia  di  vivere.  E  tutte le liriche di THE
SNAKE sembrano in un modo o nell'altro confermarlo. 'The Song with no  Name'
e 'That Woman's Got  Me  Drinking'  parlano  di  amori non corrisposti, 'Her
Father Didn't Like Me Anyway' di una rottura sentimentale mentre 'A  Mexican
Funeral in Paris' non ravviva l'atmosfera con la descrizione tetra e confusa
di  una cerimonia funebre nella capitale parigina. A tutto cio` fa  da  con-
trappunto la musica che accompagna le parole. Fracassona, chitarrosa, roman-
tica. Ora legata alla tradizione popolare irlandese, e qui emergono strumen-
ti come il banso e  lo  whistle,  ora alla piu` pura tradizione rock'n'roll.
Folk-punk  forgiato  con  somma dedizione artistica e con il  cuore  tra  le
mani. E' antipatico  fare  paragoni,  ma  al  confronto,  l'ultimo album dei
Pogues,  onesti  artigiani del genere, sparisce letteralmente.  Anzi:  se  a
tutti i costi si vuole  cercare  il  Pigmalione  di  Mc GOWAN, questo non va
cercato in Irlanda ma nella persona di Tom Waits, capace, forse, di tenergli
testa anche nel bere e non  solo nelle composizioni liriche cosi` struggenti
e  appassionate. Musica etnica irlandese e puro rock'n'roll fuse in un  tut-
t'uno, condite con  un'umanita`  fuori  dall'ordinario: sembra essere questo
il risultato finale di questo disco. Un ritorno gradito e qualcosa di  piu`,
insomma. Speriamo di rivedere presto Mc  GOWAN  calcare le assi di un palco-
scenico  con questo nuovo gruppo. A dicembre sara` in turne'e  in  Germania.
Chissa` che il nuovo anno non lo riporti nel nostro paese.

                                               Ken Parker '68, Lupo del Nord



                           KITCHENS OF DISTINCTION
                             Cowboys And Aliens
                             (One Little Indian)

     E'  con  grande  piacere che vi parlo di questo gruppo  che  seguo  dal
loro primo album. Un trio (basso, chitarra, batteria) che mi e` caro perche'
mi  ha  accompagnato  in un itinerario musicale in cui  loro,  a  differenza
di altri, sono rimasti  un  punto  saldo.  Quindi  e` bene chiarirlo subito,
non puo` essere il mio un approccio imparziale. Ma veniamo alla loro musica,
una musica di riverberi,  dove  i  suoni  rimbalzano  su superfici concave e
piaiono arrivare da chissa` quali distanze. La voce del cantante e  bassista
del gruppo Patrick Fitzgerald sembra essere nata per raccontare, per raccon-
tare  della quotidianita` di cui sono intrisi i loro  testi (non  lasciatevi
ingannare dal titolo), che non  e`  mai  scontata ma originale, che accoglie
in  se  elementi  di fantastico molto simile a quello che  si  puo`  trovare
nelle favole. Questo  album  sembra  godere  di  una rifinitura particolare,
per  esempio l'aggiunta di una voce femminile in sottofondo in  ben  quattro
canzoni. Il suono e` piu` controllato,  ci  sono solo due brani in cui viene
data  piu` liberta` agli strumenti specialmente in chiusura del  pezzo ('One
of those Sometimes is now', 'Prince  of  Mars').  Le canzoni di questo disco
hanno la peculiarita` di piacere da subito, anche se non perdono la caratte-
ristica principale dei pezzi dei  KITCHENS:  quella  che ce li fa apprezzare
in  modo  diverso ad ogni ascolto. In effetti le canzoni  dei  primi  lavori
del gruppo dovevano  essere  ascoltate  piu`  volte  prima che cominciassero
a lavorare, ma una volta cominciato era difficile farne a meno.
     Si  apperzza  la  ricchezza di canzoni come 'Here Come  the  Swans'  in
cui ad ogni ascolto si  scopre  qualcosa  di nuovo. Mi pare opportuno citare
ancora  un paio di canzoni che emergono dal loro  lavoro  omogeneo. 'Cowboys
and Aliens' dal  ritmo  travolgente,  dove  la  musica  ricorda vagamente le
colonne  sonore  dei film western, ma qui a cavalcare sono le  chitarre  che
si fermano solo  per  lasciare  brevi  spazi  alla  chitarra acustica e alla
voce. 'One  of  those Sometimes is now' e` una stupenda  canzone  dal  ritmo
lento con la chitarra acustica che fa da appoggio alla voce, poi all'improv-
viso si aggiungono la batteria e un'altra chitarra fino al delirante  finale
in cui le parole non servono piu`.
     Ancora un disco coinvolgente per  un  gruppo  che mi auguro non rimanga
per appassionati.

                                                               Marziobarbolo

     LP LOVE IS HELL
     LP STRANGE FREE WORLD
     LP THE DEATH OF COOL
     Sing. BREATHING FEAR
     Sing. WHEN IN HEAVEN



                                 GOD MACHINE
                     One last laugh in a place of dying
                               1994 - Fiction

     Lo  si  capiva  gia` dal primo album, SCENES FROM  THE  SECOND  STOREY.
I GOD MACHINE sono uno di  quei  rari gruppi capaci, anche dopo pochi suoni,
di  cancellare  certe recenti mediocrita`  inglesi  pretenziosamente  hard -
vedi Terrorvision e Kerbdog. E  lo  fanno proponendoci un disco ad altissima
densita` di idee. Come non riconoscere il consueto possente muro di chitarre
- 'Tremelo song' -  e  l'approccio  vocale  del  cantante,  decisamente pop.
Eppure  nulla  e`  banale e prevedibile. Nel mondo minimo  dei  GOD  MACHINE
i particolari  risultano  deformati  ed  ingranditi: 'Mama'  si fa ricordare
per  il  martellare  insistente di una nota sola, 'The devil  song'  e`  una
piena che avanza, un  tranquillo  soliloquio  che  si ingrossa di rumore. Il
senso  d'interiorita`,  che  arriva fino alla stringatezza  del  titolo  dei
brani, non si placa mai,  nemmeno  con la dolce/docile presenza degli archi.
Non  basta:  ci sono ancora le sinuose schitarrate di 'The  love  song',  il
massiccio incedere di 'The flower song', i tribalismi della batteria in 'The
hunter'  e 'Evol'  e  le onnipresenti, pulsanti linee  di  basso  dell'ormai
compianto Jimmy Fernandez -  vittima  di  un  tumore:  per questo l'album, a
lui dedicato, ha la copertina bianca. Non sara` facile trovare un  sostituto
valido per questo gruppo, in crescita esponenziale. Soprattutto sara` diffi-
cile  ricreare questo saund incomparabile. Per il momento non ci  resta  che
ascoltare ed integralmente sottoscrivere le parole scolpite da Paul Brannin-
gan - recensore di Kerrang!: A Majestic Opus!.

                                                           Vincenzo Capitone



                                  GERMINALE
                                  Germinale
                        (Mellow Records, Italia 1994)

     "... fanciulli sballottati tra le onde e portati qua e la` da qualsiasi
vento  di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro  astuzia
che tende a trarre all'errore..." (Ef. 4,14)
     Si puo` avere  vent'anni  ed  amare  svisceratamente  gli anni '70, dal
punto  di  vista musicale s'intende? Parrebbe di si`, questa  e`  almeno  la
risposta che ci danno questi  ragazzi raggruppati sotto l'affascinante sigla
GERMINALE.  Diciamo  subito  che vi sono anche altri gruppi  in  Italia  che
seguono lo stesso filone,  ed  alcuni  sono  gia`  apparsi in queste pagine;
ma  il  fatto  che ne saltino fuori continuamente dei  nuovi  e`  senz'altro
positivo. La musica di questo combo  pisano ricorda molto da vicino le espe-
rienze  di gruppi sepolti nel dimenticatoio, quali Biglietto  per  l'Inferno
e Pierrot Lunare - tanto  per  restare  i  Italia - oltre ai soliti Genesis,
Jethro Tull & co. Pesantemente seventies, dunque, come detto. Eppure, quella
pacata atmosfera di dolce pessimismo  che pervade l'opera sembra attagliarsi
perfettamente  all'epoca  in cui viviamo, dominata da  insicurezze  e  paure
del domani. Soltanto  un'impressione  cutanea,  probabilmente, poiche` anche
le tematiche proposteci nei testi contengono parecchi richiami ad ere lonta-
ne: vedi le  bifocali 'La  Strega'  ed 'Il  Mago',  naturalnente i due pezzi
piu`  in  evidenza,  che si autoconfrontano per confondersi  in  un  ritorno
al medioevo annunciato  e  replicato  nel  successivo 'Guardiano dei Cieli',
anch'esso  pezzo  degno di menzione. Peccato per un testo -  ed  un  titolo-
fortemente retorico: e per chi  non  avesse capito il riferimento, la dedica
finale  a Tony (Banks) & Mike (Rutherford) dissipa ogni  dubbio (i  Genesis?
Massi`!). Ragazzi, lasciate in pace i dinosauri del paleolitico progressivo,
e fate di testa vostra, i mezzi li avete; o no?

                                                                          io



____________________________________________________________________________
|                                                                          |
|                                                                          |
|                                                                          |
|                      ONE OF THOSE SOMETIMES IS MINE                      |
|                                                                          |
|                             No silver of moon                            |
|                          The dark hurts my eyes                          |
|                      Dream-chimed awake, solemnized                      |
|                                                                          |
|                           Counting the breaths                           |
|                          That threaten the calm                          |
|               Cos you're not here and it's too late to call              |
|                                                                          |
|                     Crel scenes of how bad I've been                     |
|                     Pulled low, oh how could I know?                     |
|                            Fogs, voices, tears                           |
|                                                                          |
|                       Sometimes I lie shaken awake                       |
|                   Blistered with crazy thoughts of you                   |
|                        And a hundred ways to lose                        |
|                       Sometimes sense is too remote                      |
|                      Dark stars threaten to conspire                     |
|                         They scare like your eyes                        |
|                       One of those sometimes is now                      |
|                                                                          |
|                            Waiting for safety                            |
|                         In the solace of the sun                         |
|                  When the fevers of love are driven home                 |
|                                                                          |
|                              Help me forget                              |
|                           The last touch of you                          |
|                  I can't believe I didn't say I love you                 |
|                                                                          |
|                        Sometimes I feel such shame                       |
|                         Lost words, hide my eyes                         |
|                          I'm not myself with you                         |
|                        Sometimes I feel such blame                       |
|                         How could I ever explain?               l        |
|                    When one of those sometimes is now.      u            |
|                                                         d                |
|                                                     i                    |
|                                                 b                        |
|                                             r                            |
|                                         i                                |
|                                     a                                    |
|                                                                          |
|                             v                                            |
|                        e                                                 |
|                    n                                                     |
|                t     UNO DI QUEI TALVOLTA E` ADESSO                      |
|            i                                                             |
|        s                Nessun frammento di luna                         |
|                     L'oscurita` mi ferisce gli occhi                     |
|              Destato dallo scampanio dei sogni, solennizzato             |
|                                                                          |
|                            Contando i respiri                            |
|                          Che minacciano la calma                         |
|           Perche' non sei qui ed e` troppo tardi per telefonare          |
|                                                                          |
|                Scene crudeli di quanto sono stato cattivo                |
|                Trascinato in basso, oh come potevo saperlo               |
|                           Nebbie, voci, lacrime                          |
|                                                                          |
|                     Talvolta giaccio sveglio turbato                     |
|                      Abraso da pazzi pensieri di te                      |
|                  E un centinaio di strade per smarrirsi                  |
|                   Talvolta il senso e` troppo distante                   |
|                   Stelle oscure minacciano una congiura                  |
|                       Sgomentano come i tuoi occhi                       |
|                      Uno di quei talvolta e` adesso                      |
|                                                                          |
|                          Aspettando la salvezza                          |
|                           Nel conforto del sole                          |
|               Quando le febbri d'amore sono condote a casa               |
|                                                                          |
|                           Aiutami a dimenticare                          |
|                            L'ultimo tuo tocco                            |
|               Non posso credere che non ti ho detto ti amo               |
|                                                                          |
|                     Talvolta provo una tale vergogna                     |
|                    Parole perse, nascondono gli occhi                    |
|                         Non sono me stesso con te                        |
|                     Talvolta provo una tale vergogna                     |
|                        Come potro` mai spiegarlo?                        |
|                  Quando uno di quei talvolta e` adesso.                  |
|                                                                          |
|                                                                          |
|                                                                          |
|Testo di Patrick Fitzgerald tratto dall'LP COWBOYS AND ALIENS dei KITCHENS|
|OF DISTINCTION - Trad. Marziobarbolo                                      |
|                                                                          |
|                                                                          |
|__________________________________________________________________________|




                            QUASAR LUX SYMPHONIAE
                                   Abraham
                                 (WMMS 1994)

     Tanto tuono` che piovve. Mi sembra questo il modo migliore per iniziare
a  disquisire  su tale ABRAHAM, prima fatica dei Q.L.S.,  da  parecchi  mesi
annunciata ed ora  giunta  finalmente  alle  nostre  orecchie.  Gia` il demo
tape  LIVE  DREAMS del 1992 aveva lasciato intravedere le notevoli  doti  in
pectore del gruppo di  Codroipo;  il  fatto,  poi,  di voler esordire con un
doppio Cd concept la dice lunga sulla sua chiarezza di idee.
     Ed  e` subito capolavoro, o quasi; sicuramente, e` un  disco  destinato
agli annali del prog  italiano  degli  anni `90,  accanto  a quelli di Nuova
Era, Men of Lake e Deus ex Machina.
     Si  narra, l'avrete capito, la vita di Abramo, con tanto  di  citazioni
bibliche; ma e` certamente la parte  musicale quella piu` ricca di sorprese,
in  quanto combina in modo straordinariamente perfetto ingredienti  svariati
nonche' molto lontani fra di  loro  nel  tempo;  cio` crea una situazione di
travaglio  mistico e distacco quasi totale dalla realta` nell'animo  di  chi
ascolta. Dalla moderna cattiveria di 'What  Rights Has My Soul?' al romanti-
cismo  incontaminato  di 'Sarah's  Lament'  e 'Trembling  Star';  dal   rock
lirico ("che!?") della conclusiva 'Resurrection'  e  degli interventi vocali
di  Dio (in arte Giorgio Turcati) - spesso sottolineati dalla  presenza  dei
cori polifonici -  alla  splendida 'Night  Lovers  Silhouettes',  dal sapore
quasi  floydiano grazie ai vocalizzi di Annalisa "Sarah" Malvasio,  qualcosa
piu` di un allieva  della  Liza  Strike  fluttuante sulla Faccia Scura Della
Luna. Ed ancora: la tetra 'Berit'; 'Sodom', che tra percussioni afro-asiati-
che ci propone un  memorabile  duetto  tra  Abramo  e  il Creatore, in veste
di giustiziere!
     Potrei  continuare  ancora  per un pezzo, ma mi sono  accorto  che  sto
elencando quasi tutti  i  brani  del  disco... Percio` preferisco concludere
con  una notazione curiosa. Come i "maestri ossianici" Jacula e Devil  Doll,
anche i Q.L.S. fanno uso - seppur sporadico - di armonie estremamente disso-
nanti  che  un tempo (Medioevo e giu` di  li`)  venivano  definite "Diabulus
in musica", proprio per la loro "diabolica" sgradevolezza, all'epoca assolu-
tamente proibite. Anche questo torna ad onore del gruppo e della sua  ottima
preparazione  musicale (e  segnatamente   del   tastierista  Paolo  Paroni).
Un'altra  perla,  forse  la  piu` rilucente, da  aggiungere  al  gia`  ricco
diadema di Peter Wustmann  e  della  sua  WMMS;  da  oggi Asgard, Court, Mad
Puppet & C. sono in piu` che buona compagnia.

                                                                          io



                              VINICIO CAPOSSELA
                                Camera a Sud
                                    (CGD)

     Il  verso  melodico  non prevede forzature. Il ritmo  del  racconto  e`
intimo tutte le storie raccontate sono filtrate in similitudine: realta`-in-
timita` di Vinicio. Il verso scorre: la voce italiana e la musica si spalan-
ca in una Camera a Sud. Dove  la  vita  e` piu` lenta c'e` tempo per l'amor,
per il son, per la fuga dell'anima. Si gusta il vino che si mesce, il fresco
del lino, ci si prepara ad amar, danzar. Son le parole che svelano le storie
e  la musica le trasporta lontano da queste pareti italiane, sotto un  cielo
di Patagonia. L'unione di una  musica  ricca di riferimenti esterni o meglio
esteri  con  elementi e caratteristiche italiane: la musica  ma  soprattutto
l'utilizzo della  lingua  italina  e  del  suo  verseggiare e` un'operazione
riuscita  a  pochi in Italia e i grandi riferimenti  si  illuminano  subito:
Paolo Conte, Fred Buscaglione. La rima e l'assonanza sono parte inscindibile
di  un  verseggiare intimamente legato alla musica che a  volte  son  scelte
apposta parole con sonorita` spagnoleggianti o del tutto inventate: diziona-
rio d'immigrato. Aria di ventaglio, i riferimenti musicali non son nascosti,
anzi aumentano: i maestri lontani e vicini: si vola a Cuba e in Sud America:
el mambo, bossanova e abbiamo forse un walzer: 'Zampano`'? Notevoli i  musi-
cisti: compagni dei primi  tra  cui  giu`  il cappello: Jimmy Villotti (<<Il
mio  chitarrista>>  Paolo Conte) e Ellade Bandini (batteria).  Si  squassano
le parole in un ritmo  di  un  altro  tempo  di  un altro spazio e il colore
caldo  di  alcune canzoni si unisce a lente emozioni  di  ballate:  racconti
di chansonnier. L'ironia e  l'autoironia  di  chi  sa  dir: <<son ghiro e mi
ritiro>>;  dopo  le ufficialita`-banalita` della vita quotidiana:  la  carta
da bollo per  ogni  diritto,  solo  a  volte  trova  il  mondo delle note in
contrappunto,  in  parallelo. <<Pagliacci unti col codino/  Mercedes  bianca
e l'orecchino/ manco l'estasi vi leva/ il portamento contadino>>, disartico-
lato  hammond, nere percussioni, per la sua aristocratica e primitiva  forma
colpisce piu` di un rap.  Piccola  intusione: ho voluto marcare l'attenzione
sulla  poetica della musica e della parola di Vinicio:  qualita`  indiscussa
per il rispetto di ambedue  gli  elementi  in questo album ancora crescente.
Il branco non aspetta che passar ma .... Vinicio. Complimenti.

                                                                      Johnny



                                  OFFSPRING
                                    Smash
                               1994 - Epitaph

     Alcune  bands  scrivono canzoni. Altre solo una  collezione  di  riffs.
Gli OFFSPRING compongono schegge impazzite-cariche di nitroglicerina, sudore
e  grinta di punk-rock anni 90! SMASH e` e sara` una vera e  propria  pietra
miliare del punk. Un  vero  ciclone  di ritmi forsennati, cori pop-orinted -
tipo  Nirvana, per intenderci - chitarre a tutto volume, energia da  vendere
ed un innato amore per la melodia.  E qua e la` elementi di ska (!?) - 'What
happened to you?', pop, ritornelli orecchiabilissimi e furberie a` la Pixie-
s. Memorabili 'Self esteem', 'Bad habit' e  l'anfetaminico, a prova di pogo,
singolo 'Come  out and play'. L'atmosfera che si respira tra le  quattordici
tracce e` di  esasperata  elettricita`,  di  energia  quasi fisica, ma anche
di  freschezza  e  di voglia di divertirsi e  divertire,  senza  compromessi
di alcun genere. E allora  ecco brani come 'Nitro', 'Gotta get away', 'Geno-
cide', e 'Something to believe', da urlare a squarciagola insieme ai quattro
scatenatissimi punk-rockers.  Ottima  anche 'Killboy  powerhead',  cover dei
Didjits  e  le conclusive 'So alone', 'Not the one'  e 'Smash'.  Insomma  un
vero e proprio capolavoro, importante  come fu, fatte le debite proporzioni,
l'esplosivo "Nevermind" dei Nirvana. Infatti, che fosse un momento di grazia
per il punk lo si  era  intuito  da  un  po'  di  tempo, ma che stessimo per
assistere  ad  un'ennesima esplosione di tali sonorita`  su  vasta  scala...
beh, forse era un po' troppo  anche  per i piu` ottimisti. E invece... sulla
spinta  degli  OFFSPRING, incredibilmente Top-10 negli USA,  ecco  esplodere
i Green Day, seguiti a  ruota  dagli  ottimi  NOFX,  dai Down by Law e dagli
intramontabili Bad Religion.
     C'e`  solo  da  augurarsi che troppo successo non  diventi  nocivo  per
le bands e per una  scena  musicale  finalmente  vera  e non solo presunta o
del  tutto  inventata -  robaccia tipo Dodge o New wave of the  new  wave  o
altre amenita` spacciate da Melody  Maker  e New Musical Express settimanal-
mente -  e sperare di essere di nuovo di fronte ad un "1994 - The year  punk
broke!". Hasta la vittoria, sempre!

                                                                       Axiom



                                COP SHOOT COP
                                  "Release"
                             (CD, Big Cat, 1994)

     Dischi come questo paiono  fatti  apposta  per sbugiardare quei critici
spocchiosi e quelle ineffabili popstars (tanto per non far nomi, Mr.  Sting)
che affermavano  e  affermano,  come  Mose'  dal  monte  Sinai, "Il  Rock e`
conservatore, e` praticamente morto". Infatti questi newyorkesi sono riusci-
ti nell'impresa di suonare davvero  originali, pur operando una virata dalla
sperimentazione  a  un tipo di musica certamente  piu`  accessibile.  Giunti
al quarto album, hanno  integrato con un chitarrista-trombettista l'insolita
formazione  base (due  bassi, un campionatore e una batteria)  sfornando  un
album veramente intrigante,  anche  se  difficilmente  classificabile tra le
miriadi di generi del rock. Il sound e` percussivo e monolitico ma  percorso
da frequenti interventi  di  piano  e  fiati (ascoltate 'It  Only Hurts When
I Breathe' e 'Last Legs', quest'ultima ideale colonna sonora di un  telefilm
poliziesco del 2020); quando il ritmo rallenta, parte una ballad anticonven-
zionale,  quasi "malata"  ma  affascinante ('Lullaby'). La  voce,  piu`  che
cantare, narra alla maniera di  Henry Rollins storie di alienazione metropo-
litana ('Slackjaw'), di amori finiti male, di vite da dropouts, con  accenti
di pessimismo, plumbea  rassegnazione  e  disincantato  cinismo, tra l'altro
molto  ben  rappresentati  anche dai colori del  booklet  illustrativo.  Tra
battute al  vetriolo (<<Sei  divertente  come  una  banca>>, <<Ho finalmente
capito  quello  che  ti manca: un'anima>>)  e  spunti  autoironici (stupendo
il testo di Any Day  Now)  i  COP  SHOOT  COP si candidano autorevolmente al
ruolo  di nuovi guru della New York alternativa. C'e` inoltre da  dire  che,
se volessero, potrebbero  aspirare  anche  al  grande  successo di pubblico:
pur ricordandomi i Primus nell'attitudine e nel ruolo del basso (dei  bassi,
in questo caso), le loro tracks potrebbero benissimo comparire nella colonna
sonora dei milioni di giovani USA che hanno comprato, per esempio,  "Meanti-
me", degli  Helmet,  oggi  molto  piu`  estremi.  Ah,  se  MTV si accorgesse
di  loro... (comunque  loro,  probabilmente,  le  sputerebbero  in  faccia).

                                                                 Corvo Rosso



                                LOUSIANA RED
                             Sing the blues...+
                                (Blue Sting)

     Siamo di  fronte  a  un  personaggio  strano,  forse leggendario (lo e`
per  la ristretta cerchia di appassionati), certamente  singolare.  Irverson
Minter,  classe  1936,  nato  a  Vicksburg,  Mississippi,  in  arte LOUSIANA
RED (oppure  Cryin' Red, Playboy Fuller, Rocky Fuller, Guitar  Red,  Walkin'
Slim ed una mezza  dozzina  di  altri  nomi)  e`  una persona molto distante
dalla  figura di artista convenzionale. Cosa non nuova nel mondo del  blues,
il nostro beniamino ha  avuto  una  vita  tutta  particolare, infatti non si
puo`  certo  dire che sia nato in condizioni agiate. Adepto,  suo  malgrado,
del famoso trittico del blues, che si puo` riassumere:
     a) lavoro: lavoro`  infatti  in  una  piantagione svolgendo le mansioni
del raccoglitore di cotone;
     b) carcere. che visito` per non si sa quali misfatti;
     c)  viaggio:  le  ferrovie  americane ebbero ed  hanno  in  piacere  di
ospitarlo per parecchio tempo;
     LOUISIANA RED e`, tuttavia, piu` conosciuto in Europa che negli States.
Chissa` perche'?
     Con  una vita cosi` non poteva di certo fare il cantante  di  operetta,
infatti il suo  blues  e`  duro,  spigoloso,  risente  molto delle sonorita`
del  Delta, da cui egli stesso proviene. E` molto particolare  la  sonorita`
che riesce ad ottenere con la  chitarra, con quelle corde pizzicate, tormen-
tate,  che ricordano Muddy Waters. A mio parere riesce a  trasportare  nelle
sue canzoni le emozioni  ed  amarezze  di  un'esistenza  non facile anche se
la  sua  carriera di artista non sempre e` stata limpida. Ma si sa,  chi  ha
visto la fame molto da vicino  accetta qualche compromesso piu` di non dover
piu` patire, e non mi sento proprio di condannare le sue scelte. Consigliato
ai bluesofili e a  coloro  che  amano  la  musica che scaturisce dai muscoli
stanchi. Buon ascolto.

                                                               T-Bone Malone




PUNTO FUGATO - Non chiamateli outsiders!

     Il 1994 musicale ha inesorabilmente chiuso i battenti.
     ... Ed ora state aspettando  che  vi  propini la solita, lagnosa super-
classifica  dei  migliori  dischi - o gruppi -  dell'anno.  Non  lo  faro` -
stravincerebbero comunque Soundgarden  e  Senser:  vedi  Interferenze blu n.
3  e 4. Mi limitero` a lasciarvi qualche appunto sperando che  lo  captiate.
La prima chiosa  dell'annata  e`  obbligatoriamente  dedicata  ai BIG CHIEF,
formazione  di  Detroit, venuta consistentemente alla ribalta  con  l'ultimo
Platinum jive: greatest hits 1969/1999. L'ironica finzione del titolo risul-
ta programmatica. Il gruppo, una vera macchina del tempo, ha una primordiale
anima 'dura' che di volta in  volta  si  stempera docilmente nei generi piu`
disparati:  basti  qui citare le robuste iniezioni  di  funk (lo  testimonia
pure la collaborazione con la cantante  nera Thornetta Davis), di rap acida-
mente  interpretato  o  perfino di strani intermezzi  ossessivi  tipici  dei
polizieschi americani. Ogni brano ha  uno  stile a se`. Semplicemente fonda-
mentale. Non meno efficaci risultano i losangelini DOWNSET, sostenuti  dalle
lucide mitraliate  verbali  del  rapper (!?)  Ray  Anthony  Oropeza  e da un
hardcore  compatto e senza troppi fronzoli. Sembrano banali, neppure  troppo
originali. Eppure, ogni volta,  partendo  magari  da una scarna introduzione
di  basso  sanno proporci curiose - e pesanti - reazioni  sonore  a  catena.
Piccoli e sempre piacevoli "big bang".
     Una nota  di  merito  pure  per  Ignaurus,  semisconosciuto disco degli
INTRO ANOTHER. Autori di un hard strutturalmente complesso (non piu` hardco-
re), graziosamente annebbiato da un  innato  amore  per  le melodie e per le
atmosfere acustiche. Importante durante l'ascolto "affidarsi" alla strepito-
sa voce del cantante Richie  Birkenhead,  che  sa  via via scandire i tempi.
Ogni  brano e` infatti l'assemblaggio di molte  idee  lentamente "scavate" -
proprio come i compagni  di  scuderia  ICEBURN -  e racchiuse sotto forma di
canzone. Ultimo disco che vi segnalo, non certamente per importanza, l'opera
prima dei KORN. Ovvero della  paura.  La  chitarra e il basso macinano trame
oscure  ed estreme, spesso incorniciati da inserti rumorosi  e  tecnologici.
Un nido di tensione  in  cui  vive  l'incubo  di una voce lamentosa (ricorda
quella  di Trent Reznor dei NINE INCH NAILS), riflessiva, a tratti  un  urlo
allucinato.  Oppressiva  verbalizzazione  di  complicati  rapporti familiari
(padre-figlio).  Un  dramma che si fa musica. Una cornamusa  che  dolcemente
sembra spezzare questa routine.  Poi  di  nuovo  ritornano i ritmi del buio.
L'avrete  capito.  Il  1994 e` stato ancora una volta  un  anno  ricchissimo
di novita`. Sempre sotto il segno della contaminazione.

                                                           Vincenzo Capitone



             __________________________________________________
             |                                                |
             |                INTERFERENZE blu                |
             |           rivista di cultura musicale          |
             |                                                |
             |      P.zza Garibaldi, 3 - 12051 Alba (CN)      |
             |     Tel. 0173/362041-281917 Fax 0173/297001    |
             |Distribuzione Telematica 2:334/108.9@Fidonet.org|
             |                                                |
             |              Direttore Editoriale:             |
             |                  gianni corino                 |
             |                                                |
             |                 Capi Redattori:                |
             |                 gianni borello                 |
             |               emanuele giaccardi               |
             |                 beppe marchisio                |
             |                                                |
             |                   Redattori:                   |
             |                  beppino costa                 |
             |                mauro decastelli                |
             |                  paolo foglino                 |
             |                massimo giachino                |
             |                  mauro piazza                  |
             |                                                |
             |            Responsabile Telematico:            |
             |                 matteo calorio                 |
             |                                                |
             |                 Collaboratori:                 |
             |     associazione culturale Cascina Macondo     |
             |                  igor mendolia                 |
             |                andrea marcarino                |
             |                                                |
             |                    Grafica:                    |
             |                 elisa giaccardi                |
             |                                                |
             |                 Impaginazione:                 |
             |                  sandro corino                 |
             |________________________________________________|




                       CHI HA INCASTRATO PLANET ROCK?

     C'era  una  volta su Raidue - e adesso non c'e` piu` -  una  benemerita
trasmissione musicale che contava ogni  sera oltre mezzo milione di ascolta-
tori:  si  chiamava "Planet  Rock". un programma in  cui  i  conduttori  non
erano comuni deejay, ma  veri  giornalisti esperti di musica internazionale.
E proprio la musica ha avuto il ruolo centrale: concerti dal vivo in  diret-
ta, le ultime uscite  discografiche,  ma,  al  tempo stesso, il contatto con
le  realta`  piu` variegate e sotterranee del rock - e non solo  quello.  Il
pop inglese, il rap  dei  ghetti,  il  metal  scandinavo, le posse italiane,
potevano,  come testimoni di cultura realmente diverse, simbolicamente  con-
vergere, confrontarsi e diffondersi  nell'etere  italiano. Planet Rock, nato
nel  1986 -  in origine si chiamava "Stereodrome" - e` diventata  a  poco  a
poco la trasmissione preferita  di  coloro - soprattutto giovani - che amano
ascoltare le buone canzoni, ma non le recepiscono in modo passivo e  acriti-
co. Ogni ascoltatore poteva  partecipare direttamente inviando idee, rifles-
sioni, suggerimenti o anche un semplice saluto. In breve un servizio pubbli-
co, fonte di informazione per  il  cittadino.  Troppo bello per essere vero.
I  nuovi  vertici della RAI devono aver pensato che  una  tale  circolazione
di idee e` tutt'altro che servile nei confronti del mutato "clima politico".
Come  nelle  migliori favole e` arrivata la strega cattiva  piena  di  buoni
propositi: e cosi`... Puff!... improvvisamente Planet Rock e` stato soppres-
so. Contratti rescissi per i nuovi conduttori e nessuna spiegazione ufficia-
le. Dall'azienda solo un  comunicato  di  stampo  poliziesco, che ci riporta
indietro  di oltre sessant'anni, quando esprimere le proprie idee o  aderire
a una confessione religiosa  era  considerata un'attivita` sovversiva. D'al-
tronde secondo alcuni funzionari RAI, non ci sarebbe nulla di piu` sovversi-
vo del Rock - e chi lo dice non conosce nemmeno le sette note.
     Noi di  INTERFERENZE  blu  respingiamo  con  decisione  questa fiera di
luoghi comuni e sollecitiamo tutte le persone che desiderano un Ente  Radio-
televisivo di  Stato  libero  e  pluralista,  a  manifestare solidarieta` al
Planet Rock Fans Club - Tel. 0984/76336.
     In secondo luogo rivolgiamo un appello a tutti i "Planetari"  affinche'
vengano ad Alba alle serate  musicali  che abbiamo organizzato. Sara` bello,
in  barba  a tutti i divieti, ricordare, tramandare e  ricreare,  attraverso
un confronto diretto, lo stesso spirito "aperto" di Planet Rock.

                                                           Vincenzo Capitone



____________________________________________________________________________

AVVISO AI LETTORI

BABELICHE,  le  serate di ascolto e critica musicale  dal  vivo  programmate
lo scorso Novembre, causa alluvione  sono rimandate a Marzo, indicativamente
nei  giorni  11-18-25 e, sempre indicativamente, seguendo lo  stesso  ordine
della precedente programmazione. Vi informeremo dettagliatamente nel prossi-
mo numero.
____________________________________________________________________________




PUNTO FUGATO - I giovani discepoli dell'acid jazz

     ... (continua dallo  scorso numero) Da allora il movimento  e` parso in
declino, specialmente  per  quanto  riguarda  le  uscite  della Talkin'Loud:
benche`  il  1993 abbia visto l'esplosione di Jamiroquai e la  comparsa  dei
Mother Earth, nessuno dei due era sotto contratto con l'etichetta londinese,
le  cui  nuove  proposte non erano, all'altezza delle  precedenti.  Cio`  e`
testimoniato dalla nuova collection, "TALKIN'LOUD SOUND MACHINE", ben lonta-
na  dalla  precedente "VIBRATIONS",  che presentava il  meglio  della  prima
ondata A.J.:  siamo  di  fronte  ad  una  compilation pretenziosa (quasi due
ore  di  musica,  di cui si salva poco piu` di mezz'ora) e  colma  di  passi
falsi di stars gia`  acclamate  come  i  MARXMAN,  gli YOUNG DISCIPLES e gli
INCOGNITO, e di nomi nuovi di cui francamente non si sentiva la  mancanza (i
sopravvalutati nipponici  UNITED  FUTURE  ORGANIZATION:  eh,  si`...  ora e`
il  Giappone  la nuova frontiera del "genere"). Si salvano  col  mestiere  i
pezzi nuovi di GALLIANO,  mentre  emergono  gli URBAN SPECIES (gia` presenti
con  HIDE &  SEEK su "VIBRATIONS"), che con THE ROPES,  riescono  a  mettere
splendidamente  insieme  un'intro  di  batteria  jazz,  un  originale groove
soul-funk impreziosito da un flauto, uno spunto ragga che diventa nel finale
un dub d'antologia. Grazie al loro  primo album LISTEN, la Talkin'Loud torna
a  produrre  qualcosa di rimarchevole: oltre alle gia` citate  THE  ROPES  e
HIDE & SEEK (qui nobilitata da un  organo molto soul) emergono la tracinante
GOTTA  HAVE  IT, la morbida SPIRITUAL LOVE, la title track  con  MC  SOLAAR,
e BROTHER,  che  ha  tutte  le  potenzialita`  per  diventare  il  vero inno
dell'hip-hop  britannico. Cio` che piu` impressiona in Mintos,  DJ  Renegade
e Dr. Slim e` la  loro  incredibile  facilita`  di annullare le barriere tra
reggae,  soul,  funk,  rap e jazz (un paio di pezzi  paiono  ammiccare  agli
US3, come dire al jazz-rap piu` calligrafico) ed ai loro testi molto effica-
ci ed immediati, "politically correct" ma senza inutiliti velleita` predica-
torie. Vera street poetry:  "listen  to  the  plight  of homeless, listen to
your  heart,  listen to your soul, listen to your conscience,  let  it  take
control and just listen".  Paragonati  a  questi Urban Species anche l'ulti-
mo "THE PLOT THICKENS" di Galliano pare perdere colpi, quantomeno sul  piano
dell'immediatezza. In realta` l'album non e`  male e cresce ad ogni ascolto,
ma  e` sicuramente meno danzabile e piu` orientato verso il rock e i  seven-
ties; come in "LONG TIME GONE", cover  di David Crosby, anche se non mancano
citazioni  degli  Style Council (come BETTER ALL THE TIME; del  resto,  come
molti ricorderanno, il tastierista Mick Talbot era il secondo di Paul Weller
in  quell'esperienza)  e virate verso il dub (TRAVELS THE  ROAD).  LISTEN  e
THE PLOT THICKENS a  mio  parere  rappresentano  due possibili strade cui si
trova  di  fronte  la scena Acid Jazz: la prima porta a  una  piu`  completa
fusione tra la black music USA, intesa nel senso piu` ampio, e le suggestio-
ni  reggae,  mantenendo maggiormente i contatti con il suono  degli  albori;
la seconda porta a cercare  nel  passato  e  nel  rock nuovi stimoli per una
musica  che  del  resto fin dagli inizi mirava ad unire  il  "vecchio"  jazz
con i nuovi fermenti hip-hop e dance. E in Italia? Sul versante della produ-
zione  discografica,  come sempre da noi, non si e` mossa  foglia  da  anni,
anche se nel 1992  si  e`  formata  una  certa  audience grazie a serate "di
tendenza"  in numerose discoteche semi-alternative delle grandi citta`  ita-
liane: anzi, in certi  ambienti  e`  diventato  ben presto di moda "compvave
Talkin'Loud" anche senza rendersi conto che le ultime novita` dell'etichetta
non valevano poi un  granche'.  Hanno  tentato  qualcosa a partire da quegli
anni  gli  AEROPLANITALIANI,  i RADICAL STUFF & LO  GRECO  BROTHERS  (questi
ultimi forse i  migliori  selecters  di  Acid  Jazz  tra  i DJ italiani), ma
solo  l'EP  del  PAOLO ACHENZA TRIO, uscito qualche mese  fa,  ha  raggiunto
i livelli delle produzioni  d'oltremanica,  tra  l'altro piu` su un versante
jazz-funk  classico  che  sulla vena soul-dance di  Incognito  e  compagnia.
Prima o poi  saltera`  fuori  una  posse  italiana autenticamente jazz-dance
e di successo? Secondo me le probabilita` sono scarse: comunque, ai  posteri
l'ardua sentenza.

                                                                 CORVO ROSSO




ON THE ROAD MUSIC - Marcella e i suoi giacconti

     L'antico mestiere  dell'artista  da  strada  ha  tra  i suoi principali
rappresentanti  italiani la figura del cantastorie. Se un tempo  egli  aveva
la funzione del  giornale  ambulante,  raccontando  in  ogni piazza fatti di
cronaca  ed  aneddoti, oggi ha assunto differenti  connotazioni.  Alcuni  di
essi sono commentatori sottili  ed  ironici  e intrattengono il pubblico con
le loro storie (politica, problemi sociali, valori umani....), altri,  inve-
ce, hanno  conservato  una  vena  piu` <<romantica>>,  proponendo racconti e
canti  della  tradizione  popolare alla maniera dei  trovatori  facendo  si`
che i passanti possano  sognare  di  essere  tornati indietro di secoli: fra
questi incontriamo Marcella Pischedda e i suoi Giacconti. E la piu`  giovane
dei cantastorie operante oggi sul nostro territorio.
     La sua esperienza artistica per le piazze inizia nel '90 con una ricer-
ca  nell'ambito  della cultura popolare e medievale. Si  accompagna  con  la
chitarra, la ghironda e  dipinti  che  scorrono  su  un rullo. La sua magica
voce  compenetra  tutti gli elementi del suo scenario  creando  un'atmosfera
senza tempo e  del  tutto  particolare.  Nel  suo repertorio incontriamo re,
regine,  dame,  cavalieri,  commoventi ballate,  ironici  rondeau,  tragedie
e storie d'amore. Brani in lingua occitana, provenzale, francese, piemontese
si alternano a leggende secolari o a fiabe piu` moderne, sempre  nell'ottica
di far riscoprire a  chi  la  ascolta  il  piacere  della tradizione orale e
l'incantesimo  che  puo`  creare la presenza di un  cantastorie  in  strada.
Il suo precedente lavoro  come  educatrice  non  ha potuto farle dimenticare
l'importanza  di diffondere questo tipo di cultura anche tra i piu`  piccoli
in un'era dove <<l'immagine>> e` cio` che conta: ed ecco cosi` <<il castello
canta  le  storie>>,  spettacolo  per le scuole e  per  feste  dei  bambini.
Marcella ha partecipato  a  numerose  rassegne  di  teatro di strada, raduni
folcloristici  e  feste  storiche. Ad Offagna (in provincia  di  Ancona)  ha
vinto il premio <<Menestrello '94>> con  lo  spettacolo Baladin che da anche
il titolo alla sua prima musicassetta.
    Fate  attenzione  allora se capitate in qualche paese con  una  festa...
    Chi fosse interessato puo`  rivolgersi alla Sezione Musica dell'Associa-
zione Cascina Macondo: telefono 011/9411495.

                                                             Massimo Lupotti




PARALLELO ZERO - Natural born killers: film e colonna sonora

     Natural Born Killers  di  Oliver  Stone  si  presenta dalle prime scene
come  un  film violento, esasperante e modernissimo. La trama e`  quella  di
Mickey e Mallory che si incontrano, si sposano, viaggiano, e senza apparente
motivo  uccidono  in  sole tre settimane 52 persone.  Finiscono  in  carcere
e grazie ad un cinico e spregiudicato giornalista conduttore di un programma
televisivo  <<American Maniacs>>, diventano eroi nazionali. Ma  il  soggetto
risulta essere solo l'apetto  piu`  superficiale,  e,  alla fine, rischia di
essere  scontato.  La critica ai media,  elemento  determinante  dell'opera,
e` in realta` affrontata  non  tanto  dalla  rappresentazione di una storia,
ma  dal  film stesso in quanto media. Il risultato e`  un  isterico  zapping
tra realta` e  finzione,  generi  e  tecniche  diverse.  Si passa dal colore
al  bianco  e nero, dal western alla situation comedy,  dalla  pellicola (8,
16, 35mm.) al video, alla pubblicita`,  ai manga, al morphing, al trasparen-
te,  all'horror alla commedia d'amore, ecc... La musica,  elemento  primario
e trainante, si  collega  perfettamente  all'anarchia  delle immagini. Si e`
letteralmente  bombardati  da una colonna sonora incessante con piu`  di  75
brani diversi. Curata  e  prodotta  da  Trent  Reznor (leader  dei Nine Inch
Nails)  presente  con tre pezzi, comprende brani di:  Leonard  Cohen,  Patti
Smith, Cowboy Junkies, Bob  Dylan,  Peter  Gabriel,  Diamanda Galas, L7, The
Dogg  Pound, Puccini, Orff, Berg, Cajkovskij, Mussogsky. La musica,  montata
superbamente con le immagini, ne rafforza  ed esalta il significato. A volte
invece,  e  forse sono i momenti piu` originali,  e`  indipendente,  creando
una forte atmosfera  dell'assurdo  e  del  grottesco. Questi momenti sublimi
sono  di solito accompagnati da musica classica, giocando sul forte  contra-
sto, sia con le musiche precedenti,  rock prevalentemente, sia con il conte-
nuto delle immagini. Questa associazione, purtroppo viene adoperata raramen-
te, e non raggiunge mai quel mostro  sacro di Arancia Meccanica che e` stato
comunque  uno  dei riferimenti principali di Stone durante  la  lavorazione.
Il disco raccoglie generosamente (Quasi  78  minuti)  i brani principali del
film, conservandone spesso anche il montaggio originale. Sono anche  presen-
ti, cosa piuttosto rara  in  genere,  alcuni  dialoghi e gli effetti sonori,
essendo  questi  inscindibili  dalla musica, L'ascolto  e`  spesso  travolto
da spari e urla,  parte  integrante  della musica, e, privato dell'immagine,
risulta essere ancora piu` spaventoso del film.

                                                                       Aigor




PUNTO FUGATO - Slackerland
   IL PERSONAGGIO BECK: tra diserzione sociale ed invenzione giornalistica

     <<Ho preso in mano la  chitarra  a  16  anni.  Aveva solo due corde: la
piu`  alta  e la piu` bassa, mentre la musica che suonavo  era  situata  per
lo piu` nelle corde  centrali,  quelle  che  mancavano. Successe piu` o meno
nel  periodo in cui abbandonai la scuola. Mia madre non sembro` troppo  con-
trariata e io smisi  semplicemente  di  andarci.  Trovai  in giro dei dischi
di  Woody  Guthrie  e passai un anno a cercare di suonare  le  sue  canzoni.
Dopo un po' mi stufai  e  trovai  lavoro  scaricando dei camion a Watts. Con
il  denaro  che  mi ero guadagnato viaggiai su un  Greyhound  attraverso  il
Sud e alla fine mi  ritrovai  a  New  York. Nell'East Village mi imbattei in
gente come King Bissel; Richard Manning e il suo giro dell'anti-folk.  C'era
anche un club, il Chamaleon, dove la  gente era molto simpatica e la barista
mi  regalava  da bere anche se ero ancora minorenne. Solo  allora  cominciai
a suonare e  comporre,  perche'  era  quello  che  tutti gli altri facevano.
Fu  un  periodo veramente pazzo: salivo sul palco con altri  tre  o  quattro
e per tutta al sera facevamo  quel  che  ci passava per la mente. Era musica
folk,  ma  filtrata  attraverso il punk e il noise>>. Colui  che  parla  e`,
in ordine di tempo, l'ultimo dei  grandi presunti punti di riferimento gene-
razionale  per  i nuovi ventenni d'America. Saltato fuori, quasi  per  caso,
dalla piu` sotterranea  scena  musicale  statunitense,  e`  diventato ora, a
tutti  gli  effetti,  uno dei personaggi  piu`  imprevedibilmente  redditizi
per il <<corporate  rock  management>>  americano  e  indiscusso fenomeno da
MTV. Per lui si sono scomodati i giornalisti delle maggiori riviste musicali
americane e non, che  al  solito,  hanno  pensato bene di dover identificare
ed  inquadrare  a  tutti i costi lo strano caso. Tra  le  tante  definizioni
affibiategli, ricordiamo le  piu`  divertenti quanto improbabili: <<il Woody
Guthrie  fatto  di LSD>>, <<il Dylan della  Generazione  X>>, <<il  nipotino
cybernetico di Daniel Johnston>>. Il suo vero nome e` invece Beck o, meglio,
Beck  Hansen o, meglio ancora, Beck Campbell. Proveniente dalla  California,
dove e` nato 24 anni  fa,  Beck  e`  divenuto  vero e proprio caso dell'anno
per  le  riviste specializzate di musica. Il momento chiave  per  capire  la
sua vicenda e`  probabilmente  il  1991  quando Beck registra <<Loser>> che,
dopo  non poche peripezie, verra` pubblicato dalla Bongload Records  di  Los
Angeles nel 1993. Il  singolo,  passando  prima attraverso la programmazione
nel circuito delle radio nei college, e delle radio nazionali e distribuzio-
ne major poi, diventa in  breve  tempo  un hit nelle classifiche di vendita.
Ma cosa aveva di tanto speciale quella canzone?
     Beh,  tanto  per  cominciare una chitarra slide con  stile  country  su
di una base hip hop (pensate  ad  un improbabile incontro tra Robert Johnson
e  Beastie  Boys), ma soprattutto, c'e` nel testo una frase  considerata  da
tutti vero  e  proprio <<inno  alla  slackerness>>: <<I'm  a  loser baby, so
why  don't  you kill me?>>. A proposito di questo il giornalista  Jay  Stowe
scrisse: <<Un verso  trainante  cosi`  irresistibile  puo`  venir  fuori una
volta in un decennio, o giu` di li`. Allora, beh, saltate sul treno impazzi-
to. L'insicura  gioventu`  d'America  non  ha  mai  avuto  un piu` assurdo -
o piu` onesto - inno (generazionale)>>.
     Beck diventa cosi`, da folksinger di strada, personaggio da  classifica
grazie all'interessamento della  casa  discografica  di  David Geffen e alla
benedizione  di MTV ben felice di programmare in continuazione i suoi  video
(Beck stesso comporra`  la  canzone <<MTV  makes  me  want  to smoke Crack>>
in  cui, con la sua solita ironia, dice <<MTV mi fa venir voglia  di  fumare
crack... ogni cosa  e`  perfetta  e  splendente...  mi  piacciono quei video
e li guardo tutto il giorno>>.
     Nei  mesi  successivi  all'uscita di <<loser>>,  e  comunque  nell'arco
di un  solo  anno,  Beck  pubblichera`  tre  album: <<Mellow  Gold>>  per la
DGC, <<One  Foot  in  the Grave>> per  K-Records  di  Olympia (Calvin  John-
son -Beut Happening-) e <<Stereopathetic  Soulmanure>> per l'etichetta indi-
pendente di una rivista Hardcore di Los Angeles, la Flipside.
     La  migliore  definizione  della musica di Beck  arriva  proprio  dalle
sue parole, quando  parla  del  nonno.  Dice,  infatti,  di lui <<Era famoso
per  ricavare  oggetti artistici dall'immondizia, un po' come  faccio  io>>.
Cos'altro si potrebbe aggiungere  ad  un  concetto  tanto chiaro? Con la sua
personalita`  eccentrica  riesce a raggiungere  un'improbabile  combinazione
sonora di piu` elementi quali il  folk,  il  rap, il punk, il blues, il pop,
l'utilizzo  dell'armonica,  di  tastierine Casio e di una  serie  di  rumori
di ogni genere (<<Se sentiro` il  bisogno  di suonare una chitarra elettrica
con  un coltello, lo faro`>>). La maggior parte delle  composizioni  vengono
registrate volutamente in bassa fedelta`. Tutto questo lo abbiamo riscontra-
to  pure  nei  suoi recenti concerti italiani dove,  fin  dall'inizio,  Beck
ha dimostrato un amore  istintivo  e  genuino  per tutti questi diversi tipi
di musica, anche se non li riconosce come differenti. Questa e` semplicemen-
te la sua musica e, probabilmente, pure la sua visione del mondo.
     Nei suoi  testi  c'e`  tutto  quanto  l'immaginario,  cosi` tipicamente
americano, dei nuovi giovani sfigati d'America, degli slackers. Gli elementi
caratteristica ci sono tutti:  lattine  di  birra  e di whiskey, la corvette
del  vagabondo, ragazze hippy da incubo, vicini di casa  camionisti,  idioti
succhia anime, skaters e ragazzi sulle vecchie BMX.
     Ma,  in  definitiva,  cosa  si  intende  per <<slacker>>?  Prendiamo la
definizione  dal dizionario: <<fannullone, vagabondo>>, ma  anche <<apatico,
indolente>>. Le  caratteristiche  che  li  contraddistinguono  sono: la loro
attitudine  alla  disoccupazione  cronica che cessa al  limite  per  qualche
McJob (i lavoretti precari e  senza prospettiva); la loro disillusione verso
le  aspirazioni  della societa` americana che non  condividono;  si  trovano
puntualmente incerti ed irrisolti  davanti  alle  scelte e alle prospettive;
sono  disimpegnati  e pigri; non cercano mai di costituire  una  scena (vedi
Seattle o San  Francisco)  perche'  troppo  inerti  ma  restano sparsi e non
allineati.
     Insomma, gli slackers costituiscono quella categoria di persone esclusa
dalla societa` americana cosicche' vive ai  limiti  di essa, e che e` proba-
bilmente  sempre  esistita  ma  che sociologi  e  giornalisti  hanno  voluto
fare, a tutti  i  costi,  fenomeno  sociale  attuale  e specifico. Dando per
scontato  l'esistenza  effettiva  di una tale sottocultura,  quali  ne  sono
stati i <<presunti>> manifesti? Sicuramente  il  romanzo di Douglas Coupland
<<Generation  X: Tales for an Accelerated Culture>> (1991); il film  di  Ri-
chard Linklater <<Slacker>>.
- Ci sono stati altri musicisti che prima, e forse meglio, di Beck riusciro-
no  a  rappresentare  in modo convincente le  aspirazioni  di  questa  nuova
generazione: pensiamo a Jay  Maschis  dei  Dinosaur  Jr  e,  dopo di loro, i
Sebadoh  di  Lou  Barlow, che pure scrissero  la  canzone <<Losercore>>.  Di
questi ultimi Beck dice: <<Mi  sono  accorto  in  ritardo  di loro. Penso di
aver  letto  una rivista musicale e mi promisi di ascoltarli  prima  o  poi.
Ma a quel tempo non avevo  un  soldo  e quindi non potevo certo comprare di-
schi.  Poi  cominciai ad uscire con la mia ragazza che era  pazza  del  loro
primo album <<The Freed Mau>>: era  grande.  Mi piacciono i testi. Non posso
ascoltare  una  canzone di cui non mi convinca il testo>>.  Ma  in  America,
si sa, un fenomeno sociale  e`  prima  o  poi  anche un fenomeno di mercato.
E  un  album  di Beck e` prima di tutto un <<prodotto>>  musicale.  Ma  Beck
si tira subito fuori e, con la sua solita ironia, dice: <<Non conosco nessu-
no  della  mia  eta` che viva in questo modo, in questa  specie  di  apatia,
con questa sorta di cinismo per  cui  pensi  che tutto sia gia` stato fatto,
ho  visto tutto. l'ho visto in TV, niente riesce ad  impressionarmi>>.  Beck
sorride e con lui la grande <<truffa del rock & roll>>.

                                                                       M. P.




L'ARTE DELLA FUGA OVVERO
                                 GLENN GOULD
            La musica consegnata allo splendore di una discoteca

     Sono stato, in  passato,  spesso  affascinato  dalle  melodie, tristi o
decisamente  allegre,  andanti, dalle melodie che fuggono  attraverso  spazi
aperti, escono da luoghi chiusi,  suonate  su  di  una piccola spinetta o su
di  un  fastoso <<Steinway>>, quei fraseggi frondosi di  Bach,  soprattutto,
motivi incantati, che non si  vorrebbe fuggissero, che giungono nelle strade
e  si fanno accogliere nell'animo per un momento, per la durata  di  quattro
passi e finiscono  per  mutarsi  in  un  sentimento  di religiosa intimita`.
Questa musica ascoltata per caso, che ci e` regalata per grazia di un ascol-
tatore appassionato o d'un  umile  dilettante alla tastiera, nascosto lassu`
dietro qualche finestra o chiuso al riparo d'una porta in una stanza, questa
musica non resta celata,  ci  rende  attenti,  ci  sensibilizza e spesso fra
innocenti  dissonanze, anche il povero musicante ad un  crocicchio,  diventa
limpido e puro.  Ci  accorgiamo  che <<musica>>  e`  sempre un messaggio che
ci  parla  di  colui che l'ascolta e sta forse in  questo,  l'influenza  che
hanno su di me simili suoni  rubati, potrei dire laconico, che amo ascoltare
solo quello che un altro ha scelto, quello che un po' in sordina  involonta-
riamente mi giunge. E  la  scelta  del  caso, l'intenzione voluta di leggere
qualcosa  che altri stanno scoprendo e per ultimo la volonta` precisa,  nata
anch'essa per accidente, di  guardare  negli  altri  e di sollevare un velo:
la  musica come coronamento di ore solitarie. Denudare al contrario un  lato
sociale, un modo di parlare anche al di la` della parola.
     Accostarsi  all'opera  di  Glenn  Gould,  sottintende  questo tentativo
di conoscere il suo mondo e il nostro pure, di impossessarci momentaneamente
di una ricchezza, e`  la  gioia  di renderci attenti, involontariamente piu`
sottili  e  desiderare l'empatia, d'essere in un angolo  della  stanza  dove
lui stesso suonava o semplicemente  dietro l'uscio suo. Trasognati. L'inten-
zione della musica, sottolineo, e` quella di ridurre <<a un unico momento>>,
tanto che l'elemento  tempo  nella  musica  e`  uno  solo, la musica riempie
il  tempo,  lo  suddivide,  fa si` che  contenga  ed  evidenzi  qualcosa...,
poi esiste il tempo  immaginario.  Suonare  per  un'ora vale per Glenn Gould
l'esperienza  d'anni  e la durata di un brano di  cinque  minuti,  ascoltato
all'ingresso di un teatro, nel ricordo si amplia sino ad esaurire e signifi-
care  uno  stadio della nostra vita, quel periodo e` percio`  cinque  minuti
di musica e quando si  pensa  a  quel  periodo  si  ha di fronte sempre quei
cinque  minuti  di musica, e nient'altro, e` allo stesso tempo,  cosi`  vero
e cosi` falso.
     Tutto quello che  sto  qui  raccontando  potra`  apparire,  me ne rendo
conto,  informe,  ma e` appunto tipico della musica questo  esser  priva  di
saldi contorni e  invitare  a  una  del tutto involontaria <<sublimazione>>,
a  uno  stato  di ampliamento dei sentimenti, di  radiosita`,  che  richiama
per analogia lo stato gassoso di alcune sostanze chimiche.
     Apertamente dichiarata, dall'altro lato, la tipica precisione matemati-
ca della notazione musicale che riesce a mantenere, unificando in un singolo
istante gli aspetti contraddittori  dell'anima,  in un incessante movimento,
l'intera  serie (musicale) dei motivi e tuttavia a ottenere come  risultante
espressiva, l'unita` di tempo. Per  cui  ad esempio, la sonata per pianofor-
te/violino  BWV  1017 di Bach in do minore e` assunta  nella  sua  interezza
in un momento.
     In passato,  nel  settecento,  quando  questa  musica  veniva composta,
questo  momento  non  era restrittivo, non costringeva  il  nostro  orecchio
ad accordarvisi e non era  limitata nel tempo, all'occasionale rivisitazione
di qualche pianista, alla quale ora ci affidiamo, era un momento  significa-
tivo ovvero uno stato dal quale si effondeva una soave melodia... Non scevra
da una vena malinconica, che spinge a inventare neologismi quali  <<malinco-
lodia>>, per  definirla,  e  grazia  alla  sua  presenza,  la  musica veniva
recepita  con  una  nitida  angoscia. Questa condizione  non  si  puo`  piu`
ricostruire, se questo non  avviene  per  caso.  Significa che come constata
Adorno  a  proposito dell'invecchiamento della musica, <<i  suoni  sono  gli
stessi, ma e`  stato  rimosso  il  momento  dell'angoscia>>,  cio` e` dunque
la  causa  dello stare di fronte alla musica classica come di  fronte  a  un
<<anacronismo>>. Rubare alcuni  simili  rari  momenti,  mentre si passa giu`
in  strada,  non  e` quindi piu` un furto ma solo  un  risvegliare  qualcosa
che gia` ci e`  appartenuto  e  questo  rubare  qualcosa di proprio, e` pure
lo  stato  d'animo  dell'interprete. Ma se  nella  religiosita`  dell'attimo
rivissuto per una serie  di  circostanze,  anche  tramite  la mano di un non
esperto pianista, e` possibile comprendere in un salto intuitivo la sostanza
da cui sono nate composizioni  in  se'  uniche,  per un prodigio dovuto piu`
a  noi  stessi, al nostro fluire interiore che catturato ci  cattura,  tutto
cio` non si verifica con  un  esecutore  come Glenn Gould, l'arte del grande
esecutore  e`  un segreto latente e che pochissimi  dettagli  precisano,  ma
e` anche sotto gli occhi di tutti.
     Sicuramente  il  maggior  interprete  del  Novecento,  canadese,  Glenn
impersona la musica classica la rarissima dote di rendere l'animo accessibi-
le agli stimoli  della  zona  sentimental-musicale,  senza  esigere da parte
nostra una particolare <<Stimmung>>, cioe` creando di fronte al suo pubblico
quel momento interumano che  modella  l'assoluta  risonanza, fa essere cento
persone  un'unica persona, mettendo in scena un rapporto drammatico e  reli-
gioso, penso anche  ai  concerti  viennesi  dedicati  a Beethoven di Herbert
von  Karajan:  la stessa presa sugli animi. Ma  l'ambiguita`  della  musica,
oscillante fra lato sociale e  solitudine,  e` un prestito romantico, e come
tale  da  noi inscindibile. Fu forse per aver questo  compreso,  che  Gould,
nel 1964, a sorpresa, tenne  a  Los  Angeles  il suo ultimo concerto. E solo
nel  privato,  l'Arte della Fuga e in particolare  le  Variazioni  Goldberg,
divennero nella loro estrema  difficolta` tecnica, gli unici amati <<Klavie-
rexerzitien>>  all'altezza  del  suo peculiare  concetto  di  autodisciplina
e in secondo  grado  la  maggiore  realizzazione della musiliana concordanza
fra anima e precisione, la cosiddetta musica dell'anima.

                                                                       Decus