Settembre-Ottobre 1994

     Benritrovati,  amici  lettori! Mentre vi godevate gli  ultimi  scampoli
di vacanza sotto il sole  di  agosto,  la fucina di INTERFERENZE Blu ferveva
di  attivita`...  Ecco,  dunque, uscire dal calderone  ribollente  la  prima
iniziativa, <<Music on the road>>:  nei  prossimi  giorni  le strade di Alba
saranno  animate  dalle note di alcuni valenti  artisti  non-professionisti.
Ora... squilli di trombe, rullo  di tamburi! A Novembre verranno organizzate
tre serate di ascolto e di musica dal vivo; interverranno alcuni giornalisti
e musicisti, per parlare di rock, blues e musica italiana (ma ne riparleremo
ad  Ottobre, nel numero speciale). Che dire di questo numero? Innanzi  tutto
una novita`: prende il via la nuova rubrica CONTROTEMPO, a caccia di vecchie
(e  buone)  incisioni (gallina  vecchia...); Corvo rosso con  il  suo  ampio
contributo, ci  introduce  in  una  delle  scene  musicali  attualmente piu`
interessanti,  quella delle "acid vibes", mentre Vincenzo Capitone ci  parla
dell'evoluzione  piu`  recente  del "death".  Ricordandovi  che INTERFERENZE
Blu e` distribuito anche sulla rete telematica (vedi riquadro) [NDD:  Ricor-
dandovi che INTERFERENZE Blu  e`  distribuito  anche per via... cartacea (se
interessati matrixatemi)], ci piace chiudere notando che la grafica migliora
di numero in numero (Emma una ne pensa e Jaco cento ne fa... ).
     Ciao!

                                                                     Luca B.




RECENSIONI - 360 gradi



                               HOMESICK JAMES
                           Goin' back in the times
                                  (Earwig)

     <<I do what I feel>>: ripete con  la tenacia di chi ha girato per molto
tempo,  il  vecchio  HOMESICK JAMES WILLIAMSON, nato  per  l'anagrafe  tanto
tanto tempo fa a Sommeville,  Tennessee.  Si  dice cugino del piu` celebrato
Elmore  James (vi  ricordate lo scantinato del collegio dei  Blues  Brothers
con il vecchio Cab Calloway che disco  metteva su; questo per chi sa stupir-
si).  Vi ricordate? e` il verbo giusto per andare indietro nei tempi.  HOME-
SICK era la` quando e` successo  tutto  cio` che ha creato il blues moderno:
per  lo piu` storie di uomini. Un elenco che per un appassionato vuole  dire
tutto: Big Joe Willams,  Tampa  Red;  lui  era la`: quando Carpenter scrisse
Blue  Suade  Shoes (canzone leggendaria rifatta da Elvis  Presley,  da  Hen-
drix,...), quando  Junior  Wells  imparava  a  suonare  l'armonica da Snooky
Prior, quando Muddy Waters incontro` Little Walter. Non e` un disco  facile,
come la sua vita: lavorare  e  alla  sera suonare sempre, (anche oggi quando
un cd costa alla meglio 30 mila lire) per pochi soldi: i ricordi, le  situa-
zioni le persone percorrono la  musica  o  meglio  la creano. La` dove nasce
il  blues:  in  quell'ascolto che se ti cattura ti insegna  a  suonarlo.  Ha
la forza di un  dialetto  parlato  da  un anziano: espressioni incisive, che
condensano  nella loro brevita` lunghe frasi. Bisogna ascoltarlo nelle  note
appena sussurrate: la  profondita`  della  sua  lingua.  Non  vi e` frenesia
nei  ritmi.  E'  come se a volte ti costringesse a farti  piu`  vicino  alla
fonte del suono o  a  far  degli  occhi  una  linea sottile per arrivare la`
dove  lui  e` arrivato. Non e` malinconico: puo` sembrare  che  la  chitarra
indugi (lo strumento che ascolto` per la prima volta da sua madre: lo teneva
sempre  in grembo e lo suonava con un coltello), ma la voce da`  i  contorni
taglienti della memoria. Un uomo che ha suonato di tutto nella sua carriera:
country,  jazz, blues usando spesso la tecnica slide: tutto ci ricorda  qui.
Non ho menzionato nessun  brano  in  particolare  perche' l'ho voluto vedere
come un discorso ininterrotto.
     Vi  ricordate: il tempo di un uomo solo: la sua chitarra, la sua  voce,
la sua vita.

                                                                      Johnny



                                   HELMET
                                   "Betty"
                                (City Slang)

                                   UNSANE
                             "Total Destruction"
                                (Interscope)

     Ecco due modi diversi  di  intendere  il noise-rock. Gli HELMET, gruppo
Newyorkese giunto alla notorieta` sulla scia di un album, MEANTIME, osannato
da critica  e  pubblico (chissa`  poi  perche`?),  e  forte  di un contratto
miliardario  con  la major Atlantic (che si sta dando  parecchio  da  fare -
n.d.r.), e gli UNSANE, misconosciuto gruppo della fiorente scena underground
(vero)  della grande mela. Gli HELMET pubblicano l'atteso terzo album  BETTY
e gli UNSANE il  debut  TOTAL  DESTRUCTION  proprio negli stessi giorni. Per
quanto  le  origini ed i suoni dei due gruppi siano  simili,  le  diversita`
sono molte e vanno cercate alla base, ovvero al modo di proporsi. Gli HELMET
sono freddi, matematici ed affilati come un bisturi, i riffs sono un concen-
trato di potenza e di cinico  auto-controllo, piu` che a poderose esplosioni
si  assiste  ad implosioni, i suoni e la ritmica martellano  con  precisione
e con una  consapevolezza  di  colpire  a  dir  poco maniacale; ogni singola
nota e` studiata per colpire, si` con potenza, ma soprattutto con  precisio-
ne. Gli UNSANE invece sono  violenti,  psicotici, devastanti come un maglio,
l'atmosfera che si respira nei 39 minuti di T.D. e` di tensione, di malesse-
re, di repulsione, sembra quasi  di  assistere  ad un film dell'orrore, pare
di  sentire l'odore del sangue, lo stesso che ricopre, a fiumi, il  paraurti
dell'automobile (dilaniata)  raffigurata  nella  foto di copertina (l'esatto
opposto della copertina di BETTY, dove invece troneggia la fotografia rassi-
curante di una ragazza intenta  a  raccogliere rose). La musica degli HELMET
ora  e`  meno  intransigente e spigolosa che in passato,  ma  ha  guadagnato
molto in immediatezza, complice  anche  la  voce  di  Page Hamilton, che non
si  limita  piu`  solo a gridare, ma, anzi, si dimostra  piu`  eclettica  di
quanto fosse  lecito  aspettarsi.  Nella  musica  degli  UNSANE invece tutto
e` distorto e fastidioso, dal basso alla voce, roca e satura, a volte  indi-
stinguibile nel marasma  incandescente  prodotto  dal  trio,  ed ogni brano,
dall'opener 'Body  bomb' al finale '455', puo` essere citato  come  esempio;
infatti forse non c'e` un  brano  superiore  agli altri, sono dodici schegge
impazzite  e senza alcun freno ne' controllo, siano  esse  intitolate 'Black
book' o 'Road trip' o  ancora  'Dispatched',  cio`  che conta e` la violenza
con  cui vengono sputate fuori dalle casse dello stereo. BETTY  invece  rac-
chiude numerose gemme, dall'iniziale 'Wilma's rainbow' alla splendida 'Spee-
chless'  o  alla martellante 'Tic', passando per la sperimentale  e  rumori-
sta 'Beautiful love'  e  la  funkeggiante 'The  silver  Hawaiian' per finire
con  lo spigolosissimo e stupendo bluesaccio 'Sam hell'. In  definitiva  due
modi diversi di intendere  il  noise-rock  ma  un unico denominatore comune:
la  freschezza e la sincerita` delle proposte. In parole povere: due  grandi
album. Per finire un consiglio:  se  volete  liberarvi da fratelli o sorelle
petulanti  o  nonnine isteriche, piazzate sul lettore cd uno dei  due  album
di HELMET od UNSANE, alzate  un  po'  il  volume  e state tranquilli: per un
bel pezzo nessuno osera` passare da quelle parti disturbandovi.

                                                                       Axiom



                             STONE TEMPLE PILOTS
                                   Purple

     Ecco  a  voi la ricetta del successo sicuro: un po' (troppo)  di  Pearl
Jam, un po' (tanto) di Soundgarden,  qua  e  la` Nirvana ed Alice in Chains,
un  produttore <<di  grido>>  come Brendan O'Brien, ed il  gioco  e`  fatto.
Non che Weiland e soci  abbiano  dato  alle stampe un album (il secondo dopo
il  fortunatissimo CORE) di poco valore, anzi, da 'Vasoline'  a 'Big  Empty'
a 'Unglued', gli S.T.P. sfoderano  canzoni godibilissime e discreta energia,
ma...  Gia`,  perche` c'e` un ma. Voglio dire, di Pearl Jam,  di  Nirvana  e
compagnia bella, ci  sono  gia`  gli  originali (per  fortuna), percio` cosa
ce  ne  facciamo di cloni? Mai che gli S.T.P. rischino, chesso`,  una  nota:
no, tutto e` perfetto e  studiato  a  tavolino  per piacere ad un certo tipo
di pubblico, quelli che <<ballano>> i Soundgarden (eresia!) e che <<capisco-
no>> il dramma di Kurt  Cobain (R.I.P. -  cosa  ci  sia da capire poi ? -) e
che sicuramente compreranno il nuovo album degli STONE TEMPLE PILOTS, quello
dei Blind Melon  (orrore)  e  degli  Spin  Doctors, (facendo  la gioia delle
majors  e facendosi fregare triplicemente) ovvero la cosiddetta MTV  Genera-
tion. Bene, per concludere, l'album e`  carino,  i suoni grezzi e le melodie
azzeccate. Io pero` mi tengo stretti i miei originali di Seattle, gli S.T.P.
me li copio a  sbafo  della  Atlantic,  e  se proprio devo comprare qualcosa
di buono, beh, allora via libera a: KYUSS (Chi?), DINOSAUR JR. (in  uscita),
SENSER (Chi?),  JESUS  LIZARD (Chi?),   UNSANE (Chi?),  HELMET (Chi?),  MOR-
DRED (Chi?)  ed  altre amenita`. Stroncatura ? No, buon  senso.  Au  revoir.

                                                                       Axiom



                                   MORDRED
                               "The next room"
                                    Noise

                                   PANTERA
                             "Far beyond driven"
                                  Atlantic

     I versi paludati e grevi della  poesia arcadica, le opere dei discepoli
di Raffaello e di Michelangelo, le <<Regulae>> architettoniche del  Vignola.
No, quando si tratta  di  Manierismo  non  ci  si  puo`  limitare ad un solo
fenomeno artistico o ad una sola corrente letteraria. Eppure non puo` essere
ignorata - perche` storica -  l'accezione  piu`  negativa del termine. Cioe`
subordinazione incondizionata a una codificazione e a  modelli <<precotti>>,
in pratica un limite  alla  creativita`  umana. Sembra essere proprio questa
la molla artistica che ha, ancora una volta, ispirato il linguaggio musicale
dei MORDRED. Pensate: gia`  qualche  anno  fa una trash-band che stravolgeva
i  severi confini del proprio genere... ve l'assicuro... e` cosa  certamente
inusuale. Ma passiamo  direttamente  all'ultimo  disco,  il terzo della loro
carriera. Enucleato principalmente sul fremito funk-metal dei due  chitarri-
sti e di un bassista-pompa  motrice,  l'opera  non esita ad imboccare strade
coraggiose:  voce  soul talvolta in stile colloquiale,  scratching  vari  e,
in coda a qualche brano, un  diluvio  di rumori campionati. Su queste stesse
basi  si  incardina volentieri una sorta di funk acustico, oppure  un  lento
che, improvvisamente, solidifica e si indurisce ne solito, piacevole, <<rol-
ling  style>>.  Viene percio` spontaneo segnalare che questo  scontro  melo-
dia-ruvidita` (delle chitarre)  magari  proprio  unito  ad un demistificante
scratching,  supera di slancio sul loro terreno, buona parte  del <<grunge>>
attuale (sto pensando agli Alice  In  Chains)  e pure le classiche ballatone
di  hard  melodico,  che  da troppo tempo ci  tormentano.  Dei  dodici  pez-
zi, 'Shut' e`  di  gran  lunga  il  migliore,  il  primo  compiuto esemplare
di <<hip hop-metal>>. Una serie di tribaleggiamenti appesi ad  un'ossessione
notturna e  accompagnati  da  sassofoni  che  progressivamente impazziscono.
Poi  lo  splendido cataclisma: arriva il regolare  turbinio  delle  chitarre
a sommergere tutto. E'  un  sigillo  definitivo  che  proietta i MORDRED nel
futuro.  Torniamo  alla  realta`,che e` sinonimo di PANTERA.  Quando  li  ho
visti per la prima  volta (ai  tempi  del  primo  album COWBOYS FROM HELL) -
lo  confesso -  non mi avevano pienamente convinto. Sembravano  un  discreto
gruppo arrivato al successo solo grazie  ad MTV e a certe, spesseo vergogno-
se,  riviste  speciaizzate... invece no! Un terzo  album <<monolitico>>,  ma
che segna un deciso passo in  avanti, impostato com'e` sulla potenza brutale
della  chitarra di Darrel, sulla regolarita` del <<battitore libero>>  ossia
del cantante Phil <<testa rapata>> Anselmo. Degne presentazioni sono 'Stren-
ght  beyond  strenght' e 'Good friends', paurose cure di  elettro-shock,  in
cui si distinguono  nettamente  montagne  di  riffs secchi, poi scricchiolii
e rumori vari. Interessante l'insistito refrain pseudo-industriale di 'Beco-
ming', cosi` come lo stupendo  giro  di chitarra vagamente alla Rage Against
The Machine di 'I'm broken'. Nuova partenza quasi in <<souplesse>> per 'Hard
lines' da gustarsi appieno, nota  per  nota, per confluire in un ipertecnico
guitar-solo, eppur carico di tonnellate di feeling. Ancora scariche elettri-
che  morbose  e  voce  tiratissima (un  <<pennello>>  di  rara  creativita`)
per 'Slaughtered',  ancora  devastazioni  bestiali  di  kalashnikov  in 'Use
my third arm' (quasi come un  nuovo  Henry  Rollins) dove Anselmo, oltre che
le  viscere,  sembra  sputare perfino l'anima. Infine  una  conclusione  che
nessuno si aspetterebbe: 'Planet caravan',  ovvero l'ennesimo tributo all'i-
nossidabile passato dei Black Sabbath, attraverso l'esaltazione di un  clima
acustico e tenue, praticamente un refrigerio per l'ascoltatore che ha dovuto
assorbire  cotanta energia. Orecchie appena un po' sensibili non  potrebbero
percepire che,  dietro  questo  apparentemente  sconquassato  post-metal, e`
celata una mai manierata e laboriosa opera di sintesi, che comprende soprat-
tutto l'hard anni '70  e  l'hard-core  anni '80.  Francamente  non credo che
quest'anno  riusciranno  a fare di meglio. E tutto questo  alla  faccia  del
metal polveroso che fu.

                                                           Vincenzo Capitone



                                ROLLINS BAND
                                "The Weight"
                                  Imago/BMG

     <<Love is pain... I want to be insane... Wash this out of your  life...
Damage... Creeply crawl>>. Sono frasi  tatuate sui muscoli di Henry Rollins,
gia`  frontman  dei  Black Flag, un personaggio veramente  eclettico  e  per
il quale l'etichetta di <<artista>> sarebbe angusta.  Ben lo sa chi ha letto
i  suoi  libri,  tra i quali ricordo <<Black Coffee Blues>>:  una  serie  di
istantanee  della <<nuova>>  America,  un  pullulare  di  storie  minime  di
violenza,  di  menzogna, di confusione mentale. Una realta`  distruttiva  ed
autodistruttiva,  dove  l'ostentazione  dei  buoni  sentimenti  sembra quasi
una convenzione. Ma queste parole, queste storie, non cadono mai nel  vuoto.
Cito ad esempio l'episodio  della  ragazza  che, raggiunta la maggiore eta`,
pone  fine  agli abusi morali (e non) della  propria <<perfetta>>  famiglia,
allontanandosi da casa senza  voltarsi  e  mostrando eloquentemente al padre
urlante  il proprio dito medio - Non sono soltanto libri,  monologhi  incisi
su disco (Lou Reed  docet?),  LP  veri  e  propri.  Bensi` musica e concerti
dal  vivo  vissuti fisicamente (e qui sfocia il suo culto eccessivo  per  il
corpo), sudati su volume  e  ritmi ultra-energici. In 'Disconnect' le parole
pesano  come  macigni anche quando gli <<sconnessi>> e  ripetuti  interventi
della chitarra incominciano  ad  amalgamarsi  alla consueta furia Hard-core.
Dopo  un  personalissimo  omaggio ai Black  Sabbath (Vol.4)  ci  si  immerge
in 'Civilized', dove si  nota  ancora  una  volta  immediatamente che questo
peculiare  modo di cantare l'hard-core ha anticipato perfino i rappers  piu`
celebrati. Ma Henry, la nostra  bocca  della verita`, non da` tregua, conti-
nuando a scrutare e ad illuminare gli angoli piu` ombrosi dell'animo  umano,
come nella  riflessiva  'Liar'  o  nel  punk-funk  di 'Divine  object of ha-
tred'. 'Alien  blueprint'  e`, invece, la solita  rollinsiana  deflagrazione
totale che, digradante,  si  reincarna  nell'iterazione  finale  di una sola
parola (...yourself).  Infine  'Step back', assolutamente  un  simbolo,  uno
strepitoso tormentone chitarristico  costruito  sul cadavere ancora bollente
di  Hendrix  e  sul contributo - sempre determinante -  del  nuovo  bassista
Melvin Gibbs. Questo album non  segna  soltanto  la  fine di un silenzio: e`
il  riammainarsi  di una vecchia <<bandiera nera>> che urla  e  strepita  in
tutte le tonalita` di  colore  possibili.  Per  far  uscire l'animale che e`
in noi.

                                                           Vincenzo Capitone




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                                 WAY TO BLUE

               Don't you have a word to show what may be done
                 Have you never heard a way to find the sun
                        Tell me all that you may know
                        Show me what you have to show
                           Won't you come and say
                        If you know the way to blue?

                 Have you seen the land living by the breeze
                 Can you understand a light among the trees
                        Tell me all that you may know
                        Show me what you have to show
                              Tell us all today
                        If you know the way to blue?

                    Look through time and find your rhyme
                            Tell us what you find
                                We will wait
                                At your gate
                            Hoping like the blind

                 Can you now recall all that you have known?
                             Will you never fall
                          When the light has flown?
                        Tell me all that you may know
                        Show me what you have to show
                           Won't you come and say
                        If you know the way to blue?

                             Testo di NICK DRAKE                   l
               da "Way to Blue. An introduction to Nick Drake" u
                            (Island Records 1994)          d
                                                       i
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                  t
              i             LA STRADA VERSO IL BLU*
          s
           Non hai una parola per mostrare cosa puo` essere fatto?
           Non hai mai sentito parlare della strada verso il blu?
                     Dimmi tutto quello che puoi sapere
                     Mostrami quello che hai da mostrare
                             Non verrai a dirmi
                     Se conosci la strada verso il blu?

                  Hai veduto la terra vivere della brezza?
                 Puoi capire una luce in mezzo agli alberi?
                     Dimmi tutto quello che puoi sapere
                     Mostrami quello che hai da mostrare
                              Dicci tutto oggi
                     Se conosci la strada verso il blu?

               Guarda attraverso il tempo e trova i tuoi versi
                              Dicci cosa trovi
                               Noi aspetteremo
                               Al tuo cancello
                           Sperando come il cieco

       Puoi ora richiamare alla mente tutto quello che hai conosciuto?
                            Non ti abbatterai mai
                        Quando la luce e` dileguata?
                     Dimmi tutto quello che puoi sapere
                     Mostrami quello che hai da mostrare
                             Non verrai a dirmi
                     Se conosci la strada verso il blu?

                Traduzione di Emma Dulcamara e Marziobarbolo



                                    Nota

     Il termine inglese 'blue'  significa  sia 'blu',  ovvero il colore blu,
sia  quella che con termine specifico potremmo chiamare 'melanconia',  ossia
la tristezza divenuta malattia,  depressione.  Questo  perche' il colore blu
viene  considerato, <<sentito>>,  come il corrispettivo  cromatico  di  tale
stato d'animo, allo stesso  modo  in  cui  per  esempio il colore rosso, per
la  maggior  parte delle persone, e` legato all'idea  di  passione.  Abbiamo
tradotto l'inglese 'blue' con 'blu',  annettendo questa spiegazione, perche'
ci  e`  sembrato  piu` corretto, anche se meno ambizioso. Ma  del  resto  la
traduzione di questo testo, vera  e  propria canzone, non vuole essere altro
che un abbozzo di significato per chi non conosce la lingua inglese, abbozzo
tanto piu` insoddisfacente dal momento che  ci si trova dinnanzi ad un testo
altamente  poetico  e pertanto ricco di significati,  dei  riflessi  portati
da quella lingua, che si fa scrittura di un'anima.



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                         NEIL YOUNG AND CRAZY HORSE
                             Sleeps with Angels
                                    (WEA)

     Il canadese NEIL YOUNG e` entrato ormai da tempo a far parte di  quella
schiera di intoccabili che comprende i numi tutelari del rock. La sua musica
ha  influenzato  gli autori piu` diversi. Ha incoraggiato  a  suonare  bands
che ben  poco  avevano  in  comune  fra  di  loro.  Ha  aperto  le  menti al
rock'n'roll  a piu` di uno fra i tanto acclamati protagonisti  del  fenomeno
grunge. E' chiaro che anche  lui,  che  tra  l'altro ha vissuto le sue belle
disavventure familiari (due figli handicappati), ha avuto dei periodi  nega-
tivi artisticamente parlando. Praticamente  gli  anni '80 sono stati un tre-
mendo  buco  nero nella sua carriera, un tonfo che, a mio avviso,  tocca  il
suo fondo in OLD WAYS, un scialbo album di musica country privo di qualsiasi
pretesa  artistica.  La rinascita e` segnata da FREEDOM, un  disco  di  rock
potente, ricco di verve  e  cattiveria  ma  anche  di ispirata vena musicale
e di notevole lirismo (tra le altre cose, NEIL YOUNG si era reso  protagoni-
sta di una spudorata  campagna  a  favore  di Reagan. Incomprensibile per un
ex  freak del suo stampo)! Continua con il doppio dal vivo WELD,  che  offre
un campionario di distorsioni e  un potenziale di acidita` davvero notevoli.
Passa  attraverso  un album, che potremmo definire, col  senno  di  poi, "di
transizione" come HARVEST MOON,  non  privo  di buone idee, ma inconcludente
in  ultima  analisi. E infine culmina in questo SLEEPS WITH ANGELS  che  non
bisogna aver paura a definire  un  capolavoro.  Siamo qui a meta` strada tra
lo YOUNG elettrico e quello acustico. I pezzi si dividono piuttosto equamen-
te. La band che accompagna l'autore e`  qualcosa di piu` di tre ottimi musi-
cisti.  Sono i CRAZY HORSE, un corpo unico con NEIL YOUNG, capaci di  creare
amalgama e  atmosfere  indissolubilmente  legate  alle  migliori espressioni
dell'autore.  Se aggiungiamo che il corpo centrale dell'album e`  una  lunga
cavalcata elettrica  al  limite  dello  psichedelico intitolata 'Change Your
Mind',  che il lirismo dell'album e` altissimo con punte  massime  in 'Prime
of Life', malinconico e  tenero  inno  alla  vita  e in 'Sleeps with Angels'
dedicata,  sembra,  a Kurt Cobain, indicato come possibile  erede  di  Young
da parte della stampa americana  prima  del tragico suicidio. Allora il cer-
chio  si chiude e un bel pezzo anthemico quale 'Piece of Crap', inno  contro
il consumismo  esasperato  carico  di  autoironia,  e`  degna conclusione di
una manciata di canzoni destinate a rimanere nel tempo.
     N.B.  Lodevole l'iniziativa della Wea che acclude al prodotto  i  testi
tradotti nelle varie lingue europee tra cui l'italiano.

                                               Ken Parker '68, Lupo del Nord



                              FILLE QUI MOUSSE
                            Trixie Stapelton 291
                            (CD MELLOW RS, 1994)

     Multimediale  e'  un termine di cui si fa sicuramente  un  uso  smodato
nel tempo in cui viviamo. Coniato  non  moltissimi anni or sono per indicare
cio` che riguarda un collegamento tra diverse forme di espressione (artisti-
ca e non), si e'  ritagliato  il  suo  bravo spazio anche in campo musicale,
a  proposito di artisti che cercano di coniugare il verbo delle  sette  note
con altre arti,  magari  meno  futili  e  piu` <<elette>>.  E' il caso della
pittura,  o  della scultura, e la memoria ci rimanda subito a  quel  periodo
a cavallo tra la fine  degli  anni '60  e  l'inizio dei '70, quando casi del
genere erano tutt'altro che infrequenti. Basti pensare, scavalcando  l'ocea-
no, all'Exploding Plastic Inevitable di  Andy  Warhol, la cui ribalta itine-
rante  vedeva succedersi spettacoli pseudo-teatrali, esposizioni  pittoriche
e... naturalmente, loro, i grandissimi Velvet Underground, forse sconosciuti
ai  lettori  piu` giovani ma sicuramente piu` noti a coloro  i  quali  hanno
gia` - purtroppo - raggiunto  una  certa  eta`.  Oppure, volgendo lo sguardo
verso  Albione, ai Soft Machine di dadaista memoria, scoperti da  quell'Alan
Zion precursore degli abbinamenti <<musica-quadri>> divenuti quasi obbligati
in  tempi  piu` moderni. Ma anche in Francia, in quegli  anni,  qualcosa  si
muoveva. Sulle sponde della Senna,  uno  sconosciuto artista pop - tale Hen-
ry-Jean  Enu -  dal portafogli perennemente vuoto ma  dalla  fantasia  molto
fervida, assemblava alcuni amici allo scopo di formare un complesso musicale
per  arrivare (un  giorno, forse, chissa`...) ad incidere le  proprie  idee.
Nell'ormai lontano 1972 i suoi sforzi  ebbero  il meritato premio, e 10 soli
pezzi  di  vinile invasero - si fa per dire - la Ville  Lumie`re.  Si`,  non
si tratta di un  errore  malandrino  sfuggito  ad un distratto correttore di
bozze, poiche' dell'edizione originale di questo leggendario Trixie  Stapel-
ton 291 (cosa significhera` mai?) furono proprio stampati 10 soli esemplari.
Anni  dopo  si  scateno` la ricerca al disco fantasma  da  parte  di (pochi)
collezionisti di rarita`  musicali,  dalle  idee  non  sempre  chiare ma dal
portafogli, questa volta, ben rigonfio; ma torniamo al nostro Cd. Costituito
da un solo pezzo strutturato  in  forma  di  suite e suddiviso in nove parti
senza soluzione di continuita`, mostra subito di pagare un dazio consistente
a quella che e' la  forma  artistica  preferita  del suo autore - e cioe' la
pittura -  ed  all'arte pop piu` in generale. Difatti, se  si  escludono  le
due <<parentesi>> jazz-rock con le quali si  apre e si conclude, la restante
parte  e' tutto un susseguirsi di situazioni stralunate, a  volte  piuttosto
ambigue, spesso falsamente ingenue, che  rasentano la patafisica. Un latrare
di  cani  fa da sfondo ad un recitato con voce  femminile (chi  non  ricorda
il fatidico <<The Gift>> dei  gia`  citati  Velvet?),  mentre piu` avalti un
uso  promiscuo  di strumenti esotici si insinua tra le onde di  una  sezione
ritmica che pare voler seguire  le  tracce  di quell'antirock che, in quegli
anni,  i mai troppo lodati Henry Cow porteranno agli onori  delle  cronache.
E ancora: ronzii di  sottofondo  che  si  fanno talvolta piu` intensi (forse
un  calabrone chiuso in una scatola?), per poi sparire avvolti tra le  spire
di un  cantato  piuttosto  accidentato -  ma  che  razza  di pronuncia!... -
e  di un violino manipolato e quasi fastidioso. Qualcuno si  chiedera`: <<Ma
e' musica?>>.  E'  genialita`,  vera  psichedelia:  e'  saper costruire, con
pochi  mezzi  e forse ancor meno nozioni, qualcosa  di  veramente  artistico
anche se non  nobile,  di  valido  anche  se  non <<per tutti>>. Difatti, la
ristampa  in Cd e' in tiratura limitata di 200 copie (ci risiamo...)  e  per
richiederla vi conviene telefonare  allo  0184/508900 oppure rivolgervi alla
redazione di INTERFERENZE Blu.
     Solo per le orecchie piu` audaci!

                                                                          io



                                  LANDBERK
                           One man tell's another
                             (CD MEGAROCK, 1994)

     Nuovo  disco e nuova etichetta per i Landberk, epigoni moderni di  quel
folk-progressivo nordico dal passato glorioso  ma  che sta vivendo, a quanto
pare,  una seconda stagione dell'oro. A dire la verita`, questa loro  fatica
si discosta abbastanza da quella che la precedette, due anni fa: decisamente
morbida,  dolcissima  e dall'andamento quasi pastorale  era  infatti  quella
LONELY LAND, uscita in  versione  Cd  con  i  testi  in inglese per la label
americana  Laser's  Edge ed in vinile per la benemerita  Colours (con  testi
in lingua madre  e  titolo  originale  RIKTIG  AKTA).  Molto piu` grintosa e
variegata  quest'ultima  opera,  invece, con in bella  evidenza  pezzi  qua-
li 'Mirror  Man',  fortemente  introspettivo  e  caratterizzato dai <<giochi
di  specchi>> prodotti dal riverbero della chitarra di Reine  Fiske; 'Valen-
tinsong', dove i nostri si  ricordano  infine  che  la loro terra e` nota al
mondo  per la quiete e la serenita` delle sue foreste;  la  dirompente 'Kon-
tiki', che se da un lato  paga  il  solito, obbligato tributo al Re Cremisi,
dall'altro  sa imporsi sul resto della truppa come il pezzo  piu`  gradevole
fin dal primo  ascolto.  Degna  di  nota  anche  la conclusiva 'Tell', forse
dedicata ai compagni di avventura Anglagard ed Anekdoten, dei quali tuttavia
i Landberk non posseggono  rispettivamente  la  genialita` e la tecnica, pur
essendo -  come loro - dediti al culto del dio Mellotron. A  differenza  dei
loro colleghi piu` celebrati,  pero`,  questi cinque spilungoni di Stoccolma
non  ne  fanno  un uso esasperato. Anzi, le fatidiche  tastiere  sono  usate
quasi sempre in  chiave  ritmica,  come  <<base>> (preferisco questo termine
rispetto all'inflazionato <<tappeto>>...) insomma; soltanto raramente  duet-
tano con la chitarra,  che  di  questo  disco  e'  la vera signora e padrona
di  ogni situazione, quieta e folky o irruenta e tenebrosa che sia.  Peccato
solo che nell'opening track ('Time') si presti ad ambigui giochi di risonan-
za  con  quella degli U2 piu` biechi e commerciali dei loro  ultimi  lavori.
Speriamo che sia solo una buccia di banana...

                                                                          io



                                  STEREOLAB
                             Mars Audiac Quintet
                            (Duophonic UHF, 1994)

     Assieme alle  prime  copie  del  doppio  lavoro  degli  STEREOLAB viene
regalato  un  sette  pollici colorato. Partendo da  questo  vorrei  parlarvi
della musica di questo  gruppo  che  ha  ormai  alle spalle tre Lp (anche se
SWITCHED ON e` una raccolta di singoli). La musica degli STEREOLAB si  forma
dalla mescolanza di due componenti principali che assumono un rilievo parti-
colare  in questo MARS AUDIAC QUINTET. La prima componente  e`  l'ingenuita`
apparente della loro musica, non  tanto  per quel che riguarda la strumenta-
zione (basta  dare un'occhiata in copertina ove si trovano 18  diversi  tipi
di strumenti adottati), quanto nella  struttura delle melodie e nel cantato.
Quest'ultimo  infatti si fregia della delicata voce di Laetitia  Sadier (au-
trice assieme a Tim  Gane  di  tutte  le  canzoni eccetto l'ultima) e spesso
di cori e backing vocals che ne esaltano le qualita`. La seconda  componente
deriva dall'unione della reale complessita`  del tessuto sonoro con l'enorme
attenzione  per i minimi particolari quali volumi d'uscita degli  strumenti,
provenienza del suono e vari  problemi  di  mixaggio che spesso i gruppi non
risolvono in prima persona.
     Oltre  a  queste due componenti basterebbe, per farsi un'idea  di  cosa
tratta la musica  degli  STEREOLAB,  leggere  in  successione i titoli delle
loro  canzoni;  alcune  cantate in inglese altre in  francese.  Noi  andremo
con ordine aggiungendo, la`  dove  necessario,  alcune spiegazioni. Sul lato
A  del  7" abbiamo 'Klang Tone', dove klang probabilmente  e`  un  tentativo
di rendere ancora  piu`  onomatopeico  il  termine  inglese clang. Mi sembra
opportuno  dire  che questa canzone adotta uno  schema  abbastanza  consueto
per la musica  degli  STEREOLAB,  ovvero  quello  dei labirinti comunicanti:
ve lo spiego subito cosi` avanzero` di farlo quando parleremo di 'Anamorpho-
se' (la seconda  canzone  del  secondo  lato)  che  evidenzia appieno questa
struttura.  Queste  canzoni  si aprono con un attacco che  si  ripete  senza
variare, quindi con una  specie  di  loop  sempre uguale (quel che io chiamo
un  labirinto)  fino a che non sopravviene una variazione: o  nel  testo,  o
con l'inserimento  di  una  nuova  componente  musicale,  con un cambiamento
di  nota, tono o volume, che ci conduce in un nuovo labirinto, in  un  nuovo
loop che ripete anche l'elemento  che  e`  servito da variazione. Uno schema
riassumibile graficamente come segue:

La canzone del lato B 'Ulan-Bator' prende il nome dalla capitale della Mongolia che tradotto vuol dire Eroe Rosso. Una canzone con una vibrazione incantata. Le canzoni del primo lato del doppio sono 'Three Dee Melodie', 'Wow and Flutter' con un testo molto bello, 'Transona Five' e 'Des E'toiles E'lectroniques'. Ad aprire il secondo lato troviamo 'Ping-Pong', piacevole sorpresa che spezza la continuita` del primo lato grazie al suo piacevole variare. Di 'Anamorphose' abbiamo gia` parlato. 'Three Longers Later' conclude in bellezza il secondo lato: Inizia privilegiando la prima compo- nente della musica degli Stereolab con organo e voci, il francese crea un'atmosfera particolare, poi intervengono gli strumenti a corda e la batteria che donano una pesantezza inaspettata ma tutta da gustare. Nel ritmo incalzante e nel cantato 'Nihilistic Assault Group' ricorda i primi lavori degli STEREOLAB. 'International Colouring Contest' e` la massima espressione di quel che intendo per componente ingenua nella musica degli STEREOLAB. Poi 'The Stars Our Destination' e 'Transporte' Sans Bouger': mi sembra che i titoli dicano tutto o quasi. Siamo arrivati al quarto lato, lo apre 'L'Enfer des Formes' altro pezzo di bravura dove gli strumenti ti prendono sempre piu` fornendo un valido sostegno al testo <<On s'en va comment poltrons, / Vivant mal leur e'carte`lement, / Entre e'motion et indiffe'renge, entre revolte et de'rision>>. 'Outer Accelerator' prende forma poco a poco da un suono guida. Discorso a parte meritano 'New Ortho- phony' e 'Fiery Yellow'. Due pezzi che si possono riassumere con una cita- zione dal testo di 'Wow and Flutter': <<Progress is the clue... Look at the simbol, they are alive, / they move evolve and then they die>>. La musica degli Stereolab si sta muovendo, si sta sviluppando portandoci con lei. Marziobarbolo LP PENG! (Too Pure) Sing. SUPER ELECTRIC (Too Pure) LP SWICHED ON (Too Pure) Sing. LA BOOB OSCILLATOR (Sub Pop) LP TRANSIENT RANDOM... (Duophonic UHF) Sing. JENNY ONDIOLINE (Duophonic UHF) CONTROTEMPO
ALBERT KING "Laundromat Blues" E', per me, una bella soddisfazione potervi parlare di questo splendido disco. Raramente capita di poter ascoltare del blues cosi` pulito, profondo e denso di feeling, e questo non e` dovuto solo al fatto di aver di fronte una delle leggende del blues, il prode ALBERT. Non sempre la notevole cara- tura di un artista e` garanzia di genuinita` musicale, vi basti sapere che il grandissimo Otis Rush da Chicago, uno dei padri fondatori del West Side Blues, autore di splendidi brani, ultimamente sta sfornando prodotti non alla sua altezza; si e` inoltre presentato ad un festival blues comple- tamente ubriaco, con la chitarra totalmente scordata e con grandi problemi di intonazione, riuscendo a rovinare il lavoro della sua ottima band. Non ti rende onore tutto cio`, mio caro Otis! Non e` certo il caso del nostro <<Re>>, al secolo ALBERT NELSON, da Indianola, Mississippi (stessa citta` dell'altro piu` famoso King, B.B.) che ci offre una manciata di splendidi blues. Vi dico subito che sara` molto difficile trovare questo disco perche' oltre ad essere non proprio recente deve trattarsi di una produzione minore, una specie di bootleg, infatti nella discografia di A. KING (cfr. <<Il Blues>> n. 46 Marzo 1994) non e` citato. Si tratta comunque, per chi volesse cercarlo, di BORN UNDER A BAD SIGN (Stax 723, U.S.A.), un album storico. Non mi soffermo sui brani che sono i grandi classici di NELSON da 'Born Under A Bad Sign' a 'Cronent Saw', dal possente 'The Hunter' al lento atmoferico 'Personal Manager'. Che cosa emerge da questi brani? Emerge soprattutto la stupenda voce baritonale, a volte ghiaiosa, a volte vibrante, una voce profonda, calda che riesce a conferire a canzoni come 'You're Gonna Need Me' un'alta carica drammatica; a questo proposito ascoltate la versione rifatta da Robert Cray, e` a dir poco, mozzafiato. La seconda caratteristica del prode NELSON e` il suo chitarrismo lucido, tagliente, i suoi fraseggi sinuosi ed improvvisi ed inoltre il suono, quel suono cosi` rotondo che solo una Gibson Flyin V di nome Lucy puo` dare. Che altro dire? Solo questo: <<Daro` il blues ad ogni dj della Nazione. Se non gli piace, un buco nell'anima>>. Grazie ALBERT. T- Bone Malone ______________________________________________________________Appuntamenti__ | | | SETTEMBRE | | | | Quest'anno prende il via il 1ø Festival di Musica Giovane Albese. | | INTERFERENZE blu ha contribuito organizzando i pomeriggi musicali <<on | | the road>> delle due giornate di manifestazione: VENERDI` 16 e SABATO | | 17 SETTEMBRE. Per le vie del centro storico di Alba suoneranno a diretto | | contatto con il pubblico <<passante>> giovani gruppi albesi che si | | cimenteranno per la prima volta in questa intrigante esperienza (parlia- | | mo dei Sommossa, dei Laida Masnada e degli Inedia) e altri tre musici- | | sti (Luigi Orlando e compagno, musicisti blues di Chieri, e un chitarri- | | sta folk di Cuneo) gia` piu` navigati. Siate calorosi e... ovviamente | | non dimenticatevi alla sera, nel Cortile della Maddalena, del festival | | vero e proprio cui concorreranno i giovani gruppi albesi. | | A Novembre poi non bisogna proprio mancare. INTERFERENZE blu, appoggiata | | dall'Assessorato alla Cultura e dalla Biblioteca Civica di Alba, sta | | preparando un ciclo di tre <<serate di ascolto e critica musicale dal | | vivo>>, il cui titolo e` ancora in cantiere (i titoli, come si sa, | | sono sempre importanti e quindi vanno ben ponderati). Eccovi il program- | | ma provvisorio: SABATO 12 NOVEMBRE. Serata dedicata al Blues con musici- | | sti <<veri>> e musica <<vera>> (in tutti i sensi) organizzata dal nostro | | bluesman di redazione T-Bone Malone e dall'eclettico Johnny. | | SABATO 19 NOVEMBRE. Tocca al Nuovo Rock Italiano, probabilmente con | | qualche suo esponente a vivacizzare la serata condotta da Piero Negri | | e organizzata dal sempre enigmatico Ken Parker. | | SABATO 26 NOVEMBRE. Infine una serata a piu` largo raggio ancora un | | po' tutta da inventare. Ma c'e` in ballo un grosso nome e la possibili- | | ta` di visionare qualcosa (oltre che ascoltare musica, e` ovvio!). | | Marziobarbolo e M.P. ci stanno dietro. | | Inoltre Emma D. si sta scervellando a trovare una locandina accattivante | | da tenervi come ricordo (e anche a come far morire il pur instancabile | | Jaco) e Johnny non molla un attimo la supervisione di tutta l'avventu- | | ra (e non pensate che sia cosa facile!). | | Le serate avranno luogo tutti e tre i sabati nella Sala Beppe Fenoglio | | con inizio alle ore 20:30. Vi aspettiamo numerosi... fatelo sapere | | in giro! | | | | NOVEMBRE | |__________________________________________________________________________| PUNTO FUGATO - Oltre la morte del death DEATH, ovvero la piu` interessante frangia del metal negli ultimi dieci anni. Un incunabolo di sonorita` morbose, oscure, ultraveloci, di rappresentazioni blasfeme e grandguignolesche. Inutile, o quasi, fare i nomi di MORBID ANGEL, DEICIDE, OBITUARY. Ebbene: questa realta`, almeno agli inizi, di stampo underground, presentava forti analogie con l'HARD-CO- RE, ma era pur sempre metal e da esso sembrava aver assorbito la tendenza a richiudersi su se stesso. Un po' come succedeva nell'Heavy classico (avete presente i Manowar, gli Iron Maiden oppure i numerosi guitar-hero dimentica- ti?). Le linee di tendenza attuali fanno pensare invece ad un rimpiccioli- mento consistente del numero dei gruppi death piu` conservatore e schemati- co. Techno, dub, ambient, ma soprattutto fusion ed industrial, come vedremo, sono i generi piu` interessanti per contaminazioni un po' strane. Sorvolere- mo sulle connessioni grunge e death, argomento alquanto spinoso e non paci- fico. Gran parte di questo rinnovamento viene comunque da musicisti che hanno fatto la storia dell'estremismo sonoro (e lo vedremo anche piu` avanti). E' il caso, tanto per fare un esempio, di BLOOD FROM THE SOUL, ossia il progetto solista di Shane Embury, mitico bassista dei NAPALM DEATH. Soprattutto nella title-track si puo` cogliere la sensazione di un death-me- tal spolpato e ridotto a pulsazioni e vibrazioni. L'ipotesi trova conferma se diamo un'occhiata a cosa accade nel sottobosco industriale. MERCILESS, l'ultimo EP dei GODFLESH e` costruito su ritmi impossibili, tecnologici e che scolorano sempre piu` in suoni freddi, cupi, spigolosi e taglienti; i remixes degli jugoslavi LAIBACH che non esitano a distorcere e triturare l'andamento gotico-marziale dei MORBID ANGEL. Due esempi che dimostrano quanto sia vicina la sintesi totale di questi suoni. Un discorso piu` appro- fondito meritano le contaminazioni col Jazz. I NAKED CITY di John Zorn (per non parlare dei GRILL e degli ALBOTH) sono responsabili, come ben si puo` vedere nell'ultimo album RADIO, della creazione di un coacervo di inusitate sonorita`: cioe` il Miles classico e i CARCASS piu` infuriati che vanno a braccetto. Una sorta di <<collage>> d'autore. Di origine totalmente diversa il fenomeno del jazz-death, o, come dicono i critici piu` autorevo- li, il <<contemporary death-fusion>>. Non si tratta piu` di contrapporre un Charlie Parker o un Joe Pass (recentemente scomparso) al grind-core. Si tratta soltanto di gruppi che forniscono, secondo uno schema regola/ecce- zione, un'interpretazione fortemente distorta del death classico. Sono gli ATHEIST, i CYNIC ed i PESTILENCE. Questi ultimi sembrano essere i migliori. Soprattutto perche` l'anima dura della band, ovvero il chitarrista Patrick Mameli, ha evoluto il proprio sound verso una sorta di death-pro- gressivo che riesce a concentrare il meglio di se` anche in 3-4 minuti. Intendiamoci: le brutalita` non sono finite. Ma la punta estrema di contami- nazione si raggiunge nelle note suadenti delle guitar-synth. Quasi come se fossimo in un disco di Allan Holdsworth (confrontare per credere). Molto meno convincenti i CYNIC. Pezzi con lunghissimi assoli eseguiti come Dio comanda, ma un po' artificiosi. Ad onor del vero dobbiamo dire che una tale rivoluzionaria impostazione deriva dal fatto che Paul Masvidal e compagni hanno <<assorbito>> la filosofia del <<guru>> Yogananda. E la cosa ha avuto effetti dirompenti sulla loro musica, diventata il razionale banco di prova e di scontro tra una realta` di disagio (storicamente espres- sa dal grind-core) e l'ego dei musicisti, calamitati verso la felicita` assoluta. Cio` e` evidente nelle parti meno aggressive dei brani. Un simile atteggiamento,ma completamente rovesciato, lo abbiamo potuto trovare anche negli inserti mistico-orientaleggianti dei feroci finlandesi, buddisti ed anti-cristiani, IMPALED NAZARENE. Da un substrato musicale simile a quello dei PESTILENCE muovono gli ATHEIST. Ma le loro ambizioni sono ben maggiori. Non solo fusion, ma un campionario sfrenato di accelerazioni e decelerazioni, di tecnicismo (con un basso che piacerebbe a Jaco Pastoriu- s), di ritmi sudamericani (ricordo <<Samba Briza>>). Peccato che ingredienti cosi` succulenti non si amalgamino in modo sufficiente, poiche` danno origi- ne ad una specie di <<maionese impazzita>>. Resta da considerare che questo disco sara` comunque un esperimento isolato, visto che il gruppo in questio- ne si e` sciolto definitivamente. A questo punto sarebbe perfin troppo facile concludere che siamo di fronte a gruppi che fanno cross-over mediante la fusion (od il Jazz, se preferite). Ciascuna di queste band, di questi musicisti ha come matrice comune i DEATH di Chuck Schuldliner, di cui fornisce un'interpretazione fortemente distorta. Il che non vuol dire che sia necessariamente innovativa. Elemento di controtendenza rispetto allo scenario attuale, e` l'<<ultratecnicismo>> (di cui i DEATH erano appunto campioni) che, come ben sappiamo, imperava nel metal della seconda meta` degli anni ottanta. E questa non mi sembra una prospettiva ottimale per il DEATH!!! Chi vivra`, vedra`. Vincenzo Capitone PUNTO FUGATO - I giovani discepoli dell'acid jazz Londra, fine eighties. Il clima generale e` piuttosto plumbeo (sono gli ultimi anni di governo della Thatcher) ma l'atmosfera dei discoclubs si colorisce di nuove ed eccitanti vibrazioni (VIBES, ecco un termine fondamentale per questa nuova scena): ai grooves soul-funk si sovrappongono elementi jazz e nasce un nuovo stile, presto definito ACID JAZZ. Rapidamente il fenomeno, che trova radici gia` negli anni '70 con le commistioni jazz-soul-funk di ottimi ma misconosciuti performers come Ivan <<Boogaloo Joe>> Jones e Melvin Sparks, esce dai confini dei clubs, in cui ormai furoreggia la house. Nascono cosi` due etichette discografiche seminali, la TALKIN'LOUD e appunto la ACID JAZZ, su cui compaiono i primi vagiti di GALLIANO, JAMES TAYLOR QUARTET, YOUNG DISCIPLES, BRYAN POWELL e last but not least INCOGNITO, i primi ad imporsi a livello di vendite in virtu` di un sound piu` marcatamente dance (si sono sentiti anche da noi un paio di estati fa con DON'T YOU WORRY 'BOUT A THING). Fin dal principio appare chiaro che Acid Jazz al massimo e` una scena e non un vero e proprio genere: rispetto ai <<poppeggianti>> INCOGNITO i GALLIANO sono piu` soul-funky e con un'attitudine seventies, espressa in brani come 'Hungry like a baby' in cui sfoderano echi di Santana; negli YOUNG DISCIPLES svettava (ha lascia- to il gruppo nel 1992) la stupenda voce soul di Carleen Anderson. Successi- vamente sono stati inseriti nel <<movimento>> anche realta` come i MOTHER EARTH, con un retroterra quasi classic rock (confessano influenze di Traf- fic, Deep Purple, Hendrix), e JAMIROQUAI, la cui musica non trasuda partico- lari elementi jazz e che anzi a tratti appare come un clone (anche se di gran qualita`) di Stevie Wonder. Se invece se ne parla per indicare un fenomeno tipicamente britannico, la definizione regge: infatti oltreoceano questo sound, pur avendo guadagnato anche la copertina di Billboard (compas- sata Bibbia delle riviste musicali USA), non ha fatto degni proseliti quanto ad uscite discografiche. Probabilmente cio` e` dovuto allo strapotere del rap nell'ambito della black music, che finisce con l'appiattire sul proprio stile vocale qualsiasi base ritmico-melodica: negli USA si parla di jaz- z-rap, di rap-metal, mentre in UK il rap e` si` un elemento presente in molti esponenti Acid Jazz ma e` solo un aspetto parziale di una scena musi- cale piu` complessa. Se volessimo affibbiare valenze culturali a quest'eti- chetta bisognerebbe stabilire se sia stato un tentativo di elevare la dance music verso sonorita` piu` sofisticate e radicate nel passato, o se al contrario sia nato come strumento per portare il Jazz a contatto del <<popo- lo delle discoteche>> inglese. E cio` e` molto arduo. E' altresi` disagevole decidere se classificarlo unicamente come prodotto del tardo Yuppismo o come effetto dell'irruzione della sensibilita` hip-hop nei dancefloors piu` alla moda. Sta di fatto che l'Acid-Jazz e` stato ed e` un grosso trend in Inghilterra, specie nell'area londinese, e non e` mai stato un fenomeno stradaiolo: questo fatto, unito all'accessibilita` e danzabilita` della musica, lo ha reso antipatico a molti <<addetti ai lavori>>. Musicalmente parlando, l'A.J. ha vissuto finora due momenti di fulgore: quello degli esordi (1989-1990) e il 1992. Qui oltre alle conferme di INCOGNITO (TRIBES, VIBES & SCRIBES) e GALLIANO (A JOYFUL NOISE UNTO THE CREATOR) compaiono come un fulmine a ciel sereno gli STEREO MC'S, provenienti dall'ambiente hip hop ma autori con CONNECTED di un album di soul-rap da brividi, con perle come la title-track, 'Step it up', e la funkadelica 'Chicken Shake'. E come dimenticare i MARXMAN, posse politicizzata come gia` appare dal loro nome, che riescono ad essere intriganti e suadenti in brani come 'All about Eve' e massicci in 'Ship ahoy?' (l'anno scorso girava uno splendido video con tanto di dollaro e bandiera a stelle e strisce in fiamme, e Sinead O'Connor alla voce). Da allora il movimento e` parso in declino... (conti- nua) Corvo Rosso MILES DAVIS KIND OF BLUE con BILL EVANS <<C'e` un'arte figurativa giapponese in cui l'artista e` costretto a essere spontaneo. Deve dipingere su di una superficie tesa e sottile, con un particolare pennello e colore nero, in un modo tale, che una pennel- lata artificiosa o interrotta ne distruggerebbe il tratto o trapasserebbe la tela. Cancellature o cambiamenti sono qui impossibili" [1]. Investigare il significato e il ruolo del jazz, e in particolare del jazz moderno, come categoria specifica di una civilta`, corrisponde a una domanda che non puo` essere soddisfatta senza rintracciare nel gioco delle relazioni trasversali che ne connettono le diverse forme, motivazione e tendenza unitarie. La prima constatazione che vorrei fare, e` che fra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta la ricerca musicale jazzistica si e` estrinsecata nello studio e nell'elaborazione di un nuovo approccio in una stretta connessione con l'approfondimento di istanze e bisogni espressi- vi. Ed e` cominciando da qui, da questa febbre vivificante che sorse l'idea dell'IMPROVVISAZIONE MODALE, basata non sugli accordi anche molto complessi di un tema, ma su diversi tipi di scale e di modi. Fu proprio M. DAVIS a proporre la variante prima della seduta per incidere KIND OF BLUE ('59); quella mattina lui si presento` con degli schemi che erano per lo piu` delle delimitazioni di tempo, come nella pittura giapponese lo spazio della tela e` il perimetro del campo di azione. Questo piccolo trucco (gimmick) in cui ora ci addentreremo, non toglie nulla alla fusione di musicalita`, umanita` e intelletto che ha dotato tale musica di un fascino universale. La MELODIA e` uno degli elementi essenziali della musica; insieme con ARMONIA e RITMO, essa si presenta all'ascolto in <<primo piano>> ed e` suscettibile, da parte della mente di chi ascolta di divisione in frammenti piu` piccoli: periodi, frasi, motivi. Il motivo e` la piu` piccola entita` melodica. Sul motivo si costruiscono frammenti che stanno in rapporto di somiglianza. Mentre ogni differenziazione genera <<variazioni>>. E il risultato di tale organizzazione melodica viene detto: TEMA E VARIAZIONI. Rintracciando il passato, fu M. DAVIS a sovvertire le tradizionali conven- zioni armoniche, privilegiando le linee melodiche fondate su un minimo di accordi. Accanto a lui BILL EVANS, che ha partecipato alla parte piani- stica nella composizione KIND OF BLUE, che scrisse in un breve saggio sull'improvvisazione, come in qualche modo la collaborazione jazz sia il compimento di una disciplina severa e unica, basata sul confronto fra stati mentali, esempio di un pensare collettivo e coerente attraversato dalla <<simpatia>>. Si ha l'occasione di meditare sulla situazione. Una sorta di iniziazione alla verita`. E la noncuranza verso strutture complesse, rende l'improvvisazione come un GESTO, che e` tuttavia riflessione signifi- cante. Venendo meno la preoccupazione sugli accordi, il musicista gira sui tacchi e si appoggia alla linea melodica con un'espressione finalmente autentica e non simulata. Lasciandosi sedurre. I tre aspetti del grande esecutore - magia, narrazione, lezione - tendono a fondersi in un'unica immagine, perche` la magia e` presente nel midollo dell'autore, proprio li`. Per godere di questa magia bisogna quindi ascoltare facendo costantemente delle previsioni e la bravura di chi suona sta nel confutarle. Lui e il suo amico BILL EVANS, che non dimenticava di ricalcare le tracce dello <<swing>>, sanno precisare al loro pubblico e con fascino, quale sia il PUNTO importante, il motivo centrale, da cui partono le nostre previsioni, in quanto tutta la struttura si organizza sulle ripetizioni e noi dovremmo indovinare quali e quando. Un ruolo fonda- mentale e` giocato dalla MEMORIA. Ma indovinare troppo rende il tutto noio- so. Chi ascolta si sente chiamato alla ricerca di un contenuto. Faticosamen- te cerca di ricomporre i singoli brani come i pezzi di un <<puzzle>>, ma ad ogni tentativo il risultato e` inconcludente: ogni volta c'e` un pezzo di troppo, che resta fuori. 'So What' per esempio, il primo brano; e` una struttura relativamente semplice, e` incentrata su sedici misure di una scala, otto di un'altra, piu` otto della prima. Segue un'introduzione di piano e basso su di uno stile ritmico libero. Proprio su questo schema, niente piu` di un manichino, di un figurino di moda d'epoca, non crediate di possedere la calda sensazio- ne di un'esperienza condivisa. In un certo senso solo il musicista, se ispirato, scopre la mossa successiva. Presumibilmente. E il fatto che non avessimo minimamente presagito, ci lascia leggermente perplessi, sorpresi. Ma in questo nostro fallimento si nasconde, per l'artista, il privilegio di un'esistenza guidata da certezze, che proprio perche' fragilissime posso- no appartenere solo alla musica, all'IMPROVVISAZIONE. Decus [1] Citazione da: BILL EVANS IMPROVISATION IN JAZZ ______________________________________________ / \ / REDAZIONE \ | | | M.P., Marziobarbolo, Johnny, | | Emma Dulcamara, Jaco, Dronag, T-Bone Malone, | | Vincenzo Capitone, io, Axiom, Decus, Cascina | \ Macondo, LucaBi` / \______________________________________________/