Maggio-Giugno 1994
Dunque: Uno, due . . . quattro! Se le mie dita non mi ingannano questo
e` il quarto numero di INTERFERENZE Blu, un numero che esce giusto in tempo
perche' possiate metterlo in valigia, e, una volta giunti a destinazione
prenderlo in mano per leggerlo, rileggerlo, rivoltarlo da ogni parte e
magari mentre lo fate vi accorgerete che i testi tradotti sono quelli dei
Nirvana che abbiamo ritenuto piu` validi sotto il lato sociale che sotto
quello poetico, oppure giusto in tempo perche' vi possa essere utile per
decidere quale dovra` essere la colonna sonora delle vostre vacanze. Comun-
que, per tutti, anche quelli che le vacanze non le possono o non le vogliono
fare, le hanno gia` fatte e specialmente per quelli che hanno deciso di
farle in autunno (mi raccomando non a Novembre!): ve lo diciamo con un
certo preavviso, per cui non veniteci a raccontare fanfaluche. Non posso .
. . C'e` la zia che . . . A Novembre vi vorremmo tutti con noi per tentare,
assieme (con l'aiuto di qualche esperto), di capirne un po' di piu` della
musica che ascoltiamo, o forse, anche solo per parlarne, per vederci! Un'ul-
tima cosa che vi voglio far presente prima di congedarmi e` che INTERFERENZE
Blu e` distribuito anche via telematica su territorio nazionale grazie
al prezioso impegno di Dronag. Se volete saperne di piu` fatevi sentire,
saremo felici di darvi ulteriori spiegazioni.
Marziobarbolo
RECENSIONI - 360 gradi
PALACE BROTHERS
Come in
(EP, Domino Records, 1994)
Immagini e note di copertina essenziali ed elusive per il nuovo singolo
dei PALACE BROTHERS, come del resto era stato per il loro album d'esordio
(THERE IS NO ONE WHAT WILL TAKE CARE OF YOU, Big Cat). Di quest'ultimo
si parla nel secondo numero di Interferenze e gia` in quell'occasione si
erano cercate le possibili coordinate per inquadrare le sonorita` dei Palace
Brother (una sorta di country-blues d'altri tempi che ricorda, almeno per
l'ispirazione musicale, gruppi come i Come ("Eleven: Eleven", Placebo
Records) e Grant Lee Buffalo ("Fuzzy", London Records). Utile ricordare
la loro provenienza geografica (Kentucky) ed artistica (due terzi del gruppo
provengono dagli Slint).
La musica presente in questo COME IN Ep, interamente acustico, e`
semplice e naturale ma sorprendentemente espressiva. I PALACE BROTHERS
ci introducono nel loro mondo personalissimo e fatto di piccole storie
quotidiane vissute sulla strada, di numerosi ritratti di un' America vista
come un'enorme citta` fantasma rasa al suolo che non puo` far altro se
non commiserare la propria decadenza.
Il tutto si apre con 'Come in' dove cantano in modo sottomesso <<entra
dentro, per l'ultima volta . . . le cose cominceranno a cambiare per te>>;
in 'Horses' <<tutti hanno bisogno di un angelo . . . ma qui accanto a me
sta seduto un diavolo>>. Sul lato opposto, altre due canzoni: 'Trudy Dies'
e 'Stable Will'. I PALACE BROTHER sono un gruppo immediato, assolutamente
efficace e spontaneo; a volte sembrano voler reagire in tutti i modi
possibili e in altri meno probabili. Difficile pensare che qualcuno possa
trovare un "ma" da usare contro di loro.
M.P.
SAUSAGE
Riddles are abound today
(Prawn Song/Interscope, 1994)
Negli ultimi tempi si e` scritto e detto molto a proposito di Les
Claypool, dei suoi Primus, delle sue slappate isteriche e delle folli svisa-
te lungo il manico del suo basso. Forse troppo. Giornali e critici trendisti
ne hanno tessuto le lodi spassionatamente, cosi` come qualche anno pri-
ma (quando era scomodo promuovere idee musicali innovative e diverse dagli
stereotipi del metal e dell'hard-rock) ne avevano decisamente stroncato
le proposte. Tant'e` vero che il primo album dei Primus, il live "Suck
on This", fu pubblicato a proprie spese sulla sua etichetta Prawn Song
fondata ad hoc. Ed il buon vecchio Les non se l'e` certo dimenticato. Infat-
ti ha reclutato i suoi primi compagni di viaggio, il batterista Jay Lane
ed il chitarrista Todd Huth, insieme ai quali aveva formato il primitivo
embrione dei Primus, ed autori all'epoca (il lontano 1988) di un demo-tape,
snobbato dalle case discografiche, con il nome programmatico di SAUSA-
GE (salsiccia); ha tirato fuori dal cassetto le vecchie registrazioni e
le vecchie composizioni, che rielaborate alla luce delle esperienze persona-
li vissute dai tre (Charlie Hunter Trio e Alphabet Soup per Jay Lane, Porch
per Todd Huth e, naturalmente, Primus per Les Claypool) hanno dato come
risultato questo splendido RIDDLES ARE ABOUND TODAY e, come se non bastasse,
probabilmente ora Les stara` ridendo fragorosamente pensando a tutti i
discografici che li ignorarono e che ora si staranno rodendo il fegato
al pensiero.
Per quanto riguarda i suoni, siamo da qualche parte tra i primi albums
dei Primus, e molte sono le similitudini tra le due bands, ma questo non
tragga in inganno. Siamo di fronte ad uno dei dischi piu` completi, coinvol-
genti e ben suonati degli ultimi tempi.
Si inizia con l'ipnotica 'Prelude to Fear', per poi soffermarsi sulla
rilettura in chiave SAUSAGE del classico dei Primus 'The Toys go . . .', per
finire con 'Caution Should be Used While . . .'. E' il basso (e la voce
nasale - riconoscibilissima - ) di Claypool, come sempre, a farla da padrone
tra cavalcate portentose ed umorali passaggi psichedelici (!), ben supporta-
to dalla batteria eclettica di Jay Lane e dalle virtuose intuizioni chitar-
ristiche di Todd Huth, incisivo e schizoide, mai prevedibile. Gia` perche'
l'imprevedibilita` e` la qualita` maggiore dei SAUSAGE, dalla divertentissi-
ma 'Girls for Single Men' alla potentissima 'Here's to the Man', fino al
free(k)-jazz di 'Shattering Song'.
Le atmosfere si dilatano e la voce quasi non c'e` piu`, o meglio,
assume connotazioni ed espressioni inusuali, fornendo un prezioso contrap-
punto alle parti strumentali, siamo dalle parti di Recreating e della ti-
tle-track, dal <<cartoonistico>> riff d'apertura. Ogni brano perde, strada
facendo, le proprie caratteristiche, trasformandosi e mutando in continue
sfumature e partiture, sfociando spesso nella piu` libera improvvisazione.
I SAUSAGE inglobano, masticano, triturano e distruggono qualunque cosa
incontrino sul loro cammino: guai a chi si oppone al loro volere!
Axiom
KYUSS
Sky Valley
(Elektra, 1994)
MOTORPSYCHO
Another Ugly/Mountain
(Voices of Wonder, 1993-94)
Potentissimo, compatto e terribilmente invitante. Cosi` si puo` defini-
re il terzo, sospirato album dei KYUSS. Un piacere sonoro senza limiti.
E' una calamita` naturale, una montagna di riffs che si sgretola mille
volte ('Gardenia'), precipita e tutto travolge (l'incalzante '100 Degrees')
e finisce per catalizzarsi in un torrido rock-blues ('Conan Trout Man').
Ma non basta. Non ogni cosa diviene sempre energica e totalmente prevedibile
nella musica del quartetto di Palm Springs: troviamo l'"acusticita`"
di 'Space Cadet', i flash elettrici-liquidi che irrompono tra i fragorosi
bombardamenti di 'Asteroid'. Oppure le pazzie di 'Odissey', apparentemente
semplice ma martoriata da momenti allucinanti, bucata da suggestioni acide
e polverose. Insomma, un sound corposo, ricchissimo, legato a doppio filo
ad un certo hard che fu (dai Motorhead ai Blue Cheer), ma che proprio
all'interno di questa tradizione ha scavato a poco a poco un percorso tutto
suo. Anche nel deserto, rigogliosi, crescono i ciuffi d'erba!
Cambiamo completamente scenario: Trondheim, Norvegia. Una tranquilla
citta` dove (almeno ai piu`) sono curiosamente celate preziose sonorita`.
Scopriamole: Dopo tre sottovalutatissimi lavori, i MOTORPSYCHO ci propongono
due Ep in cui emergono ulteriori lati oscuri del loro sfaccettato stile
underground. All'inizio troviamo il beat di 'Another Ugly Tune' (indovinato
l'uso del wah-wah), che assume toni piu` enfatici nell'interpretazione
vocale di 'Summertime is Here' e si annulla nella nostalgia di 'Blueberry
Daydream', sempre dolce e sempre ruvida. Da segnalare infine, la viscerale
e strozzata 'Watching You' cover dei Kiss. Ancora piu` interessante il
secondo Ep. In MOUNTAIN, MC5, Grand Funk, e i soliti Black Sabbath sono
ripresi integralmente ma adeguatamente trattati con una buona dose di psi-
chedelia al limite del rumorismo, mentre la granitica chitarra di Flesharro-
wer si stempera in una voce claustrofobica e pesantemente oppressiva. Poi,
improvviso, un organo blasfemo e ipnotico, una possente melodia guidano -
in un crescendo ossessivo - allo scontro finale che culmina, come in un
antico rito pagano, in un urlo liberatorio ("The House at Pooneil Corners"
dei Jefferson Airplane).
L'atmosfera si fa minimale nella strumentale Viscount Grisnah, la
gamma di suoni ridotti all'osso. Finale declinante con la nuova <<confused
version>> di 'Sister Confusion', uno scarno cumulo di note e una voce
sofferente. Gruppo anni '70? Forse, ma anche gruppo sperimentale, senza
tempo (vedere certe spiccate tentazioni <<industrial>> nel recente DEMON
BOX, VOW, 1993) e soprattutto gruppo che rifiuta a priori il revival a
buon mercato (da Iggy Pop in giu` fino agli ultimi Pink Floyd) o il nuovo
pseudo-grunge da alta classifica. E' bello sapere che c'e` ancora qualcuno
che suona ragionando con la propria testa!!!
Vincenzo Capitone
J.J. CALE
Closer to you
(Virgin)
Arriva un po' inatteso questo nuovo compact di J.J.Cale. Il chitarrista
preferito di Eric Clapton (tra l'altro e` bene ricordarlo, e` lui che ha
scritto <<Cocaine>> e <<After Midnight>>) non e` mai stato autore eccessiva-
mente prolifico e la sua ultima opera in studio, il deludente TEN, risaliva
a non piu` di un anno fa ed era passato completamente inosservato agli
occhi di pubblico e critica. Invece ecco questo CLOSER TO YOU tanto gradito
quanto inaspettato. Sarebbe troppo, per altro, parlare di rinascita per
un musicista che e` nato nel 1938 e che ha dimostrato nel tempo e con
album come NATURALLY, FIVE e TRAVEL LOG (qualcosa di piu` di un buon disco
a mio modesto parere) di poter dire tranquillamente la sua nel circuito
rock americano. Un blues morbido candito da un suono di chitarra molto
dolce e da una voce tanto elegante quanto rotonda e naturale, priva cioe`
della benche' minima spigolosita`. Cosi` e` stata definita la musica di
J.J.Cale. Ed in tali termini, effettivamente, si esprime il suddetto chitar-
rista. Un sound rilassante quindi, anche poco impegnativo. Capace di riper-
correre sempre gli stessi temi apportando minime variazioni stilistiche.
Ed e` proprio questa abilita` di ripetersi offrendo in realta` un prodotto
sempre nuovo, anche se non propriamente originale, la vera peculiarita`
della musica di J.J.Cale. Dall'iniziale 'Long Way Home', passando per la
jazzata 'Sho-Biz Blues' all'elegante 'Like you Used to' il nuovo disco
riesce ad offrire quel piacevole impasto di chitarra e voce che ha fatto
la fortuna del solitario (pochissime le partecipazioni nell'arco di una
pur lunga carriera) e riservatissimo (rarissimi i suoi concerti causa la
poca familiarita` con il pubblico) chitarrista nativo dell'Arizona. In
conclusione un disco piacevole che si presenta agli inizi della stagione
estiva come un <<di piu`>> per allietare il riposo sotto l'ombrellone.
Ken Parker '68, Lupo del Nord
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DUMB STUPIDO
I'm not like them Non sono come loro
But i can pretend Ma posso pretenderlo
The sun is gone Il sole e` tramontato
But I have a light l Ma ho una luce
The day is done u Il giorno e` finito
But I'm having fun d Ma mi sto divertendo
i
I think I'm dumb b Penso di essere stupido
Or maybe just happy r O forse solo felice
Think I'm just happy i Penso di essere solo felice
a
My heart is broken Il mio cuore si e` rotto
But I have some glue Ma ho della colla
Help me inhale Aiutami a respirare
And mend it with you E aggiustalo tu
We'll float around Voleremo nell'aria
And hang out on clouds E abiteremo sulle nuvole
Then we'll come down Poi scenderemo giu`
And have a hungover E smaltiremo la sbornia
v
Skin the sun e Scortica il sole
Fall asleep n Addormentati
Wide away t Continua a desiderare
The soul is cheap i L'anima costa poco
Leson learned s Lezioni imparate
Wish me luck Augurami buona fortuna
Soothe the burn Cura la scottatura
Wake me up Svegliami
Testo: Nirvana Traduzione: LucaBi`
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KERRS PINK
A journey on the inside
(cd Musea 1993)
(2lp Colours1993)
Di questo fantomatico combo norvegese si erano ormai perse le tracce
da parecchi anni; nello stesso modo, si favoleggiava dei loro primi 2 lp
come una sorta di araba fenice in chiave moderna, che qualche incauto giura-
va di aver visto apparire (a prezzi stellari, ovviamente) nei mercatini
collezionistici internazionali che periodicamente punteggiano la penisola.
In realta`, sia l'omonimo KERRS PINK (1980) che il secondo MELLOM OS-
S (1981), entrambi realizzati su etichetta privata Pottiskiver, sono stati
recentemente stampati su cd dalla meritoria Musea francese, ben nota agli
appassionati del settore. Anzi, al primo lavoro sono state aggiunte parec-
chie bonus tracks risalenti all'epoca d'uscita del disco ma mai pubblicate
precedentemente. Semplice archeologia musicale, dunque? No, anche perche`
timidi segnali di sopravvivenza da parte del gruppo si erano avvertiti
con la partecipazione di quest'ultimo alla compilation "7 days of a li-
fe" (Musea, 1992, sette pezzi per sette gruppi diversi, ognuno dedicato
ad un giorno della settimana) con il brano 'Monday'. Ed ora, il ritorno
in grande stile con questo concept album, lasciando da parte per una volta
il suggestivo ma ostico cantato in norvegese degli esordi a favore della
ipersfruttata lingua d'Albione. Si narra del viaggio interiore (gia` si
era capito dal titolo...) di un giovane alla ricerca di una propria identi-
ta` all'interno di quel complesso sistema che e` il mondo che ci circonda.
I testi, tuttavia, sono piuttosto scarni e lo spazio a loro dedicato decisa-
mente inferiore a quello che occupano i passaggi strumentali. E' qui che
ci si accorge realmente che il tempo non e` passato: le ritmiche leggermente
appesantite non scalfiscono minimamente la validita` delle melodie, ricche
di un clima tipico delle terre scandinave. E' facile lasciarsi andare a
momenti di abbandono, alla stregua di un aliante che plana tiepidamente
sulle alture tra i fiordi , senza farsi intimorire dal mare impetuoso che
lo osserva dal basso, aspettando un ammaraggio che non arrivera` mai. Ma
spesso si attraversano anche coste piu` ripide, scoscese, fatte di intrecci
chitarristici piu` aspri e tortuosi, ma mai fini a se stessi : il tutto
si collega alla perfezione in quella che e` la destinazione musicale dei
KERRS PINK, in grado di proporsi in maniera gentile e quasi folky anche
nei momenti piu` duri. Che dire, a questo punto? Che vi consiglio l'acquisto
del Cd (lasciate perdere versione in doppio vinile, che a trovarla...)
e, se siete dei nostalgici incalliti e amate il sound di gruppi quali Camel
e Gentle Giant, mettetevi alla ricerca delle ristampe dei primi due dischi,
prima che anche queste vadano esaurite!
io
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RAPE ME VIOLENTAMI
l
Rape me u Violentami
Rape me, my friend d Violentami, amico mio
Rape me i Violentami
Rape me again b Violentami ancora
r
I'm not the only one i Non sono l'unico
a
Hate me Odiami
Do it and do it again Fallo, e fallo dinuovo
Waste me v Devastami
Taste me, my friend e Senti il mio sapore, amico mio
n
My favourite inside source t Sei la mia fonte segreta
I'll kiss your open sores i Bacero` le tue ferite aperte
Appreciate your concern s E saro` felice della tua attenzione
You'll always stink and burn Puzzerai e brucerai per sempre
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CATHEDRAL
Statik Majik
(Earache, 1994)
Una sfera fiammeggiante sostenuta da un tripode di essa. Una sibilla
vaticinante che regge una croce. Una figura mascherata con le braccia alza-
te. Una stella a cinque punte cerchiata . . . Con un simbolismo un po'
kitsch ma inquietante si presentava MIDNIGHT MOUNTAIN, ovvero l'ultimo
singolo dei CATHEDRAL tratto dal corrente ETHEREAL MIRROR (Earache 1993).
Questa volta pero`, il gruppo di Lee Dorrian ha disorientato tutti sfornando
un lunghissimo Ep. La prima facciata e` occupata da 'Hhypnos 164' e da 'Co-
smic Funeral'. Nulla di stratosferico - d'accordo - ma e` comunque un pun-
gente hard di scuola sabbathiana, insolitamente allusivo, dilaniato dal
ritmo e dai sempre validi assoli. Ben piu` ampie sono le prospettive offerte
dalla seconda facciata nell'estrosa 'Voyage of Homeless Sapien', una suite
di 23 minuti (!). L'alone di mistero, di paura, di caos, i cromatismi vio-
lenti della copertina si riversano sull'ascoltatore, subitanei. Questa
folle escursione sonora nasce dal doom ormai classico e si snoda dinamica-
mente in otto <<puntate>>: Alla ruvida pesantezza della chitarra si alterna
l'episodio acustico oppure l'ammaliante richiamo della tastiera, simbolo
per eccellenza del progressive.
Quando la puntina scava gli ultimi solchi sul disco, si ha la sensazio-
ne di aver compiuto un lungo, travagliato cammino. Veramente sostanzioso
questo preludio alla ridefinizione prossima del Cathedral sound. Pertanto,
davanti ad un tale esperimento, abbandonerei ogni ingenua e mal ponderata
esplosione di entusiasmo. O, al contrario, di rimpianto rispetto alle moven-
ze mostruosamente cadenti e decadenti del primo Ep IN MEMORIUM (Rise Above,
1990, rist. 1994). Una sola certezza ho raggiunto: che la musica di questo
gruppo e` inscindibilmente connessa agli anni settanta, ma ora - cio` che
i critici specializzati faticano ad ammettere - viaggia verso un NUOVO
MODO di sentire <<quell'altra vecchia musica>>, un modo che si puo` appro-
priatamente definire CROSS-OVER.
Vincenzo Capitone
THULE
Frostbrent
(cd Thule rs, 1994)
(lp Colours, 1994)
La leggendaria Thule, terra dei ghiacci perenni e porta dell'Artico,
il cui nome evoca storie di naufragi e di esplorazioni polari, alla tiepida
luce dell'aurora boreale... Gia` ben nota in campo letterario, dunque,
e` piu` recentemente assurta agli onori delle cronache musicali (piu` misco-
nosciute, tuttavia...) grazie ad alcuni ragazzi provenienti da Honningsvag,
Norvegia, cioe` scusate: Capo Nord! Lungamente atteso da chi ha speso tempo
e soldi nella sua ricerca, il dischetto in questione non delude sicuramente
le attese, anche se mostra un lato sinora quasi del tutto inedito della
personalita` musicale del gruppo; esso, infatti, si discosta di molto -
nella sua concezione schematica - dalle precedenti opere. Infatti, sia
il monolitico ULTIMA THULE (lp autoprodotto del 1987) che il successivo
NATT (lp Colours, 1990) presentano pezzi piuttosto lunghi e variegati,
per lo piu` incentrati su atmosfere tenebrose tipicamente "progressive".
FROSTBRENT, invece, ci presenta una raccolta di brani molto secchi, brevi
e piu` vicini alla tradizione rock tout-court nei quali primeggia una chi-
tarra spesso dura e quasi violenta, intrisi qua e la` di misticismo nordico;
si va dai passaggi quasi grunge della title track e di 'Aldri' all'ibrido
countriy rock di 'Sur Sneip' e di 'Hei, Hei, Hei!' - un vero e proprio
anthem con una voce femminile in bella evidenza. Non mancano istanti di
liricita` melanconica, allorquando al cantato quasi angosciato di Peer
Einar Pedersen fa da sottofondo una 12 corde che parla un linguaggio runico
fatto di chiaroscuri affascinanti. E' il caso di 'Han sa...' , quattro
minuti di saga elettroacustica che ci riporta ai fasti di "Shaman", pezzo
guida del primo album. Ma e` forse l'unico momento di ritorno al passato,
poiche` - come detto in principio - questo album si discosta decisamente
dai precedenti. Forse la fuoriuscita del tastierista Pal Valle (presente
solo in qualita` di collaboratore in quattro pezzi) ha contribuito in manie-
ra determinante a fargli assumere una nuova fisionomia musicale, orientando-
lo verso forme piu` lineari e crude, abbandonando cosi` la sontuosa lirici-
ta` cui ci aveva abituati. Un' opera, dunque, rivolta ad un pubblico relati-
vamente ampio, che va alla ricerca di contaminazioni tra tradizione seven-
ties e modernismo; di quello buono, pero`: lasciamo da parte i vari techno,
house & compagnia cantante, che non c'entrano nulla... La saga continua.
io
GIPSY KINGS
Greatest hits
(Sony Music)
Apparira` forse sorprendente la recensione di un Cd dei GIPSY KINGS.
Ma ancora di piu`, stupira` il fatto se si tratta di una raccolta di succes-
si, e quindi non proprio un prodotto artigianale. Eppure considero il gruppo
dei fratelli Baliardo e dei fratelli Reyes, gitani veri della Camargue,
non surrogati come tanti, fondamentali in un contesto di musica etnica
mediterranea: capaci di un sound chitarristico corposo, i Gipsy sono autori
di un flamenco contaminato dalle piu` svariate influenze mediterranee.
Come il rai dell'algerino Khald o il blues partenopeo di Pino Daniele la
musica dei Gipsy non e` facilmente etichettabile: calore, feeling, ritmiche
possenti, vertiginosi assoli di chitarra acustica sono ingredienti tanto
comuni quanto difficili da trovare nella realta`. Ed e` forse questo il
vero segreto della band, capace di raggiungere un discreto successo commer-
ciale senza tradire le sonorita` originali della propria terra di provenien-
za. Mistero, malinconia, allegria, sensualita` sono tra le sensazioni che
meno si percepiscono tra le note del sound Gipsy. Al di la di 'Bamboleo',
pezzo che li ha resi famosi in tutto il mondo e che prima o poi si puo`
ascoltare se si passa una serata in una discoteca qualsiasi, la raccolta
contiene tutte le migliori canzoni del repertorio della band. Si passa
dalle strumentali 'Moorea' e 'Galaxia' (che normalmente apre i concerti)
alle tradizionali 'Soy' e 'Djobi Djoba' per continuare con i rifacimenti,
peraltro riuscitissimi di classici quali 'Volare' e 'Commo d'habitude'.
Menzione speciale, poi, per 'Vamos a Bailar' un proto-samba scatenatissimo
sorretto da tanto di fiati che, se lo sentisse, potrebbe far ballare anche
Pierangelo Bertoli in vena di facezie. In conclusione un prodotto da ascol-
tare ma soprattutto da vivere con emozione tutta latina.
Ken Parker '68, Lupo del Nord
SENSER
Stacked Up
(Ultimate/A&M, 1994)
Folgorante esordio sulla lunga distanza per la band di Sua Maesta`
Britannica forte di ben sette elementi tra cui il rapper arabo Heitham
Al Sayed e l'affascinante voce femminile di Kerstin Haigh. Presentati dalle
riviste inglesi come la risposta europea ai Rage Against the Machine sono
in realta` molto piu` eclettici. Cio` che colpisce e` proprio la loro capa-
cita` di captare influenze a 360 gradi (al punto che si fa prima a citare
i generi che non esplorano - di sicuro progressive, country, jazz, blues
e death metal - che enumerare tutte le loro incursioni nei campi musicali
piu` svariati!) e soprattutto di legarla con irrisoria facilita` a songs
di altissimo livello, in cui gli accostamenti stilistici non sono per niente
forzati. Quasi ogni canzone e` un mondo a se' e va trattata singolarmente:
comunque gia` dall'iniziale 'States of Mind' si capisce che aria tira con
una prima parte sincopata e contrappuntata da piano, scratching e dai sen-
suali vocalizzi di Kerstin (questi ultimi saranno un leitmotiv in tutto
il disco) squarciata poi da un riff trash e dal rapping durissimo di Hei-
tham. La tempesta sonora si calma un po' con 'The Key' con il suo andamento
sinuoso quasi dub e 'Switch', sulla stessa falsariga ma con piu` funk e
un rapping piu` aggressivo. Con 'Age of Panic' viene in evidenza la compo-
nente techno, qui accoppiata splendidamente al suono in wah-wah della chi-
tarra di Nick Michaelson. 'What's Going On' e 'Stubborn' tornano verso
il rap-metal con ottimi esiti soprattutto nella prima, impreziosita nell'in-
tro dal flauto campionato di Ian Anderson (Jethro Tull do you remember?)
che precede un riff degno dei migliori Anthrax. Alla furia hard-core di 'E-
ject' e 'No Comply' fanno da contrappunto il percussivo e ipnotico strumen-
tale 'One Touch One Bounce' e 'Worth' in stile ambient-dub, mentre 'Peanut
Head' potrebbe benissimo figurare nel repertorio degli Urban Dance Squad.
Ma le due tracks che a mio parere potranno maggiormente determinare la
fortuna commerciale di STACKED UP sono il divertissement techno-trance
di 'Door Game' (con tanto di stacchi vocali in stile ragamuffin' come la
dance piu` trendy!) e la dolcissima e semi-psichedelica 'Peace' cantata
in modo incantevole da Kerstin che racchiude come una perla un liquido
guitar solo a` la Ozric Tentacles. Se a tutto questo ben di Dio uniamo
efficacissimi testi antifascisti e contro <<i monumenti della disinformazio-
ne che brillano su ogni televisione>> . . . beh, non rimane che fare tanto
di cappello.
Che cosa volete di piu` da un debutto?
Corvo Rosso
AMBROGIO SPARAGNA
Giofa` il servo del re
(BMG)
Giofa` il servo del re. Alla cortedi re Ferdinando: Giofa` io sono:
il giullare del re. Napoli. Giofa` non sa piu` cantare, ne' recitare (un
labbro all'in su, la voce nasale: Pulcinella) e nemmeno fare la carte.
La sua fortuna e` finita, dovra` andare nel regno: fuori da quel mondo
bello al tormento di trovar il pane da campar e dei boni amici pe' cumpare.
Una favola musicale per attore, voci, flauti, chitarra barocca, archi,
percussioni e organetto (una piccola fisarmonica in legno). La favola di
un uomo nato nella continua giullariache da un castello finisce sulla stra-
da, sulla piazza: non si esibira` piu` per il re, ora per la gente della
strada. Chi cerca s'affanna la vita poi t'inganna chi trova parole che
nun sa utilizza`. Ma nun saccio vede' chella` che e` dentro a me. Zuchezu-
chezu l'organetto e` il suono della malinconia di Giofa`; trovera` la via
che abbraccia la vita: la piu` bella rosa. Mille so' le storie c'hai da
cantare e mille so' li cuori c'hai da infiammare ancora mille so' le donne
da baciare. I testi di AMBROGIO SPARAGNA (come la musica; la regia di Piero
d'Onofrio) sono tutti in napoletano eccetto quando e` il re che decide,
fantasma lui e il suo mondo richiamato da un coro femminile, dai pensieri
di Giofa`. Un'opera moderna: tutto ha origine dalla musica; dramma sulla
musica: protagonista e` un cantante: un saltimbanco: un giullare. Come
molto teatro contemporaneo vi e` di canzoni e recitativi sia accompagnati
sia non. Affondando le radici nella tradizione popolare napoletana rivisita-
ta con motivi blues dal clarinetto e dal contrabbasso: possente base. Mag-
giore attenzione bisognerebbe dedicare a questo aspetto tecnico musicale.
Ambrogio Sparagna: eccezionale: Lucilla Galeazzi (mezzosoprano). Ne' l'aria
tutta la liberta` mille parole da fa vula`.
Johnny
PUNTO FUGATO
Un'arte musicale
Tanto vale scoprire subito le carte. Non e` mia intenzione tenere
a battesimo, con questo articolo, una scena musicale che non esiste, anche
perche' i gruppi che ho intenzione di segnalarvi, pur avendo dei punti
di contatto, sono molto diversi tra loro ma, a mio avviso, si stanno muoven-
do tutti nella stessa direzione. Ovvero verso l'abbattimento, l'estensione
e il rinnovamento della definizione di canzone, brano. Per avvicinarsi
ad un'idea di pezzo, nel senso di frammento.
I gruppi di cui vorrei parlarvi sono: STEREOLAB, PAPA SPRAIN, BUTTERFLY
CHILD, SEEFEEL, PRAM, BARK PSYCHOSIS, INSIDES.
Incominciamo col riprendere la nozione di frammento con alcune afferma-
zioni di Gary McKendry dei PAPA SPRAIN. A domande concernenti la loro
musica Gary risponde che secondo lui introdurre variazioni di volume e
di effetto, nel suono di una chitarra rende la musica molto piu` interessan-
te che la semplice variazione di corda. Questa tecnica e` riscontrabile
in quasi tutti i gruppi in questione e se ci pensiamo bene la variazione
di volume procura all'ascoltatore una percezione dello spazio che difficil-
mente si riesce a rendere con la variazione delle note. Poiche' sentire
il suono piu` forte implica anche una sensazione di piu` vicino, quindi
l'ascoltatore ha l'impressione di muoversi nello spazio quando in realta`
sta fermo o se non altro ha l'impressione che la fonte si muova, se lui
sta fermo. Fatta questa divagazione ritorniamo al frammento, dice Gary
sempre a proposito della loro musica: <<il modo in cui la penso, visualmen-
te, e` chiedendomi quale pezzo di arte astratta mi ricorda. Suona come
un Kandinsky o come un Jackson Pollock?>>, <<In ogni pezzo di musica che
e` una canzone tu puoi sentire frammenti di migliaia di altre canzoni>>.
Alla domanda: <<Cosa influenza la vostra musica?>> Gary risponde <<Per
quel che riguarda le liriche, la letterartura moderna dal xx secolo in
avanti e` un linguaggio talmente libero. Qualcuno lo chiama nonsense, ma
tu puoi ottenere cose stupende da questo nonsense.>> Anche gli STEREOLAB
manifestano uno spiccato interesse per il mondo della letteratura e cio`
che lo riguarda. Un loro pezzo ha per testo uno scritto di Baudelaire dal
titolo "Enivrez-Vous". Interessante anche un altro testo degli Stereolab
che si rivolge ai media: <<Ogni cosa diviene cosi` definita / che alla
fine non c'e` definizione / essi non significano una cosa / essi non raccon-
tano una storia>>. Facendo un passo indietro e ritornando all'importanza
della percezione (mi sto riferendo alla variazione di volume) possiamo
capire perche' gli Stereolab abbiano inciso un LP stranissimo dal tito-
lo "Space Age Batchelor Pad Music" in cui ogni canzone serve per verificare
una funzione dello stereo, il risultato dovrebbe essere quello di aver
la sensazione di trovarsi di fronte alla band. Riusciamo anche a capire
perche' i BARK PSYCHOSIS prestino attenzione anche al minimo rumore bianco.
Se ragioniamo un momento possiamo capire che i riferimenti all'arte contem-
poranea non sono casuali. Quel che sembra accomunare tutte le diverse
arti e` la percezione. Poiche' la preoccupazione di ogni artista (parola
che non mi piace e che vorrei potesse essere sostituita con uomo) e` rendere
tramite i vari linguaggi le proprie percezioni e fare si` che questi siano
il mezzo attraverso cui il fruitore si avvicina allo stato emotivo dell'e-
mittente. Ecco qual e` il punto. Questi sette gruppi giocano con la perce-
zione, cosi` facendo avvicinano la loro musica all'arte contemporanea e
alla scrittura contemporanea. Eco che allora si puo` leggere una frase
di Gary come una specie di intertestualita` musicale. Ecco che si capisce
perche' questi gruppi spesso dilatino il tempo delle loro esecuzioni (vedi
SEEFEEL, BARK PSYCHOSIS, PRAM con i 17 minuti di 'In Dreams You Too Can
Fly' presente sull'ultimo album). Ecco che si capisce l'uso di frammenti
di melodia ripetuta, quindi l'uso di strumenti elettronici. Si capisce
perche' il cantante dei BUTTERFLY CHILD usa questa voce infantile e come
il gruppo cerchi di creare con la loro musica uno stato atemporale, simile
a quello in cui viviamo nella nostra prima infanzia in cui il nostro senso
del tempo non ci permette di capire nozioni quali mese, anno. La maniacale
attenzione che tutti questi musicisti ripongono nella creazione dei loro
pezzi e` indice dell'importanza che ha per loro anche la minima vibrazione.
Il fatto che in alcuni casi le loro composizioni sono scarne e si fondano
su variazioni minime del suono non puo` che richiamare alla mente le opere
piu` contestate di arte contemporanea. Sette gruppi che giocando con la
percezione forzano la nostra concezione di musica ad aprirsi a nuove possi-
bilita`.
Marziobarbolo
MASSIMO VOLUME AL
NUOVO ROCK ITALIANO
Nel nuovo rock italiano finalmente qualcosa si sta muovendo o, perlome-
no, cosi` ci piace pensare. E tutto questo dopo il rigenerante fenomeno
dell'hip hop italiano legato alle posse, sulle cui attuali condizioni ognuno
potra` giudicare come meglio crede; ma resta il fatto, indiscutibile, che
sia stata una delle poche scene interessanti dell'ambito musicale italiano
degli ultimi cinque anni, soprattutto se rapportato poi allo stato di salute
del rock nostrano. Perfino la stampa ufficiale d'informazione si e` scomoda-
ta per occuparsi della faccenda (pur se in modo disastroso) che stava assu-
mendo dimensioni rapportabili al fenomeno "rock italiano" dei primi anni
ottanta a Firenze o giu` di li`. Ma di tutti quei gruppi cos'e` rimasto?
Ben poco, tutto sommato. Ma perche' questo? Perche' il rock italiano non
e` mai riuscito veramente a decollare - eccezion fatta per i Litfiba, Gang
e CCCP. Ad avviso molta gente, la contraddizione di fondo rimane la limitata
capacita`, comune a molti gruppi italiani di non saper elaborare personal-
mente, e quindi di accettare passivamente, modelli e stili musicali dominan-
ti e che non ci appartengono. Una cosa e` sicura: la cultura rock non ci
appartiene, ne' tantomeno quella hip hop; piuttosto ci sono servite come
strumenti di comunicazione, tramite una rielaborazione dello stile e l'uti-
lizzo del linguaggio che ci era piu` congeniale. Assunta l'esigenza di
comunicazione come unica e indiscutibile chiave di analisi dell'argomento,
non ci si puo` sbagliare: si trattava di appropriarsi di uno stile musica-
le (quasi sempre straniero, rock o hip hop che fosse), farlo proprio e
adattarlo al proprio ambiente culturale (come? con utilizzo della lingua
italiana, a seconda delle varie esigenze, con i dialetti). La comprensibili-
ta` dei testi (o delle rime, nel secondo caso) diventa condizione imprescin-
dibile e questo ci fa capire come il rock italiano finora si sia servito
di forme musicali e di linguaggi troppo ermetici e incomprensibili (a volte
si cantava in inglese o, addirittura in tedesco) mentre invece il rap ha
introdotto uno stile e una comunicativita` molto piu` accessibile (la strada
e` infatti il luogo da dove esso proviene). L'urgenza di riappropriarsi
degli strumenti di comunicazione si ripresenta ancor piu` prepotentemente
alla luce dei risultati disastrosi delle ultime elezioni. Contemporaneamente
al moltiplicarsi delle posse, i centri sociali hanno assunto il ruolo di
unici possibili luoghi di creativita` e comunicativita` giovanile e, attra-
verso questi, sono sorte le nuove esperienze rock (se pensiamo bene i centri
sociali sono stati tra i pochi posti rimasti dove ai nuovi gruppi era possi-
bile esibirsi e far conoscere la propria musica). Alcune delle ultime uscite
discografiche ci fanno ben sperare sulla sorte dei nuovi gruppi rock e
ci fanno pensare che l'esperienza dell'hip hop abbia insegnato qualcosa
pure a loro. Pensiamo a gruppi come Massimo Volume, S.I.M., Extra; ma le
novita` piu` interessanti sono quelle provenienti dalla costituzione del
Consorzio Produttori Indipendenti da parte, tra gli altri, di due quarti
degli ex CCCP (Ferretti,Zamboni) e di Gianni Maroccolo. Tra i gruppi che
ruotano attorno all'esperienza C.P.I. (Ustmamo`, Disciplinatha, Yo Yo Mundi)
ci sono pure i nuovi arrivati Marlene Kuntz di Cuneo. Il loro esordio e`
avvenuto nel migliore dei modi: la produzione del loro album "Catartica"
e` stata affidata a Gianni Maroccolo, la distribuzione, invece, alla Phono-
gram (la formula produzione "indipendente" e distribuzione "major " ci
sembra una valida alternativa e una strada ancora percorribile per i nuovi
gruppi che difficilmente riuscirebbero a trovare un'etichetta discografica
disponibile a metterli sotto contratto). Dei M.Kuntz ci convince praticamen-
te tutto: la loro musica nel suo complesso rumorosa, caotica quanto potente
ed efficace che invitabilmente ci riporta ad un paragone scomodo come i
Sonic Youth (ma di quante altre band inglesi ed americane si potrebbe ripe-
tere la stessa cosa?) che paiono essere diventati punto di riferimento
imprescindibile per i nuovi gruppi italiani - pensate all'ultimo ottimo
album "Stanze" dei Massimo Volume (Underground Records 1994).I loro testi
sono personalissimi, poetici ma sempre diretti e schietti. L'album si apre
con una canzone che porta il nome stesso del gruppo e che riassume tutte
le intenzioni e i propositi dei Marlene Kuntz (lo stesso fecero i CCCP,
nel brano di apertura di "Affinita` e Divergenze ..."). "Sonica" e` l'unico
vero e proprio episodio dedicato ai Sonic Youth. "Lieve" e` in assoluto
uno dei brani migliori dell'album intero (tant'e` vero che i C.S.I. ne
proposero di recente una versione acustica nel concerto di Cuneo). In "Fuoco
su di Te" rievocano i CCCP di "Rozzemilia" in "Socialismo e Barbarie" (ri-
cordate Ferretti: ®...dammi una mano ad incendiare il piano padano...¯)
dicendo tutto quello che vorremmo sentire da un gruppo rock italiano: ®sa-
rebbe bello vedere i tuoi contorni svanire/sul rogo delle mie brame/sarebbe
bello godere di questo rito incivile/con tanta gioia sacrale/noi stiamo
per generare l'idea di vomitare/sui vostri piatti migliori/e stiamo per
eliminare chi non si sporca le mani /e dentro al Cuneo muore/io voglio
fare fuoco su di te". E chi vive in una citta` come Alba dovrebbe riuscire
a capire cosa intendo.
M.P.
RISTAMPE
RORY GALLAGHER
IRISH TOUR '74..
(Demon Records)
In questo spazio a scadenza... variabile tratteremo dischi dal passato
glorioso, non sempre notissimi, che recentemente sono stati riediti.
Iniziamo dunque con un grande chitarrista italiano, a mio modesto parere
uno dei piu` grandi interpreti del blues revival anglosassone sviluppatosi
a cavallo tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70. RORY GALLAGHER
nato nell'Irlanda del Nord ma residente da sempre a Cork, ancora oggi sa
proseguire con profitto il suo discorso fatto di un rock-blues sanguigno
e godibilissimo soprattutto nelle sue esibizioni live (due apparizioni
in Italia al Festival Blues di Pistoia), alla faccia dei suoi quarantacinque
anni. Nel disco che trattiamo lo troviamo in piena forma sia fisica che...
musicale come testimoniano anche le foto di copertina: i lunghi capelli
svolazzanti, la camicia a scacchi rigorosamente 'fuori' dai pantaloni,
e quella telecaster spelacchiata che sale sempre piu` su, sino in cielo...
Vi sono momenti di vera poesia in cui il cuore (dinanzi al pubblico) stra-
volge e supera in bellezza cio` che la mente (in studio) gia` aveva valida-
mente creato: la torrenziale 'A Million Miles Away', dove si mettono in
evidenza anche le tastiere di Lou Martin, ne e` l'esempio piu` illumiinante.
Ma come non citare l'opening 'Cradle Rock', il cui riff ci colpisce come
una pugnalata al basso ventre e la splendida 'Tattoo'd Lady' (per chi scri-
ve, un vero e proprio inno generazionale della propria - ormai trascor-
sa... - gioventu`), completamente rivisitate ed allungate rispetto alla
loro versione primigenia? E quando il Nostro si accorge che la chitarra
elettrica gli sta scottando tra le mani, e` giunto il momento di passare
a qualcosa di piu` calmo e pacato: mano all'acustica, dunque, e naturalmen-
te... bocca all'armonica. 'As the Crow Flies' ci rivela un RORY GALLAGHER
piu` intimista, alla moda dei maestri neri americani, un occhio a Chicago
ed un orecchio a New Orleans, passando per il divertissement 'Too much
Alcohol' (alzi la mano chi ha gia` visto un Irlandese astemio!), nuovamente
elettrico ma dalle cadenze piu` rilassate care alla tradizione del talking
blues. Un disco da tenere d'occhio quindi, se siete tipi da non farsi condi-
zionare troppo dall'anno d'uscita (il 1974 in questo caso); vi consiglio
l'edizione in CD, anche perche' in formato singolo - in vinile invece e`
un LP doppio - e quindi nonostante tutto a buon mercato e poi, suvvia...
sono 75' di vero blues, di quello doc per intenderci, da gustare in una
sera d'estate in compagnia di una bottiglia di buon vino e...
io
BLUESJEANS
On the road music band
Segnaliamo ai lettori torinesi che, dopo un'attesa di alcuni anni,
i Bluesjeans ritornano ad inserire la zona torinese nel calendario del
loro tour, con il concerto organizzato nell'ambito di <<Sere d'estate>>
al Cortile Stradella in Via Stradella a Torino.
Con il tour estivo '94 il gruppo sta raccogliendo le registrazioni
per il CD dal vivo del prossimo anno. L'ultimo album all'attivo della forma-
zione ha visto la partecipazione straordinaria di Lucio Dalla e Jimmy Vil-
lotti. Lo spettacolo di San Mauro Torinese e` previsto per VENERDI` 15
LUGLIO ALLE ORE 21. Ma chi sono i Bluesjeans?
Sono un gruppo che viaggia qua e la per l'Italia e per l'Europa presen-
te dall'86 sulla scena professionistica con un centinaio di concerti all'an-
no, nato per esibirsi anche per strada (dalla quale proviene tutto il reper-
torio dei loro 5 albums all'attivo). Il genere <<on the road music>>, pro-
viene, nel loro caso, dal repertorio blues, gospel, spiritual americano,
contaminato dalle musiche <<profane>> del paese di origine dei musicisti
esecutori, i quali non disdegnano di interpretarne il messaggio con sensibi-
lita` proprie. In genere le formazioni di <<on the road music>> contano
nel loro organico strumenti <<poveri>>, come in questo caso Beppe Finello
alla chitarra e voce, Massimo Lupotti al bassotuba e voce. Ma sentiamo
come viene raccontato questo gruppo da Alfredo Murtula de <<La Nuova Sarde-
gna>>:
. . . I Bluesjeans sono un gruppo nato per esibirsi sulla strada,
pronto a captare dalla faccia del primo passante l'ispirazione musicale
appropriata. Sulla via percorsa dal duo si incontra di tutto: si trovano
tra gli altri i Beatles, Paolo Conte, Bruce Springsteen, Lucio Dalla e
Goran Kuzminac. Il fatto e` che queste prorposte, (gia` tra loro alquanto
differenti), convivono come se niente fosse con il resto del repertorio,
costituito da brani dei <<rurali>> bluesmen neri del Mississipi come Robert
Johnson, Huddie <<Leadbelly>> Ledbetter o Blind Lemon Jefferson. Questa
misura di vecchio e moderno ha messo in allarme piu` di un purista del
Blues. Anche perche' Beppe Finello e Massimo Lupotti ( . . . ) infarciscono
con eleganti battute e amene <<gags>> le loro impeccabili performances
musicali, fatte di vigorose voci amalgamate, chitarre spigolose e puntuali
bassituba; e allora siamo in pieno teatrino. I Bluesjeans ricordano le
recite musicali dei <<Gatti di Vicolo Miracoli>> prima maniera. Ma suonare
Blues non vuol dire <<tristezza>>? <<Non necessariamente>>, dicono i Blue-
sjeans. <<Nelle feste campestri dell'america di inizio secolo i Bluesmen
intrattenevano il pubblico con spettacoli di musica e gags. Cerchiamo di
riproporre quelle atmosfere, anche se siamo italiani, bianchi e viviamo
in tempi diversi.>> Se continua cosi` scopriremo che i veri bluesmen sono
proprio i Bluesjeans: invece di fotocopiare modelli d'oltre oceano e "negri-
tudini" improbabili, si mostrano per quel che sono realmente, direttamente
dalla strada dove li si puo` incontrare. Ed il Blues diventa il pretesto
per esprimersi . . .
ALTRI CONCERTI DEL TOUR ESTIVO BLUESJEANS 1994: 15/7 Torino, 19/7
S. Daniele del Friuli (UD), 23/7 Ghemme (NO), dal 24/7 al 30/7 Palermo,
31/7 Bardonechia (TO), 3/8 Modigliana (MO), 5/8 Camporosso (GE), 6/8 Fiumal-
bo (MO), 25/8 Porto Torres (SS), 26/8 Sassari, 27/8 Alghero (SS).
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Se non vi accontentate di leggere, ma volete anche
ascoltare vi aspettiamo a Novembre:
BLUES
ROCK ITALIANO
SCENA INTERNAZIONALE
insieme - noi, gli esperti e qualche protagonista - per
saperne di piu`
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STEVE LACY
Clangs
Quant'e` bella la copertina di CLANGS, che chiassosi colori vi si
trovano accostati. Non c'e` possibilita` di sbagliare, rinviano proprio
alla pittura, quella del nostro novecento, del tempo dadaista poi dell'a-
strattismo. L'ultima fase logica nello sviluppo dell'arte, di una tessitura
ancora differente dalla parodia. Si distrugge per avviare altrimenti il
movimento antico e moderno. Dicono. Per essere arte costruttiva, pur nel
mutamento.
C'e` una pagina della rivista 'Der Sturm', settimanale tedesco di
cultura e arti, in cui Kurt Schwitters si vantava di sapere la formula
di transizione dalla parola scritta alla pittura. Attraverso la conoscenza
e la conformazione delle possibilita`, costruire cosi`, semplicemente un
mondo da frammenti. Era il 1912. E lui stesso dava prova dell'esperimento
tentato, riuscito. Dopo alcune poesie, fra cui 'A Anna Blume', fortunatissi-
ma, dove si intonavano inconsueti e virtuosi versi come: <<Azzurro e` il
colore dei tuoi gialli capelli>>, si trovo` fra le mani una parola. Quasi
per caso. Anzi un ritaglio, da un giornale forse o da un vaglia bancario
gualcito, un <<mezzonome>>, certamente un suono: MERZ.
Siamo poeti fra i poeti, pittori fra i pittori, ma se scopriamo un
suono che e` anche parola, che cosa saremmo allora? Come che sia, abbiamo
capito. Schwitters, pari ad ogni poeta, pittore, musicista si concentrava
su se stesso, in questo fatalmente egoista. E prese a prestito la verita`,
quel suono calato a picco su di lui. Ma com'e` brutta, e lo dico a malincuo-
re, una verita` lontana dalle mani dell'artista, perche' ottusa, perche'
poco intelligente? No. Perche' non capita, inespressa. Egli si impadroni`
di questa verita` e meraviglioso avvenimento erano due verita` frammischia-
te, erano un <<dipinto-Merz>> e una <<poesia Merz>>. Si senti` allora di
poter diventare anche un brillante pittore oltre che poeta. Ma il MERZ
era lo stesso. Lo stesso stupore d'ultramattutina luce gli aveva ispirato
la poesia 'A Anna Blume' e ora, appena percettibile, lo faceva dipingere.
Lo pensa, lo traguarda, gli entra lieve nella mente e con turbamento lui
scrive, dipinge. Gli oggetti affollano l'opera come un diario della memoria.
Formano armonie casuali e affinita` elettive fra parole tagliate a mezzo
e macchie di colore. In questi termini generali, in queste acque impacciate
puo` accadere di tutto. E' il luogo delle possibilita`.
Eppure sentite (ricordate di non dimenticare) quale sentimento anima
l'artista giunto sin qui: <<il mio scopo, se potessi arrivarci, e` di
raccontare cio` che puo` accadere>>. Al tempo in cui l'ho letto, questo
pensiero non poteva dirmi molto sul suo contenuto manifesto. E negli istanti
successivi lo interpretai come un insieme di liberta` connesso all'artista,
perche' artista. Chiaramente. Ma poteva dirmi molto e molto mi chiari`.
Capii innanzi tutto che l'opera d'arte totale c'era. Se espressa in versi,
note o colori, questo non importa. Nell'uno o nell'altro caso c'e`, esiste
uno spazio che e` pure un istante, dove e quando affiora il contenuto.
L'immateriale. Eccolo qui, disvelato, il gioco di Lacy. Un gioco facilitato
dalla musica, arte aerea che ricorda il volare. Tuttavia avviluppa in se'
significati comunque. E nel <<Moderno>> governato dall'instabilita`, da
contorni tremolanti, nervosismo e qualche incertezza appartiene a questi
momenti la leggerezza sognante dello spirito. Quando qualcuno traduce versi,
immagini in musica.
Devo scusarmi per non aver detto subito la fonte della citazione.
Era Montaigne. In un capitolo dei Saggi, quello dedicato all'immaginazione.
Una riflessione bellissima, che egli usava per giustificare la sua scrittu-
ra. Che funziona anche in musica, e` un po' un <<dappertutto>>, insomma
la spiegazione di molte cose. Che giustifica soprattutto l'immaginazione
in se', dapprima. E poi la volonta` di comporre, scrivere forse anche far
politica. Immaginate, io, sono su questo punto dello stessissimo parere.
E non sono il solo, pure Kandinsky si era incapricciato del MERZ e a quanto
pare insieme al pittore Chaissac. Quest'ultimo si sforzava di dipingere
e poetare costruendo attorno a macchie, sogni, divagazioni fantastiche.
Con loro anche Mario Merz noto a Torino come divulgatore dell'Arte Povera,
arte che nasce in grembo a stracci, paglia, terra, gesso, un nonnulla.
Ma perche' raccontarvi, parlarvi di Kandinsky, Schwitters, Chaissac,
Mario Merz perche' hanno in comune quest'astratta parola, questo suono
che e` il MERZ? Proprio no. Anzi non solo. Eppure fatalmente i conti torna-
no. Steve Lacy ha deciso di comporre dei POEMI PITTORICI. Cioe` lo fece
negli anni settanta. Lo scorso aprile sono usciti in CD, col titolo CLANGS,
suoni appunto. Anch'egli costretto a seguire la malia di quel suono, di
cui ora afferriamo prodigiosamente il senso. MERZ e` epifania, un tentare
forme artistiche. Dimensioni non previste.
E' rimasto nel silenzio un nome, un grosso nome, che Lacy colloca
fra i quattro pittori-poeti: Apollinaire. Ora, il disco incomincia con
la poesia 'The Owl' (il gufo) proprio di Apollinaire. Per intendersi ho
provato a formulare diverse ipotesi. Tutte per spiegarmi il perche' della
scelta di questi cinque testi. Due in francese. Uno in italiano. Due in
tedesco. Ma una spiegazione esiste davvero? Quest'opera di Lacy e` molto
unitaria,
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| |
| A Anna Blume |
| MERZ-poesia |
| |
| O tu,amata dei miei ventisette sensi,amo |
| a te!-Tu di te te a te,io a te,tu a me.-Noi? |
| Questo (sia detto per inciso) non c'entra. |
| Chi sei,tu smisurata donnetta?Tu sei--sei |
| tu?-La gente dice,tu saresti,-lascia che dicano, |
| non sanno,cosa significa il luogo natio. |
| Tu porti il cappello ai piedi e cammini |
| sulle mani,sulle mani tu cammini. |
| Hallo,le tue rosse vesti,tagliate in bianchi spicchi. |
| Di rossa passione amo Anna Blume,a te amo ardentemente!-Tu di te |
| te a te,io a te,tu a me.-Noi? |
| Questo spetta (sia detto per inciso) alla fredda fiamma. |
| Fiore rosso,rossa Anna Blume,come dice la gente? |
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l'accompagnano due voci (Aebi - Isherwood) e l'unisono che apre 'Dome',
cade come un'illuminazione. La ragione vera e` un'altra. Da lato, da lato
ho cercato di afferrare l'atmosfera, dei brani l'intenzione. Lacy tenta
di trovare un rimedio alla fantasia suscitata dalle cinque poesie con un'al-
tra fantasia. Scopre rassomiglianze. Musica, pittura e poesia si ritrovano
fantasie sorelle, qui, nella sua opera. E' vero. Non si puo` negare: al
di la` della poesia e della pittura, la musica. E poi l'equilibrata orche-
strazione corre sugli ininterrotti tempi di quel cilestrino cavaliere
che di nuovo ricorda Kandinsky. Redivivo. Rinato. Che insegue su un mare
di spirito trasmutante, essenza e anima dell'arte. E tutto viene raccontato
con infiniti riguardi.
Decus
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/ \
/ REDAZIONE \
| M.P., Marziobarbolo, Johnny, |
| Emma Dulcamara, Jaco, Dronag, T-Bone Malone, |
| Vincenzo Capitone, io, Axiom, Decus, Cascina |
\ Macondo, LucaBi` /
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