Maggio-Giugno 1994

     Dunque: Uno, due . . . quattro! Se le mie dita non mi ingannano  questo
e` il quarto numero di INTERFERENZE Blu,  un numero che esce giusto in tempo
perche'  possiate  metterlo in valigia, e, una volta giunti  a  destinazione
prenderlo in mano  per  leggerlo,  rileggerlo,  rivoltarlo  da  ogni parte e
magari  mentre lo fate vi accorgerete che i testi tradotti sono  quelli  dei
Nirvana che abbiamo ritenuto  piu`  validi  sotto  il lato sociale che sotto
quello  poetico,  oppure giusto in tempo perche' vi possa essere  utile  per
decidere quale dovra` essere la  colonna sonora delle vostre vacanze. Comun-
que, per tutti, anche quelli che le vacanze non le possono o non le vogliono
fare, le hanno gia`  fatte  e  specialmente  per  quelli che hanno deciso di
farle  in  autunno (mi  raccomando non a Novembre!): ve lo  diciamo  con  un
certo preavviso, per cui non  veniteci  a raccontare fanfaluche. Non posso .
. . C'e` la zia che . . . A Novembre vi vorremmo tutti con noi per  tentare,
assieme (con l'aiuto di qualche  esperto),  di  capirne un po' di piu` della
musica che ascoltiamo, o forse, anche solo per parlarne, per vederci! Un'ul-
tima cosa che vi voglio far presente prima di congedarmi e` che INTERFERENZE
Blu  e`  distribuito  anche via telematica su  territorio  nazionale  grazie
al prezioso impegno di  Dronag.  Se  volete  saperne di piu` fatevi sentire,
saremo felici di darvi ulteriori spiegazioni.

                                                               Marziobarbolo




RECENSIONI - 360 gradi



                             PALACE BROTHERS
                                 Come in
                       (EP, Domino Records, 1994)

     Immagini e note di copertina essenziali ed elusive per il nuovo singolo
dei PALACE BROTHERS, come del  resto  era  stato per il loro album d'esordio
(THERE  IS  NO  ONE WHAT WILL TAKE CARE OF YOU, Big  Cat).  Di  quest'ultimo
si parla nel secondo  numero  di  Interferenze  e gia` in quell'occasione si
erano cercate le possibili coordinate per inquadrare le sonorita` dei Palace
Brother (una sorta di country-blues  d'altri  tempi  che ricorda, almeno per
l'ispirazione  musicale,  gruppi  come  i  Come ("Eleven:  Eleven",  Placebo
Records) e  Grant  Lee  Buffalo ("Fuzzy",  London  Records). Utile ricordare
la loro provenienza geografica (Kentucky) ed artistica (due terzi del gruppo
provengono dagli Slint).
     La musica presente  in  questo  COME  IN  Ep,  interamente acustico, e`
semplice  e  naturale  ma sorprendentemente espressiva.  I  PALACE  BROTHERS
ci introducono nel  loro  mondo  personalissimo  e  fatto  di piccole storie
quotidiane  vissute sulla strada, di numerosi ritratti di un' America  vista
come un'enorme citta` fantasma  rasa  al  suolo  che  non  puo` far altro se
non commiserare la propria decadenza.
     Il tutto si apre con 'Come in' dove cantano in modo  sottomesso <<entra
dentro, per l'ultima volta . . . le  cose  cominceranno a cambiare per te>>;
in  'Horses' <<tutti  hanno bisogno di un angelo . . . ma qui accanto  a  me
sta seduto un diavolo>>. Sul  lato  opposto, altre due canzoni: 'Trudy Dies'
e  'Stable Will'. I PALACE BROTHER sono un gruppo  immediato,  assolutamente
efficace e  spontaneo;  a  volte  sembrano  voler  reagire  in  tutti i modi
possibili  e in altri meno probabili. Difficile pensare che  qualcuno  possa
trovare un "ma" da usare contro di loro.

                                                                        M.P.



                                SAUSAGE
                        Riddles are abound today
                      (Prawn Song/Interscope, 1994)

     Negli ultimi tempi si  e`  scritto  e  detto  molto  a proposito di Les
Claypool, dei suoi Primus, delle sue slappate isteriche e delle folli svisa-
te lungo il manico del suo basso. Forse troppo. Giornali e critici trendisti
ne  hanno  tessuto le lodi spassionatamente, cosi` come  qualche  anno  pri-
ma (quando era scomodo promuovere  idee  musicali innovative e diverse dagli
stereotipi  del  metal e dell'hard-rock) ne  avevano  decisamente  stroncato
le proposte. Tant'e`  vero  che  il  primo  album  dei Primus, il live "Suck
on  This",  fu  pubblicato a proprie spese sulla sua  etichetta  Prawn  Song
fondata ad hoc. Ed il buon vecchio Les non se l'e` certo dimenticato. Infat-
ti  ha  reclutato i suoi primi compagni di viaggio, il batterista  Jay  Lane
ed il chitarrista Todd  Huth,  insieme  ai  quali aveva formato il primitivo
embrione dei Primus, ed autori all'epoca (il lontano 1988) di un  demo-tape,
snobbato dalle  case  discografiche,  con  il  nome  programmatico di SAUSA-
GE (salsiccia);  ha  tirato fuori dal cassetto le  vecchie  registrazioni  e
le vecchie composizioni, che rielaborate alla luce delle esperienze persona-
li vissute dai tre (Charlie Hunter Trio e Alphabet Soup per Jay Lane,  Porch
per Todd Huth e,  naturalmente,  Primus  per  Les  Claypool) hanno dato come
risultato questo splendido RIDDLES ARE ABOUND TODAY e, come se non bastasse,
probabilmente ora  Les  stara`  ridendo  fragorosamente  pensando  a tutti i
discografici  che  li  ignorarono e che ora si staranno  rodendo  il  fegato
al pensiero.
     Per quanto riguarda i suoni, siamo  da qualche parte tra i primi albums
dei  Primus,  e molte sono le similitudini tra le due bands, ma  questo  non
tragga in inganno. Siamo di fronte ad uno dei dischi piu` completi, coinvol-
genti e ben suonati degli ultimi tempi.
     Si  inizia con l'ipnotica 'Prelude to Fear', per poi soffermarsi  sulla
rilettura in chiave SAUSAGE del classico dei Primus 'The Toys go . . .', per
finire  con 'Caution  Should be Used While . . .'. E' il  basso (e  la  voce
nasale - riconoscibilissima - ) di Claypool, come sempre, a farla da padrone
tra cavalcate portentose ed umorali passaggi psichedelici (!), ben supporta-
to dalla batteria eclettica di Jay  Lane e dalle virtuose intuizioni chitar-
ristiche  di Todd Huth, incisivo e schizoide, mai prevedibile. Gia`  perche'
l'imprevedibilita` e` la qualita` maggiore dei SAUSAGE, dalla divertentissi-
ma 'Girls  for  Single Men' alla potentissima 'Here's to the Man',  fino  al
free(k)-jazz di 'Shattering Song'.
     Le atmosfere si dilatano  e  la  voce  quasi  non  c'e` piu`, o meglio,
assume  connotazioni ed espressioni inusuali, fornendo un prezioso  contrap-
punto alle parti strumentali, siamo  dalle  parti  di Recreating e della ti-
tle-track,  dal <<cartoonistico>> riff d'apertura. Ogni brano perde,  strada
facendo, le proprie  caratteristiche,  trasformandosi  e mutando in continue
sfumature  e partiture, sfociando spesso nella piu` libera  improvvisazione.
I SAUSAGE  inglobano,  masticano,  triturano  e  distruggono  qualunque cosa
incontrino sul loro cammino: guai a chi si oppone al loro volere!

                                                                       Axiom



                                  KYUSS
                               Sky Valley
                             (Elektra, 1994)

                               MOTORPSYCHO
                          Another Ugly/Mountain
                       (Voices of Wonder, 1993-94)

     Potentissimo, compatto e terribilmente invitante. Cosi` si puo` defini-
re il terzo, sospirato  album  dei  KYUSS.  Un  piacere sonoro senza limiti.
E'  una  calamita`  naturale, una montagna di riffs che  si  sgretola  mille
volte ('Gardenia'), precipita  e tutto travolge (l'incalzante '100 Degrees')
e  finisce  per catalizzarsi in un torrido rock-blues ('Conan  Trout  Man').
Ma non basta. Non ogni cosa diviene sempre energica e totalmente prevedibile
nella  musica  del  quartetto  di  Palm  Springs:  troviamo  l'"acusticita`"
di 'Space Cadet', i flash  elettrici-liquidi  che  irrompono tra i fragorosi
bombardamenti  di 'Asteroid'. Oppure le pazzie di 'Odissey',  apparentemente
semplice ma martoriata da  momenti  allucinanti, bucata da suggestioni acide
e  polverose. Insomma, un sound corposo, ricchissimo, legato a  doppio  filo
ad un certo  hard  che  fu (dai  Motorhead  ai  Blue  Cheer), ma che proprio
all'interno di questa tradizione ha scavato a poco a poco un percorso  tutto
suo. Anche nel deserto, rigogliosi, crescono i ciuffi d'erba!
     Cambiamo completamente  scenario:  Trondheim,  Norvegia. Una tranquilla
citta`  dove (almeno ai piu`) sono curiosamente celate  preziose  sonorita`.
Scopriamole: Dopo tre sottovalutatissimi lavori, i MOTORPSYCHO ci propongono
due  Ep  in cui emergono ulteriori lati oscuri del  loro  sfaccettato  stile
underground. All'inizio troviamo il  beat di 'Another Ugly Tune' (indovinato
l'uso  del  wah-wah),  che assume toni  piu`  enfatici  nell'interpretazione
vocale di 'Summertime is Here'  e  si  annulla nella nostalgia di 'Blueberry
Daydream',  sempre dolce e sempre ruvida. Da segnalare infine, la  viscerale
e strozzata 'Watching  You'  cover  dei  Kiss.  Ancora  piu` interessante il
secondo  Ep.  In MOUNTAIN, MC5, Grand Funk, e i soliti  Black  Sabbath  sono
ripresi integralmente ma adeguatamente trattati  con  una buona dose di psi-
chedelia al limite del rumorismo, mentre la granitica chitarra di Flesharro-
wer si stempera in una  voce  claustrofobica e pesantemente oppressiva. Poi,
improvviso,  un organo blasfemo e ipnotico, una possente  melodia  guidano -
in un crescendo ossessivo -  allo  scontro  finale  che  culmina, come in un
antico  rito pagano, in un urlo liberatorio ("The House at Pooneil  Corners"
dei Jefferson Airplane).
     L'atmosfera si  fa  minimale  nella  strumentale  Viscount  Grisnah, la
gamma  di suoni ridotti all'osso. Finale declinante con la  nuova <<confused
version>> di 'Sister  Confusion',  uno  scarno  cumulo  di  note  e una voce
sofferente.  Gruppo  anni '70? Forse, ma anche  gruppo  sperimentale,  senza
tempo (vedere  certe  spiccate  tentazioni <<industrial>>  nel recente DEMON
BOX,  VOW,  1993)  e soprattutto gruppo che rifiuta a priori  il  revival  a
buon mercato (da Iggy Pop in giu`  fino  agli  ultimi Pink Floyd) o il nuovo
pseudo-grunge  da alta classifica. E' bello sapere che c'e` ancora  qualcuno
che suona ragionando con la propria testa!!!

                                                           Vincenzo Capitone



                                 J.J. CALE
                               Closer to you
                                 (Virgin)

     Arriva un po' inatteso questo nuovo compact di J.J.Cale. Il chitarrista
preferito di Eric Clapton (tra  l'altro  e`  bene  ricordarlo, e` lui che ha
scritto <<Cocaine>> e <<After Midnight>>) non e` mai stato autore eccessiva-
mente prolifico e la sua ultima  opera in studio, il deludente TEN, risaliva
a  non  piu`  di un anno fa ed era passato  completamente  inosservato  agli
occhi di pubblico e critica. Invece  ecco questo CLOSER TO YOU tanto gradito
quanto  inaspettato.  Sarebbe troppo, per altro, parlare  di  rinascita  per
un musicista che e`  nato  nel  1938  e  che  ha  dimostrato nel tempo e con
album  come NATURALLY, FIVE e TRAVEL LOG (qualcosa di piu` di un buon  disco
a mio modesto parere)  di  poter  dire  tranquillamente  la sua nel circuito
rock  americano.  Un  blues morbido candito da un suono  di  chitarra  molto
dolce e da una voce  tanto  elegante  quanto rotonda e naturale, priva cioe`
della  benche'  minima spigolosita`. Cosi` e` stata definita  la  musica  di
J.J.Cale. Ed in tali termini, effettivamente, si esprime il suddetto chitar-
rista. Un sound rilassante quindi, anche poco impegnativo. Capace di  riper-
correre sempre gli  stessi  temi  apportando  minime variazioni stilistiche.
Ed  e` proprio questa abilita` di ripetersi offrendo in realta` un  prodotto
sempre nuovo, anche  se  non  propriamente  originale,  la vera peculiarita`
della  musica  di J.J.Cale. Dall'iniziale 'Long Way Home', passando  per  la
jazzata 'Sho-Biz Blues'  all'elegante 'Like  you  Used  to'  il  nuovo disco
riesce  ad  offrire quel piacevole impasto di chitarra e voce che  ha  fatto
la fortuna del  solitario  (pochissime  le  partecipazioni  nell'arco di una
pur  lunga  carriera) e riservatissimo (rarissimi i suoi concerti  causa  la
poca familiarita`  con  il  pubblico)  chitarrista  nativo  dell'Arizona. In
conclusione  un  disco piacevole che si presenta agli inizi  della  stagione
estiva come  un <<di  piu`>>  per  allietare  il  riposo sotto l'ombrellone.

                                               Ken Parker '68, Lupo del Nord



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DUMB                                     STUPIDO

I'm not like them                        Non sono come loro
But i can pretend                        Ma posso pretenderlo
The sun is gone                          Il sole e` tramontato
But I have a light                    l  Ma ho una luce
The day is done                       u  Il giorno e` finito
But I'm having fun                    d  Ma mi sto divertendo
                                      i
I think I'm dumb                      b  Penso di essere stupido
Or maybe just happy                   r  O forse solo felice
Think I'm just happy                  i  Penso di essere solo felice
                                      a
My heart is broken                       Il mio cuore si e` rotto
But I have some glue                     Ma ho della colla
Help me inhale                           Aiutami a respirare
And mend it with you                     E aggiustalo tu
We'll float around                       Voleremo nell'aria
And hang out on clouds                   E abiteremo sulle nuvole
Then we'll come down                     Poi scenderemo giu`
And have a hungover                      E smaltiremo la sbornia
                                      v
Skin the sun                          e  Scortica il sole
Fall asleep                           n  Addormentati
Wide away                             t  Continua a desiderare
The soul is cheap                     i  L'anima costa poco
Leson learned                         s  Lezioni imparate
Wish me luck                             Augurami buona fortuna
Soothe the burn                          Cura la scottatura
Wake me up                               Svegliami

Testo: Nirvana                           Traduzione: LucaBi`



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                              KERRS PINK
                        A journey on the inside
                            (cd Musea 1993)
                           (2lp Colours1993)

     Di questo fantomatico combo  norvegese  si  erano ormai perse le tracce
da  parecchi  anni; nello stesso modo, si favoleggiava dei loro primi  2  lp
come una sorta di araba fenice in chiave moderna, che qualche incauto giura-
va  di  aver visto apparire (a prezzi stellari,  ovviamente)  nei  mercatini
collezionistici internazionali che  periodicamente  punteggiano la penisola.
In  realta`,  sia  l'omonimo KERRS PINK (1980) che  il  secondo  MELLOM  OS-
S (1981), entrambi realizzati su  etichetta  privata Pottiskiver, sono stati
recentemente  stampati su cd dalla meritoria Musea francese, ben  nota  agli
appassionati del settore. Anzi, al  primo  lavoro sono state aggiunte parec-
chie  bonus tracks risalenti all'epoca d'uscita del disco ma mai  pubblicate
precedentemente. Semplice archeologia  musicale,  dunque?  No, anche perche`
timidi  segnali  di  sopravvivenza da parte del gruppo  si  erano  avvertiti
con la partecipazione  di  quest'ultimo  alla  compilation "7  days of a li-
fe" (Musea,  1992,  sette pezzi per sette gruppi  diversi,  ognuno  dedicato
ad un giorno della  settimana)  con  il  brano 'Monday'.  Ed ora, il ritorno
in  grande stile con questo concept album, lasciando da parte per una  volta
il suggestivo ma ostico  cantato  in  norvegese  degli esordi a favore della
ipersfruttata  lingua  d'Albione. Si narra del  viaggio  interiore (gia`  si
era capito dal titolo...) di un  giovane alla ricerca di una propria identi-
ta`  all'interno di quel complesso sistema che e` il mondo che ci  circonda.
I testi, tuttavia, sono piuttosto scarni e lo spazio a loro dedicato decisa-
mente  inferiore  a quello che occupano i passaggi strumentali. E'  qui  che
ci si accorge realmente che il tempo non e` passato: le ritmiche leggermente
appesantite  non scalfiscono minimamente la validita` delle melodie,  ricche
di un clima tipico  delle  terre  scandinave.  E'  facile lasciarsi andare a
momenti  di  abbandono, alla stregua di un aliante  che  plana  tiepidamente
sulle alture tra i fiordi ,  senza  farsi  intimorire dal mare impetuoso che
lo  osserva  dal basso, aspettando un ammaraggio che non arrivera`  mai.  Ma
spesso si attraversano anche coste  piu` ripide, scoscese, fatte di intrecci
chitarristici  piu`  aspri e tortuosi, ma mai fini a se  stessi :  il  tutto
si collega alla perfezione  in  quella  che  e` la destinazione musicale dei
KERRS  PINK,  in grado di proporsi in maniera gentile e  quasi  folky  anche
nei momenti piu` duri. Che dire, a questo punto? Che vi consiglio l'acquisto
del  Cd (lasciate  perdere  versione in doppio vinile,  che  a  trovarla...)
e, se siete dei nostalgici incalliti e  amate il sound di gruppi quali Camel
e Gentle Giant, mettetevi alla ricerca delle ristampe dei primi due  dischi,
prima che anche queste vadano esaurite!

                                                                          io



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RAPE ME                                  VIOLENTAMI
                                      l
Rape me                               u  Violentami
Rape me, my friend                    d  Violentami, amico mio
Rape me                               i  Violentami
Rape me again                         b  Violentami ancora
                                      r
I'm not the only one                  i  Non sono l'unico
                                      a
Hate me                                  Odiami
Do it and do it again                    Fallo, e fallo dinuovo
Waste me                              v  Devastami
Taste me, my friend                   e  Senti il mio sapore, amico mio
                                      n
My favourite inside source            t  Sei la mia fonte segreta
I'll kiss your open sores             i  Bacero` le tue ferite aperte
Appreciate your concern               s  E saro` felice della tua attenzione
You'll always stink and burn             Puzzerai e brucerai per sempre



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                               CATHEDRAL
                             Statik Majik
                            (Earache, 1994)

     Una sfera fiammeggiante sostenuta  da  un  tripode di essa. Una sibilla
vaticinante che regge una croce. Una figura mascherata con le braccia  alza-
te. Una stella  a  cinque  punte  cerchiata .  . . Con  un simbolismo un po'
kitsch  ma  inquietante  si presentava MIDNIGHT  MOUNTAIN,  ovvero  l'ultimo
singolo dei CATHEDRAL  tratto  dal  corrente ETHEREAL MIRROR (Earache 1993).
Questa volta pero`, il gruppo di Lee Dorrian ha disorientato tutti sfornando
un lunghissimo Ep. La prima facciata  e` occupata da 'Hhypnos 164' e da 'Co-
smic  Funeral'. Nulla di stratosferico - d'accordo - ma e` comunque un  pun-
gente hard  di  scuola  sabbathiana,  insolitamente  allusivo, dilaniato dal
ritmo e dai sempre validi assoli. Ben piu` ampie sono le prospettive offerte
dalla seconda facciata nell'estrosa 'Voyage  of  Homeless Sapien', una suite
di  23 minuti (!). L'alone di mistero, di paura, di caos, i cromatismi  vio-
lenti  della  copertina  si  riversano  sull'ascoltatore,  subitanei. Questa
folle  escursione sonora nasce dal doom ormai classico e si snoda  dinamica-
mente in otto <<puntate>>: Alla ruvida  pesantezza della chitarra si alterna
l'episodio  acustico  oppure l'ammaliante richiamo della  tastiera,  simbolo
per eccellenza del progressive.
     Quando la puntina scava gli ultimi solchi sul disco, si ha la sensazio-
ne  di  aver compiuto un lungo, travagliato cammino.  Veramente  sostanzioso
questo preludio alla ridefinizione  prossima  del Cathedral sound. Pertanto,
davanti  ad un tale esperimento, abbandonerei ogni ingenua e  mal  ponderata
esplosione di entusiasmo. O, al contrario, di rimpianto rispetto alle moven-
ze mostruosamente cadenti e decadenti del primo Ep IN MEMORIUM (Rise  Above,
1990, rist. 1994). Una sola certezza  ho  raggiunto: che la musica di questo
gruppo  e` inscindibilmente connessa agli anni settanta, ma ora -  cio`  che
i critici  specializzati  faticano  ad  ammettere -  viaggia  verso un NUOVO
MODO  di sentire <<quell'altra vecchia musica>>, un modo che si puo`  appro-
priatamente definire CROSS-OVER.

                                                           Vincenzo Capitone



                                  THULE
                                Frostbrent
                            (cd Thule rs, 1994)
                            (lp Colours, 1994)

     La  leggendaria Thule, terra dei ghiacci perenni e  porta  dell'Artico,
il cui nome evoca storie di  naufragi e di esplorazioni polari, alla tiepida
luce  dell'aurora  boreale...  Gia` ben nota in  campo  letterario,  dunque,
e` piu` recentemente assurta agli onori delle cronache musicali (piu` misco-
nosciute, tuttavia...) grazie ad alcuni ragazzi provenienti da  Honningsvag,
Norvegia, cioe` scusate: Capo Nord! Lungamente  atteso da chi ha speso tempo
e soldi nella sua ricerca, il dischetto in questione non delude  sicuramente
le attese, anche se  mostra  un  lato  sinora  quasi del tutto inedito della
personalita`  musicale  del gruppo; esso, infatti, si  discosta  di  molto -
nella sua  concezione  schematica -  dalle  precedenti  opere.  Infatti, sia
il  monolitico  ULTIMA THULE (lp autoprodotto del 1987)  che  il  successivo
NATT (lp Colours,  1990)  presentano  pezzi  piuttosto  lunghi  e variegati,
per  lo  piu` incentrati su atmosfere  tenebrose  tipicamente "progressive".
FROSTBRENT, invece, ci presenta  una  raccolta  di brani molto secchi, brevi
e  piu` vicini alla tradizione rock tout-court nei quali primeggia una  chi-
tarra spesso dura e quasi violenta, intrisi qua e la` di misticismo nordico;
si  va dai passaggi quasi grunge della title track e  di 'Aldri'  all'ibrido
countriy rock di 'Sur  Sneip'  e  di 'Hei,  Hei,  Hei!' -  un vero e proprio
anthem  con  una voce femminile in bella evidenza. Non  mancano  istanti  di
liricita` melanconica,  allorquando  al  cantato  quasi  angosciato  di Peer
Einar Pedersen fa da sottofondo una 12 corde che parla un linguaggio  runico
fatto di  chiaroscuri  affascinanti.  E'  il  caso  di 'Han sa...' , quattro
minuti  di saga elettroacustica che ci riporta ai fasti  di "Shaman",  pezzo
guida del primo album. Ma  e`  forse  l'unico momento di ritorno al passato,
poiche` -  come  detto in principio - questo album si  discosta  decisamente
dai precedenti. Forse  la  fuoriuscita  del  tastierista Pal Valle (presente
solo in qualita` di collaboratore in quattro pezzi) ha contribuito in manie-
ra determinante a fargli assumere una nuova fisionomia musicale, orientando-
lo verso forme piu` lineari e crude, abbandonando cosi` la sontuosa  lirici-
ta` cui ci aveva abituati. Un' opera, dunque, rivolta ad un pubblico relati-
vamente  ampio, che va alla ricerca di contaminazioni tra tradizione  seven-
ties e modernismo; di quello buono,  pero`: lasciamo da parte i vari techno,
house &  compagnia  cantante, che non c'entrano nulla... La  saga  continua.

                                                                          io



                                GIPSY KINGS
                               Greatest hits
                               (Sony Music)

     Apparira` forse sorprendente la  recensione  di  un Cd dei GIPSY KINGS.
Ma ancora di piu`, stupira` il fatto se si tratta di una raccolta di succes-
si, e quindi non proprio un prodotto artigianale. Eppure considero il gruppo
dei  fratelli  Baliardo e dei fratelli Reyes, gitani  veri  della  Camargue,
non surrogati come  tanti,  fondamentali  in  un  contesto  di musica etnica
mediterranea: capaci di un sound chitarristico corposo, i Gipsy sono  autori
di un  flamenco  contaminato  dalle  piu`  svariate  influenze mediterranee.
Come  il  rai dell'algerino Khald o il blues partenopeo di Pino  Daniele  la
musica dei Gipsy non e`  facilmente etichettabile: calore, feeling, ritmiche
possenti,  vertiginosi  assoli di chitarra acustica sono  ingredienti  tanto
comuni quanto difficili da  trovare  nella  realta`.  Ed  e` forse questo il
vero segreto della band, capace di raggiungere un discreto successo  commer-
ciale senza tradire le sonorita` originali della propria terra di provenien-
za.  Mistero, malinconia, allegria, sensualita` sono tra le  sensazioni  che
meno si percepiscono tra le  note  del  sound Gipsy. Al di la di 'Bamboleo',
pezzo  che  li ha resi famosi in tutto il mondo e che prima o  poi  si  puo`
ascoltare se si passa  una  serata  in  una discoteca qualsiasi, la raccolta
contiene  tutte  le  migliori canzoni del repertorio della  band.  Si  passa
dalle strumentali  'Moorea'  e 'Galaxia' (che  normalmente  apre i concerti)
alle  tradizionali 'Soy' e 'Djobi Djoba' per continuare con  i  rifacimenti,
peraltro  riuscitissimi  di  classici  quali 'Volare'  e 'Commo d'habitude'.
Menzione  speciale, poi, per 'Vamos a Bailar' un proto-samba  scatenatissimo
sorretto da tanto di fiati che,  se  lo sentisse, potrebbe far ballare anche
Pierangelo Bertoli in vena di facezie. In conclusione un prodotto da  ascol-
tare ma soprattutto da vivere con emozione tutta latina.

                                               Ken Parker '68, Lupo del Nord



                                   SENSER
                                 Stacked Up
                            (Ultimate/A&M, 1994)

     Folgorante  esordio  sulla lunga distanza per la band  di  Sua  Maesta`
Britannica forte di  ben  sette  elementi  tra  cui  il rapper arabo Heitham
Al Sayed e l'affascinante voce femminile di Kerstin Haigh. Presentati  dalle
riviste inglesi come la risposta  europea  ai  Rage Against the Machine sono
in realta` molto piu` eclettici. Cio` che colpisce e` proprio la loro  capa-
cita` di captare influenze a 360  gradi (al  punto  che si fa prima a citare
i  generi  che non esplorano - di sicuro progressive, country,  jazz,  blues
e death metal - che enumerare  tutte  le  loro incursioni nei campi musicali
piu`  svariati!)  e soprattutto di legarla con irrisoria facilita`  a  songs
di altissimo livello, in cui gli accostamenti stilistici non sono per niente
forzati.  Quasi ogni canzone e` un mondo a se' e va trattata  singolarmente:
comunque gia` dall'iniziale 'States of  Mind'  si  capisce che aria tira con
una  prima parte sincopata e contrappuntata da piano, scratching e dai  sen-
suali vocalizzi di  Kerstin (questi  ultimi  saranno  un  leitmotiv in tutto
il  disco) squarciata poi da un riff trash e dal rapping durissimo  di  Hei-
tham. La tempesta sonora si calma un  po' con 'The Key' con il suo andamento
sinuoso  quasi  dub e 'Switch', sulla stessa falsariga ma con  piu`  funk  e
un rapping piu` aggressivo. Con 'Age  of  Panic' viene in evidenza la compo-
nente  techno, qui accoppiata splendidamente al suono in wah-wah della  chi-
tarra di  Nick  Michaelson. 'What's  Going  On'  e 'Stubborn'  tornano verso
il rap-metal con ottimi esiti soprattutto nella prima, impreziosita nell'in-
tro dal flauto campionato  di  Ian  Anderson (Jethro  Tull do you remember?)
che precede un riff degno dei migliori Anthrax. Alla furia hard-core  di 'E-
ject' e 'No Comply' fanno da  contrappunto il percussivo e ipnotico strumen-
tale 'One  Touch One Bounce' e 'Worth' in stile ambient-dub,  mentre 'Peanut
Head' potrebbe benissimo figurare  nel  repertorio  degli Urban Dance Squad.
Ma  le  due  tracks che a mio parere potranno  maggiormente  determinare  la
fortuna commerciale  di  STACKED  UP  sono  il  divertissement techno-trance
di 'Door  Game' (con  tanto di stacchi vocali in stile ragamuffin'  come  la
dance piu`  trendy!)  e  la  dolcissima  e semi-psichedelica 'Peace' cantata
in  modo  incantevole  da Kerstin che racchiude come una  perla  un  liquido
guitar solo a` la  Ozric  Tentacles.  Se  a  tutto  questo ben di Dio uniamo
efficacissimi testi antifascisti e contro <<i monumenti della disinformazio-
ne che brillano su ogni  televisione>> .  . . beh, non rimane che fare tanto
di cappello.
     Che cosa volete di piu` da un debutto?

                                                                Corvo Rosso



                            AMBROGIO SPARAGNA
                         Giofa` il servo del re
                                  (BMG)

     Giofa`  il  servo del re. Alla cortedi re Ferdinando: Giofa`  io  sono:
il giullare del re.  Napoli.  Giofa`  non  sa piu` cantare, ne' recitare (un
labbro  all'in  su,  la voce nasale: Pulcinella) e nemmeno  fare  la  carte.
La sua fortuna e`  finita,  dovra`  andare  nel  regno:  fuori da quel mondo
bello al tormento di trovar il pane da campar e dei boni amici pe'  cumpare.
Una favola  musicale  per  attore,  voci,  flauti,  chitarra barocca, archi,
percussioni  e  organetto (una piccola fisarmonica in legno). La  favola  di
un uomo nato nella continua giullariache  da un castello finisce sulla stra-
da,  sulla  piazza: non si esibira` piu` per il re, ora per la  gente  della
strada. Chi cerca  s'affanna  la  vita  poi  t'inganna  chi trova parole che
nun  sa utilizza`. Ma nun saccio vede' chella` che e` dentro a me.  Zuchezu-
chezu l'organetto e` il suono  della  malinconia  di Giofa`; trovera` la via
che  abbraccia  la vita: la piu` bella rosa. Mille so' le  storie  c'hai  da
cantare e mille so' li cuori  c'hai  da infiammare ancora mille so' le donne
da baciare. I testi di AMBROGIO SPARAGNA (come la musica; la regia di  Piero
d'Onofrio) sono tutti in  napoletano  eccetto  quando  e`  il re che decide,
fantasma  lui e il suo mondo richiamato da un coro femminile,  dai  pensieri
di Giofa`. Un'opera moderna:  tutto  ha  origine  dalla musica; dramma sulla
musica:  protagonista  e`  un cantante: un saltimbanco:  un  giullare.  Come
molto teatro contemporaneo vi  e`  di  canzoni e recitativi sia accompagnati
sia non. Affondando le radici nella tradizione popolare napoletana rivisita-
ta con motivi blues dal  clarinetto  e dal contrabbasso: possente base. Mag-
giore  attenzione bisognerebbe dedicare a questo aspetto  tecnico  musicale.
Ambrogio Sparagna: eccezionale:  Lucilla Galeazzi (mezzosoprano). Ne' l'aria
tutta la liberta` mille parole da fa vula`.

                                                                      Johnny




PUNTO FUGATO



                             Un'arte musicale

     Tanto  vale  scoprire  subito le carte. Non e`  mia  intenzione  tenere
a battesimo, con questo articolo,  una  scena musicale che non esiste, anche
perche'  i  gruppi  che ho intenzione di segnalarvi, pur  avendo  dei  punti
di contatto, sono molto diversi tra loro ma, a mio avviso, si stanno muoven-
do  tutti nella stessa direzione. Ovvero verso l'abbattimento,  l'estensione
e il  rinnovamento  della  definizione  di  canzone,  brano. Per avvicinarsi
ad un'idea di pezzo, nel senso di frammento.
     I gruppi di cui vorrei parlarvi sono: STEREOLAB, PAPA SPRAIN, BUTTERFLY
CHILD, SEEFEEL, PRAM, BARK PSYCHOSIS, INSIDES.
     Incominciamo col riprendere la nozione di frammento con alcune afferma-
zioni  di  Gary  McKendry dei PAPA SPRAIN. A  domande  concernenti  la  loro
musica Gary risponde  che  secondo  lui  introdurre  variazioni  di volume e
di effetto, nel suono di una chitarra rende la musica molto piu` interessan-
te che la  semplice  variazione  di  corda.  Questa tecnica e` riscontrabile
in  quasi  tutti i gruppi in questione e se ci pensiamo bene  la  variazione
di volume procura all'ascoltatore una  percezione dello spazio che difficil-
mente  si  riesce a rendere con la variazione delle  note.  Poiche'  sentire
il suono piu` forte  implica  anche  una  sensazione  di piu` vicino, quindi
l'ascoltatore  ha l'impressione di muoversi nello spazio quando  in  realta`
sta fermo o se non  altro  ha  l'impressione  che  la fonte si muova, se lui
sta  fermo.  Fatta  questa divagazione ritorniamo al  frammento,  dice  Gary
sempre a proposito della loro musica: <<il  modo in cui la penso, visualmen-
te,  e`  chiedendomi  quale pezzo di arte astratta mi  ricorda.  Suona  come
un Kandinsky o come  un  Jackson  Pollock?>>, <<In  ogni pezzo di musica che
e`  una  canzone tu puoi sentire frammenti di migliaia di  altre  canzoni>>.
Alla  domanda: <<Cosa  influenza  la  vostra  musica?>>  Gary risponde <<Per
quel  che  riguarda  le liriche, la letterartura moderna dal  xx  secolo  in
avanti e` un linguaggio  talmente  libero.  Qualcuno  lo chiama nonsense, ma
tu  puoi  ottenere cose stupende da questo nonsense.>> Anche  gli  STEREOLAB
manifestano uno spiccato interesse  per  il  mondo  della letteratura e cio`
che  lo riguarda. Un loro pezzo ha per testo uno scritto di  Baudelaire  dal
titolo "Enivrez-Vous". Interessante  anche  un  altro  testo degli Stereolab
che  si  rivolge  ai media: <<Ogni cosa diviene cosi`  definita /  che  alla
fine non c'e` definizione / essi non significano una cosa / essi non raccon-
tano  una  storia>>. Facendo un passo indietro e  ritornando  all'importanza
della percezione (mi  sto  riferendo  alla  variazione  di  volume) possiamo
capire  perche'  gli Stereolab abbiano inciso un LP  stranissimo  dal  tito-
lo "Space Age Batchelor Pad Music" in  cui ogni canzone serve per verificare
una  funzione  dello  stereo, il risultato dovrebbe essere  quello  di  aver
la sensazione di trovarsi  di  fronte  alla  band.  Riusciamo anche a capire
perche' i BARK PSYCHOSIS prestino attenzione anche al minimo rumore  bianco.
Se ragioniamo un momento possiamo  capire che i riferimenti all'arte contem-
poranea  non  sono  casuali. Quel che sembra  accomunare  tutte  le  diverse
arti e` la  percezione.  Poiche'  la  preoccupazione di ogni artista (parola
che non mi piace e che vorrei potesse essere sostituita con uomo) e` rendere
tramite i vari linguaggi le proprie  percezioni  e fare si` che questi siano
il  mezzo attraverso cui il fruitore si avvicina allo stato emotivo  dell'e-
mittente. Ecco qual e` il punto.  Questi  sette gruppi giocano con la perce-
zione,  cosi`  facendo avvicinano la loro musica  all'arte  contemporanea  e
alla scrittura contemporanea.  Eco  che  allora  si  puo`  leggere una frase
di  Gary come una specie di intertestualita` musicale. Ecco che  si  capisce
perche' questi gruppi spesso  dilatino  il tempo delle loro esecuzioni (vedi
SEEFEEL,  BARK  PSYCHOSIS, PRAM con i 17 minuti di 'In Dreams  You  Too  Can
Fly' presente sull'ultimo album).  Ecco  che  si  capisce l'uso di frammenti
di  melodia  ripetuta,  quindi l'uso di strumenti  elettronici.  Si  capisce
perche' il cantante dei  BUTTERFLY  CHILD  usa  questa voce infantile e come
il  gruppo cerchi di creare con la loro musica uno stato atemporale,  simile
a quello in cui viviamo nella  nostra  prima infanzia in cui il nostro senso
del  tempo non ci permette di capire nozioni quali mese, anno. La  maniacale
attenzione che tutti  questi  musicisti  ripongono  nella creazione dei loro
pezzi e` indice dell'importanza che ha per loro anche la minima  vibrazione.
Il fatto che in alcuni casi  le  loro  composizioni sono scarne e si fondano
su  variazioni minime del suono non puo` che richiamare alla mente le  opere
piu` contestate di  arte  contemporanea.  Sette  gruppi  che giocando con la
percezione forzano la nostra concezione di musica ad aprirsi a nuove  possi-
bilita`.

                                                               Marziobarbolo



                           MASSIMO VOLUME AL
                          NUOVO ROCK ITALIANO

     Nel nuovo rock italiano finalmente qualcosa si sta muovendo o, perlome-
no, cosi` ci piace  pensare.  E  tutto  questo  dopo il rigenerante fenomeno
dell'hip hop italiano legato alle posse, sulle cui attuali condizioni ognuno
potra` giudicare come meglio  crede;  ma  resta il fatto, indiscutibile, che
sia  stata una delle poche scene interessanti dell'ambito musicale  italiano
degli ultimi cinque anni, soprattutto se rapportato poi allo stato di salute
del rock nostrano. Perfino la stampa ufficiale d'informazione si e` scomoda-
ta per occuparsi della faccenda (pur se  in modo disastroso) che stava assu-
mendo  dimensioni  rapportabili al fenomeno "rock italiano" dei  primi  anni
ottanta a Firenze o giu`  di  li`.  Ma  di tutti quei gruppi cos'e` rimasto?
Ben  poco,  tutto sommato. Ma perche' questo? Perche' il rock  italiano  non
e` mai riuscito veramente a  decollare -  eccezion fatta per i Litfiba, Gang
e CCCP. Ad avviso molta gente, la contraddizione di fondo rimane la limitata
capacita`, comune a molti gruppi  italiani  di non saper elaborare personal-
mente, e quindi di accettare passivamente, modelli e stili musicali dominan-
ti e che non ci appartengono.  Una  cosa  e`  sicura: la cultura rock non ci
appartiene,  ne'  tantomeno quella hip hop; piuttosto ci sono  servite  come
strumenti di comunicazione, tramite una  rielaborazione dello stile e l'uti-
lizzo  del  linguaggio  che ci era piu` congeniale.  Assunta  l'esigenza  di
comunicazione come unica e  indiscutibile  chiave di analisi dell'argomento,
non  ci si puo` sbagliare: si trattava di appropriarsi di uno stile  musica-
le (quasi sempre straniero,  rock  o  hip  hop  che  fosse), farlo proprio e
adattarlo  al  proprio ambiente culturale (come? con utilizzo  della  lingua
italiana, a seconda delle varie esigenze, con i dialetti). La comprensibili-
ta` dei testi (o delle rime, nel secondo caso) diventa condizione imprescin-
dibile e questo ci fa  capire  come  il  rock italiano finora si sia servito
di forme musicali e di linguaggi troppo ermetici e incomprensibili (a  volte
si cantava in inglese o,  addirittura  in  tedesco)  mentre invece il rap ha
introdotto uno stile e una comunicativita` molto piu` accessibile (la strada
e` infatti il  luogo  da  dove  esso  proviene). L'urgenza di riappropriarsi
degli  strumenti di comunicazione si ripresenta ancor  piu`  prepotentemente
alla luce dei risultati disastrosi delle ultime elezioni. Contemporaneamente
al  moltiplicarsi  delle posse, i centri sociali hanno assunto il  ruolo  di
unici possibili luoghi di creativita`  e comunicativita` giovanile e, attra-
verso questi, sono sorte le nuove esperienze rock (se pensiamo bene i centri
sociali sono stati tra i pochi posti rimasti dove ai nuovi gruppi era possi-
bile esibirsi e far conoscere la propria musica). Alcune delle ultime uscite
discografiche ci fanno  ben  sperare  sulla  sorte  dei  nuovi gruppi rock e
ci  fanno  pensare che l'esperienza dell'hip hop  abbia  insegnato  qualcosa
pure a loro. Pensiamo a  gruppi  come  Massimo  Volume, S.I.M., Extra; ma le
novita`  piu`  interessanti sono quelle provenienti dalla  costituzione  del
Consorzio Produttori Indipendenti da  parte,  tra  gli  altri, di due quarti
degli  ex  CCCP (Ferretti,Zamboni) e di Gianni Maroccolo. Tra i  gruppi  che
ruotano attorno all'esperienza C.P.I. (Ustmamo`, Disciplinatha, Yo Yo Mundi)
ci  sono  pure i nuovi arrivati Marlene Kuntz di Cuneo. Il loro  esordio  e`
avvenuto nel migliore dei  modi:  la  produzione  del loro album "Catartica"
e` stata affidata a Gianni Maroccolo, la distribuzione, invece, alla  Phono-
gram (la  formula  produzione "indipendente"   e  distribuzione "major "  ci
sembra  una valida alternativa e una strada ancora percorribile per i  nuovi
gruppi che difficilmente  riuscirebbero  a trovare un'etichetta discografica
disponibile a metterli sotto contratto). Dei M.Kuntz ci convince praticamen-
te tutto: la loro musica nel  suo complesso rumorosa, caotica quanto potente
ed  efficace  che invitabilmente ci riporta ad un paragone  scomodo  come  i
Sonic Youth (ma di quante altre band  inglesi ed americane si potrebbe ripe-
tere  la  stessa  cosa?) che paiono essere diventati  punto  di  riferimento
imprescindibile per  i  nuovi  gruppi  italiani -  pensate all'ultimo ottimo
album  "Stanze" dei Massimo Volume (Underground Records 1994).I  loro  testi
sono personalissimi, poetici ma sempre  diretti  e schietti. L'album si apre
con  una  canzone che porta il nome stesso del gruppo e che  riassume  tutte
le intenzioni e i  propositi  dei  Marlene  Kuntz (lo  stesso fecero i CCCP,
nel brano di apertura di "Affinita` e Divergenze ..."). "Sonica" e`  l'unico
vero e proprio  episodio  dedicato  ai  Sonic  Youth. "Lieve" e` in assoluto
uno  dei  brani  migliori dell'album intero (tant'e` vero che  i  C.S.I.  ne
proposero di recente una versione acustica nel concerto di Cuneo). In "Fuoco
su  di Te" rievocano i CCCP di "Rozzemilia" in "Socialismo e  Barbarie" (ri-
cordate Ferretti: ®...dammi  una  mano  ad  incendiare  il piano padano...¯)
dicendo  tutto quello che vorremmo sentire da un gruppo rock italiano:  ®sa-
rebbe bello vedere i tuoi  contorni svanire/sul rogo delle mie brame/sarebbe
bello  godere  di questo rito incivile/con tanta  gioia  sacrale/noi  stiamo
per generare l'idea  di  vomitare/sui  vostri  piatti  migliori/e stiamo per
eliminare  chi  non  si sporca le mani /e dentro al  Cuneo  muore/io  voglio
fare fuoco su di te". E chi  vive  in una citta` come Alba dovrebbe riuscire
a capire cosa intendo.

                                                                        M.P.




RISTAMPE



                              RORY GALLAGHER
                             IRISH TOUR '74..
                             (Demon Records)

     In questo spazio a scadenza... variabile tratteremo dischi dal  passato
glorioso,  non  sempre  notissimi,  che  recentemente  sono  stati  riediti.
Iniziamo  dunque  con un grande chitarrista italiano, a mio  modesto  parere
uno dei piu` grandi  interpreti  del blues revival anglosassone sviluppatosi
a  cavallo  tra la fine degli anni '60 e l'inizio  dei '70.  RORY  GALLAGHER
nato nell'Irlanda del Nord ma  residente  da  sempre  a Cork, ancora oggi sa
proseguire  con  profitto il suo discorso fatto di un  rock-blues  sanguigno
e  godibilissimo  soprattutto  nelle  sue  esibizioni  live (due apparizioni
in Italia al Festival Blues di Pistoia), alla faccia dei suoi quarantacinque
anni. Nel disco che trattiamo lo  troviamo  in piena forma sia fisica che...
musicale  come  testimoniano anche le foto di copertina:  i  lunghi  capelli
svolazzanti,  la  camicia  a  scacchi  rigorosamente 'fuori'  dai pantaloni,
e  quella telecaster spelacchiata che sale sempre piu` su, sino in  cielo...
Vi sono momenti di vera poesia  in  cui il cuore (dinanzi al pubblico) stra-
volge e supera in bellezza cio` che la mente (in studio) gia` aveva  valida-
mente creato: la  torrenziale 'A  Million  Miles  Away',  dove si mettono in
evidenza anche le tastiere di Lou Martin, ne e` l'esempio piu` illumiinante.
Ma come non citare  l'opening 'Cradle  Rock',  il  cui riff ci colpisce come
una pugnalata al basso ventre e la splendida 'Tattoo'd Lady' (per chi  scri-
ve, un vero  e  proprio  inno  generazionale  della propria - ormai trascor-
sa... -  gioventu`),  completamente rivisitate ed  allungate  rispetto  alla
loro versione primigenia? E  quando  il  Nostro  si  accorge che la chitarra
elettrica  gli  sta scottando tra le mani, e` giunto il momento  di  passare
a qualcosa di piu` calmo e  pacato: mano all'acustica, dunque, e naturalmen-
te...  bocca all'armonica. 'As the Crow Flies' ci rivela un  RORY  GALLAGHER
piu` intimista, alla moda dei  maestri  neri  americani, un occhio a Chicago
ed  un  orecchio  a New Orleans, passando per  il  divertissement 'Too  much
Alcohol' (alzi la mano chi ha  gia` visto un Irlandese astemio!), nuovamente
elettrico  ma dalle cadenze piu` rilassate care alla tradizione del  talking
blues. Un disco da tenere d'occhio quindi, se siete tipi da non farsi condi-
zionare  troppo  dall'anno d'uscita (il 1974 in questo caso);  vi  consiglio
l'edizione in CD, anche  perche'  in  formato  singolo - in vinile invece e`
un  LP  doppio - e quindi nonostante tutto a buon mercato e  poi,  suvvia...
sono 75' di vero blues,  di  quello  doc  per  intenderci, da gustare in una
sera d'estate in compagnia di una bottiglia di buon vino e...

                                                                          io




BLUESJEANS



                           On the road music band

     Segnaliamo  ai  lettori torinesi che, dopo un'attesa  di  alcuni  anni,
i Bluesjeans ritornano  ad  inserire  la  zona  torinese  nel calendario del
loro  tour,  con il concerto organizzato  nell'ambito  di <<Sere  d'estate>>
al Cortile Stradella in Via Stradella a Torino.
     Con il tour  estivo '94  il  gruppo  sta  raccogliendo le registrazioni
per il CD dal vivo del prossimo anno. L'ultimo album all'attivo della forma-
zione ha visto la partecipazione  straordinaria  di Lucio Dalla e Jimmy Vil-
lotti.  Lo  spettacolo  di San Mauro Torinese e` previsto  per  VENERDI`  15
LUGLIO ALLE ORE 21. Ma chi sono i Bluesjeans?
     Sono un gruppo che viaggia qua e la per l'Italia e per l'Europa presen-
te dall'86 sulla scena professionistica con un centinaio di concerti all'an-
no, nato per esibirsi anche per strada (dalla quale proviene tutto il reper-
torio  dei loro 5 albums all'attivo). Il genere <<on the road music>>,  pro-
viene, nel loro  caso,  dal  repertorio  blues, gospel, spiritual americano,
contaminato  dalle  musiche <<profane>> del paese di origine  dei  musicisti
esecutori, i quali non disdegnano di interpretarne il messaggio con sensibi-
lita`  proprie.  In genere le formazioni di <<on the  road  music>>  contano
nel loro organico strumenti <<poveri>>,  come  in  questo caso Beppe Finello
alla  chitarra  e  voce, Massimo Lupotti al bassotuba e  voce.  Ma  sentiamo
come viene raccontato questo gruppo  da Alfredo Murtula de <<La Nuova Sarde-
gna>>:
     . . . I  Bluesjeans  sono  un gruppo nato per  esibirsi  sulla  strada,
pronto a captare  dalla  faccia  del  primo  passante l'ispirazione musicale
appropriata.  Sulla  via percorsa dal duo si incontra di tutto:  si  trovano
tra gli altri  i  Beatles,  Paolo  Conte,  Bruce  Springsteen, Lucio Dalla e
Goran  Kuzminac. Il fatto e` che queste prorposte, (gia` tra  loro  alquanto
differenti), convivono come se  niente  fosse  con  il resto del repertorio,
costituito da brani dei <<rurali>> bluesmen neri del Mississipi come  Robert
Johnson, Huddie  <<Leadbelly>>  Ledbetter  o  Blind  Lemon Jefferson. Questa
misura  di  vecchio  e moderno ha messo in allarme piu` di  un  purista  del
Blues. Anche perche' Beppe  Finello e Massimo Lupotti ( . . . ) infarciscono
con  eleganti  battute  e amene <<gags>> le  loro  impeccabili  performances
musicali, fatte di vigorose  voci  amalgamate, chitarre spigolose e puntuali
bassituba;  e  allora  siamo in pieno teatrino. I  Bluesjeans  ricordano  le
recite musicali dei <<Gatti di  Vicolo  Miracoli>> prima maniera. Ma suonare
Blues  non vuol dire <<tristezza>>? <<Non necessariamente>>, dicono i  Blue-
sjeans. <<Nelle feste campestri  dell'america  di  inizio  secolo i Bluesmen
intrattenevano  il  pubblico con spettacoli di musica e gags.  Cerchiamo  di
riproporre quelle atmosfere,  anche  se  siamo  italiani,  bianchi e viviamo
in  tempi diversi.>> Se continua cosi` scopriremo che i veri  bluesmen  sono
proprio i Bluesjeans: invece di fotocopiare modelli d'oltre oceano e "negri-
tudini"  improbabili, si mostrano per quel che sono realmente,  direttamente
dalla strada dove li si  puo`  incontrare.  Ed  il Blues diventa il pretesto
per esprimersi . . .

     ALTRI  CONCERTI  DEL  TOUR ESTIVO BLUESJEANS 1994:  15/7  Torino,  19/7
S. Daniele del  Friuli (UD),  23/7  Ghemme (NO),  dal  24/7 al 30/7 Palermo,
31/7 Bardonechia (TO), 3/8 Modigliana (MO), 5/8 Camporosso (GE), 6/8 Fiumal-
bo (MO), 25/8 Porto Torres (SS), 26/8 Sassari, 27/8 Alghero (SS).



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          Se non vi accontentate di leggere, ma volete anche
          ascoltare vi aspettiamo a Novembre:
               BLUES
               ROCK ITALIANO
               SCENA INTERNAZIONALE
          insieme - noi, gli esperti e qualche protagonista - per
          saperne di piu`                                             
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                              STEVE LACY
                                Clangs

     Quant'e`  bella  la  copertina di CLANGS, che chiassosi  colori  vi  si
trovano accostati.  Non  c'e`  possibilita`  di  sbagliare, rinviano proprio
alla  pittura, quella del nostro novecento, del tempo dadaista  poi  dell'a-
strattismo. L'ultima fase logica nello  sviluppo dell'arte, di una tessitura
ancora  differente  dalla parodia. Si distrugge per  avviare  altrimenti  il
movimento antico e moderno.  Dicono.  Per  essere  arte costruttiva, pur nel
mutamento.
     C'e`  una  pagina  della rivista 'Der Sturm',  settimanale  tedesco  di
cultura e arti, in  cui  Kurt  Schwitters  si  vantava  di sapere la formula
di  transizione dalla parola scritta alla pittura. Attraverso la  conoscenza
e la conformazione  delle  possibilita`,  costruire  cosi`, semplicemente un
mondo  da frammenti. Era il 1912. E lui stesso dava  prova  dell'esperimento
tentato, riuscito. Dopo alcune poesie, fra cui 'A Anna Blume', fortunatissi-
ma,  dove  si intonavano inconsueti e virtuosi versi come: <<Azzurro  e`  il
colore dei tuoi gialli capelli>>,  si  trovo`  fra le mani una parola. Quasi
per  caso.  Anzi un ritaglio, da un giornale forse o da un  vaglia  bancario
gualcito, un <<mezzonome>>, certamente un suono: MERZ.
     Siamo poeti fra i  poeti,  pittori  fra  i  pittori, ma se scopriamo un
suono  che e` anche parola, che cosa saremmo allora? Come che  sia,  abbiamo
capito. Schwitters, pari ad  ogni  poeta,  pittore, musicista si concentrava
su  se stesso, in questo fatalmente egoista. E prese a prestito la  verita`,
quel suono calato a picco su di lui. Ma com'e` brutta, e lo dico a malincuo-
re,  una  verita` lontana dalle mani dell'artista, perche'  ottusa,  perche'
poco intelligente? No. Perche'  non  capita,  inespressa. Egli si impadroni`
di questa verita` e meraviglioso avvenimento erano due verita`  frammischia-
te, erano un <<dipinto-Merz>>  e  una <<poesia  Merz>>.  Si senti` allora di
poter  diventare  anche  un brillante pittore oltre che poeta.  Ma  il  MERZ
era lo stesso. Lo  stesso  stupore  d'ultramattutina luce gli aveva ispirato
la  poesia 'A Anna Blume' e ora, appena percettibile, lo  faceva  dipingere.
Lo pensa, lo traguarda, gli  entra  lieve  nella  mente e con turbamento lui
scrive, dipinge. Gli oggetti affollano l'opera come un diario della memoria.
Formano armonie casuali e  affinita`  elettive  fra  parole tagliate a mezzo
e macchie di colore. In questi termini generali, in queste acque  impacciate
puo` accadere di tutto. E' il luogo delle possibilita`.
     Eppure sentite (ricordate di  non  dimenticare)  quale sentimento anima
l'artista  giunto  sin  qui: <<il mio scopo, se  potessi  arrivarci,  e`  di
raccontare cio` che puo`  accadere>>.  Al  tempo  in  cui l'ho letto, questo
pensiero non poteva dirmi molto sul suo contenuto manifesto. E negli istanti
successivi lo interpretai come un  insieme di liberta` connesso all'artista,
perche'  artista.  Chiaramente. Ma poteva dirmi molto e  molto  mi  chiari`.
Capii innanzi tutto che l'opera  d'arte  totale c'era. Se espressa in versi,
note  o colori, questo non importa. Nell'uno o nell'altro caso c'e`,  esiste
uno spazio che e`  pure  un  istante,  dove  e  quando affiora il contenuto.
L'immateriale. Eccolo qui, disvelato, il gioco di Lacy. Un gioco  facilitato
dalla musica, arte aerea che  ricorda  il  volare. Tuttavia avviluppa in se'
significati  comunque.  E nel <<Moderno>>  governato  dall'instabilita`,  da
contorni tremolanti, nervosismo  e  qualche  incertezza  appartiene a questi
momenti la leggerezza sognante dello spirito. Quando qualcuno traduce versi,
immagini in musica.
     Devo scusarmi per  non  aver  detto  subito  la  fonte della citazione.
Era Montaigne. In un capitolo dei Saggi, quello dedicato  all'immaginazione.
Una riflessione bellissima, che egli  usava per giustificare la sua scrittu-
ra.  Che  funziona anche in musica, e` un  po'  un <<dappertutto>>,  insomma
la spiegazione di  molte  cose.  Che  giustifica soprattutto l'immaginazione
in  se', dapprima. E poi la volonta` di comporre, scrivere forse  anche  far
politica. Immaginate, io,  sono  su  questo  punto dello stessissimo parere.
E non sono il solo, pure Kandinsky si era incapricciato del MERZ e a  quanto
pare insieme al  pittore  Chaissac.  Quest'ultimo  si  sforzava di dipingere
e  poetare  costruendo attorno a macchie,  sogni,  divagazioni  fantastiche.
Con loro anche Mario Merz  noto  a Torino come divulgatore dell'Arte Povera,
arte  che  nasce  in grembo a stracci, paglia, terra,  gesso,  un  nonnulla.
     Ma perche' raccontarvi,  parlarvi  di  Kandinsky, Schwitters, Chaissac,
Mario  Merz  perche'  hanno in comune quest'astratta  parola,  questo  suono
che e` il MERZ? Proprio no. Anzi  non solo. Eppure fatalmente i conti torna-
no.  Steve  Lacy ha deciso di comporre dei POEMI PITTORICI.  Cioe`  lo  fece
negli anni settanta. Lo scorso aprile  sono usciti in CD, col titolo CLANGS,
suoni  appunto.  Anch'egli costretto a seguire la malia di  quel  suono,  di
cui ora afferriamo prodigiosamente  il  senso.  MERZ e` epifania, un tentare
forme artistiche. Dimensioni non previste.
     E'  rimasto  nel  silenzio un nome, un grosso nome,  che  Lacy  colloca
fra i  quattro  pittori-poeti:  Apollinaire.  Ora,  il  disco incomincia con
la  poesia  'The Owl' (il gufo) proprio di Apollinaire.  Per  intendersi  ho
provato a formulare diverse  ipotesi.  Tutte  per spiegarmi il perche' della
scelta  di  questi cinque testi. Due in francese. Uno in  italiano.  Due  in
tedesco. Ma una spiegazione  esiste  davvero?  Quest'opera  di Lacy e` molto
unitaria,

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  |   A Anna Blume                                                       |
  |   MERZ-poesia                                                        |
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  |   O tu,amata dei miei ventisette sensi,amo                           |
  |           a te!-Tu di te te a te,io a te,tu a me.-Noi?               |
  |   Questo (sia detto per inciso) non c'entra.                         |
  |   Chi sei,tu smisurata donnetta?Tu sei--sei                          |
  |           tu?-La gente dice,tu saresti,-lascia che dicano,           |
  |           non sanno,cosa significa il luogo natio.                   |
  |   Tu porti il cappello ai piedi e cammini                            |
  |           sulle mani,sulle mani tu cammini.                          |
  |   Hallo,le tue rosse vesti,tagliate in bianchi spicchi.              |
  |   Di rossa passione amo Anna Blume,a te amo ardentemente!-Tu di te   |
  |           te a te,io a te,tu a me.-Noi?                              |
  |   Questo spetta (sia detto per inciso) alla fredda fiamma.           |
  |   Fiore rosso,rossa Anna Blume,come dice la gente?                   |
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l'accompagnano  due  voci (Aebi - Isherwood) e  l'unisono  che  apre 'Dome',
cade come un'illuminazione. La ragione  vera  e`  un'altra. Da lato, da lato
ho  cercato  di afferrare l'atmosfera, dei brani  l'intenzione.  Lacy  tenta
di trovare un rimedio alla fantasia suscitata dalle cinque poesie con un'al-
tra  fantasia. Scopre rassomiglianze. Musica, pittura e poesia si  ritrovano
fantasie sorelle, qui, nella  sua  opera.  E'  vero.  Non si puo` negare: al
di  la` della poesia e della pittura, la musica. E poi l'equilibrata  orche-
strazione  corre  sugli  ininterrotti  tempi  di  quel  cilestrino cavaliere
che  di  nuovo ricorda Kandinsky. Redivivo. Rinato. Che insegue su  un  mare
di spirito trasmutante, essenza e  anima dell'arte. E tutto viene raccontato
con infiniti riguardi.

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              /                 REDAZIONE                      \
             |          M.P., Marziobarbolo, Johnny,            |
             |   Emma Dulcamara, Jaco, Dronag, T-Bone Malone,   |
             |   Vincenzo Capitone, io, Axiom, Decus, Cascina   |
              \               Macondo, LucaBi`                 /
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