Gennaio-Febbraio 1994




     Salve, eccoci nuovamente. Continua con  questa seconda uscita il nostro
viaggio.  Novita`?  Alcune. Prima di tutto il formato  raddoppiato,  che  se
non arrivera` uno zio d'America non cambieremo piu`; poi l'arrivo di quattro
nuovi  collaboratori che hanno permesso di allargare gli orizzonti  musicali
(sterminati) prima di  tutto  nostri  e  poi  della  rivista. La prerogativa
che sta alla base di questa nostra iniziativa non e` la non-commerciabilita`
o l'inascoltabilita`  dei  dischi  recensiti (il  che  non  e` affatto vero)
ma la qualita` e la novita` della musica proposta; per reagire ad un mercato
che ci stereotipa a certe sonorita`  e a certe strutture musicali. Attenzio-
ne!  Nelle pagine centrali (centralmente in basso) vi e` un  piccolo  riqua-
dro: 'ludibria ventis'. Si  tratta  del  testo  di  una canzone contenuta in
un album recensito la volta passata che come molti altri va oltre la canzone
fino a giungere al  livello  di  composizione  poetica. Noi vi proponiamo il
brano  originale  e  affianco una nostra traduzione fatta  con  un  semplice
dizionario per cui invitiamo sin da ora a farvi avanti segnalandoci eventua-
li imperfezioni. Arrivederci.

                                                                      Johnny




RECENSIONI - crawlin'



                               ALBERT COLLINS
                                 Frostbite
                             (Alligator Records)

     Dolore, disperazione.
Un grande lutto ha colpito il mondo  del Blues quando, pochi mesi fa, Albert
Collins  ha  terminato la propria esperienza terrena,  privandoci  cosi`  di
un grande musicista.
     Nessun clamore, nessun  rumore,  Collins  se  n'e`  andato  in punta di
piedi.  La  stampa, sempre pronta a deliziarci con  strombazzanti  titoli  a
sei colonne  sull'ultimo  flirt  della  solita  mezza  calzetta, incapace di
suonare il triangolo, priva di un pur minimo gusto musicale (e che ovviamen-
te ha venduto miliardi di  dischi),  ha  dedicato all'evento, oh cosa vedono
le  mie  pupille,  ben 0,5 cmq di giornale, collocando la  notizia  in  modo
da poter essere letta agevolmente da individuo ipermetrico o, semplicemente,
con lente di ingrandimento di sherlockiana memoria. Ma questo non ci scorag-
gia. Quasi in concomitanza  al  triste  evento  esce questo FROSTBITE (ha un
che  di  macabro  tutto questo, non trovate?) per  l'etichetta  di  Chicago,
Alligator, che sta producendo ottimi  lavori. L'album in questione e` buono,
all'altezza del defunto, un artista senza fronzoli. La sua amata Fender "Te-
lecaster" (la fedelta` alla  quale  gli  valse  il  soprannome di "Master of
Telecaster")  ci  regala intense emozioni, in lenti come 'Snowed  in',  dove
pare sputare, schiarirsi  la  voce,  cantare,  urlare  e  rivela in pieno la
maestria del fu. La band e` sostenuta da un'ottima sezione fiati che contri-
buisce a far oscillare il  suono  tra Blues e Rhythm'n'Blues. Bello l'assolo
del  tenor sax in 'If you love me if you say' dove la ritmica  e`  sostenuta
da un basso che va a mille (lo  stesso vale per gli altri brani a cui forni-
sce  adeguato  spessore in modo veramente pregevole un  gran  bassista).  Si
continua con 'Blue monday hang over'  dove  sono  i fiati a farla da padrone
assieme  alla  chitarra del nostro, un Blues d'atmosfera,  da  club  fumoso,
con finale da brivido, duello chitarra-fiati gustosissimo. Si riparte con 'I
got  a  problem', la "Telecaster" fa il suo dovere, Collins  fa  vibrare  la
sua voce, il  bassista  ha  l'orecchio  pronto  e  le  dita agili, the "horn
section"  non perde un colpo, sulla batteria si picchia  duro.  Impeccabile.
Il "mestiere" c'e` e si sente, ma  questo  non e` mero esercizio di tecnica,
l'espressivita`  non  manca e questo  arricchisce  l'album.  Pianoforte "old
style" nell'attacco di 'The  highway  is  like  a woman'. Gli arrangiamenti,
la  masterizzazione  sono  ben fatti, la qualita` del suono  e`  ottima,  il
suono della chitarra e` gioia  per  i  nostri  timpani. Ottimo il lavoro dei
fiati  in  tutto  l'album (gustatevi l'attacco di  Brick:  Fender  rabbiosa,
fiati furiosi) sempre presenti  ma  mai  invadenti, un buonissimo sax emerge
in  un  paio di assoli. Se volete sprofondare in poltrona e  creare  un  po'
di atmosfera alla "Harlem  nocturne",  potete  mettere su 'Don't go reaching
across  my plare'. Stupenda infine, a mio avviso, 'Give me my  blues',  dove
il suono di tutti i componenti la band si amalgama al meglio per dare questo
potente Rhythm'n'Blues. Notevole il lavoro di sezione svolto dal sax barito-
no ed il sostegno ritmico  del  basso.  Non  puo` mancare un disco del prode
Albert nella vostra discografia.
     Hi guys!

                                                               T-Bone Malone



                                 THE BAND
                                 Jericho
                                 (Ricordi)

     The Band e` uno dei  nomi  mitici  del  rock: di quelli da citare senza
paura quando, con un pizzico di pressapochismo di troppo, si vogliono stila-
re quelle classifiche dei  migliori  di  tutti  i  tempi.  The Band e` anche
un  nome  destinato, inevitabilmente, a riportare  indietro  agli  anni '60.
Canadesi, figli del  grande  freddo,  sono  stati,  insieme  a Dylan (con il
quale  hanno collaborato per tanti anni sia in studio: THE  BASEMENT  TAPES,
che dal vivo: BEFORE THE FLOOD)  l'emblema di quella musica capace di legare
la  vitalita` del rock con gli umori e lo spirito della tradizione  d'autore
americana. Spirito di  uomini  veri,  ereditato  da  quei trappers "alla Ken
Parker" che stavano poi dalla parte degli indiani, i veri padroni di  quelle
terre (e infatti Robbie Robertson,  indimenticato  leader del gruppo assente
nell'album causa carriera solista, era di madre indiana).
     JERICHO  non vuole essere un album che vive di ricordi, di  un  passato
che comunque non  e`  sempre  stato  glorioso (Richard  Manuel, altro membro
del  nucleo  originale, e` morto suicida nel 1986). Come  ben  spiega  Levon
Helm nel libretto accompagnatorio del  CD,  The  Band  non e` un fossile, e`
un  cuore che batte rock'n'roll nelle stupende cover di  pezzi  quali 'Blind
Willie McTell' (leggendario out-take  del  Dylan  di INFIDELS), Atlantic Ci-
ty (Springsteen da NEBRASKA, un masterpiece del rock!!!) o 'Same thing' (ma-
gico Willie Dixon), nonche'  negli  originali 'The Caves of Jericho' e 'Move
to  Japan'. Un regalo inatteso, insomma, questo disco della band i  cui  sei
componenti attuali (tra cui  anche  Rick  Danko,  Garth  Hudson e Levon Helm
ovverosia  i  tre  quinti del nucleo originale) vivono  nei  boschi  attorno
a Woodstock come documentano anche le splendide foto in bianco e nero legate
al libretto. Aspettando un cofanetto riepilogativo della storia  dell'intero
gruppo atteso per il mese di  febbraio,  godiamoci la magia di questa musica
che come certi alberi secolari che si stagliano nel cielo, sembra non volere
finire mai.

                                               Ken Parker '68, lupo del nord



                       ROBBEN FORD & THE BLUE LINE
                               Mystic mile
                      (Stretch rs. - Grp ) USA 1993

     Il  particolare che piu` mi ha colpito sin dal primo ascolto di  questo
CD consiste nella decisa sterzata in direzione blues operata dal piu` giova-
ne  dei  fratelli  Ford. Artista da sempre in bilico  tra  atmosfere  bluesy
tipiche di famiglia e stilemi jazz, fin  dal suo primo ed ormai quasi intro-
vabile  disco  di  esordio (THE INSIDE STORY, 1979;  a  tutt'oggi -  secondo
chi scrive - la  sua  prova  migliore)  e`  convissuto  con questi due amori
per lui quasi viscerali; lo testimoniano diverse sue partecipazioni a festi-
val blues (indimenticabile  la  sua  performance  a  Pistoia '90) e rassegne
di jazz, tra le quali Montreux e Nizza negli ultimi anni.
     Ma  torniamo  al CD in questione. Il nostro,  sostenuto  dalla  ritmica
possente ma precisa della Blue Line -  Roscoe Beck al basso e Tom Brechtlein
eclettico  drummer -  viaggia  attraverso composizioni sue  e  riletture  di
brani famosi, quali il classico 'Politician' (Clapton, rimembri?...) e 'Wor-
ried  life  blues',  forse l'episodio migliore del disco, in  cui  il  basso
di Beck si dimostra perfetto alter  ego nel sottolineare gli assoli di Ford.
Va  citato  inoltre  l'opening 'He don't play nothin' but  the  blues',  dal
titolo accattivante  oltreche'  indicativo:  infatti  con  questa sua ultima
fatica  Robben  Ford ha probabilmente dimostrato alla  critica  che,  dietro
una facciata (ed una...  tecnica!)  jazz-fusion,  si  cela un'anima che piu`
nera non si puo`... in senso buono, naturalmente!

                                                                          io



                            LESTER "BIG DADDY" KINSEY
                                 I am the blues
                               (Gitanes/Polygram)

     Non lasciatevi ingannare  dalla  vanagloria  del  titolo, l'ascolto del
disco  sciogliera` i vostri dubbi sulla genuinita` del prodotto.  Sfogliando
la bella copertina, vi  ritroverete  di  fronte  ad  una decina di facce che
ammiccano,  sorridenti,  come  succede alle riunioni  delle  combriccole  di
amici che da troppo tempo  non  si  vedono. Ebbene, avete davanti alcuni tra
i  grandi  bluesmen  viventi, personaggi che  non "fanno"  Blues,  ma "sono"
il Blues (ed ecco  appianate  le  perplessita`  sul  titolo).  Chi puo` fare
questa  affermazione se non artisti come Jimmy Rogers, James Cotton,  Calvin
Jones, Pinetop Perkins  (ultraottantenne,  si  puo`  permettere  il lusso di
sfornare dischi di grande qualita`, in barba alla decadenza senile), musici-
sti che da oltre trent'anni  calcano  le  scene. Accanto a loro, due giovani
provenienti  da Chicago, il chitarrista Rico McFarland ed il pianista  Lucky
Peterson.
     Riunita la band, accendiamo  gli  amplificatori e cominciamo a suonare,
let's  go  band! Si inizia con una intensa 'Ode to  Muddy  Waters',  omaggio
dovuto a chi e` stato  il "padre"  artistico di tutti questi musicisti; voce
e  pianoforte  per  questa "ode" da dove emerge la  storia  di  tanti  blue-
smen, "... my great friend McKinley  Morganfield... he brought the tradition
to  Chicago... Mud was the greatest doctor, Mississipi doctor bluesman  that
ever lived...". Impressionante il calore-colore  della voce di Kinsey. Parte
la  chitarra  di Buddy Guy per 'I am the blues',  ricama  accordi  pregevoli
attorno alla voce del leader, rivela un "mestiere" non comune ed una pulizia
di suoni invidiabile (rocker vari, c'e` ancora da imparare). Mai  invadente,
sempre puntuale, grande Buddy. Di spalla Donald Kinsey, impeccabile nell'ac-
compagnamento.  L'armonica  di  Billy  Branch,  discreta  quanto   preziosa,
fa il suo ingresso  in 'Baby...'  e  conferma  il  valore  del buon Billy. A
seguire  un  brano di Big Daddy, niente di trascendentale  tranne  forse  il
grande inizio di Lucky  Peterson  all'  hammond  e sezione ritmica sostenuta
dal  travolgente  basso di Chuck-A-Luck. Ragazzi, questi ci sanno  fare!  Si
ritorna alla  tradizione  con 'Nine  below  zero',  dove  le nostre orecchie
si  deliziano  nell'ascoltare "Mr. Superharp" James Cotton  sempre  immenso,
come al solito; il suono  della  sua  armonica impreziosisce il canto mentre
il  piano di Pinetop carica di feeling il brano. Pochi secondi ed  ecco  che
coloro i quali  pensano  alla "blues  harp"  come  ad  uno strumento da gita
in  campagna  e braciolata all'aperto, hanno di che essere  disorientati  di
fronte al potente attacco  di  'Walking  thru  the  park'  da parte di Sugar
Blue, a mio parere tra i piu` grandi al mondo per tecnica, velocita`,  puli-
zia di suono, talento (la sua  armonica  urla, piange, vibra... a che volume
era  il  suo amplificatore?). La band gli concede ampio spazio  ma  la  cosa
e` piu` che giustificabile. L'ascolto  appassiona,  il CD scorre via veloce.
Highway  impolverate,  campi di cotone,  stravolgente  sensualita`,  anziani
seduti in sedia a  dondolo  sulla  veranda  che  fumano la pipa, pensando ad
un  domani che e` gia` stato ieri, ci suggerisce 'Good morning  Mississipi',
all right Pinetop. Ho la gola  secca,  entro  in un locale, ci vuole proprio
una  birra,  non  e` salutare per un "bianco" entrare  qui.  Non  m'importa.
Hey, c'e` qualcuno  che  suona,  mi  volto...  ciao  Muddy, avevo bisogno di
te stasera, mi sento Mannish Boy... come on... ballo con una bella  ragazza,
al macero le differenze  di  pelle,  idee,  posizione sociale. Mi sento vivo
e lei con me, sento il suo corpo sudato contro il mio in una danza debordan-
te sensualita`. This is the  Blues.  Oh  si`, Willie Dixon, non lasciare che
i  nostri sensi si raffreddino. Lei e` ancora li`, i suoi capelli  profumano
di fatica, orgoglio, amore  fatto  e  vissuto,  dato  e avuto. Il mio "mojo"
funziona,  baby,  sono potente, non mi puoi sfuggire, la notte e`  per  noi,
piccola... che succede? Il disco e` finito. Avro` sognato.

                                                               T-Bone Malone




RECENSIONI - 360 gradi



                                    INSIDES
                                    Euphoria
                                   (Guernica)

     J. Serge Tardo e  Kirsty  Yates,  gia`  membri degli Earwig, hanno dato
vita  a  questo nuovo progetto. Gli Insides come base  portante  delle  loro
canzoni adottano batteria e  strumenti  elettronici  su  cui si innestano la
chitarra e il piano suonati da Serge e la voce respirata/soffiata di Kirsty.
I risultati sono eccezionali.
     Come ben sappiamo c'e` bisogno che ci sia differenza per avere informa-
zione.  Anche  quando  parliamo, noi ci capiamo perche'  la  differenza  tra
i vari fonemi ci permette  di  riconoscerli  e di riconoscere di conseguenza
le parole formate da essi. La tecnica degli Insides e` quella della  ripeti-
zione dei ritmi di fondo,  ed  e` proprio tramite questa marcata ripetizione
che  si riescono a cogliere le minime differenze nel tessuto di una  canzone
e si apprezzano i tocchi  degli  strumenti  che  escono  dal fondo e i testi
stupefacenti.  Cosi`  ogni  canzone curata nei  minimi  particolari  diventa
opera a se stante.  Come 'Darling  Effect'  in  cui  l'eco del piano e della
chitarra  dona  profondita`.  Ritorniamo in questo caso  al  discorso  della
ripetizione, perche' cos'e` l'eco se  non una ripetizione imperfetta, incom-
pleta?  In 'Carly  Simon'  l'uso di molteplici stili  sonori  si  ripercuote
in una  molteplicita`  di  emozioni  nell'ascoltatore.  In 'Yes'  la voce di
Kirsty  e` un corpo seducente. Il testo potrebbe essere il proclama  dell'e-
stetica di questo  gruppo.  'Skykicking'  e`  un saggio sull'accuratezza del
tessuto  musicale.  Queste sono alcune delle opere  contenute  in  EUPHORIA.
Se volete cambiare  prospettiva  nel "guardare"  alla  musica (e  non solo a
questa)  questo  disco e` un'ottima occasione per  guardarla  da  inside(s).

                                                               Marziobarbolo




NOVEMBER NOVEMBRE No shadow No ombra No stars No stelle No moon No luna No cars No auto November Novembre It only believes Solo crede In a pile of dead leaves In una pila di foglie morte And a moon E una luna That's the color of bone Color osso No prayers for November Nessuna preghiera per Novembre To linger longer Per indugiare ancora Stick your spoon in the wall Ficca il tuo cucchiaio nel muro We'll slaughter them all Li massacreremo tutti November has tied me Novembre mi ha legato To an old dead tree A un vecchio albero morto Get word to April Invoca Aprile To rescue me Di liberarmi November's cold chain Dalla fredda catena di Novembre Made of wet boots and rain Fatta di stivali bagnati And shiny black ravens E lucenti corvi neri On chimney smoke lanes Su viottoli di fumo di camino November seems odd Novembre sembra strano You're my firing squad Tu sei il mio plotone di esecuzione November Novenbre With my hair slicked back Con i miei capelli tirati indietro With carrion shellac Con la sporca brillantina With the blood from a pheasant Con il sangue di un fagiano And the bone from a hare E l'osso di una lepre Tied to the branches Legato alle corna Of a roebuck stag Di un cervo Left to wave in the timber Lasciato ondeggiare su una trave Like a buck shot flag Come una bandiera forata da una pallottola Go away you rainsnout Vattene muso di pioggia Go away blow your brains out Vattene soffia le tue cervella altrove November Novembre Liriche di W. Burroughs traduzione di Marziobarbolo da "The Black Raider" di T. Waits e Johnny
ROLLERSKATE SKINNY Trophy (Placebo) La canzone che da` il titolo a questo singolo e` la piu` breve delle tre incluse. Ma andiamo con ordine: prima di mettervi all'ascolto del primo pezzo 'Violence to Violence' bisogna essere avvisati che per apprezzarlo in pieno e` necessario ascoltarlo ad un volume decisamente alto, ma allo stesso tempo bisogna esser consapevoli che un'operazione di tal genere potrebbe comportare qualche problemino per i vostri timpani. Il pezzo alter- na momenti piu` rilassati con altri di vero delirio rumoristico. Al princi- pio le chitarre sono un po' sognanti, poi abbiamo un cambiamento nervoso e la voce passa ad un falsetto simile a quello dei Pavement, il suono delle chitarre si fa sempre piu` duro fino alle note finali in cui ne rimane solamente una acustica. Poi viene 'Trophy', brevissima: rumore di un qualche macchinario e voci in sottofondo, la voce in primo piano e` distortissima e si sente solo per un attimo, le uniche cose che non si possono chiamare rumore sono un paio di accordi di chitarra seguiti puntualmente da un fra- casso tremendo di corpi pesantissimi in caduta. Il terzo pez- zo 'Bow-hitch-hiker' dura piu` di sei minuti, e` simile al primo per l' alternanza di momenti di relativa calma con momenti decisamente distorti. Il modo di cantare ricorda i Pavement ed il cantante sfodera un'affermazione quale "Tonight all I need is silence" circondato da note che con il silenzio hanno poco a che fare. Il finale e` di un paio di chitarre che "cantano" una canzone da mocciosi. Se dovessi esprimere un giudizio su questo lavoro sarebbe sicuramente favorevole, ma un disco cosi` lo si ascolta e basta. Marziobarbolo PALACE BROTHERS There is no one WHAT WILL TAKE CARE OF YOU (Big Cat Record/ Drag City) Desolazione country: sono forse questi due i termini che potrebbero identificare questo brillantissimo esordio dei Palace Brothers? Difficile a dirsi, soprattutto quando si ha a che fare con gruppi come questi, distan- ti anni luce da ogni riferimento temporale, da qualsiasi stile o tendenze musicali classificate. Insomma, siamo di fronte a veri e propri outsiders. Per quanti altri si potrebbe dire altrettanto? Ben pochi, se escludiamo gente quali Tindersticks, American Music Club e Red House Painters. Nella fattispecie dei Palace Brothers un suono scarno ed essenziale sembra trovare nella semplicita` degli accordi il suo vero punto di forza: una chitarra acustica, un basso, un banjo e una rugginosa batteria militare fanno venire in mente certe registrazioni di country-folk americano anteguerra. L'umore che pervade l'intero disco e` quello di un'opprimente desolazione, una ricorrente solitudine quotidiana, il bisogno di esorcizzare la precarieta` della vita con proprie canzoni e di trovare puntualmente la soluzione di tutto cio` in una bottiglia di whisky forte ma nemmeno troppo buono. Un perenne stato di ubriachezza pare infatti aver ispirato alcuni dei brani migliori: in 'I was drunk at the pulpit' si fa riferimento al bisogno di bere pure in chiesa cosi` da evitare i falsi moralismi dei predicatori; in 'O Lord are you in need?' si arriva a chiedere a Dio se non c'e` nulla di cui abbia bisogno, invertendo cosi` le tradizionali intenzioni delle preghiere degli uomini; 'Long before' e` un brano di sei minuti in uno stile bluegrass e ci ricorda come Neil Young sia qui imprescindibile punto di riferimento; in 'I tried to stay healthy for you' si dice <<meglio essere soli e ubriachi piuttosto che con la persona sbagliata>>. L'etichetta indipendente che distribuisce l'album e` la Drag City (quella degli ultimi Pavement, tanto per intenderci); se avete problemi di reperibilita`, l'ordine per corrispondenza e` sempre un buon rimedio (BIG CAT RECORDS Mail Catalogue P.O. BOX 1561 London NW 6 4SW). Le origini del gruppo vanno indietro al 1987 nel Kentucky: infatti alcuni membri dei P.B. sono Britt Walford e Mike Hunt (che pure lavoro` con le Breeders nell'EP SAFARI, Contempo 1992) che diedero inizio al progetto sperimentale SLINT (SPIDERLAND LP Touch&Go). Come ebbe a dire Jim Arundel in tempo di promozione dell'album <<i P.B. sono tristi, probabilmente pazzi; vivono in un tempo e in un posto che possiamo soltanto immaginare attraverso le loro parole. Non ascolteremo un altro disco come questo finche' non saranno proprio loro a farlo>>. Dopo ripetuti ascolti, non posso che sottoscrivere tutto questo. M.P. WILLIAM S.BURROUGHS & THE DISPOSABLE HEROES OF HIPHOPRISY Spare ass Annie and other tales (4th B-WAY/ ISLAND) WILLIAM S. BURROUGHS/ KURT COBAIN The "Priest" they called him (Tim Kerr Records) Quasi ottantenne W.S.Burroughs e` diventato ufficialmente riferimento fisso per le nuove generazioni che in qualche modo si muovono nell'ambito delle sotto-culture "alternative" degli anni '90. Non solamente di musica pare essere interessato ultimamente lo storico autore della Beat Generation degli anni '60: basta ricordare la sua parteci- pazione al film di Gus Van Sant "Drugstore Cowboy". In questa occasione lo vediamo alle prese con The Disposable Heroes of Hiphoprisy, rappers militanti dell'area californiana e autori, a mio avviso, del migliore album rap del '92 (HYPOCRISY IS THE GREATEST LUXURY, 4th& BROADWAY). Il suo compito e` di scandire con la sua solita voce perfida, versi presi qua e la` dal suo repertorio di poemetti dannati gia` editi (fa eccezione Words of advise for young people: <<... la gente spesso mi chiede di dare consigli ai giovani... beh, allora eccovi alcune semplici precauzioni che dovrebbero prendere giovani e vecchi: mai fidarsi delle puttane che non chiedono soldi: quello che attendono e` che vogliono piu` denaro, molto piu` denaro; mai prestare attenzione alle pretese di un predicatore figlio di puttana...>>). Le basi preparate dai due Disposable Heroes of Hiphoprisy, sono tipiche del loro modo di intendere l'hip hop, anche se qui e` piu` evidente il ricorso alla tradizione jazz. Secondo esperimento: William S.Burroughs legge i versi di una sua composizione THE "PRIEST" THEY CALLED HIM e la base musicale e` fornita dalla chitarra distorta di Kurt Cobain (Nirvana) con un feedback rubato qua e la` nel vecchio repertorio dei Sonic Youth. Il tutto e` stato distri- buito dall'etichetta indipendente TIM KERR Records PO BOX 42423 Portland Oregon 97242. M.P. LUNA INCOSTANTE Senzasanti (Mellow Records) Gruppo torinese, attivo da molti anni, giunge all'esordio su CD (grazie all'etichetta sanremese Mellow Records specializzata nel rock progressivo) in maniera quesi casuale, dato che la musica del gruppo - di difficile classificazione - non comprende soltanto ingredienti cari ai fans di Genesis e loro epigoni. Infatti a composizioni di 7-8 minuti e oltre si alternano tracce molto piu` brevi e incisive, il tutto a creare una miscela di sapore quasi zappiano condita da effluvi space-rock alla Ozic Tentacles. Su tutto brillano i fiati del leader Valerio Bianco, che alterna momenti di solismo (il tin whistle!) al altri di gregariato, quando supporta gli assoli del dinamico chitarrista Roberto Grimaldi con il tappeto sonoro del suo Wind-Synthesizer. Non mancano le citazioni storiche ('Woodstock', venata da una punta di nostalgia per una stagione che non tornera` piu`), mentre i testi sono per lo piu` orientati verso tematiche di stampo sociale. Volen- do cercare il pelo nell'uovo, si potrebbe muovere un appunto all'uso della voce. Spiace davvero sentire, in un disco cosi` pieno di inventiva, dalle altmosfere prettamente seventies, un cantato cosi` frastagliato quasi di matrice grungista decisamente estraneo al contesto musicale del gruppo. Ma questo e` solo un piccolo particolare che nn inficia il buon lavoro svolto dal gruppo. Un disco che potrebbe aprire nuovi orizzonti musicali all'esangue panorama musicale italiano. io ANGLAGARD Hybris (Mellotronen rs) CD Svezia 1993 (Colours) LP Norvegia 1992 Lo spettro dei King Crimson piu` tenebrosi, la lunatica poesia dei Genesis (quelli con Peter Gabriel quando era ancora Peter Gabriel, e Phil Collins relegato dietro alla batteria!) e dei Caravan... queste e molte altre cose emergono dall'ascolto di questa giovane band svedese (eta` media 21 anni) che tuttavia sfoggia un'abilita` da veterani, come giura chi ha assistito alla loro performance al Progfest '93 del 29 maggio scorso all'U- CLA di Los Angeles. E pensare che suonano insieme da un anno... Quattro pezzi piuttosto lunghi cantati in svedese, uno piu` bello dell'altro, anche se una menzione particolare va al conclusivo 'kung Bore': un arabesco di musica impressionista in cui a momenti di quiete (dove si erge a protagoni- sta il canto da sirena di Tord Lindman) fanno da contraltare passaggi impe- tuosi ricchi di cambi di tempo. Su tutto troneggia il magico suono del mellotron, la tastiera-simbolo del progressive, che tutto avvolge nelle sue spire, come un cobra ora tiepidamente addormentato ora pericoloso cac- ciatore (scusate l'enfasi). Grazie al cielo, quindi, gli appassionati di tale genere non si trovano di fronte ad altri spaccatimpani alla Dream Theatre ne' a fotocopiatrici marca-Marillion, ma ad un gruppo con le idee molto chiare che puo` contribuire alla rinascita del rock progressivo. Ah, come sono lontani i tempi in cui dalle coste scandinave giungevano a noi solo Abba & metallari vari... io THE POGUES Waiting for herb (WEA) I vecchi Pogues non ci sono piu`. Lasciatosi alle spalle (per sempre?) con la dovuta nostalgia l'amico-giulla- re nonche' voce della band Shane McGowan, del gruppo, oltre al nome, riman- gono soltanto echi lontani di antichi fiddles e whistles della tradizione popolare irlandese. I componenti sono gli stessi, gli strumenti anche; ma passato il poco riuscito periodo di transizione che si era realizzato nell'album HELL'S DITCH del '90, qui avviene il vero e proprio cambiamento: tutto risulta piu` pulito, piu` perfetto, senza che si rinunci per questo alla solita vivacita` e grinta che caratterizzano i migliori Pogues. Risultato: anche i brani piu` mcgowaniani come, per fare un esempio, 'Sitting on top of the world', una volta reinterpretati dalla (splendida) voce di Spider Stacy - che prima suonava il wistle - risultano diversi, meno terreni, quasi raffinati... 'Ahmamet' e 'Modern World' ricordano i piu` recenti Clash (e in realta` in tutto il disco si avverte un avvicina- mento progressivo al gruppo di Strummer), con un tocco orientaleggiante che rende la rivisitazione meno banale, mentre brani come 'Say goodbye' ma soprattutto 'In the big city' e 'The stars they shine', a mio avviso le migliori, rivelano l'inizio di sonorita` completamente nuove. E pro- prio 'The stars they shine' e` un punto fondamentale di questo cambiamento: in lontananza ricorda un brano come 'Kitty' (dal primo album della band, RED ROSES FOR ME dell'84), ma la voce di Spider Stacy non e` quella di McGowan e siamo daccapo. Insomma, WAITING FOR HERB e` un grande disco di un grande gruppo inglese: l'Irlanda e` a miglia di distanza. Pinky ICEBURN Haephaestus (Revelation) Una piacevolissima sorpresa. Raramente mi e` capitato di esprimere un'opinione positiva cosi` istintivamente. Questo eccezionale trio di Salt Lake City e` l'artefice di un lavoro tra i piu` complessi e creativi di hard moderno. Ve lo dico subito: non troverete la solita dose di canzonacce "orecchiabili e dure", da canticchiare sotto la doccia. Si tratta, invece, di quattro brani ('Iron', 'Brick', 'Flyswater', 'Blacksmith') in gran parte strumentali. In realta` sono ventotto tracce che non riuscirete a discernere facilmente. Percio` concentratevi sulla musica. Per ottanta minuti sarete sommersi da continue colate di idee, ancora bollenti, quasi provenissero da Efesto. Al contrario sono il frutto di chissa` quale intuizione del cantante-chitarrista Densley, una vera fucina di suoni che vanno da un metal assolutamente anticonvenzionale ad una sorta di jazz-rock con divaga- zioni progressive. A voler essere piu` chiari e` come se l'inventiva dei Primus si scontrasse con l'energia dei Motorpsycho. E qui mi fermo. Non sprechero` piu` aggettivi. Preferisco vi rendiate conto voi stessi di questo capolavoro. Vincenzo Capitone Redazione: M.P. Marziobarbolo Johnny Emma Dulcamara Jaco Dronag T-Bone Malone Pinky Vincenzo Capitone Ken Parker io