Gennaio-Febbraio 1994
Salve, eccoci nuovamente. Continua con questa seconda uscita il nostro
viaggio. Novita`? Alcune. Prima di tutto il formato raddoppiato, che se
non arrivera` uno zio d'America non cambieremo piu`; poi l'arrivo di quattro
nuovi collaboratori che hanno permesso di allargare gli orizzonti musicali
(sterminati) prima di tutto nostri e poi della rivista. La prerogativa
che sta alla base di questa nostra iniziativa non e` la non-commerciabilita`
o l'inascoltabilita` dei dischi recensiti (il che non e` affatto vero)
ma la qualita` e la novita` della musica proposta; per reagire ad un mercato
che ci stereotipa a certe sonorita` e a certe strutture musicali. Attenzio-
ne! Nelle pagine centrali (centralmente in basso) vi e` un piccolo riqua-
dro: 'ludibria ventis'. Si tratta del testo di una canzone contenuta in
un album recensito la volta passata che come molti altri va oltre la canzone
fino a giungere al livello di composizione poetica. Noi vi proponiamo il
brano originale e affianco una nostra traduzione fatta con un semplice
dizionario per cui invitiamo sin da ora a farvi avanti segnalandoci eventua-
li imperfezioni. Arrivederci.
Johnny
RECENSIONI - crawlin'
ALBERT COLLINS
Frostbite
(Alligator Records)
Dolore, disperazione.
Un grande lutto ha colpito il mondo del Blues quando, pochi mesi fa, Albert
Collins ha terminato la propria esperienza terrena, privandoci cosi` di
un grande musicista.
Nessun clamore, nessun rumore, Collins se n'e` andato in punta di
piedi. La stampa, sempre pronta a deliziarci con strombazzanti titoli a
sei colonne sull'ultimo flirt della solita mezza calzetta, incapace di
suonare il triangolo, priva di un pur minimo gusto musicale (e che ovviamen-
te ha venduto miliardi di dischi), ha dedicato all'evento, oh cosa vedono
le mie pupille, ben 0,5 cmq di giornale, collocando la notizia in modo
da poter essere letta agevolmente da individuo ipermetrico o, semplicemente,
con lente di ingrandimento di sherlockiana memoria. Ma questo non ci scorag-
gia. Quasi in concomitanza al triste evento esce questo FROSTBITE (ha un
che di macabro tutto questo, non trovate?) per l'etichetta di Chicago,
Alligator, che sta producendo ottimi lavori. L'album in questione e` buono,
all'altezza del defunto, un artista senza fronzoli. La sua amata Fender "Te-
lecaster" (la fedelta` alla quale gli valse il soprannome di "Master of
Telecaster") ci regala intense emozioni, in lenti come 'Snowed in', dove
pare sputare, schiarirsi la voce, cantare, urlare e rivela in pieno la
maestria del fu. La band e` sostenuta da un'ottima sezione fiati che contri-
buisce a far oscillare il suono tra Blues e Rhythm'n'Blues. Bello l'assolo
del tenor sax in 'If you love me if you say' dove la ritmica e` sostenuta
da un basso che va a mille (lo stesso vale per gli altri brani a cui forni-
sce adeguato spessore in modo veramente pregevole un gran bassista). Si
continua con 'Blue monday hang over' dove sono i fiati a farla da padrone
assieme alla chitarra del nostro, un Blues d'atmosfera, da club fumoso,
con finale da brivido, duello chitarra-fiati gustosissimo. Si riparte con 'I
got a problem', la "Telecaster" fa il suo dovere, Collins fa vibrare la
sua voce, il bassista ha l'orecchio pronto e le dita agili, the "horn
section" non perde un colpo, sulla batteria si picchia duro. Impeccabile.
Il "mestiere" c'e` e si sente, ma questo non e` mero esercizio di tecnica,
l'espressivita` non manca e questo arricchisce l'album. Pianoforte "old
style" nell'attacco di 'The highway is like a woman'. Gli arrangiamenti,
la masterizzazione sono ben fatti, la qualita` del suono e` ottima, il
suono della chitarra e` gioia per i nostri timpani. Ottimo il lavoro dei
fiati in tutto l'album (gustatevi l'attacco di Brick: Fender rabbiosa,
fiati furiosi) sempre presenti ma mai invadenti, un buonissimo sax emerge
in un paio di assoli. Se volete sprofondare in poltrona e creare un po'
di atmosfera alla "Harlem nocturne", potete mettere su 'Don't go reaching
across my plare'. Stupenda infine, a mio avviso, 'Give me my blues', dove
il suono di tutti i componenti la band si amalgama al meglio per dare questo
potente Rhythm'n'Blues. Notevole il lavoro di sezione svolto dal sax barito-
no ed il sostegno ritmico del basso. Non puo` mancare un disco del prode
Albert nella vostra discografia.
Hi guys!
T-Bone Malone
THE BAND
Jericho
(Ricordi)
The Band e` uno dei nomi mitici del rock: di quelli da citare senza
paura quando, con un pizzico di pressapochismo di troppo, si vogliono stila-
re quelle classifiche dei migliori di tutti i tempi. The Band e` anche
un nome destinato, inevitabilmente, a riportare indietro agli anni '60.
Canadesi, figli del grande freddo, sono stati, insieme a Dylan (con il
quale hanno collaborato per tanti anni sia in studio: THE BASEMENT TAPES,
che dal vivo: BEFORE THE FLOOD) l'emblema di quella musica capace di legare
la vitalita` del rock con gli umori e lo spirito della tradizione d'autore
americana. Spirito di uomini veri, ereditato da quei trappers "alla Ken
Parker" che stavano poi dalla parte degli indiani, i veri padroni di quelle
terre (e infatti Robbie Robertson, indimenticato leader del gruppo assente
nell'album causa carriera solista, era di madre indiana).
JERICHO non vuole essere un album che vive di ricordi, di un passato
che comunque non e` sempre stato glorioso (Richard Manuel, altro membro
del nucleo originale, e` morto suicida nel 1986). Come ben spiega Levon
Helm nel libretto accompagnatorio del CD, The Band non e` un fossile, e`
un cuore che batte rock'n'roll nelle stupende cover di pezzi quali 'Blind
Willie McTell' (leggendario out-take del Dylan di INFIDELS), Atlantic Ci-
ty (Springsteen da NEBRASKA, un masterpiece del rock!!!) o 'Same thing' (ma-
gico Willie Dixon), nonche' negli originali 'The Caves of Jericho' e 'Move
to Japan'. Un regalo inatteso, insomma, questo disco della band i cui sei
componenti attuali (tra cui anche Rick Danko, Garth Hudson e Levon Helm
ovverosia i tre quinti del nucleo originale) vivono nei boschi attorno
a Woodstock come documentano anche le splendide foto in bianco e nero legate
al libretto. Aspettando un cofanetto riepilogativo della storia dell'intero
gruppo atteso per il mese di febbraio, godiamoci la magia di questa musica
che come certi alberi secolari che si stagliano nel cielo, sembra non volere
finire mai.
Ken Parker '68, lupo del nord
ROBBEN FORD & THE BLUE LINE
Mystic mile
(Stretch rs. - Grp ) USA 1993
Il particolare che piu` mi ha colpito sin dal primo ascolto di questo
CD consiste nella decisa sterzata in direzione blues operata dal piu` giova-
ne dei fratelli Ford. Artista da sempre in bilico tra atmosfere bluesy
tipiche di famiglia e stilemi jazz, fin dal suo primo ed ormai quasi intro-
vabile disco di esordio (THE INSIDE STORY, 1979; a tutt'oggi - secondo
chi scrive - la sua prova migliore) e` convissuto con questi due amori
per lui quasi viscerali; lo testimoniano diverse sue partecipazioni a festi-
val blues (indimenticabile la sua performance a Pistoia '90) e rassegne
di jazz, tra le quali Montreux e Nizza negli ultimi anni.
Ma torniamo al CD in questione. Il nostro, sostenuto dalla ritmica
possente ma precisa della Blue Line - Roscoe Beck al basso e Tom Brechtlein
eclettico drummer - viaggia attraverso composizioni sue e riletture di
brani famosi, quali il classico 'Politician' (Clapton, rimembri?...) e 'Wor-
ried life blues', forse l'episodio migliore del disco, in cui il basso
di Beck si dimostra perfetto alter ego nel sottolineare gli assoli di Ford.
Va citato inoltre l'opening 'He don't play nothin' but the blues', dal
titolo accattivante oltreche' indicativo: infatti con questa sua ultima
fatica Robben Ford ha probabilmente dimostrato alla critica che, dietro
una facciata (ed una... tecnica!) jazz-fusion, si cela un'anima che piu`
nera non si puo`... in senso buono, naturalmente!
io
LESTER "BIG DADDY" KINSEY
I am the blues
(Gitanes/Polygram)
Non lasciatevi ingannare dalla vanagloria del titolo, l'ascolto del
disco sciogliera` i vostri dubbi sulla genuinita` del prodotto. Sfogliando
la bella copertina, vi ritroverete di fronte ad una decina di facce che
ammiccano, sorridenti, come succede alle riunioni delle combriccole di
amici che da troppo tempo non si vedono. Ebbene, avete davanti alcuni tra
i grandi bluesmen viventi, personaggi che non "fanno" Blues, ma "sono"
il Blues (ed ecco appianate le perplessita` sul titolo). Chi puo` fare
questa affermazione se non artisti come Jimmy Rogers, James Cotton, Calvin
Jones, Pinetop Perkins (ultraottantenne, si puo` permettere il lusso di
sfornare dischi di grande qualita`, in barba alla decadenza senile), musici-
sti che da oltre trent'anni calcano le scene. Accanto a loro, due giovani
provenienti da Chicago, il chitarrista Rico McFarland ed il pianista Lucky
Peterson.
Riunita la band, accendiamo gli amplificatori e cominciamo a suonare,
let's go band! Si inizia con una intensa 'Ode to Muddy Waters', omaggio
dovuto a chi e` stato il "padre" artistico di tutti questi musicisti; voce
e pianoforte per questa "ode" da dove emerge la storia di tanti blue-
smen, "... my great friend McKinley Morganfield... he brought the tradition
to Chicago... Mud was the greatest doctor, Mississipi doctor bluesman that
ever lived...". Impressionante il calore-colore della voce di Kinsey. Parte
la chitarra di Buddy Guy per 'I am the blues', ricama accordi pregevoli
attorno alla voce del leader, rivela un "mestiere" non comune ed una pulizia
di suoni invidiabile (rocker vari, c'e` ancora da imparare). Mai invadente,
sempre puntuale, grande Buddy. Di spalla Donald Kinsey, impeccabile nell'ac-
compagnamento. L'armonica di Billy Branch, discreta quanto preziosa,
fa il suo ingresso in 'Baby...' e conferma il valore del buon Billy. A
seguire un brano di Big Daddy, niente di trascendentale tranne forse il
grande inizio di Lucky Peterson all' hammond e sezione ritmica sostenuta
dal travolgente basso di Chuck-A-Luck. Ragazzi, questi ci sanno fare! Si
ritorna alla tradizione con 'Nine below zero', dove le nostre orecchie
si deliziano nell'ascoltare "Mr. Superharp" James Cotton sempre immenso,
come al solito; il suono della sua armonica impreziosisce il canto mentre
il piano di Pinetop carica di feeling il brano. Pochi secondi ed ecco che
coloro i quali pensano alla "blues harp" come ad uno strumento da gita
in campagna e braciolata all'aperto, hanno di che essere disorientati di
fronte al potente attacco di 'Walking thru the park' da parte di Sugar
Blue, a mio parere tra i piu` grandi al mondo per tecnica, velocita`, puli-
zia di suono, talento (la sua armonica urla, piange, vibra... a che volume
era il suo amplificatore?). La band gli concede ampio spazio ma la cosa
e` piu` che giustificabile. L'ascolto appassiona, il CD scorre via veloce.
Highway impolverate, campi di cotone, stravolgente sensualita`, anziani
seduti in sedia a dondolo sulla veranda che fumano la pipa, pensando ad
un domani che e` gia` stato ieri, ci suggerisce 'Good morning Mississipi',
all right Pinetop. Ho la gola secca, entro in un locale, ci vuole proprio
una birra, non e` salutare per un "bianco" entrare qui. Non m'importa.
Hey, c'e` qualcuno che suona, mi volto... ciao Muddy, avevo bisogno di
te stasera, mi sento Mannish Boy... come on... ballo con una bella ragazza,
al macero le differenze di pelle, idee, posizione sociale. Mi sento vivo
e lei con me, sento il suo corpo sudato contro il mio in una danza debordan-
te sensualita`. This is the Blues. Oh si`, Willie Dixon, non lasciare che
i nostri sensi si raffreddino. Lei e` ancora li`, i suoi capelli profumano
di fatica, orgoglio, amore fatto e vissuto, dato e avuto. Il mio "mojo"
funziona, baby, sono potente, non mi puoi sfuggire, la notte e` per noi,
piccola... che succede? Il disco e` finito. Avro` sognato.
T-Bone Malone
RECENSIONI - 360 gradi
INSIDES
Euphoria
(Guernica)
J. Serge Tardo e Kirsty Yates, gia` membri degli Earwig, hanno dato
vita a questo nuovo progetto. Gli Insides come base portante delle loro
canzoni adottano batteria e strumenti elettronici su cui si innestano la
chitarra e il piano suonati da Serge e la voce respirata/soffiata di Kirsty.
I risultati sono eccezionali.
Come ben sappiamo c'e` bisogno che ci sia differenza per avere informa-
zione. Anche quando parliamo, noi ci capiamo perche' la differenza tra
i vari fonemi ci permette di riconoscerli e di riconoscere di conseguenza
le parole formate da essi. La tecnica degli Insides e` quella della ripeti-
zione dei ritmi di fondo, ed e` proprio tramite questa marcata ripetizione
che si riescono a cogliere le minime differenze nel tessuto di una canzone
e si apprezzano i tocchi degli strumenti che escono dal fondo e i testi
stupefacenti. Cosi` ogni canzone curata nei minimi particolari diventa
opera a se stante. Come 'Darling Effect' in cui l'eco del piano e della
chitarra dona profondita`. Ritorniamo in questo caso al discorso della
ripetizione, perche' cos'e` l'eco se non una ripetizione imperfetta, incom-
pleta? In 'Carly Simon' l'uso di molteplici stili sonori si ripercuote
in una molteplicita` di emozioni nell'ascoltatore. In 'Yes' la voce di
Kirsty e` un corpo seducente. Il testo potrebbe essere il proclama dell'e-
stetica di questo gruppo. 'Skykicking' e` un saggio sull'accuratezza del
tessuto musicale. Queste sono alcune delle opere contenute in EUPHORIA.
Se volete cambiare prospettiva nel "guardare" alla musica (e non solo a
questa) questo disco e` un'ottima occasione per guardarla da inside(s).
Marziobarbolo
NOVEMBER NOVEMBRE
No shadow No ombra
No stars No stelle
No moon No luna
No cars No auto
November Novembre
It only believes Solo crede
In a pile of dead leaves In una pila di foglie morte
And a moon E una luna
That's the color of bone Color osso
No prayers for November Nessuna preghiera per Novembre
To linger longer Per indugiare ancora
Stick your spoon in the wall Ficca il tuo cucchiaio nel muro
We'll slaughter them all Li massacreremo tutti
November has tied me Novembre mi ha legato
To an old dead tree A un vecchio albero morto
Get word to April Invoca Aprile
To rescue me Di liberarmi
November's cold chain Dalla fredda catena di Novembre
Made of wet boots and rain Fatta di stivali bagnati
And shiny black ravens E lucenti corvi neri
On chimney smoke lanes Su viottoli di fumo di camino
November seems odd Novembre sembra strano
You're my firing squad Tu sei il mio plotone di esecuzione
November Novenbre
With my hair slicked back Con i miei capelli tirati indietro
With carrion shellac Con la sporca brillantina
With the blood from a pheasant Con il sangue di un fagiano
And the bone from a hare E l'osso di una lepre
Tied to the branches Legato alle corna
Of a roebuck stag Di un cervo
Left to wave in the timber Lasciato ondeggiare su una trave
Like a buck shot flag Come una bandiera forata da una pallottola
Go away you rainsnout Vattene muso di pioggia
Go away blow your brains out Vattene soffia le tue cervella altrove
November Novembre
Liriche di W. Burroughs traduzione di Marziobarbolo
da "The Black Raider" di T. Waits e Johnny
ROLLERSKATE SKINNY
Trophy
(Placebo)
La canzone che da` il titolo a questo singolo e` la piu` breve delle
tre incluse. Ma andiamo con ordine: prima di mettervi all'ascolto del primo
pezzo 'Violence to Violence' bisogna essere avvisati che per apprezzarlo
in pieno e` necessario ascoltarlo ad un volume decisamente alto, ma allo
stesso tempo bisogna esser consapevoli che un'operazione di tal genere
potrebbe comportare qualche problemino per i vostri timpani. Il pezzo alter-
na momenti piu` rilassati con altri di vero delirio rumoristico. Al princi-
pio le chitarre sono un po' sognanti, poi abbiamo un cambiamento nervoso
e la voce passa ad un falsetto simile a quello dei Pavement, il suono delle
chitarre si fa sempre piu` duro fino alle note finali in cui ne rimane
solamente una acustica. Poi viene 'Trophy', brevissima: rumore di un qualche
macchinario e voci in sottofondo, la voce in primo piano e` distortissima
e si sente solo per un attimo, le uniche cose che non si possono chiamare
rumore sono un paio di accordi di chitarra seguiti puntualmente da un fra-
casso tremendo di corpi pesantissimi in caduta. Il terzo pez-
zo 'Bow-hitch-hiker' dura piu` di sei minuti, e` simile al primo per l'
alternanza di momenti di relativa calma con momenti decisamente distorti.
Il modo di cantare ricorda i Pavement ed il cantante sfodera un'affermazione
quale "Tonight all I need is silence" circondato da note che con il silenzio
hanno poco a che fare. Il finale e` di un paio di chitarre che "cantano"
una canzone da mocciosi. Se dovessi esprimere un giudizio su questo lavoro
sarebbe sicuramente favorevole, ma un disco cosi` lo si ascolta e basta.
Marziobarbolo
PALACE BROTHERS
There is no one WHAT WILL TAKE CARE OF YOU
(Big Cat Record/ Drag City)
Desolazione country: sono forse questi due i termini che potrebbero
identificare questo brillantissimo esordio dei Palace Brothers? Difficile
a dirsi, soprattutto quando si ha a che fare con gruppi come questi, distan-
ti anni luce da ogni riferimento temporale, da qualsiasi stile o tendenze
musicali classificate. Insomma, siamo di fronte a veri e propri outsiders.
Per quanti altri si potrebbe dire altrettanto? Ben pochi, se escludiamo
gente quali Tindersticks, American Music Club e Red House Painters. Nella
fattispecie dei Palace Brothers un suono scarno ed essenziale sembra trovare
nella semplicita` degli accordi il suo vero punto di forza: una chitarra
acustica, un basso, un banjo e una rugginosa batteria militare fanno venire
in mente certe registrazioni di country-folk americano anteguerra. L'umore
che pervade l'intero disco e` quello di un'opprimente desolazione, una
ricorrente solitudine quotidiana, il bisogno di esorcizzare la precarieta`
della vita con proprie canzoni e di trovare puntualmente la soluzione di
tutto cio` in una bottiglia di whisky forte ma nemmeno troppo buono. Un
perenne stato di ubriachezza pare infatti aver ispirato alcuni dei brani
migliori: in 'I was drunk at the pulpit' si fa riferimento al bisogno
di bere pure in chiesa cosi` da evitare i falsi moralismi dei predicatori;
in 'O Lord are you in need?' si arriva a chiedere a Dio se non c'e` nulla
di cui abbia bisogno, invertendo cosi` le tradizionali intenzioni delle
preghiere degli uomini; 'Long before' e` un brano di sei minuti in uno
stile bluegrass e ci ricorda come Neil Young sia qui imprescindibile punto
di riferimento; in 'I tried to stay healthy for you' si dice <<meglio essere
soli e ubriachi piuttosto che con la persona sbagliata>>.
L'etichetta indipendente che distribuisce l'album e` la Drag City
(quella degli ultimi Pavement, tanto per intenderci); se avete problemi
di reperibilita`, l'ordine per corrispondenza e` sempre un buon rimedio (BIG
CAT RECORDS Mail Catalogue P.O. BOX 1561 London NW 6 4SW). Le origini del
gruppo vanno indietro al 1987 nel Kentucky: infatti alcuni membri dei P.B.
sono Britt Walford e Mike Hunt (che pure lavoro` con le Breeders nell'EP
SAFARI, Contempo 1992) che diedero inizio al progetto sperimentale
SLINT (SPIDERLAND LP Touch&Go).
Come ebbe a dire Jim Arundel in tempo di promozione dell'album <<i P.B.
sono tristi, probabilmente pazzi; vivono in un tempo e in un posto che
possiamo soltanto immaginare attraverso le loro parole. Non ascolteremo
un altro disco come questo finche' non saranno proprio loro a farlo>>.
Dopo ripetuti ascolti, non posso che sottoscrivere tutto questo.
M.P.
WILLIAM S.BURROUGHS & THE DISPOSABLE HEROES OF HIPHOPRISY
Spare ass Annie and other tales
(4th B-WAY/ ISLAND)
WILLIAM S. BURROUGHS/ KURT COBAIN
The "Priest" they called him
(Tim Kerr Records)
Quasi ottantenne W.S.Burroughs e` diventato ufficialmente riferimento
fisso per le nuove generazioni che in qualche modo si muovono nell'ambito
delle sotto-culture "alternative" degli anni '90.
Non solamente di musica pare essere interessato ultimamente lo storico
autore della Beat Generation degli anni '60: basta ricordare la sua parteci-
pazione al film di Gus Van Sant "Drugstore Cowboy". In questa occasione
lo vediamo alle prese con The Disposable Heroes of Hiphoprisy, rappers
militanti dell'area californiana e autori, a mio avviso, del migliore
album rap del '92 (HYPOCRISY IS THE GREATEST LUXURY, 4th& BROADWAY). Il
suo compito e` di scandire con la sua solita voce perfida, versi presi
qua e la` dal suo repertorio di poemetti dannati gia` editi (fa eccezione
Words of advise for young people: <<... la gente spesso mi chiede di dare
consigli ai giovani... beh, allora eccovi alcune semplici precauzioni che
dovrebbero prendere giovani e vecchi: mai fidarsi delle puttane che non
chiedono soldi: quello che attendono e` che vogliono piu` denaro, molto
piu` denaro; mai prestare attenzione alle pretese di un predicatore figlio
di puttana...>>). Le basi preparate dai due Disposable Heroes of Hiphoprisy,
sono tipiche del loro modo di intendere l'hip hop, anche se qui e` piu`
evidente il ricorso alla tradizione jazz.
Secondo esperimento: William S.Burroughs legge i versi di una sua
composizione THE "PRIEST" THEY CALLED HIM e la base musicale e` fornita
dalla chitarra distorta di Kurt Cobain (Nirvana) con un feedback rubato
qua e la` nel vecchio repertorio dei Sonic Youth. Il tutto e` stato distri-
buito dall'etichetta indipendente TIM KERR Records PO BOX 42423 Portland
Oregon 97242.
M.P.
LUNA INCOSTANTE
Senzasanti
(Mellow Records)
Gruppo torinese, attivo da molti anni, giunge all'esordio su CD (grazie
all'etichetta sanremese Mellow Records specializzata nel rock progressivo)
in maniera quesi casuale, dato che la musica del gruppo - di difficile
classificazione - non comprende soltanto ingredienti cari ai fans di Genesis
e loro epigoni. Infatti a composizioni di 7-8 minuti e oltre si alternano
tracce molto piu` brevi e incisive, il tutto a creare una miscela di sapore
quasi zappiano condita da effluvi space-rock alla Ozic Tentacles. Su tutto
brillano i fiati del leader Valerio Bianco, che alterna momenti di solismo
(il tin whistle!) al altri di gregariato, quando supporta gli assoli del
dinamico chitarrista Roberto Grimaldi con il tappeto sonoro del suo
Wind-Synthesizer. Non mancano le citazioni storiche ('Woodstock', venata
da una punta di nostalgia per una stagione che non tornera` piu`), mentre
i testi sono per lo piu` orientati verso tematiche di stampo sociale. Volen-
do cercare il pelo nell'uovo, si potrebbe muovere un appunto all'uso della
voce. Spiace davvero sentire, in un disco cosi` pieno di inventiva, dalle
altmosfere prettamente seventies, un cantato cosi` frastagliato quasi di
matrice grungista decisamente estraneo al contesto musicale del gruppo.
Ma questo e` solo un piccolo particolare che nn inficia il buon lavoro
svolto dal gruppo. Un disco che potrebbe aprire nuovi orizzonti musicali
all'esangue panorama musicale italiano.
io
ANGLAGARD
Hybris
(Mellotronen rs) CD Svezia 1993
(Colours) LP Norvegia 1992
Lo spettro dei King Crimson piu` tenebrosi, la lunatica poesia dei
Genesis (quelli con Peter Gabriel quando era ancora Peter Gabriel, e Phil
Collins relegato dietro alla batteria!) e dei Caravan... queste e molte
altre cose emergono dall'ascolto di questa giovane band svedese (eta` media
21 anni) che tuttavia sfoggia un'abilita` da veterani, come giura chi ha
assistito alla loro performance al Progfest '93 del 29 maggio scorso all'U-
CLA di Los Angeles. E pensare che suonano insieme da un anno... Quattro
pezzi piuttosto lunghi cantati in svedese, uno piu` bello dell'altro, anche
se una menzione particolare va al conclusivo 'kung Bore': un arabesco di
musica impressionista in cui a momenti di quiete (dove si erge a protagoni-
sta il canto da sirena di Tord Lindman) fanno da contraltare passaggi impe-
tuosi ricchi di cambi di tempo. Su tutto troneggia il magico suono del
mellotron, la tastiera-simbolo del progressive, che tutto avvolge nelle
sue spire, come un cobra ora tiepidamente addormentato ora pericoloso cac-
ciatore (scusate l'enfasi). Grazie al cielo, quindi, gli appassionati di
tale genere non si trovano di fronte ad altri spaccatimpani alla Dream
Theatre ne' a fotocopiatrici marca-Marillion, ma ad un gruppo con le idee
molto chiare che puo` contribuire alla rinascita del rock progressivo.
Ah, come sono lontani i tempi in cui dalle coste scandinave giungevano
a noi solo Abba & metallari vari...
io
THE POGUES
Waiting for herb
(WEA)
I vecchi Pogues non ci sono piu`.
Lasciatosi alle spalle (per sempre?) con la dovuta nostalgia l'amico-giulla-
re nonche' voce della band Shane McGowan, del gruppo, oltre al nome, riman-
gono soltanto echi lontani di antichi fiddles e whistles della tradizione
popolare irlandese.
I componenti sono gli stessi, gli strumenti anche; ma passato il poco
riuscito periodo di transizione che si era realizzato nell'album HELL'S
DITCH del '90, qui avviene il vero e proprio cambiamento: tutto risulta
piu` pulito, piu` perfetto, senza che si rinunci per questo alla solita
vivacita` e grinta che caratterizzano i migliori Pogues.
Risultato: anche i brani piu` mcgowaniani come, per fare un esempio,
'Sitting on top of the world', una volta reinterpretati dalla (splendida)
voce di Spider Stacy - che prima suonava il wistle - risultano diversi,
meno terreni, quasi raffinati... 'Ahmamet' e 'Modern World' ricordano i
piu` recenti Clash (e in realta` in tutto il disco si avverte un avvicina-
mento progressivo al gruppo di Strummer), con un tocco orientaleggiante
che rende la rivisitazione meno banale, mentre brani come 'Say goodbye'
ma soprattutto 'In the big city' e 'The stars they shine', a mio avviso
le migliori, rivelano l'inizio di sonorita` completamente nuove. E pro-
prio 'The stars they shine' e` un punto fondamentale di questo cambiamento:
in lontananza ricorda un brano come 'Kitty' (dal primo album della band,
RED ROSES FOR ME dell'84), ma la voce di Spider Stacy non e` quella di
McGowan e siamo daccapo. Insomma, WAITING FOR HERB e` un grande disco di
un grande gruppo inglese: l'Irlanda e` a miglia di distanza.
Pinky
ICEBURN
Haephaestus
(Revelation)
Una piacevolissima sorpresa. Raramente mi e` capitato di esprimere
un'opinione positiva cosi` istintivamente. Questo eccezionale trio di Salt
Lake City e` l'artefice di un lavoro tra i piu` complessi e creativi di
hard moderno. Ve lo dico subito: non troverete la solita dose di canzonacce
"orecchiabili e dure", da canticchiare sotto la doccia. Si tratta, invece,
di quattro brani ('Iron', 'Brick', 'Flyswater', 'Blacksmith') in gran parte
strumentali. In realta` sono ventotto tracce che non riuscirete a discernere
facilmente. Percio` concentratevi sulla musica. Per ottanta minuti sarete
sommersi da continue colate di idee, ancora bollenti, quasi provenissero
da Efesto. Al contrario sono il frutto di chissa` quale intuizione del
cantante-chitarrista Densley, una vera fucina di suoni che vanno da un
metal assolutamente anticonvenzionale ad una sorta di jazz-rock con divaga-
zioni progressive. A voler essere piu` chiari e` come se l'inventiva dei
Primus si scontrasse con l'energia dei Motorpsycho. E qui mi fermo. Non
sprechero` piu` aggettivi. Preferisco vi rendiate conto voi stessi di questo
capolavoro.
Vincenzo Capitone
Redazione:
M.P.
Marziobarbolo
Johnny
Emma Dulcamara
Jaco
Dronag
T-Bone Malone
Pinky
Vincenzo Capitone
Ken Parker
io