Dicembre 1993




                                                               PRESENTAZIONE

In stile. Poche  parole  per  comunicarvi,  popolo  di ascoltatori - lettori
sconosciuti,  che  un  manipolo di adepti alla buona  musica  ha  deciso  di
provocare tutti coloro che  non  si  accontentano  degli scampoli di cultura
musicale  offerti  dalla stampa tradizionale. Poche pretese,  tanto  ascolto
di musica da parte  di  giovani  che  si  rivolgono  a tutti, in particolare
a  coloro  dotati di senso critico e di udito fine.  Aggettivi,  sostantivi,
verbi, avverbi e qualche  puntino  di  sospensione  per descrivere in manie-
ra (la  meno paesaggistica possibile) questo mondo che ci appare non  appena
alziamo il volume e chiudiamo gli occhi.




RECENSIONI - 360 gradi



                                    SCRAWL
                                 Blood sucker
                              (Simple Machines)

Tre ragazze di Cincinnati che  hanno  appena  fatto uscire un secondo lavoro
dal  titolo  VELVET HAMMER. Questo primo lavoro e` un mini-album  con  sette
canzoni. La voce di Marcy  Mais  e`  decisamente entusiasmante. Il loro modo
di  suonare  e` spontaneo senza troppe pretese ma proprio  per  questo  piu`
lo si ascolta  questo  lavoro  piu`  piace. "Vi  ploriontus" apre il lavoro,
l'inizio  e` accattivante, gli strumenti crescono e graffiano come la  voce,
con la batteria che incalza,  efficace  il back vocal di Sue Harshe. "You're
gonna cry... cry" rimane nella testa ed e` l'unica cosa che importa. "Love's
incesticide": anche l'inizio  di  questa  canzone  e`  da  applausi, la voce
leggermente  roca  di Marcy porta lontano, il suono e` avvolgente  anche  se
a volte allenta la presa per poterti impugnare meglio un attimo dopo. "Plea-
se  have  everything"  e` una ballata stupenda da  ascoltare  e  riascoltare
senza perdersi una singola nota o una singola parola del testo. L'impressio-
ne  di  fatica  nell'incedere  del  ritmo  si  libera  pienamente  nel   re-
frain. "Clock's song" ultima e meno  riuscita  del primo lato. Forse perche`
le voci non sembrano perfettamente incastonate e non si riesce a rintraccia-
re un elemento  portante  dell'intero  pezzo.  In "C.O.W."  su  un rumore di
chitarra  in sottofondo la voce, poi il rumore riempie le  orecchie  assieme
alla batteria e la voce si  fa  quasi  gridata con un back vocal. Un momento
di  surplace  ci prepara alla tirata finale. "High  roller":  l'introduzione
del basso preannuncia  la  sfuriata  della  chitarra;  il refrain introdotto
da  una  smazzata della batteria e` davvero molto bello e la voce  di  Marcy
ancora una volta da` valore  al  tutto.  In "Cold  hearted snake" la voce si
intreccia con la chitarra e il basso in modo perfetto e tutto fila  incredi-
bilmente bene fino all'ultimo solco  quando  ci  si  accorge che il disco e`
gia` terminato e lo si rimette da capo. Quando un disco piace...

                                                               Marziobarbolo



                                P.J. HARVEY
                               4 Track Demos
                                  (Island)

A distanza di sei mesi dallo sconvolgente Rid of me, la 23enne Polly  Harvey
ritorna con il suo  terzo  lp,  dove  ripropone versioni alternative di gran
parte  delle canzoni comparse nel lavoro precedente e cinque  nuovi  episodi
inediti, tutto registrato da lei su un  4 tracce con la sua chitarra e voce,
nella  sua  casa di Yeovil, nella rurale Dorsetshire. In  contrasto  con  la
tranquillita` del Dorsetshire, la musica  della Harvey e` violenta, estrema-
mente  fisica,  piena  di  intime ossessioni  e  genuina  rabbia  femminile.
Si tratta di una  sorta  di  ibrido  Folk-Blues e rumoroso Punk-Rock, vicino
alla  schizoide e imprevedibile confusione dei primi Pixies (DOOLITTLE  1989
Contempo, fra tutti). I testi della Harvey riflettono questa sua inclinazio-
ne musicale, mostrando una introspezione e vulnerabilita` della personalita`
femminile che poche altri interpreti  avevano avuto il coraggio di delineare
cosi`  onestamente.  P.J.  Harvey,  presentando  un'immagine  di  se'  molto
aggressiva (bellissima in  alcune  foto,  voluta-mente  orribile  in altre),
si  propone  di ridefinire il femminismo in base  all'esperienza  personale,
sottoponendo a un trattamento al  vetriolo  il moralismo dei canoni sessuali
e calpestando le tradizionali prerogative maschili (prima fra tutte,  espri-
mersi facendo musica rock). In "Man size"  dice infatti <<... ho gli stivali
di pelle  addosso... ho il fisico di un uomo>>; in "Rid of  me"  si  sentono
i lamenti della vittima di  insoddisfazione sessuale; in "Reeling" la dispe-
razione sfocia nell'ordine <<Robert  De Niro  siediti  sulla  mia  faccia>>;
in "Model" accusa le belle ragazze con  poca testa. P.J. Harvey e` diventata
una  stella  brillantissima  nel firmamento del nuovo  rock  femminile,  che
cosi` prepotemente e` emerso in questi ultimi tempi grazie anche al fenomeno
Riot  Girrrls. (Se volete saperne di piu`, rimanete sintonizzati  su  queste
interferenze. Alla prossima!)

                                                                        M.P.



                                  AA.VV.
                              Judgement night
                                  (Epic)

Seconda proposta per questo mese: la  colonna sonora che accompagna il nuovo
thriller  di  Stephen Hopkins. Il film dovrebbe arrivare nei  nostri  cinema
il prossimo mese.  Per  ora  accontentiamoci  di  questa gustosa raccolta di
canzoni,  anche perche' non capita spesso che alla buona musica  corrisponda
pure un film di alta qualita`.  L'idea  che sta alla base dell'intera opera-
zione  e` parecchio interessante: la collaborazione tra gruppi di  un  certo
Rock indipendente di stampo  USA - fanno eccezione Teenage Fan-club (scozze-
si) e Therapy? (irlandesi) - con bands e posse rap, per un totale di  undici
esempi di ibrido Rock&Rap  anni  novanta.  Il  risultato? Beh, nel complesso
e` piu` che convincente. E in alcuni casi davvero straordinario: mi  riferi-
sco all'accopiata Teenage Fanclub  e  De  La Soul in "Fallin'", dove avviene
la  perfetta  e naturale fusione del "metallo leggero" dei primi  e  il "Rap
con margherite" dei  secondi,  in  uno  Spiritual  memorabile. Altro piccolo
miracolo  nasce  dalla  collaborazione tra i Sonic Youth e  i  Cypress  Hill
in "I Love You Mary Jane": la canzone inizia con un rumoroso feed back (tan-
to  per  ricordare  di chi si sta parlando), continua con la  voce  KOOL  di
una Kim Gordon al massimo della  forma  e  si conclude con il contributo dei
Cypress Hill. Gli altri episodi da ricordare sono la violenta "Just  Another
Victim" (l'hardcore vertiginoso degli Helmet e  il rap militante degli House
of  Pain). "Missing  Link" con l'inconfondibile assolo di  chitarra  di  Jay
Maschis che si infiltra tra le rime  dei Del The Funky Homosapiens. Il resto
e`  di  buona  qualita`: Living Colour & RUN D.M.C. in "Me,  Myself  and  My
Microphon", Biohazar &  Onyx  nella  canzone  che  da`  il  titolo  al film,
Slayer &  Ice-T (massima  potenza e cattiveria nella loro  Disorder),  Faith
no more & Boo-Yaa  T.R.I.B.E.  in  "Another  body  murdered". Mudhoney & Sir
Mix-A-Lot in "Freak momma", Therapy? & Fatal nella grezza e rabbiosa versio-
ne di "Come". Termina  la  raccolta "Real  Thing"  dei  Pearl  Jam e Cypress
Hill.  In Judgement night il Rock incontra il Rap: la forma  di  espressione
della cultura dei giovani  bianchi  contamina  la forma di espressione della
cultura  dei giovani di colore (e di altre minoranze etniche)  e  viceversa.
Questa e' la direzione ideale. Kool thing!

                                                                        M.P.



                                   PINEAPPLES
                                   Cacahuates
                                  (Part France)

L'ascolto di questa band di Port Chester NY, che ultimamente ha fatto uscire
un  singolo dal titolo SHE BRINGS ME DOWN per la Placebo, rimanda  in  parte
a sonorita` passate da  vent'anni.  Le  chitarre ruggenti producono un suono
netto,  pulito.  La voce del cantante si sposa perfettamente a  questo  tipo
di sonorita`. I testi non  brillano  certo  per  la loro varieta`, ma non e`
cio`  che si richiede a questo genere di musica. La prima traccia di  questo
disco, un  singolo  contenente  quattro  canzoni,  si intitola "Please don't
kill  doctor  Strange".  E articolata su due momenti  principali.  Il  primo
momento con batteria,basso e chitarra che a volte tace da una parte, chitar-
ra  da assolo che a volte stride dall'altra. Questo primo momento  crea  una
situazione di tensione che sfocia nel refrain psicadelico (secondo momento),
con  la  voce del cantante che ricorda quella dei Magic Mushroom  Band,  che
in parte riprendono queste sonorita`  anni '70,  o dei Magic Potion per quel
che  riguarda  l'ambiente  italiano. Il secondo pezzo "Stand  on  the  edge"
e` il  peggiore  dei  quattro.  Ripropone  sonorita`  ormai consuete. Ottimo
l'assolo  di  chitarra. Il cantante pare che sia andato in gita  a  Seattle.
Finale alla MC5, beh non  esageriamo!  Giriamo  il disco ed ecco "Leave your
Waste": stupendo l'attacco, motivata la batteria, il ritmo rallenta  legger-
mente per consentire  alla  chitarra  di  dirci  tutto,  poi si riprende, la
voce  e`  tornata quella della prima canzone. Ecco "House of  pain";  sembra
davvero di tornare  in  atmosfere  ormai  lontane.  Qualcuno  sa dirmi se e`
una  cover?  La  qualita` e` davvero eccezionale. Nulla di  nuovo  sotto  il
sole, ma rovistare nella scatola delle vecchie fotografie fa sempre piacere.

                                                               Marziobarbolo




RECENSIONI - crawlin'



                       JOHNNY JONES with BILLY BOY ARNOLD
                                     Live
                                  (Alligator)

Blues, Blues, Blues. Bluesofili, cinefili, musicofili, insomma tutti  coloro
che amano la musica  del "diavolo",  non  siete  piu` soli. Il vostro T-Bone
Malone  cerchera` di essere un punto di riferimento per i cultori del  Blues
troppo spesso  avvolti  nella "nebbia"  della  scarsa  informazione musicale
italiana (almeno  per  quanto riguarda i media di  grande  diffusione).  Chi
vi scrive non e`  un  critico  professionista (eccovi  in anticipo il motivo
dei  miei  inevitabili  futuri errori) ma solo un  giovane  posseduto  dallo
spirito del Blues. Ma bando alle chiacchere e veniamo all'oggetto del nostro
arguire.  L'album  da  me ascoltato si intitola appunto  Johnny  James  with
Billy Boy Arnold ed e` costituito  da  un insieme di registrazioni di questo
artista abbastanza sconosciuto, in diversi periodi della sua vita. Si tratta
di registrazioni rare e non facilmente reperibili ed e` ammirevole la scelta
dell'Alligator Records di dedicare un'uscita a questo artista. Vi  consiglio
l'acquisto del CD fondamentalmente  per  due  motivi: a) lo stile pianistico
incisivo; b) il fatto che Mr James sia stato il pianista di  quell'autentica
leggenda che e`  Elmore  James (inoltre  Muddy  Waters,  Howling Wolf, Jimmy
Reed  ed  altri importanti esponenti del Chicago Blues)  e  che  costituisce
di per se' una garanzia. La  vita  non e` stata generosa con questo pianista
e,  come  molti  altri grandi, egli e` prematuramente  scomparso  nel  1964.
Allievo di Otis Spann, James ne ha  ereditato lo stile fluido e pulito dimo-
strando  buone  capacita` tecniche e buon feeling. Accompagna  Johnny  James
un giovane armonicista, Billy Boy  Arnold, (allora agli inizi della carriera
musicale),  tuttora  vivente  e operante sulla blues  scene  statunitense  e
non solo (capita di vederlo a volte  esibirsi in alcuni Blues Festival euro-
pei).  In  questi  album la prestazione offerta da quest'ultimo  e`  un  po'
deludente (considerate certe sue esibizioni dove era piu` in forma, tuttavia
giustificabile vista la giovane eta`). Nel complesso offre una prova onesta,
un suono pulito anche se non  e`  sempre preciso negli interventi. Alla voce
se  la  cava bene lasciando intravedere buone qualita` vocali.  Il  CD  apre
con "The dirty dozens"  splendido  esempio  di  quanto e` grande l'influenza
del pianoforte nel Blues di rango. L'armonica di Billy Boy fa il suo ingres-
so in "Sloppy drunk  blues"  ricamando  preziosi  fraseggi  su un pianoforte
che  brano  dopo brano lascia trasparire l'abilita` di James.  Atmosfera  da
locale del profondo  Sud  statunitense, campagne interrotte da "crossroads",
in "Early in the morning". L'armonica apre in "I Hear my black name ringing"
e risponde puntualmente al  canto  di  James. Infine gustosa interpretazione
di  tre  classici del Blues, "Nine below zero", "Love her  with  a  feeling"
e "I have got to go", che piaceranno  anche ai non cultori del Blues. Calda-
mente  consigliato  l'ascolto anche a chi non ha  dimestichezza  con  questo
genere ma e`  amante  della  buona  musica.  L'equalizzazione  non sempre e`
buona (in certe canzoni l'armonica non si sente, occorre pero` tener presen-
te che si tratta di  registrazioni  di oltre trent'anni fa), ma nell'insieme
e` accettabile. La qualita` del suono e` buona. Buon ascolto.

                                                               T-BONE MALONE



                                  PAUL RODGERS
                                 The Hendrix set

Paul Rodgers, artista britannico,  gia`  componente della storica formazione
dei  Free,  ultimamente sembra essere diventato un appassionato  di  tributi
a grandi musicisti. Non molto  tempo  fa,  infatti, e` uscito un suo TRIBUTE
TO  MUDDY  WATERS,  che riuniva grandi chitarristi (o  presunti  tali)  alle
prese con  brani  dell'immenso  Waters (non  stupitevi  di  tanta enfasi, e`
piu`  che  giustificata, visto il personaggio). Sara` la  moda  del  momento
dato che e` tutto un  proliferare di collaborazioni, tributi, summit, tutta-
via simili esperimenti mi lasciano abbastanza perplesso per quanto  riguarda
la loro qualita`. Ma  veniamo  all'album  in questione. Il cantante inglese,
alle  prese  con  classici  del  repertorio  hendrixiano  quali "Purple  ha-
ze", "Stone free",  "Manic  depression"  offre  una  buona prova dimostrando
notevoli  qualita` vocali e interpretative. Non ha di certo la forza  dirom-
pente e la carica emotiva delle  performances  di Hendrix, ma, se non altro,
si  cimenta  con buona volonta` in un repertorio  tutt'altro  che  semplice.
La band lo asseconda  in  modo  convincente  e,  fra tutti, spicca una buona
batteria  che da` corpo alla sezione ritmica ed una chitarra che non  soffre
di  complessi  di  inferiorita`  nei  confronti dell'indimenticabile "guitar
hero"  di Seattle. Il chitarrista in questione esegue i brani di cui  sopra,
anche se con  ineccepibile  abilita`  tecnica,  in modo abbastanza pedestre,
senza  quell'opera di rilettura e reinterpretazione che rende piu`  interes-
sante l'ascolto di un disco.  Visto  il  ruolo centrale della chitarra nella
musica di Hendrix, si capisce che ne risente un po' tutto l'album. Veramente
apprezzabile e` la versatilita`  di  Rodgers  che  lo  porta a cimentarsi in
generi  abbastanza  diversi  sempre con buoni risultati. A  qundo  un  album
tutto suo? Doveroso, visto  che  dimostra  di  essere  un cantante di grande
esperienza.  Nel frattempo vi consiglio questo The Hendrix set che non  man-
chera` di far rivivere in molti  di  voi  le suggestioni che il grande Jimmy
sapeva  dare  e contribuira` a risvegliare il vostro spirito  critico.  Good
luck!

                                                               T-BONE MALONE



                                 TOM WAITS
                                Black Rider
                                  (Island)

Lontananza del tempo e dello spazio. Alba di un giorno universale: la  notte
americana, l'autunno parigino, la tristezza gioiosa della Russia. Continuan-
do  la  ricerca  intrapresa, sentiero nella foresta, Tom Waits  con  i  suoi
compagni di viaggio  ci  conduce  ondulando  tra sequenze bianconere, crude.
E' un'alba di un'umanita` al risveglio: di sopravvissuti guidati da spensie-
rati clowns progenitori di  sirene,  un'  umanita` di lunatici nel carnevale
del  diavolo.  Non  c'e` traccia di temporale ma si  intuisce  che  qualcosa
ha squassato un mondo di cui ora in questo nuovo tempo esistono solo immagi-
ni "reali".  Ritmi non primitivi (come lascerebbero pensare: ossa e  boots):
sopravvissuti: si impossesano delle musicalita` salvate di strumenti classi-
ci:  bass clarinet, fagotto, fisarmonica, contrabbasso, trombe... In  questo
carnevale si inserisce guida la  voce  inconfondibile  di Tom Waits e in una
canzone  "'t'ain't no sin" quella di William Burroughs (uno dei padri  della
Beat generation insieme a Ginsberg  Kerouac...)  ormai col bastone ma attivo
piu`  che mai. Sue sono le liriche di questo album che si  sviluppa  attorno
all'idea teatrale di Robert  Wilson regista dell'avanguardia teatrale ameri-
cana (se  cosi`  la vogliamo etichettare). Un  cambiamento  importante  come
dice lo stesso Tom Waits: un  qualcosa  su cui non si poteva sorvolare. Alta
composizione:  un'orchestra  selezionata e diretta dallo stesso  e  dal  suo
inseparabile ed inesauribile collaboratore  Greg Cohen, vocaboli crudi avvi-
cinano  immagini  "romantiche" e ci si ritrova per un  nero  incantesimo  in
una  foresta:  pallottole (beffardo  ritorna  Ennio  Morricone  ne "Il buono
il  brutto il cattivo") di duelli d'amore, sotto una luna che ha  il  colore
di un osso. Dio mio.

                                                                      Johnny




                                 Redazione:

                                    M.P.
                                Marziobarbolo
                                T-Bone Malone
                                    Johnny
                                Emma Dulcamara
                                    Dronag