SCUOLA AZIENDA E FINANZIARIA DI GUERRA

 


La prima legge finanziaria del governo di centro destra era attesa con un misto di curiosità e preoccupazione. In particolare ci si domandava come avrebbe fatto, nello stesso tempo,  il cavaliere a soddisfare i suoi reali azionisti di riferimento (in primo luogo la Confindustria, ovviamente) ed a presentarsi al buon popolo come uomo che mantiene le promesse elettorali.

Nei mesi passati i giornali hanno ripreso tutti i temi classici del “dibattito” economico: necessità di tagliare le pensioni, urgenza di una “riforma” del mercato del lavoro, rilancio dell’economia grazie a forme nuove di sostegno alle imprese: sgravi fiscali e contributivi, grandi opere pubbliche, parità scolastica ecc..

Sappiamo bene che simili “dibattiti” servono solo a preparare il clima a misure contro i lavoratori che vengono presentate come “oggettive”, inevitabili, necessarie.

Era, per noi, evidente che si trattava solo di vedere chi avrebbe pagato il conto e chi avrebbe consumato il pranzo.

Quando il progetto di DPEF è stato reso noto, si è compreso che, come sospettavamo,  il conto lo avremmo pagato noi, sia, in generale,  come pubblici dipendenti che, in particolare come lavoratori della scuola.

Lasciamo a voi il piacere di indovinare il nome di coloro che consumeranno il pranzo.

 

Al fine di meglio comprendere la logica che caratterizza la Legge Finanziaria, è opportuno premettere alcune considerazioni generali:

·       La legge finanziaria viene presentata come “leggera”. Con questo termine si vuole porre in rilievo il fatto che non ha una rilevanza quantitativa particolare a fronte di analoghe leggi decisamente più “pesanti”. Ci si dimentica, guarda caso, di dire che questa finanziaria si somma a quelle precedenti e che non è una legge di natura il fatto che la legge finanziaria debba togliere e non dare ai lavoratori;

·       Inoltre, la maggioranza ha posto l’accento sul fatto che si tratterebbe di una finanziaria “sociale” che viene incontro ai ceti popolari e, in particolare, ai poveri grazie all’aumento di una parte, non bene definita, delle pensioni minime, e a quello dei contributi per i figli a carico per chi ha un reddito (lordo) di meno di 70 milioni all’anno. La propaganda governativa si è concentrata sulla promessa di portare fuori dall’area della povertà circa due milioni di persone grazie a queste misure. È evidente, peraltro, che questa propaganda fa un uso improprio di un concetto statistico (povero viene definito chi ha un reddito inferiore alla metà del reddito medio nazionale) e che un milione di pensione al mese non fa di chi la riceve un “ricco”.

·       Mentre si sono tagliate risorse a tutti i ministeri due settori della amministrazione pubblica vedono accresciuti i loro stanziamenti: difesa e Interni (guarda, ancora una volta, caso). Scuola, sanità, servizi sociali possono essere ridimensionati, le risorse per una politica aggressiva, invece, crescono. Verifichiamo, insomma, come siamo di fronte ad una vera e propria finanziaria di guerra.

Dal punto di vista degli equilibri politici e sociali si è affermato, con qualche ragione, che il governo vuole evitare che si ripeta la rivolta del 1994 contro il taglio delle pensioni e ha segmentato misure che, imposte tutte assieme, sarebbero state insostenibili.

Venendo al merito delle misure previste, si può rilevare che, fatto salvo che non si può che essere d’accordo sulla necessità di un sostegno economico alle famiglie numerose ed ai pensionati a basso reddito vi è, però, una “piccola” dimenticanza da parte del governo. Queste misure vengono finanziate mediante la non riduzione di un punto della pressione fiscale. Il mantenimento di una promessa fattaci da anni, il ridimensionamento del fiscal drag, slitta a data da destinarsi. È lecito, a questo punto, il sospetto che il governo abbia penalizzato il lavoro dipendente “regolare”, settore della società che meno lo ama, a favore di strati sociali meno definiti e strutturati visto che i redditi, formalmente, più bassi sono, spesso, quelli della piccola borghesia tradizionale più amante, rispetto al lavoro dipendente, dell’attuale maggioranza.

Non si deve dimenticare, inoltre, che è prevista la vendita di consistenti quantità di proprietà pubbliche e che gli inquilini delle case popolari saranno costretti ad acquistare la loro casa a prezzi seccamente maggiori rispetto al passato  o rischieranno lo sfratto.

Insomma, una finanziaria leggera e sociale più nelle dichiarazioni ai giornali che nei fatti.

È bene ora, concentrarsi sul settore colpito più immediatamente non dimenticando, comunque, che la riforma delle pensioni e quella del mercato del lavoro sono state solo rinviate e non al quarto millennio.

I lavoratori del pubblico impiego, nel loro assieme, si trovano di fronte alla, non del tutto nuova, scoperta che la legge finanziaria è un meccanismo volto a fare della contrattazione (non dimentichiamo che i contratti sono in scadenza) un mero rito.

Infatti le risorse economiche previste andranno a coprire, con il solito, prevedibile, ritardo, l’inflazione programmata, in altre parole quella stabilita dal governo che, in questo modo, potrà trattare con se stesso.

Dell’inflazione reale non si parla nemmeno. Peccato che, quando dobbiamo acquistare beni e servizi, noi non possiamo pretendere che il loro prezzo salga sulla base dell’inflazione programmata.

Non è necessario avere una solida formazione sindacale per comprendere come, nella migliore delle ipotesi, si ipotizza un, ulteriore, taglio delle retribuzioni del 2/3%.

Per la scuola, in particolare, è previsto che vi sia uno 0,5% aggiuntivo che sarà assegnato ai lavoratori sulla base del contratto integrativo e, vi è ragione di ritenere, che andrà a coprire, per la verità in maniera non troppo generosa, le famose carriere interne per il personale. Oltre a ciò, i fondi di istituto, vengono rimpolpati con 200 miliardi sempre al fine di fornire alla scuola azienda un po’ di soldini in più (comunque meno di venti milioni a istituto)   per le varie e crescenti attività che la scuola dell’autonomia, noi continuiamo a preferire la definizione scuola azienda, richiede.

Chiunque nella scuola lavori sa bene con quanto ritardo e con quali tagli le varie attività sono retribuite, per non parlare dei criteri decisamente discutibili con i quali i fondi si sono assegnati ma questo è un discorso che meriterebbe una trattazione a parte.

Intanto, per i Dirigenti Scolastici si sono stanziati 40 miliardi che garantiranno loro un aumento medio dello stipendio di oltre tre milioni (sia pur lordi) al mese. Naturalmente, l’ineffabile Associazione Nazionale Presidi, riesce a sostenere che si tratte di concessioni insufficienti a premiare gli impegni della dirigenza. A questo proposito, noi, fedeli al detto secondo il quale la virtù è premio a se stessa proponiamo ai dirigenti scolastici il rifiuto di questa miseria e una vita parca e serena.

Tornando a questioni più serie: come vengono finanziate generose (si fa per dire) concessioni economiche per docenti ed ata ?

Si prevede la riduzione di 22.00 posti di lavoro mediante:

·       tagli sul turn over, tagli che smentiscono le promesse della Dama di Ferro che, quest’estate, è riuscita nell’impresa di presentarsi come la paladina dei precari con il semplice sistema di accreditare come immissioni in ruolo per quest’anno scolastico quelle previste per due anni.

·       prolungamento dell’orario ed  eliminazione degli spezzoni che saranno aggiunti all’attuale orario di servizio, non sostituzione dei colleghi assenti per meno di trenta giorni.

·       Se sommiamo queste “riforme” al taglio dell’organico, appare evidente l’aumento dei carichi di lavoro e il degrado del servizio che si vedrà privato di risorse per le attività necessarie all’arricchimento di un’offerta formativa tanto citata quanto negletta.

·       Questo per non insistere sul disastro che si determinerà nelle scuole elementari già penalizzate da questo punto di vista.

È evidente, di conseguenza, che questa finanziaria ha un preciso impatto sull’organizzazione del lavoro e sulla stessa natura della scuola pubblica.

Basta pensare agli esami di maturità. Infatti, l’abolizione delle commissioni esterne va nella direzione di quella del valore legale del titolo di studio.

Le scuole parificate potranno vendere legalmente i diplomi con un’effettiva riduzione della corruzione divenuta non più necessaria come crimine proprio perché trasformatasi in legge.

È, a questo proposito, opportuno ricordare che già oggi il 60% delle scuole private è costituito da istituti parificati e che si calcola che, entro quest’anno, saranno l’80%.

Per quanto riguarda la stessa scuola pubblica, questa misura prepara la riduzione dell’esame finale ad uno scrutinio bis e del diploma ad un certificato di frequenza.

Facciamo un semplice ragionamento:

·       le scuole, secondo il discorso dominante,  sono aziende in concorrenza fra di loro:

·       le scuole stesse, se passerà la riforma della maturità,  attesteranno, con il voto finale, il livello di preparazione degli studenti senza alcun significativo controllo esterno;

·       se le scuole il voto lo danno in sostanziale autonomia non possono, per evidenti ragioni,  concorrere sulla base del voto stesso;

·       la concorrenza si dovrà, quindi, sviluppare sulla base del valore sul mercato del titolo che elargiscono quindi, questo titolo non può che essere un generico attestato del lavoro svolto.

È impressionante rilevare che mutazioni di questo rilievo sono fatto fra le pieghe di una legge come la finanziaria che, a rigore, dovrebbe occuparsi, bene o male, d’altro.

D’altro canto, per fare un esempio recente, l’unificazione della terza e quarta fascia dei precari, che quest’estate ci è stata imposta, non è servita, dietro il sottile velo dell’efficienza della Dama di Ferro, a porre sullo stesso piano i precari della scuola pubblica con quelli della scuola privata garantendo a questi ultimi la possibilità di scavalcare, per l’immissione in ruolo,  colleghi?

È, a questo punto, chiaro che siamo di fronte a misure gravi e importanti ed ad un vero e proprio tentativo di modificare la situazione nella scuola per quanto riguarda retribuzioni, organico, organizzazione del lavoro, natura dell’insegnamento.



 è necessario

·       costruire l’opposizione dell’assieme del lavoro pubblico e privato contro la legge finanziaria;

·       organizzare, nelle singole scuole, l’informazione puntuale e la discussione sulla natura delle imposizioni del governo;

·        sviluppare una mobilitazione analoga a quella, vincente, che ci ha permesso di far ritirare, nel 2000, il concorso indecente per:

1.     forti aumenti in paga base che ci avvicinino alla retribuzione europea della quale si è sin troppo parlato senza che si vedesse alcun concreto passo in avanti;

2.     la difesa dell’organico e della qualità del servizio;

3.     la difesa del carattere pubblico, gratuito, generale della scuola.

 

LA CUB, assieme agli altri sindacati di base, ha organizzato

il 9 novembre

uno

sciopero generale

dei lavoratori del settore pubblico e privato

ed una manifestazione a Roma

contro la legge finanziaria

contro le spese militari e la logica di guerra

per la difesa dei servizi pubblici

perché una quota maggiore della ricchezza sociale vada al lavoro dipendente

 

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