RIFLESSIONI SULLE ELEMENTARI

 

di Piercarlo Bina (FLS-U di Alessandria)

 

Nel Progetto di riordino dei cicli è prevista la laurea per tutti gli insegnanti di scuola materna ed elementare; non si indica una soluzione per i diplomati attualmente in servizio. Si fa cenno solamente ad una soluzione graduale, possibilmente indolore. In realtà è ben difficile che tale transizione possa avvenire utilizzando semplicemente il meccanismo dei pensionamenti. In effetti, le preoccupazioni che emergono, a questo proposito, dalle assemblee dei docenti sono, in sintesi, le seguenti:

 

  1. Si avrebbero più persone che svolgono lo stesso lavoro, con stipendi diversi;
  2. In una fase di transizione, la corsa verso le "figure di sistema" vedrebbe sicuramente favoriti i docenti in possesso di laurea; i diplomati resterebbero inchiodati al più faticoso lavoro in classe;
  3. Quale soluzione per i diplomati? Riconoscimento di un credito formativo equiparabile alla laurea? Questo credito formativo deriverebbe dall’attuale palude dell’aggiornamento? Oppure, si potrebbero ipotizzare corsi abilitanti?

 

Su questi ragionamenti la discussione è appena abbozzata. La scuola elementare, già oggi, seppure più a causa di effetti secondari della razionalizzazione che di scelte pedagogiche, presenta margini di flessibilità all’interno dei quali, in misura al momento piuttosto ridotta, alcuni insegnanti si ritagliano ruoli più vicini alle figure di sistema che non a quelli del docente "frontale".

Inoltre, esistono quote non piccole di insegnanti che accumulano centinaia di ore di aggiornamento, pur sapendo di non prendere una lira in più della retribuzione per quelle 10/12 ore annue, eccedenti le 30 ore gratuite, che ogni Collegio Docenti, in genere, decide di pagare. Un domani questo "credito" potrebbe rientrare in un ragionamento di riconoscimento professionale.

 

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Sempre legato al Riordino dei cicli c’è il problema della soppressione della 5ª classe elementare. Un po’ rozzamente potremmo dire che questo comporterà un esubero del 20% della categoria. Anche ammettendo che l’operazione venga calibrata sul dosaggio dei pensionamenti, possiamo pensare ad una fase breve di grande crisi della scuola elementare, una fase di transizione in cui esisterà uno scompenso tra il numero delle classi quinte "residuali" e numero dei docenti, con conseguente aumento dei carichi di lavoro, accentuata flessibilità dei lavoratori e confusione organizzativa.

Voglio solo ricordare che, da un punto di vista pedagogico, la quasi totalità dei docenti continua a ritenere il quinquennio nelle elementari come un tempo assolutamente adeguato alle tappe evolutive dell’infanzia. Si vede invece con grande preoccupazione la possibilità che, rendendo obbligatorio l’ultimo anno della materna, si voglia anticipare la "scolarizzazione" dei bambini. Su questo problema i colleghi della materna continuano a ribadire la necessità di rispettare i tempi evolutivi; ma già oggi è in atto, nella scuola primaria, dopo l’introduzione dei programmi basati sul cognitivismo, una pericolosa accelerazione degli apprendimenti a scapito della formazione psico-affettiva.

Alcuni (compreso il sottoscritto) pensano, infine, che l’obbligatorietà dell’ultimo anno di materna (oltre all’ovvio discorso sui finanziamenti alle private) induca qualche burocrate a ipotizzare un riciclaggio degli insegnanti elementari in esubero, con un aumento secco delle ore di lavoro settimanali.

 

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Su tutti questi discorsi si inserisce il problema dell’Organico funzionale di Circolo, che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo a.s.

 

Com’è noto, la scuola di base è organizzata per circoli, entità territoriali che devono contare, tra materna e d elementare, 30 classi. Il circolo comprende un certo numero di plessi, in uno dei quali ha sede la Direzione Didattica.

Attualmente, ogni insegnante è titolare in un plesso e di norma deve lavorare solo in quel plesso. Fanno eccezione gli insegnanti di sostegno, titolari sull’intero Circolo; e quelli di lingua straniera che, pur essendo titolari in un plesso, lavorano su più scuole. Vi sono infine gli insegnanti D.O.P. (Dotazione Organica Provinciale) che, nella attesa di una titolarità definitiva, ricevono una nomina annuale.

 

La scuola elementare è organizzata su due modelli:

 

n il Tempo Pieno, con due insegnanti per classe, la mensa, dalle 8.30 alle 16.30, dal lunedì al venerdì;

 

n i "moduli", introdotti una decina di anni fa, che presentano forme organizzative piuttosto diverse. La condizione ottimale, ribadita dal ministero, è quella del"3 su 2", cioè tre insegnanti ogni due classi, possibilmente parallele.

 

L’orario dei moduli è di 27 ore settimanali, cui vanno aggiunte 3 ore di lingua straniera. In genere i moduli hanno due rientri settimanali al pomeriggio; con il blocco del Tempo Pieno (in pratica, fatte salve alcune deroghe dello scorso anno, il numero complessivo delle sezioni è destinato a rimanere immutato nei secoli), in alcune scuole si è anche arrivati a moduli con quattro rientri pomeridiani, senza la mensa o con la mensa affidata a personale non docente. Dico questo per far notare come, di fatto, con l’introduzione dei moduli si sono avviate forme di flessibilità quasi inconscia, in nome della maggiore offerta formativa.

Inoltre, a causa delle continue razionalizzazioni esistono oggi moltissimi plessi di sole cinque classi. Ne consegue che con queste è possibile realizzare solo un modulo "3 su 2", mentre sulle altre tre classi vanno 4 insegnanti, che danno vita ad un modulo anomalo "4 su 3". Questo comporta problemi di orario e di attribuzione delle materie di insegnamento che spinge ulteriormente verso la flessibilità. Aggiungo, infine, che, seppure in quantità piuttosto ridotte, esistono anche "moduli a scavalco", dove cioè gli insegnanti lavorano su due scuole.

 

Questo il quadro fino alla primavera di quest’anno. Una situazione spesso difficile da un punto di vista pedagogico, ma comunque ancora abbastanza controllabile da un punto di vista "normativo". Tutti, in ogni caso, eravamo ben consci che l’introduzione dell’Organico Funzionale di Circolo avrebbe sconvolto tale situazione. Naturalmente, non esisteva alcuna indicazione ministeriale che consentisse un ragionamento minimamente serio circa la sistemazione dei docenti. L’unica cosa che si sapeva era che il ministero avrebbe fissato i parametri in base ai quali ad ogni Circolo sarebbe stato assegnato un certo contingente di insegnanti, sul quale esso avrebbe dovuto contare per realizzare il pieno funzionamento della scuola.

Poiché sul Tempo Pieno, vista la sua rigida organizzazione, non erano ipotizzabili riduzioni del personale, ci si aspettava un intervento sulla parte a "modulo". Devo riconoscere che pochi ritenevano che l’intervento si sarebbe innestato su alcune parole d’ordine care alla scuola militante: apertura di classi, laboratori, integrazione con il territorio. Invece, proprio su questa presunta volontà di rompere la rigidità della classe hanno preso a girare ipotesi sempre più fantasiose di utilizzazione del personale, con l’unico scopo di ridurre il numero dei docenti. In altri termini, il pensiero più diffuso in categoria era il seguente: i moduli sono partiti da una decina d’anni, e l’unica alternativa continua a essere il Tempo Pieno. Pedagogicamente, la frantumazione degli orari e delle materie ha creato più problemi che vantaggi, sia nei bambini che negli insegnanti. Il prolungamento del tempo scuola pare l’unica soluzione. Poiché, comunque, il ministero non farà marcia indietro sui moduli come forma organizzativa di maggior diffusione (al massimo si avrà una sistemazione dei moduli più stravaganti) e, sulla base delle classi esistenti in ogni scuola, si avranno tanti moduli "3 su 2"; in caso di un numero dispari di classi, un modulo "4 su 3". Su questa base si sarebbero definiti gli organici, cui si sarebbero aggiunti gli insegnanti di sostegno e di lingua straniera, secondo i rapporti soliti.

 

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Nella primavera di quest’anno, in concomitanza con l’ondata di richieste di pensionamento (e da tutti la cosa fu letta vuoi come una ritorsione, vuoi come una soluzione di ripiego del ministero), Berlinguer ha anticipato il discorso sull’Organico Funzionale di Circolo, con un’operazione piratesca che ha contrapposto le scuole piccole alle grandi, i paesi alle città. Infatti il ministro ha stabilito che, mentre nelle scuole con più di 75 alunni, tutto sarebbe continuato come prima in questo anno scolastico, in quelle con un numero inferiore di alunni si sarebbe assegnato 1 docente ogni 10 alunni. In questo modo, si sono stravolte le dotazioni organiche basate sull’organizzazione a modulo.

 

Per chiarire, faccio un esempio riportando un caso che conosco abbastanza bene, quello di una frazione di Alessandria. La scuola elementare di Valle San Bartolomeo (a sei chilometri dalla città) ha cinque classi. In base a quanto si è detto più sopra, funzionavano due moduli:

n il primo, formato dalla prima e seconda classe, con 3 insegnanti;

n il secondo, formato dalla terza, quarta e quinta classe, con 4 insegnanti,

per un totale di 7 insegnanti. Poiché il plesso contava una cinquantina di alunni, in base a quanto descritto sopra sono stati soppressi due posti; si è fatta la graduatoria degli insegnanti e gli ultimi due hanno perso il posto.

A questo punto nel plesso si è verificata una situazione di questo tipo: 1 insegnante per classe; poiché l’orario dei maestri è di 22 ore di insegnamento alla settimana, ogni classe avrebbe avuto un tempo scuola addirittura inferiore a quello previsto dalla legge; le classi del secondo ciclo avrebbero, al massimo, potuto raggiungere le 25 ore settimanale, aggiungendo le 3 ore di lingua straniera svolte da un insegnante del Circolo.

Il ministero sapeva bene che questa situazione paradossale si sarebbe verificata in tutti i plessi sotto i 75 alunni: una riduzione del tempo scuola. Ma già nel Decreto relativo alla "piccola razionalizzazione" era contenuta la "gabola", il trucchetto: veniva chiesto a tutti i circoli di calcolare il fabbisogno orario per garantire lo stesso tempo scuola ante razionalizzazione; inoltre, di presentare "progetti" al fine di determinare il fabbisogno di insegnanti. In pratica, allora, per far funzionare la scuola di Valle San Bartolomeo dovevano, in qualche modo, essere restituiti due insegnanti: attenzione, due insegnanti, non due posti!

Così le due insegnanti perdenti posto hanno chiesto il trasferimento alla sede centrale, dove hanno coperto due pensionamenti. Successivamente, sono rientrate a Valle in utilizzazione, cioè sulla quota perequativa che non prevede posti-plesso, ma posti-circolo. Apparentemente non è cambiato nulla: in realtà, i due posti di Valle non sono più nell’organico provinciale.

 

Su tutta questa storia, ad Alessandria abbiamo più volte chiesto una verifica provinciale al Provveditorato, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta. Sappiamo che alcune scuole dei circoli periferici non hanno avuto il reintegro del personale e che, di conseguenza, si sono verificate spinte più marcate alla flessibilizzazione e alla mobilità. Detto in soldoni, e riprendendo le parole dell’ispettrice incaricata di guidare tutta questa manovra, potremmo dire che si è determinato da un lato un ridimensionamento della speranza di vita dei piccoli plessi, dall’altro una spinta ad organizzare l’orario e il servizio sulla base delle risorse esistenti, e non più di quelle necessarie. Noi riteniamo che questo sia un passo importante verso nuove esperienze organizzative in cui meno persone insegnano allo stesso numero di bambini. L’approvazione della "quota perequativa" diventa così un elemento nelle mani di provveditori, ispettori e direttori didattici. La differenza tra le scuole piccole e quelle grandi si accentua, così come si accentua la spinta sulla popolazione a iscrivere i propri figli nelle scuole grandi, dove i rischi di continui "cambiamenti" sono minori.

 

Su questo problema la categoria non ha fatto una piega, salvo i colleghi direttamente interessati. Noi continuiamo ad invitare i colleghi a riflettere sul fenomeno delle varie razionalizzazioni, ma i più sembrano indifferenti al fatto che chiudere una piccola scuola non significa trasportare bambini e insegnanti in un’altra più grande, aumentando il numero delle classi; ma significa distribuire quei bambini in più classi di più scuole, aumentando il rapporto alunni/insegnante, e ponendo frequentemente in discussione gli organici.

Abbiamo l’impressione che non se ne esce se non rilanciando drasticamente il tema dell’allungamento del tempo-scuola e quello della difesa del concetto di territorialità del servizio scolastico. Temiamo che, altrimenti, finirà con il prevalere quella minoranza che non vede l’ora di flessibilizzarsi, di trovare nuove soluzioni "modular" (cosa vorrà poi dire?), di ricercare soddisfazioni professionali poiché quelle economiche e normative se le è scordate. Infine, magari di guadagnare qualcosa di più, lavorando di più.

 

c.i.p. 23/11/’97 TO C.so Regio Parco, 31 bis

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