Il pendolo del conflitto di classe
fra
integrazione e conflitto
Riteniamo necessario che la riflessione collettiva dei militanti della
CUB sull’evolvere del quadro sindacale nel periodo che ci attende tenga
presente le iniziative o, almeno, le principali iniziative della CUB nei mesi
passati ed i problemi che si sono posti.
Lo sciopero del 9 novembre
Lo sciopero e la
manifestazione del 9 novembre contro la guerra e la legge finanziaria sono stati
un importante
momento di discesa in campo del sindacalismo di base nell’epoca del
governo della destra.
Per comprenderne la rilevanza va
colta la continuità fra lo sciopero del 20 luglio e quello del 9 novembre.
Infatti, con lo sciopero del 20 luglio, legato alla mobilitazione contro
il G8, il sindacalismo di base assume un’iniziativa politica e sindacale di
grande rilievo, iniziativa che prosegue con il 9 novembre.
La mobilitazione
contro il G8 ha visto la CUB porsi, assieme allo SLAI Cobas ed all’USI, come
l’unico soggetto sindacale che ha chiamato i lavoratori allo sciopero così
come è avvenuto per quanto riguarda la Legge Finanziaria e la guerra. È bene
ricordare questo dato a fronte dei discorsi hanno fatto e continuano a fare la
sinistra della CGIL e la Confederazione Cobas che invocano lo sciopero generale
senza decidersi mai a organizzarlo unitariamente.
L’opposizione
alla Legge Finanziaria è stata, nei fatti, una forma d’opposizione alla
guerra sul terreno pratico sensibile, a nostro avviso la più significativa tra
le forme d’opposizione possibile al di là del grado stesso di maturazione
politica su questi temi dei settori di lavoratori che il sindacalismo di base
organizza o, comunque, influenza e raggiunge.
Alla
manifestazione del 9 novembre mancavano, con scarse eccezioni, studenti e centri
sociali. Il corteo era di lavoratori in sciopero politico. L’assenza più
singolare è stata quella del SIN Cobas che pure ha comprato diversi spazi
pubblicitari sui giornali della sinistra per dichiarare la propria adesione allo
sciopero del 9 novembre. Una presenza limitata sarebbe stata comprensibile.
L’assenza assoluta è stata suggestiva.
Visto che non è credibile che i
suoi militanti abbiano sbagliato percorso o città, appare evidente che
l’adesione del SIN Cobas alla giornata è stata, diciamo così, virtuale.
Già in questo caso si è resa
visibile una divaricazione fra CUB e Confederazione Cobas, divaricazione che ha
delle ragioni che vanno apertamente discusse e che hanno continuato a pesare a
dicembre.
È anche bene ricordare che alla
manifestazione del 9 novembre mancavano, non per propria scelta, i lavoratori
della scuola. La Commissione di Garanzia contro l’esercizio del diritto di
sciopero nei servizi pubblici essenziali ha, infatti, vietato lo sciopero del 9
novembre nel comparto visto che non vi è la distanza di dieci giorni da quello
del 31 ottobre dei Cobas Scuola (la cosiddetta rarefazione oggettiva degli
scioperi) e questa deliberazione è stata confermata dal TAR del Lazio.
La CUB Scuola si è trovata di
fronte alla poco gradevole scelta di spostare lo sciopero al 12 novembre (cosa
che ha fatto) o mantenere quello del 9 pagando, come prezzo, sanzioni
decisamente pesanti (blocco delle trattenute sindacali e multe al sindacato ed
agli scioperanti). era, comunque,
presente una delegazione di lavoratori della scuola. La pratica di rendere
sempre più difficile lo sciopero si allarga dal settore dei trasporti agli
altri. Su quest’ordine di problemi sarà necessario porre in cantiere forme di
azioni efficaci da studiare attentamente. Per un verso, vanno individuate forme
di lotta non alternative ma integrative rispetto allo sciopero, per l’altro si
devono costruire strumenti in grado di garantire una solidarietà effettiva ai
lavoratori che saranno costretti a fare scioperi illegali.
Il fatto che vi siano stati due
scioperi separati (il 31 ottobre la scuola ed il 9 novembre il resto dei
lavoratori) ha indubbiamente creato problemi e generato tensioni che vanno
valutati con freddezza e serenità.
è,
infatti, perfettamente comprensibile l’esigenza dei Cobas Scuola di avere la
massima visibilità come organizzazione e la conseguente scelta di fare uno
sciopero separato su temi che pure sarebbero unificanti. È inutile fare, su
quest’ordine di questioni, una critica moralistica, le organizzazioni esistono
ed hanno proprie dinamiche con non si possono eliminare con richiami ai buoni
principi quale quello dell’unità dei lavoratori.
è,
d’altro canto, perfettamente evidente che l’opposizione alla finanziaria di
guerra sarebbe stata e, soprattutto, sarebbe, in prospettiva, più forte e
visibile grazie ad un’iniziativa comune di tutto il sindacalismo di base.
Si intrecciano, in questa
vicenda, problemi delicati: i rapporti fra le organizzazioni, per un verso, e
quelli fra una visione categoriale ed una generale dei termini dello scontro in
atto senza dimenticare il ruolo che giocano le forze politiche.
Va, comunque, segnalato un
paradosso nella scelta dello sciopero separato, se si riteneva che fosse
necessario uno sciopero solo di categoria sarebbe stato, probabilmente,
opportuno fare uno sciopero assieme ai sindacati istituzionali per allargare il
fronte nonostante il carattere evidentemente strumentale dello sciopero della
CGIL e della Gilda. Se si riteneva
preferibile scioperare su di una piattaforma non ambigua e rivendicando la
rottura della concertazione, sarebbe stato utile uno sciopero unitario ed
intercategoriale del sindacalismo di base.
La riuscita dello sciopero e
della manifestazione è una riprova del fatto che il sindacalismo di base ha
costruito, con tutti i suoi limiti, un radicamento proprio, un’area di
lavoratori che vi si riconoscono al di là della visibilità mediatica e delle
influenze partitiche. non si tratta di una forza “rivoluzionaria”,
tutt’altro ma certo di un soggetto sociale che pratica una significativa
autonomia nelle scelte e nei percorsi e non si tratta di una caratteristica da
sottovalutare.
Le parole d’ordine del corteo e
dei comizi finali sono chiare. Opposizione alla finanziaria, ai tagli
all’occupazione, alla politica di guerra del governo.
Viene posta con forza fra le
tematiche centrali della mobilitazione la denuncia della recente sentenza che, a
Marghera, ha mandato assolti i dirigenti della Montedison responsabili della
morte di centinaia di lavoratori.
Come sovente avviene, il buon
risultato di un’iniziativa di lotta ci consegna compiti nuovi ed impegnativi
da assolvere.
Si
è svolto a Bologna un incontro che ha visto la presenza di oltre un centinaio
di delegati delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) principalmente della
corrente Cambiare Rotta della CGIL e della Confederazione Cobas ma anche di
altri sindacati come CUB e SLAI Cobas.
Si
è trattato del momento finale di un percorso cominciato alcune settimane prima
con incontri locali e con la diffusione di documenti che proponevano uno
sciopero generale contro la guerra, la legge finanziaria, l'abolizione
dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Una proposta, con ogni evidenza,
impegnativa.
A novembre, come abbiamo già ricordato, il quadro
sindacale e sociale, si è vivacizzato: i Cobas della Scuola hanno scioperato il
31 ottobre, la CUB e lo SLAI Cobas il 9 novembre, la CGIL Scuola, la CUB Scuola,
la Gilda, l’Unicobas il 12 novembre, la FIOM il 16 novembre.
Il
10 novembre, inoltre, si è svolta a Roma un’importante manifestazione
dell’area no global in contemporanea o, meglio, in opposizione a quella
berlusconiana a favore della guerra.
Da molte parti si è rilevato che
la presenza di diverse mobilitazioni indeboliva un possibile movimento unitario
dell’opposizione sociale. L’iniziativa dei delegati RSU poteva essere,
sottolineiamo, poteva, un passaggio verso la ricomposizione di un fronte più
vasto di lotta in una fase sociale certo non facile.
Il fatto che la FIOM abbia scioperato da sola (nel
senso di senza CISL e UIL) il 16 novembre e che la CGIL Scuola abbia fatto
altrettanto il 12 non è, per chiunque conosca la storia sindacale, un fatto
irrilevante. Decenni di “unità sindacale” hanno avuto, sembrerebbe, fine e
lo scontro fra due settori del sindacalismo di stato è giunto a momenti
decisamente caldi. Ovviamente l’unità fra CGIL, CISL e UIL non è mai stato
un accordo amoroso e la lotta per l’egemonia è sempre stata la vera logica
che ha regolato il rapporto fra CISL e CGIL (la UIL ha sempre giocato un ruolo
di sostegno ora all’una ora all’altra).
Le
ragioni della rottura sono note:
·
CISL e UIL considerano il fatto che la destra stia al
governo una realtà con la quale misurarsi cercando di condizionare le tendenze
liberiste della maggioranza, di rinsaldare io rapporti con i suoi settori
“sociali”, di proporsi come sindacati “neutri” e ragionevoli;
·
La CGIL rischia, in una situazione del genere,
l’emarginazione e la collocazione nello scomodo ruolo di sindacato di
“sinistra”, ideologico, non capace di stare dentro il nuovo quadro
concertativo al ribasso che si sta disegnando.
Una
situazione del genere offre uno spazio maggiore che in passato alla sinistra
sindacale della CGIL che trova nella maggioranza del suo sindacato un
interlocutore disponibile a forzare la situazione almeno in alcuni momenti. La
dialettica fra Cambiare Rotta e maggioranza, corrisponde, grosso modo, a quella
fra PRC e DS ma la dialettica interna ai DS, con la maggioranza della CGIL
schierata a sostegno della sinistra di questo partito, determina una situazione
decisamente diversa rispetto al passato.
La guerra, la legge finanziaria, l’attacco ai
diritti dei lavoratori ed alle pensioni parrebbero dover favorire l’unità,
almeno nelle mobilitazioni, del sindacalismo alternativo. In realtà non è così
per alcune precise ragioni:
·
Il giudizio sulla dialettica interna alla CGIL è diverso
nelle varie organizzazioni del sindacalismo di base. Mentre la CUB e lo SLAI
Cobas guardano con molta prudenza e, sovente, con sospetto allo “spostamento a
sinistra” della CGIL e ritengono che l’attivismo dei sindacati di stato sia
funzionale a ricostruire il vecchio quadro della concertazione, la
Confederazione Cobas sembra decisamente più disposta a cercare un rapporto
privilegiato con Cambiare Rotta ed a tentare di determinare una radicalizzazione
delle iniziative del sindacato di stato;
·
Vi è anche un modo diverso di intendere il rapporto con il
movimento no global che la Confederazione Cobas e, in particolare i Cobas della
Scuola, paiono intenzionati ad assumere come interlocutore privilegiato mentre
la CUB e lo SLAI Cobas, pur in presenza di un’attenzione maggiore che in
passato verso movimenti della società, sono meno portati a puntare su di un
generico “movimento”.
Se
consideriamo che questa differenza di approccio rispetto alla CGIL ed ai no
global si intreccia con una differenza delle relazioni delle varie
organizzazioni con i partiti, si comprende che la tanto desiderata “unità del
sindacalismo alternativo” non è di facile realizzazione.
L’assemblea di Bologna voleva essere o, almeno,
dichiarava di essere un incontro fra delegati di base al di là delle
organizzazioni di appartenenza.
Non
riteniamo né possibile né opportuno indagare sulla buona fede e sulla
correttezza degli intervenuti e dei promotori di questa iniziativa. È, però,
un fatto che oggi un movimento di massa dei delegati al di là delle
organizzazioni semplicemente non esiste. Lo si può ritenere desiderabile, si può
lavorare perché si sviluppi ma non si può assumerlo come punto di partenza.
I delegati RSU esprimono oggi le
posizioni dei sindacati o delle componenti sindacali ai quali fanno riferimento
e i margini di autonomia che hanno si danno, nella migliore delle ipotesi, a
livello aziendale.
I delegati RSU presenti a
Bologna, e in questo non vi è nulla di scandaloso, erano militanti politico
sindacali portatori di diverse e convergenti ipotesi politiche e, nello
specifico, di un tentativo di forzare rispetto agli scioperi di dicembre
organizzati da CGIL CISL UIL.
Dopo la crisi novembrina, CGIL, CISL e UIL hanno
trovato un, molto provvisorio, accordo:
·
La CGIL ha lasciato cadere la proposta dello sciopero
generale contro il governo;
·
CISL e UIL hanno accettato di organizzare assieme alcuni
scioperi categoriali su temi diversi.
In
concreto i sindacati di stato hanno stabilito di organizzare scioperi di due ore
nel settore privato fra il 5 ed il 7 dicembre con assemblee e uno sciopero
dell’intera giornata per il 14 dicembre nel pubblico impiego ad eccezione
della scuola nella quale hanno indetto lo sciopero della prima ora nella stessa
giornata. Il fatto che proprio la scuola veda il minor impegno non casuale visto
che si tratta del settore più visibile e vivace del settore pubblico e che in
questo settore le divergenze fra CISL e CGIL sono maggiori.
È ora possibile comprendere
meglio, senza pretendere di avere un quadro completo della situazione,
l’assemblea di Bologna e le sue decisioni.
La
Confederazione Cobas ha proposto uno sciopero generale il 14 dicembre. Nei
fatti, proponeva di forzare rispetto alle ambiguità ed alle contraddizioni di
CGIL-CISL-UIL e di trovare un rapporto privilegiato con Cambiare Rotta della
CGIL. Nelle intenzioni ritiene, o afferma di ritenere, che è possibile un
grande movimento che metta assieme lavoratori, studenti, no global. Ad una
valutazione realistica, ha dato vita ad uno sciopero nella scuola ed ad una
manifestazione assieme agli studenti.
La CUB e lo SLAI Cobas hanno
proposto e, successivamente, organizzato una manifestazione a Milano il 15
dicembre, essenzialmente contro l’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori, e la costruzione assieme di uno sciopero generale per gennaio.
Questa proposta derivava dalla valutazione che lo sciopero del 14 sarebbe stato,
inevitabilmente, funzionale alla politica neoconcertativa di CGIL, CISL e UIL e
che la costruzione di uno sciopero generale del sindacalismo di base richieda
tempi di preparazione adeguati.
Ovviamente, l’assemblea di
Bologna ha scelto lo sciopero del 14 dicembre. Non si tratta di una scelta
scandalosa. Bastava guardare la sala per comprendere che tutto era già stato
stabilito prima ancora che iniziassero gli interventi.
Sul piano del conflitto fra le
classi, saranno i fatti a permettere una valutazione sull’opportunità di
questa scelta.
Sul piano della costruzione di
un’alternativa sindacale adeguata alle contraddizioni che si stanno
sviluppando siamo di fonte all’ennesimo impasse.
Infatti legare le proprie scelte
alla dialettica interna alla CGIL non porterà molto lontano i militanti e le
organizzazioni che pensano di spiazzare l’apparato del sindacato di stato.
Come si suol dire, il futuro riposa sulle ginocchia degli dei ma sarebbe opportuno che noi tentassimo di disegnare un percorso che non ci porti a lavorare per il re di Prussia.