La risonanza del kotodama
di Inoue Masahiko
Nell’autunno dello scorso anno, quando dalla città di Torino, ex capitale
d’Italia, ho ricevuto la mia copia di ALIA2 ho provato un’eccitazione e una vertigine
di felicità simile a quelle avute nel momento in cui, per la prima volta in vita mia,
ho assaporato il gusto intenso del caffè.
Racconti fantastici, soprannaturali e del meraviglioso nati dalla forza creativa e
dalla penna di autori giapponesi attraversato il gran mare blu sono stati tradotti in
un idioma soavemente musicale come l’italiano. Vibrando all’unisono con l’immaginazione
dei lettori europei, entrati in risonanza, insieme non diverranno forse la
sorgente da cui scaturirà il sogno degli scrittori di domani?
Sebbene provi una dolce ebbrezza e un senso di profonda gratitudine per queste
future possibilità e realizzazioni, al contempo mi chiedo come la letteratura fantastica
giapponese sarà accolta non solo in Italia, ma in tutta Europa. No, prima di
tutto mi domando dove sia collocabile la particolarità e l’originalità dei nostri scritti...
la loro traduzione in una lingua estera è quindi divenuta per me occasione di
una più seria riflessione.
Da quando ho iniziato a pubblicare il mio primo racconto horror su di una rivista
letteraria sono ormai passati venticinque anni. La serie antologica di Igyô
korekushon [Freak Out Collection, Collezione bizzarra], da me progettata e curata
fin dal 1997, è giunta oggi al trentacinquesimo volume - per ogni antologia decido
un tema particolare e una ventina di scrittori contemporanei si cimentano in una
gara di bravura scrivendo racconti fantastici sull’argomento indicato. In definitiva,
sia come scrittore sia come curatore d’antologie ho ricoperto un ruolo attivo nel
panorama dell’editoria del romanzo d’immaginazione, tuttavia, proprio grazie alla
partecipazione ad ALIA2 ho avuto modo di meditare con maggior profondità sulla
nostra produzione.
Attualmente in Giappone i generi della letteratura fantastica sono assai vari.
Romanzi soprannaturali, fantascienza, gialli fantastici, libri su mondi immaginari,
romanzi storico-fantastici. E poi romanzi sperimentali d’avanguardia che esplorano
nuove frontiere linguistiche, favole, meta-fiction... credo che grazie alla
diversità delle novelle raccolte nei tre volumi di ALIA i lettori italiani possano
almeno in parte intuire quale varietà di filoni vi siano.
Non ci sono limiti alla proliferazione dei generi. Ad esempio, riguardo la fantascienza,
se pure vi è una hard SF che s’incentra sulle nuove scienze naturali -
ingegneria genetica, fisica quantistica, scienze sullo studio del cervello umano,
teorie sull’Universo ecc. -, d’altra parte esistono libri che raccontano drammi
avventurosi concernenti l’espansione in un futuro mondo spaziale, romanzi di
modifica del tempo che delineano passati alternativi...
E ancora, molto numerosi sono i volumi dove gli elementi della letteratura di
genere - le forme del romanzo horror, della SF, del giallo e così via - si fondono e
si amalgamano tra di loro (gialli tradizionali dove i fenomeni paranormali sono
una costante ordinaria della vita di tutti i giorni, romanzi gotici ambientati in
mondi futuri, opere storiche con alieni, racconti dell’orrore uniti a sperimentazioni
linguistiche... se dovessi elencarli tutti non finirei mai).
Penso che proprio questa ricchezza di variazioni e illimitatezza d’immaginazione
sia una delle caratteristiche del fantastico nipponico.
Eppure... pensandoci bene, in effetti non è una caratteristica della sola modernità.
Sin dall’antichità i giapponesi sono vissuti in compagnia dell’immaginario, elemento
intrinseco delle parole stesse. Nel Vecchio Testamento è scritto «In principio
era il verbo» ed è curioso notare come anche in Giappone esista la nozione di
kotodama [«spirito insito nelle parole»; koto = «parola», tama/dama = «spirito»].
Essa nasce dall’idea che nei vocaboli stessi dimori un tama. Le parole pertanto
possiedono la capacità di creare racconti dai molti «spiriti».
Gli shinwa [«racconti degli dèi»; i miti] sono vecchie storie. Il Sol Levante è un
arcipelago separato dal continente e i miti originari di questa terra - creazione del
cielo e della terra, combattimenti degli dèi, legami tra divinità e uomini - si sono
tramandati per generazioni. Costituiscono un corpus di racconti in cui compaiono
oltre otto milioni di dèi e a ognuno è correlata una propria vicenda originale. Possono
essere letti come grandiose novelle fantasy degne di stare alla pari con le storie
delle divinità dell’antica Grecia e di Roma. Senza dubbio la loro influenza su
noi giapponesi moderni è ancora molto grande. Si riscontra nel nostro pensiero
animistico, nelle credenze popolari direttamente connesse alla vita di tutti i giorni,
nella nostra mentalità e sensibilità.
La visione politeistica si è forse riflessa sulla stessa letteratura fantastica.
Il mondo nato dal kotodama è, in verità, ricolmo di una logica bizzarra e di originalità
inventive assolute. Non solo negli shinwa, ma anche nelle fiabe e negli aneddoti
è possibile osservare tale tendenza. Prendiamo il racconto di Kaguyahime1 . Una
coppia d’anziani raccoglitori di bambù adotta una bambina nata da una canna luccicante.
Cresciuta, ella diviene una bellissima donna che si scopre essere un’abitante
della luna... in pratica una favola con protagonista un’aliena.
E ancora, in Urashimatarô un giovane che salva la vita a una tartaruga marina
viene invitato per riconoscenza nel mondo in fondo al mare dove trascorre alcuni
giorni con la principessa del luogo. Tornato sulla terraferma sono passate molte
decine d’anni. Il racconto pare anticipare la teoria della relatività di Einstein...
Non sono che pochi esempi. Nelle fiabe anteriori all’era moderna sono individuabili
gli embrioni dei temi dello «spazio» e del «tempo» tanto cari alla futura fantascienza
e, insieme a una visione fantasiosa, si nota un gioco divertito basato su
strabilianti principi logici. Si può tranquillamente affermare che sono all’origine
del nostro fantastico moderno e delle linee portanti principali dell’attuale SF del
Sol Levante.
Oltre alla «varietà» e all’«idea originale» vi è un’altra importante caratteristica.
È la particolare emozione denominata mono no aware. Si tratta del sentimento di
dolorosa tristezza che accompagna la perdita di qualcosa e, al medesimo tempo, è il
concetto estetico di rappresentazione della bellezza insita in tale perdita. Una profonda
emozione capace di penetrare dentro il cuore ogni qual volta si pensa alla
fugacità delle cose, a oggetti deteriorabili, a persone e animali amati che a breve
non ci saranno più.
Nei nostri racconti di spettri, gli spiriti non sono solo oggetto di paura ma in
molti casi comunicano sentimenti come gentilezza, sofferenza, bellezza. Questo
modo di pensare (o sensibilità) trova ragione d’essere esattamente nel mono no
aware.
Il buddhismo originario delle regioni del nord dell’India penetrando in Giappone
attraverso la Cina ha introdotto l’idea che ogni essere sia destinato alla decadenza.
Tuttavia, la nozione che ognuno non sia altro che una pietosa esistenza condannata
immancabilmente a decadere è stata modificata dalle credenze sulle divinità dei
giapponesi nella concezione secondo cui in tutti gli esseri dimora uno spirito,
un’anima oppure un dio. I due moduli di pensiero sono le due facce di una stessa
medaglia che in noi si sono saldamente unificate.
Mi viene in mente l’origine linguistica del termine monogatari, vocabolo che
usualmente rende i significati di «racconto» e «narrativa». Katari/gatari vuol dire
«raccontare», «mono» invece nel giapponese moderno ha il senso di «oggetto»,
«persona» e si usa nei confronti di cose concrete. In origine esso aveva il significato
di «spirito», ovvero, anticamente, monogatari era una cerimonia con cui si
accoglievano e si cercava di placarli. Narrando di spiriti li si onorava... In ciò possiamo
osservare una delle componenti originarie più vecchie del fantastico
nipponico.
Il monogatari era una forma di «benvenuto» rivolto alle entità sovrannaturali, un
intrattenimento dove, insieme agli spiriti e alle divinità dimoranti in ogni essere,
anche gli uomini potevano divertirsi. E fin da tempi remoti abbiamo tratto diletto
da racconti frutto dell’immaginazione. A cominciare dal teatro in maschera
Kagura, misto di musica e danza celebrato nei templi scintoisti per onorare gli dèi,
fino ad arrivare al dramma Nô, al Kyôgen (forma teatrale comica spesso recitata
durante gli intervalli del Nô), al teatro Kabuki con tutte le sue invenzioni sceniche
e al Rakugo (monologo comico), espressione dell’arte dell’eloquenza, storie piene
di elementi fantastici sono divenute fonte d’intrattenimento popolare. Qui, oltre
alla «paura» e alla «meraviglia», è stato introdotto pure l’elemento «comico». La
comicità è un’altra caratteristica importante.
La capacità d’intrattenere il pubblico è assai evidente nel genere fantastico. I
lettori che amano sinceramente i romanzi di questo genere apprezzano allo stesso
modo le opere di divertimento popolare e, per quanto si parli di testi dalla scrittura
estremamente raffinata e colta, che spesso al loro interno sia inclusa una parte
d’intrattenimento puro è un’innegabile realtà e un ulteriore elemento tipico del
nostro romanzo d’immaginazione.
Molta «inventiva», profondo senso del mono no aware, «bellezza», «paura» e
«comicità». E poi ancora una «ricchezza di varietà» che crea «intrattenimento»...
Con la presente antologia e i due volumi precedenti di ALIA ritengo che i lettori
italiani potranno avvicinarsi al kotodama e comprendere che cosa esso significhi.
Anzi, più di tutto, sarò felice se potranno divertirsi con le nostre novelle.
A ogni modo... prima della pubblicazione della serie di ALIA non sono mai stati
presentati in maniera sistematica al di fuori del Giappone così tanti racconti fantastici
di nostri scrittori moderni. Credo realmente si tratti di un evento storico.
Gli scrittori giapponesi dell’era moderna hanno attivamente ricercato una propria
filosofia e un proprio pensiero nei libri degli autori occidentali. Lo stesso
dicasi per gli esponenti del fantastico. Personaggi come Edogawa Ranpo 2 e Okamoto
Kidô 3 , pionieri del romanzo giallo e di quello dell’orrore, hanno appreso
l’essenza del romanzo di genere dalle opere di autori americani e inglesi. Viaggio
dalla terra alla luna di Verne è stato tradotto nella nostra lingua appena una
decina d’anni dopo essere uscito in Francia. I giapponesi nel processo di assimilazione
della cultura proveniente dall’esterno hanno mostrato di apprezzare la forza
immaginifica originaria dei paesi esteri. Riflettendoci, circondati dal mare, sin dall’antichità
gli abitanti dell’arcipelago hanno sempre mostrato la tendenza a ben
accogliere naufraghi e viaggiatori in quanto marebito [«persone venute da altri
luoghi», «ospiti che giungono raramente»] dotati di una qualche essenza divina.
Fondamentalmente desideravano ardentemente uno scambio culturale. La prosperità
nel Giappone odierno di una letteratura fantastica tanto ricca è sicuramente da
mettere in relazione con i benefici culturali avuti dai marebito (ed è doveroso far
notare che per gli scrittori giapponesi contemporanei di fantastico, i poeti italiani -
intendendo con questo termine non solo uomini di lettere come il sublime Dante,
l’acuto Petrarca, il Boccaccia così pieno di vitalità, l’elegante Ariosto, Collodi
cantore del mondo dei bambini, l’originale Calvino, il mutevole Pirandello,
Bontempelli capace di attrarre l’animo dei lettori, ma anche i geni del Rinascimento
della pittura e della scultura, i musicisti Vivaldi e Puccini, Ennio Morricone
e le sue colonne musicali, il regista Fellini misterioso e nostalgico, Visconti
e i suoi film maestosi, l’affascinante Sergio Leone creatore d’indimenticabili pellicole
western e i grandi maestri del cinema horror quali Mario Bava, Dario
Argento, Lucio Fulci e Michele Soavi, ciascuno poeta dei territori dell’immaginazione
- sono marebito la cui influenza culturale è stata notevole).
«Fantastico» è di per sé una parola comune a tutto il mondo perché l’immaginazione
si lega a ciò che dimora nel cuore e nell’animo di ogni uomo e donna.
Spero vivamente che il kotodama, unito al bellissimo suono della lingua italiana,
vibri all’unisono con la forza immaginifica degli abitanti dell’intero globo
dando vita alla futura letteratura fantastica similmente all’aria di una grandiosa
opera o di una solenne cantata.
Note:
1 Storia di un tagliabambù, anonimo, a cura di A. Boscaro, «Letteratura Universale Marsilio»
Venezia 1994.
2 Vero nome Hirai Tarô (1894-1965), nasce a Nabari nella prefettura di Mie. Mentre frequenta
l’Università Waseda di Tôkyô incomincia a interessarsi alla letteratura gialla europea
ed americana. Si dedica a vari mestieri e, nel 1923, pubblica sulla rivista Shinseinen [Nuova
gioventù] Nisen dôka [La moneta da due sen] che segnerà l’inizio della sua vasta produzione
letteraria. Ellery Queen lo include in una lista comprendente i più famosi scrittori di gialli del
mondo.
3 1872-1939. Scrittore e drammaturgo, figlio di un ex vassallo della famiglia Tokugawa
successivamente impiegato presso l’ambasciata inglese, nasce a Tôkyô. Sin da piccolo s’interessa
al teatro kabuki e, grazie all’influenza paterna, acquisisce una notevole padronanza della
lingua inglese. Dopo la laurea trova impiego in un giornale della capitale e la sua carriera
come giornalista dura ventiquattro anni. Si concentra in seguito sull’attività letteraria. Ispirato
dalla lettura dei romanzi di Sherlock Holmes crea, tra l’altro, una popolare serie investigativa
ambientata nel periodo Edo (1603-1868) dal titolo Hanshichi torimonochô [Quaderni d’arresti
di Hanshichi].
Inoue Masahiko (1960)
Nato a Tôkyô, nel 1981 con la novella sugli spiriti Shôbôsha ga okurete [L’autopompa
ritarda...] attrae l’attenzione dello scrittore di gialli Tsuzuki Michio (1929-2003; contemporaneamente
all’attività di editor presso riviste si è dedicato alla traduzione di romanzi gialli americani
e alla stesura di proprie opere originali) e vince la terza edizione del Premio Lupin.
Nel 1983 con Yokeina mono ga [L’essere in più], racconto dell’orrore sperimentale, si
aggiudica il premio «opera eccellente» dell’Hoshi Shin’ichi short short contest iniziando così la
sua brillante carriera di scrittore.
Inoue si è dedicato in particolar modo alla stesura di racconti brevi o cortissimi - short short
- incentrati sul fantastico e sul soprannaturale giungendo ad avere al suo attivo oltre duecento
opere pubblicate, non tralasciando comunque di scrivere romanzi come Ijinkan no fantazuma [Il
fantasma del palazzo degli stranieri, 1991], immaginaria biografia della giovinezza di Van Helsing
trascorsa nella città di Nagasaki poco prima dell’apertura del Giappone all’Occidente nel
1868.
Tra le sue raccolte di racconti vanno sicuramente menzionate Igyô hakurankai [Esposizione
bizzarra, 1994], Gaikotsujô, [Il castello degli scheletri, 1995], Kyôfukan shujin [Il padrone del
palazzo della paura, 1996], 1001 byô no kyôfu eiga [Film paurosi da 1001 secondi, 1997, 2005]
che riunisce novelle incentrate sui film horror inizialmente pubblicate sull’edizione giapponese
della rivista FANGORIA, Kirei [Spiriti leggiadri, 2000] e Kimyôna genjû jiten [Dizionario delle
bizzarre bestie fantastiche, 2002].
Per lo sviluppo dei racconti brevi di fantascienza, fantasy e horror, dal 1997 ha ideato e personalmente
curato una serie antologica tematica dal titolo generale di Igyô korekushon. Per tale
ciclopico lavoro, nel 1999 gli è stato conferito il premio speciale della diciannovesima edizione
del Gran premio della fantascienza giapponese.
Nel mese di marzo 2005 è stato pubblicato Kirameku yami [Oscurità luminosa], pregevole
volume in hard cover che riunisce una selezione di racconti di Inoue da lui personalmente scelti
tra quelli già pubblicati.
Suoi lavori sono stati editi su varie prestigiose riviste di letteratura sia di genere sia
mainstream.
In Italia, cinque racconti di Inoue sono stati pubblicati su ALIA2 e un dibattito tra
lui e Vittorio Catani sulla letteratura di fantascienza e quella dell’orrore è uscito sulla rivista
LN-LibriNuovi («Scambi. Visioni a distanza - Dialogo 4: Inoue Masahiko - Vittorio Catani» in
LN-LibriNuovi 35, autunno 2005, pp. 139-51).