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Alia06




ALIA 2006




La risonanza del kotodama
di Inoue Masahiko


Nell’autunno dello scorso anno, quando dalla città di Torino, ex capitale d’Italia, ho ricevuto la mia copia di ALIA2 ho provato un’eccitazione e una vertigine di felicità simile a quelle avute nel momento in cui, per la prima volta in vita mia, ho assaporato il gusto intenso del caffè.
Racconti fantastici, soprannaturali e del meraviglioso nati dalla forza creativa e dalla penna di autori giapponesi attraversato il gran mare blu sono stati tradotti in un idioma soavemente musicale come l’italiano. Vibrando all’unisono con l’immaginazione dei lettori europei, entrati in risonanza, insieme non diverranno forse la sorgente da cui scaturirà il sogno degli scrittori di domani?
Sebbene provi una dolce ebbrezza e un senso di profonda gratitudine per queste future possibilità e realizzazioni, al contempo mi chiedo come la letteratura fantastica giapponese sarà accolta non solo in Italia, ma in tutta Europa. No, prima di tutto mi domando dove sia collocabile la particolarità e l’originalità dei nostri scritti... la loro traduzione in una lingua estera è quindi divenuta per me occasione di una più seria riflessione.
Da quando ho iniziato a pubblicare il mio primo racconto horror su di una rivista letteraria sono ormai passati venticinque anni. La serie antologica di Igyô korekushon [Freak Out Collection, Collezione bizzarra], da me progettata e curata fin dal 1997, è giunta oggi al trentacinquesimo volume - per ogni antologia decido un tema particolare e una ventina di scrittori contemporanei si cimentano in una gara di bravura scrivendo racconti fantastici sull’argomento indicato. In definitiva, sia come scrittore sia come curatore d’antologie ho ricoperto un ruolo attivo nel panorama dell’editoria del romanzo d’immaginazione, tuttavia, proprio grazie alla partecipazione ad ALIA2 ho avuto modo di meditare con maggior profondità sulla nostra produzione.
Attualmente in Giappone i generi della letteratura fantastica sono assai vari.
Romanzi soprannaturali, fantascienza, gialli fantastici, libri su mondi immaginari, romanzi storico-fantastici. E poi romanzi sperimentali d’avanguardia che esplorano nuove frontiere linguistiche, favole, meta-fiction... credo che grazie alla diversità delle novelle raccolte nei tre volumi di ALIA i lettori italiani possano almeno in parte intuire quale varietà di filoni vi siano.
Non ci sono limiti alla proliferazione dei generi. Ad esempio, riguardo la fantascienza, se pure vi è una hard SF che s’incentra sulle nuove scienze naturali - ingegneria genetica, fisica quantistica, scienze sullo studio del cervello umano, teorie sull’Universo ecc. -, d’altra parte esistono libri che raccontano drammi avventurosi concernenti l’espansione in un futuro mondo spaziale, romanzi di modifica del tempo che delineano passati alternativi...
E ancora, molto numerosi sono i volumi dove gli elementi della letteratura di genere - le forme del romanzo horror, della SF, del giallo e così via - si fondono e si amalgamano tra di loro (gialli tradizionali dove i fenomeni paranormali sono una costante ordinaria della vita di tutti i giorni, romanzi gotici ambientati in mondi futuri, opere storiche con alieni, racconti dell’orrore uniti a sperimentazioni linguistiche... se dovessi elencarli tutti non finirei mai).
Penso che proprio questa ricchezza di variazioni e illimitatezza d’immaginazione sia una delle caratteristiche del fantastico nipponico.
Eppure... pensandoci bene, in effetti non è una caratteristica della sola modernità.
Sin dall’antichità i giapponesi sono vissuti in compagnia dell’immaginario, elemento intrinseco delle parole stesse. Nel Vecchio Testamento è scritto «In principio era il verbo» ed è curioso notare come anche in Giappone esista la nozione di kotodama [«spirito insito nelle parole»; koto = «parola», tama/dama = «spirito»]. Essa nasce dall’idea che nei vocaboli stessi dimori un tama. Le parole pertanto possiedono la capacità di creare racconti dai molti «spiriti».
Gli shinwa [«racconti degli dèi»; i miti] sono vecchie storie. Il Sol Levante è un arcipelago separato dal continente e i miti originari di questa terra - creazione del cielo e della terra, combattimenti degli dèi, legami tra divinità e uomini - si sono tramandati per generazioni. Costituiscono un corpus di racconti in cui compaiono oltre otto milioni di dèi e a ognuno è correlata una propria vicenda originale. Possono essere letti come grandiose novelle fantasy degne di stare alla pari con le storie delle divinità dell’antica Grecia e di Roma. Senza dubbio la loro influenza su noi giapponesi moderni è ancora molto grande. Si riscontra nel nostro pensiero animistico, nelle credenze popolari direttamente connesse alla vita di tutti i giorni, nella nostra mentalità e sensibilità.
La visione politeistica si è forse riflessa sulla stessa letteratura fantastica.
Il mondo nato dal kotodama è, in verità, ricolmo di una logica bizzarra e di originalità inventive assolute. Non solo negli shinwa, ma anche nelle fiabe e negli aneddoti è possibile osservare tale tendenza. Prendiamo il racconto di Kaguyahime1 . Una coppia d’anziani raccoglitori di bambù adotta una bambina nata da una canna luccicante. Cresciuta, ella diviene una bellissima donna che si scopre essere un’abitante della luna... in pratica una favola con protagonista un’aliena.
E ancora, in Urashimatarô un giovane che salva la vita a una tartaruga marina viene invitato per riconoscenza nel mondo in fondo al mare dove trascorre alcuni giorni con la principessa del luogo. Tornato sulla terraferma sono passate molte decine d’anni. Il racconto pare anticipare la teoria della relatività di Einstein...
Non sono che pochi esempi. Nelle fiabe anteriori all’era moderna sono individuabili gli embrioni dei temi dello «spazio» e del «tempo» tanto cari alla futura fantascienza e, insieme a una visione fantasiosa, si nota un gioco divertito basato su strabilianti principi logici. Si può tranquillamente affermare che sono all’origine del nostro fantastico moderno e delle linee portanti principali dell’attuale SF del Sol Levante.
Oltre alla «varietà» e all’«idea originale» vi è un’altra importante caratteristica. È la particolare emozione denominata mono no aware. Si tratta del sentimento di dolorosa tristezza che accompagna la perdita di qualcosa e, al medesimo tempo, è il concetto estetico di rappresentazione della bellezza insita in tale perdita. Una profonda emozione capace di penetrare dentro il cuore ogni qual volta si pensa alla fugacità delle cose, a oggetti deteriorabili, a persone e animali amati che a breve non ci saranno più.
Nei nostri racconti di spettri, gli spiriti non sono solo oggetto di paura ma in molti casi comunicano sentimenti come gentilezza, sofferenza, bellezza. Questo modo di pensare (o sensibilità) trova ragione d’essere esattamente nel mono no aware.
Il buddhismo originario delle regioni del nord dell’India penetrando in Giappone attraverso la Cina ha introdotto l’idea che ogni essere sia destinato alla decadenza. Tuttavia, la nozione che ognuno non sia altro che una pietosa esistenza condannata immancabilmente a decadere è stata modificata dalle credenze sulle divinità dei giapponesi nella concezione secondo cui in tutti gli esseri dimora uno spirito, un’anima oppure un dio. I due moduli di pensiero sono le due facce di una stessa medaglia che in noi si sono saldamente unificate.
Mi viene in mente l’origine linguistica del termine monogatari, vocabolo che usualmente rende i significati di «racconto» e «narrativa». Katari/gatari vuol dire «raccontare», «mono» invece nel giapponese moderno ha il senso di «oggetto», «persona» e si usa nei confronti di cose concrete. In origine esso aveva il significato di «spirito», ovvero, anticamente, monogatari era una cerimonia con cui si accoglievano e si cercava di placarli. Narrando di spiriti li si onorava... In ciò possiamo osservare una delle componenti originarie più vecchie del fantastico nipponico.
Il monogatari era una forma di «benvenuto» rivolto alle entità sovrannaturali, un intrattenimento dove, insieme agli spiriti e alle divinità dimoranti in ogni essere, anche gli uomini potevano divertirsi. E fin da tempi remoti abbiamo tratto diletto da racconti frutto dell’immaginazione. A cominciare dal teatro in maschera Kagura, misto di musica e danza celebrato nei templi scintoisti per onorare gli dèi, fino ad arrivare al dramma , al Kyôgen (forma teatrale comica spesso recitata durante gli intervalli del ), al teatro Kabuki con tutte le sue invenzioni sceniche e al Rakugo (monologo comico), espressione dell’arte dell’eloquenza, storie piene di elementi fantastici sono divenute fonte d’intrattenimento popolare. Qui, oltre alla «paura» e alla «meraviglia», è stato introdotto pure l’elemento «comico». La comicità è un’altra caratteristica importante.
La capacità d’intrattenere il pubblico è assai evidente nel genere fantastico. I lettori che amano sinceramente i romanzi di questo genere apprezzano allo stesso modo le opere di divertimento popolare e, per quanto si parli di testi dalla scrittura estremamente raffinata e colta, che spesso al loro interno sia inclusa una parte d’intrattenimento puro è un’innegabile realtà e un ulteriore elemento tipico del nostro romanzo d’immaginazione.
Molta «inventiva», profondo senso del mono no aware, «bellezza», «paura» e «comicità». E poi ancora una «ricchezza di varietà» che crea «intrattenimento»...
Con la presente antologia e i due volumi precedenti di ALIA ritengo che i lettori italiani potranno avvicinarsi al kotodama e comprendere che cosa esso significhi. Anzi, più di tutto, sarò felice se potranno divertirsi con le nostre novelle.
A ogni modo... prima della pubblicazione della serie di ALIA non sono mai stati presentati in maniera sistematica al di fuori del Giappone così tanti racconti fantastici di nostri scrittori moderni. Credo realmente si tratti di un evento storico.
Gli scrittori giapponesi dell’era moderna hanno attivamente ricercato una propria filosofia e un proprio pensiero nei libri degli autori occidentali. Lo stesso dicasi per gli esponenti del fantastico. Personaggi come Edogawa Ranpo 2 e Okamoto Kidô 3 , pionieri del romanzo giallo e di quello dell’orrore, hanno appreso l’essenza del romanzo di genere dalle opere di autori americani e inglesi. Viaggio dalla terra alla luna di Verne è stato tradotto nella nostra lingua appena una decina d’anni dopo essere uscito in Francia. I giapponesi nel processo di assimilazione della cultura proveniente dall’esterno hanno mostrato di apprezzare la forza immaginifica originaria dei paesi esteri. Riflettendoci, circondati dal mare, sin dall’antichità gli abitanti dell’arcipelago hanno sempre mostrato la tendenza a ben accogliere naufraghi e viaggiatori in quanto marebito [«persone venute da altri luoghi», «ospiti che giungono raramente»] dotati di una qualche essenza divina. Fondamentalmente desideravano ardentemente uno scambio culturale. La prosperità nel Giappone odierno di una letteratura fantastica tanto ricca è sicuramente da mettere in relazione con i benefici culturali avuti dai marebito (ed è doveroso far notare che per gli scrittori giapponesi contemporanei di fantastico, i poeti italiani - intendendo con questo termine non solo uomini di lettere come il sublime Dante, l’acuto Petrarca, il Boccaccia così pieno di vitalità, l’elegante Ariosto, Collodi cantore del mondo dei bambini, l’originale Calvino, il mutevole Pirandello, Bontempelli capace di attrarre l’animo dei lettori, ma anche i geni del Rinascimento della pittura e della scultura, i musicisti Vivaldi e Puccini, Ennio Morricone e le sue colonne musicali, il regista Fellini misterioso e nostalgico, Visconti e i suoi film maestosi, l’affascinante Sergio Leone creatore d’indimenticabili pellicole western e i grandi maestri del cinema horror quali Mario Bava, Dario Argento, Lucio Fulci e Michele Soavi, ciascuno poeta dei territori dell’immaginazione - sono marebito la cui influenza culturale è stata notevole).
«Fantastico» è di per sé una parola comune a tutto il mondo perché l’immaginazione si lega a ciò che dimora nel cuore e nell’animo di ogni uomo e donna. Spero vivamente che il kotodama, unito al bellissimo suono della lingua italiana, vibri all’unisono con la forza immaginifica degli abitanti dell’intero globo dando vita alla futura letteratura fantastica similmente all’aria di una grandiosa opera o di una solenne cantata.


Note:

1 Storia di un tagliabambù, anonimo, a cura di A. Boscaro, «Letteratura Universale Marsilio» Venezia 1994.

2 Vero nome Hirai Tarô (1894-1965), nasce a Nabari nella prefettura di Mie. Mentre frequenta l’Università Waseda di Tôkyô incomincia a interessarsi alla letteratura gialla europea ed americana. Si dedica a vari mestieri e, nel 1923, pubblica sulla rivista Shinseinen [Nuova gioventù] Nisen dôka [La moneta da due sen] che segnerà l’inizio della sua vasta produzione letteraria. Ellery Queen lo include in una lista comprendente i più famosi scrittori di gialli del mondo.

3 1872-1939. Scrittore e drammaturgo, figlio di un ex vassallo della famiglia Tokugawa successivamente impiegato presso l’ambasciata inglese, nasce a Tôkyô. Sin da piccolo s’interessa al teatro kabuki e, grazie all’influenza paterna, acquisisce una notevole padronanza della lingua inglese. Dopo la laurea trova impiego in un giornale della capitale e la sua carriera come giornalista dura ventiquattro anni. Si concentra in seguito sull’attività letteraria. Ispirato dalla lettura dei romanzi di Sherlock Holmes crea, tra l’altro, una popolare serie investigativa ambientata nel periodo Edo (1603-1868) dal titolo Hanshichi torimonochô [Quaderni d’arresti di Hanshichi].


Inoue Masahiko (1960)

Nato a Tôkyô, nel 1981 con la novella sugli spiriti Shôbôsha ga okurete [L’autopompa ritarda...] attrae l’attenzione dello scrittore di gialli Tsuzuki Michio (1929-2003; contemporaneamente all’attività di editor presso riviste si è dedicato alla traduzione di romanzi gialli americani e alla stesura di proprie opere originali) e vince la terza edizione del Premio Lupin.
Nel 1983 con Yokeina mono ga [L’essere in più], racconto dell’orrore sperimentale, si aggiudica il premio «opera eccellente» dell’Hoshi Shin’ichi short short contest iniziando così la sua brillante carriera di scrittore.
Inoue si è dedicato in particolar modo alla stesura di racconti brevi o cortissimi - short short - incentrati sul fantastico e sul soprannaturale giungendo ad avere al suo attivo oltre duecento opere pubblicate, non tralasciando comunque di scrivere romanzi come Ijinkan no fantazuma [Il fantasma del palazzo degli stranieri, 1991], immaginaria biografia della giovinezza di Van Helsing trascorsa nella città di Nagasaki poco prima dell’apertura del Giappone all’Occidente nel 1868.
Tra le sue raccolte di racconti vanno sicuramente menzionate Igyô hakurankai [Esposizione bizzarra, 1994], Gaikotsujô, [Il castello degli scheletri, 1995], Kyôfukan shujin [Il padrone del palazzo della paura, 1996], 1001 byô no kyôfu eiga [Film paurosi da 1001 secondi, 1997, 2005] che riunisce novelle incentrate sui film horror inizialmente pubblicate sull’edizione giapponese della rivista FANGORIA, Kirei [Spiriti leggiadri, 2000] e Kimyôna genjû jiten [Dizionario delle bizzarre bestie fantastiche, 2002].
Per lo sviluppo dei racconti brevi di fantascienza, fantasy e horror, dal 1997 ha ideato e personalmente curato una serie antologica tematica dal titolo generale di Igyô korekushon. Per tale ciclopico lavoro, nel 1999 gli è stato conferito il premio speciale della diciannovesima edizione del Gran premio della fantascienza giapponese.
Nel mese di marzo 2005 è stato pubblicato Kirameku yami [Oscurità luminosa], pregevole volume in hard cover che riunisce una selezione di racconti di Inoue da lui personalmente scelti tra quelli già pubblicati.
Suoi lavori sono stati editi su varie prestigiose riviste di letteratura sia di genere sia mainstream.
In Italia, cinque racconti di Inoue sono stati pubblicati su ALIA2 e un dibattito tra lui e Vittorio Catani sulla letteratura di fantascienza e quella dell’orrore è uscito sulla rivista LN-LibriNuovi («Scambi. Visioni a distanza - Dialogo 4: Inoue Masahiko - Vittorio Catani» in LN-LibriNuovi 35, autunno 2005, pp. 139-51).