ALIA 2005

Del «Futuro» e del nuovo
di Vittorio Catani

Stavolta, la sezione italiana di alia è davvero lieta di presentare un panorama di storie fantastiche che, oserei dire, «più assortite e interessanti non si può». Partirò dalla più «antica», nel senso che risale al 1963, anno lontano ma che in realtà a me pare ieri, quando correvo eccitato in edicola per far mia una copia di «Futuro». Si trattava di una nuova, coraggiosa pubblicazione dedicata esclusivamente alla fantascienza e al fantastico italiani (spesso anche con puntate europee), un vero azzardo per quei tempi, e che per di più aveva il coraggio di autodefinirsi, tout court, «rivista di letteratura». Che propagandasse il vero o meno, lascio giudicare ai lettori: da quelle pagine ho tratto il racconto di Giuseppe Pederiali che qui si ripropone, L'esenzione. Pederiali, giornalista e scrittore tuttora in attività, rimane uno dei «padri fondatori» non solo della fantascienza italiana, quanto anche di un «fantasy» nostrano che riusciva a estrapolare leggende, tradizioni e misteri locali della sua terra nativa, l'Emilia. La sua bibliografia annovera una ventina di romanzi, quasi altrettanti libri per ragazzi, collaborazioni con radio, tv e cinema; da tempo non scrive più fantascienza e fantastico, e tuttavia il «mistero» resta sostanzialmente connaturato alle sue opere. Quanto a L'esenzione, la tematica di base era molto sentita già negli anni Sessanta: la sovrappopolazione; nel racconto si escogitava un sistema risolutivo radicale a spese dei soliti «vecchi»: già da allora, infatti, «anzianità» non significava maggior conoscenza e competenza, cioè ricchezza, ma minor efficienza, cioè peso sociale. Pederiali affrontava la vicenda con leggerezza: ogni pagina è pervasa da una sottile ironia, ma anche da una gran malinconia; storia memorabile, divenuta uno dei pochi «classici» della nostra fantascienza (o attiene al fantastico? In effetti in queste pagine si viaggia un po' al limite dei generi; come d'altronde in molta della fantascienza italiana di ieri ma anche di oggi).

Segue un altro autore «storico» della science fiction nostrana: Vittorio Curtoni. Il solo elenco delle realizzazioni curtoniane prenderebbe pagine, per cui mi limiterò a dire che negli anni Settanta curò, con Gianni Montanari, la mitica collana «Galassia» (unica che accettava senza problemi anche gli autori italiani… e li pagava, come gli autori stranieri); anni dopo fondò e diresse l'indimenticata rivista «Robot», che plasmò a una fantascienza più aggiornata, impegnata e consapevole migliaia di lettori (la testata è recentemente… risorta grazie alle edizioni dell'Associazione Delos Books, direttore, un Curtoni più battagliero che mai). Autore di un romanzo giovanile e numerosi racconti poi riuniti in due raccolte (Retrofuturo, Shake, e Ciao futuro, «Urania» Mondadori), Vittorio Curtoni scrittore dette subito alla fantascienza italiana un'impronta decisamente personale con uno stile narrativo inconfondibile, scavo dei personaggi e dei temi, pagine lucidissime e aperte a più significati, nonostante le atmosfere talora sfumate, oniriche. Traduttore di vaglia (lavora soprattutto per Mondadori), è da qualche anno anche organizzatore di ormai famose riunioni cultural-fantascientifico-gastronomiche piacentine ravvivate dalla sua proverbiale verve. Di Curtoni presento qui Vento dal mare, che annovero tra le sue storie migliori. È anche, credo l'unico racconto di spettri che abbia scritto. Vento dal mare è stato inserito anche in un Oscar Mondadori, Racconti Fantastici del '900, (curato da Giuseppe Lippi) nonché in un'antologia di testi per le scuole superiori, Presenze inquietanti. Aggiungo – per quanto mi concerne di persona – che Curtoni co-curatore di «Galassia» accettò i racconti che andarono a formare il mio primo libro in assoluto, L'eternità e i mostri (1972). Negli anni è nata tra noi una profonda amicizia, che fra l'altro mi onora molto; tengo a precisare che la mia ammirazione per questo scrittore (poi anche per l'uomo) data dai suoi primi racconti, cioè da molto prima che vi fosse alcun contatto reciproco.

Presentare Massimo Citi e Silvia Treves come autori sarebbe presuntuoso da parte mia, giacché suppongo che chiunque abbia acquistato notevoli pubblicazioni quali la rivista letteraria «LN-LibriNuovi» o l'antologia annuale «Fata Morgana» (e il n. 1 di alia), o abbia partecipato a qualcuna delle loro mille iniziative culturali sappia chi sono. A ogni modo, per i pochi eventuali ignari e per quanto ci concerne in questa sede, dirò che frequentano fantascienza e fantastico da vari anni a svariati livelli. Entrambi sono risultati vincitori del Premio Omelas (sponsorizzato da Amnesty International) per un racconto di fantascienza, Silvia nella prima edizione del Premio, Massimo nella seconda. In questo volume, Massimo ci presenta Castelli sulla nube. I protagonisti sono persone originarie dell'estremo oriente, e uomini modificati. Costoro si ostinano a vivere su un oggetto celeste che non saprei definire: una sorta di nube cosmica vasta vari anni luce, nella quale esiste appunto Specchiofumo, «isola» illuminata a distanza da due soli e costituita da «iperacqua», un'acqua quasi solida, ma in uno stato fisico inesistente sulla Terra e dalle strane e pericolose proprietà. Storia dai toni minimalisti, la lettura risulta accattivante per le psicologie dei personaggi e l'ambientazione francamente nuova. Quanto al racconto della Treves, Bambola carboncino, credo di poter dire che sia la cosa migliore che abbia scritto finora (almeno di quelle che io conosco). Un fantastico bizzarro, personalissimo, in cui due dirimpettai pare si spiino dalla finestra e poi comunichino tramite un computer – ma in un modo non facilmente immaginabile – con un finale sorprendente. Colpiscono molto fantasia, padronanza della scrittura, originalità del tutto.

Di Consolata Lanza mi sono «innamorato» (narrativamente, è ovvio; non ho tra l'altro il piacere di conoscerla) leggendo sue storie su «Fata Morgana» e in particolare il racconto Gatta, Topina e Buon anno, ricchissimo di inventiva e spirito. In Di un'apparizione mariana alla Mole Antonelliana di Torino ho apprezzato soprattutto la scrittura e il brio della storia (in realtà si tratta di ben quattro apparizioni contemporanee. Lo sappiamo che Torino è speciale quanto a misteri…)

Accomunerei Davide Mana (Ombre elettriche. Una storia dell'Unità 23) e Massimo Soumaré (Il magatama) per la loro capacità di raccontarci dall'interno, quindi in modo assolutamente credibile, eventi che si svolgono in Cina o in Giappone. Ma non era questa, si chiederà qualcuno, la «sezione italiana» di alia? Giusto; ma nessuno ormai dovrebbe sorprendersi se un italiano scrive una storia ambientata in acque nipponiche richiamando con gran padronanza tradizioni e pantheon di quelle culture: siamo in era di globalizzazione non solo dei mercati, per fortuna. Soumaré ci illustra infatti i postumi di una battaglia marittima su fragili imbarcazioni, con feriti gravi e apparizione di ferocissime entità diaboliche; Mana indaga con padronanza di argomenti e di scrittura su qualcosa che ancora si ricollega alla indimenticata rivolta in piazza Tienanmen.

Accomuno anche Alberto Cola e Giovanni Burgio, perché entrambi esordirono, per il grosso pubblico della fantascienza, su un «Urania Millemondi» tutto italiano rimasto famoso, Strani giorni, curato da Franco Forte. Da allora i loro nomi ricorrono sempre più spesso come validi esempi della giovane fantascienza italiana; e infatti i due hanno seguito un processo di maturazione davvero notevole; recentemente Cola ha pubblicato il suo primo romanzo, Goliath. Bocca di vetro descrive una situazione d'emergenza postbellica in Oriente: non sappiamo bene dove siamo, forse in Iraq ma probabilmente no. Una guerra ne vale un'altra. Diversi dal consueto sono invece i personaggi (questa storia è una sorta di bozzetto, con una minitrama-pretesto appena percepibile, ma va splendidamente così perché egualmente dice molte cose, in barba a certi rigidi dettami delle scuole di scrittura): i personaggi, ridotti quasi a larve di uomini, sopravvivono e ragionano in modo un tantino, come dire, «diverso». Tra le righe, un'allegoria abbastanza feroce della «disumanità» del combattere. Quanto a Misterika (Burgio) in questa storia possiamo verificare una delle qualità tipiche dell'autore: saper descrivere (finalmente) un futuro «davvero» alieno, ai limiti quasi della incomprensibiltà eppure di grande fascino. Docente di entomologia, Burgio racconta spesso ibridazioni tra biologia umana e degli insetti creando suoi mondi insoliti vagamente raccapriccianti, con agnizioni ma seminando sapienti pozze di mistero (elemento questo sempre meno presente in qualunque genere di narrativa, il che mi sembra una perdita grave…)

Ne La dama nera ritroviamo temi cari a Defilippi; la mano dell'autore è sempre valida e stavolta la trama è (anche qui) minimale. Ma l'inventiva va a gonfie vele e l'orrore stavolta ha anche le sembianze di un tulipano nero (fiore tuttora inesistente). Storia a mio giudizio eccellente.

Con Il canto delle sirene, Eugenio Ragone (fra l'altro carissimo amico barese dal 1969 e compagno in mille fanta-iniziative in loco) ha scritto forse la sua storia migliore. Un gruppo di segreti «cacciatori» è convocato per l'eliminazione di uno strano umano mutante, nato in laboratorio ma subito fuggito dopo aver massacrato un po' di gente. Figlio dell'uomo e della sua follia, il mutante pare abbia, oltre a riflessi rapidissimi, una terribile facoltà: influenzare a distanza le persone. La «caccia» si rivelerà quindi particolarmente difficile e appassionante; ma non si pensi a una storia d'azione (che pure c'è): la fantascienza di Ragone, anch'essa confinante col fantastico, parte sempre da un dato «scientifico» o pseudo-tale, per costruire soprattutto allegorie e indagare gli abissi dell'uomo.

E resterebbe da accennare al mio breve racconto, La tarda estate, di cui dirò solo che fu scritto dopo una mia (tardiva) lettura di La luna e i falò di Cesare Pavese. Esiste infatti un vago legame sul tema di fondo (dando ovviamente a Cesare – letteralmente – ciò che fu suo). Spero comunque che la lettura (di questo racconto, e soprattutto degli altri) non dispiaccia, lasci anzi una traccia. Solo così alia2, o almeno questa sua sezione, avranno un senso. Buona lettura!