Il telelavoro: un percorso di lettura

di Pino Caputo

tratto da: Ecologia politica/CNS, fascicolo 19, marzo 1997

Il termine telelavoro è molto più vecchio di quanto si possa pensare: è stato coniato, infatti, nel 1973 da Jack Nilles, e si riferiva al lavoro svolto lontano dalla sede aziendale con la quale si comunicava con le tecnologie di cui si disponeva all'epoca.
La definizione di telelavoro oggi correntemente utilizzata è quella dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro di Ginevra, per la quale il telelavoro è "una forma di lavoro effettuata in un luogo distante dall'ufficio centrale o dal centro di produzione e che implichi l'uso di una nuova tecnologia che permetta la separazione e faciliti la comunicazione".
La pubblicistica sul telelavoro, soprattutto in Italia, è quasi unanimemente entusiasta e tende ad evidenziarne gli aspetti positivi, sia per le aziende che per i lavoratori, relegando la trattazione degli aspetti negativi a effetti collaterali che possono essere facilmente risolti, o che interesserebbero solo una minoranza dei lavoratori coinvolti. Il rapporto Bangemann, ovvero le "Raccomandazioni al Consiglio d'Europa su Europa e società dell'informazione globale", redatto dal Gruppo di Alto Livello sulla Società dell'Informazione, presieduto da Martin Bangemann, afferma, secondo me troppo entusiasticamente, che l'introduzione del telelavoro avrebbe comportato "più lavoro, nuovi lavori, per una società in movimento", ponendosi l'obiettivo di dieci milioni di telelavoratori in Europa per l'anno 2000. Se però l'introduzione del telelavoro comporterà sicuramente la creazione di nuove tipologie di lavoratori, non è assolutamente certo che ci saranno posti di lavoro in più, come quel documento vorrebbe sottilmente far credere. Infatti, se l'obiettivo venisse raggiunto, nel 2000 ci saranno dieci milioni di persone che telelavoreranno invece che semplicemente lavorare, ma non si saranno creati assolutamente dieci milioni di posti di lavoro in più. Anzi, se constatiamo che il lavoro in Europa si sta spostando sempre più da attività manifatturiere ad attività di servizi e di trattamento delle informazioni, dovremmo presto fare i conti con l'espulsione dalle fabbriche di migliaia di lavoratori a bassa qualificazione o di vecchia formazione tecnica, molto difficilmente riciclabili in attività telelavorabili. Il saldo si preannuncia negativo anche per altre motivazioni: non tutti coloro che attualmente svolgono attività che potrebbero essere svolte telelavorando avrebbero la possibilità di riqualificarsi per poter diventare telelavoratori, e poi perchè, cosa di fondamentale importanza, l'introduzione di nuove tecnologie è, in questi anni, tendenzialmente "labor saving". Nelle varie rilevazioni sui vantaggi che il telelavoro comporterebbe per le aziende, infatti, vengono messi in risalto, per esempio, l'aumento di produttività e la maggiore flessibilità rispetto ai metodi tradizionali.
Questo vuol dire che ci sarebbe bisogno di meno persone per svolgere la stessa mole di lavoro, perché:
a) si produce di più nell'unità di tempo (aumento della produttività);
b) si lavora di più individualmente (uno dei lati negativi della flessibilità).
Con ciò non voglio però dire che il telelavoro non abbia dei vantaggi per chi svolge attività telelavorative. Voglio solo dire che questi vantaggi individuali non diventano automaticamente dei vantaggi sociali dal punto di vista del mercato del lavoro e del rapporto occupati/disoccupati.

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Si possono individuare differenti categorie di telelavoro. Ursula Huws, in un recente rapporto alla Commissione Europea, intitolato "Telelavoro e genere", identifica cinque tipologie di telelavoro:
- telelavoro parziale: svolto in parte a casa e in parte negli uffici aziendali. Coinvolge tipicamente gli esperti e lo staff dirigenziale, ed è spesso regolato da accordi collettivi.
- telelavoro svolto interamente nella propria abitazione: riguarda principalmente lavori a bassa qualificazione e ripetitivi, generalmente retribuiti sulla base dei risultati. La forza-lavoro è quasi esclusivamente femminile.
- telelavoro autonomo: completamente svolto in casa, ma condotto mediante commesse di più clienti. Si tratta di un'estensione delle forme tradizionali di lavoro autonomo (per esempio, traduzioni, battiture, editing, design, programmazione).
- telelavoro mobile: applica le nuove tecnologie alle forme tradizionali di lavoro mobile (per esempio, rappresentanti, ispettori, tecnici di assistenza).
- uffici decentrati: il lavoro viene svolto a distanza rispetto alla sede aziendale, all'interno di locali messi a disposizione dal datore di lavoro o da una ditta subappaltatrice oppure in un telecottage.
La Huws opera una ulteriore distinzione tra le prime quattro categorie, che definisce ³forme individuali di telelavoro², e l'ultima, che contempla un luogo di lavoro collettivo.

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In Italia attualmente sei grandi aziende hanno stipulato dei verbali di accordo con i sindacati che regolamentano un periodo sperimentale di telelavoro. Le aziende sono la Telecom, la Seat, l'Italtel, la Dun & Bradstreet, la Saritel e la Digital Equipment. Alla Ibm Italia, invece, già da tempo tremila lavoratori svolgono la propria attività di telelavoro mobile, all'interno di un progetto aziendale di sperimentazione del PC portatile funzionante come un ufficio mobile.
Il primo contratto di telelavoro in Italia è quello firmato dalla Saritel e praticamente si è trattato di un ricatto. Avendo deciso la chiusura delle sedi decentrate in alcune grandi città del nord, l'azienda ha imposto ad una sessantina di lavoratori la scelta fra la trasformazione in telelavoratori e il trasferimento a Pomezia, in provincia di Roma. Anche per la Seat il passaggio al telelavoro è stato dettato dalla chiusura di alcune sedi e ha interessato finora 32 lavoratori, venditori telefonici e addetti ai telesolleciti di pagamento. In Italtel, dopo il periodo di sperimentazione che ha coinvolto 13 persone, si è adottato il telelavoro in via permanente per tutti i progettisti e i ricercatori, mentre in Digital la cosa interessa 10 persone del settore Engineering ed un migliaio di venditori. Il ricatto del trasferimento è stata la leva che ha fatto decidere di diventare telelavoratori 200 impiegati della Telecom Italia addetti al servizio 12. Ma qui si è aggiunto un fatto nuovo: l'alternativa non era semplicemente o trasferimento o telelavoro, bensì o trasferimento o telelavoro con passaggio al part-time, con conseguente riduzione dello stipendio. La situazione peggiore, ma secondo me anche la più emblematica dell'utilizzo aziendale del telelavoro, è quella della Dun & Bradstreet. Anche in questo caso si è passati attraverso il ricatto e la chiusura delle sedi decentrate, ma i dipendenti sono praticamente diventati dei lavoratori a cottimo. Lo stipendio è infatti calcolato sulla base delle pratiche effettivamente svolte e tenendo conto della produttività media dell'azienda nei tre mesi precedenti.
Come si vede il passaggio al telelavoro è tutt'altro che rose e fiori. È mia opinione che si debbano mettere da parte i facili entusiasmi e pensare ad una chiara e seria regolamentazione che permetta di godere dei possibili vantaggi del telelavoro cercando, al contempo, di attutire al massimo i contraccolpi negativi.
Contraccolpi negativi che la stessa Ursula Huws ha messo in evidenza in un rapporto alla Task Force sull'occupazione della Commissione Europea presentato come aggiornamento del Libro Bianco di Jacques Delors. Vi sono diversi aspetti negativi e deleteri del telelavoro, alcuni peculiari e altri no, pronti a scatenarsi, partendo proprio dalla disintegrazione di forme collettive di organizzazione dei lavoratori, che porterebbero all'atomizzazione della forza lavoro e alla crescente esclusione di larghe fasce di lavoratori dal cosiddetto ³patto sociale². A ciò si accompagna una sempre maggiore precarizzazione dell'occupazione e l'ipersfruttamento di gruppi di lavoratori particolarmente vulnerabili come le donne con bambini piccoli, i disabili, oppure persone appartenenti a minoranze etniche, cosa che del resto già avviene. In particolare per le donne il lavoro d'ufficio svolto in casa potrebbe portare a una notevole sovrapposizione fra l'attività telelavorativa e le attività domestiche che, nella società attuale sono ancora totalmente demandate alle donne. Il lavoro svolto in casa è percepito in modo sostanzialmente differente dalle donne e dagli uomini ed il luogo dove si lavora non è per niente neutrale rispetto al genere. Secondo lo stereotipo prevalente andare a lavorare fuori di casa è visto come un'attività ³maschile², mentre lo stare a casa è tipicamente ³femminile². Ciò conferisce all'atto di andare a lavorare fuori casa un significato notevolmente differente da parte delle donne. Infatti al lavoro domestico, che è tradizionalmente svolto dalle donne, viene attribuito uno status inferiore nella società: il potere, i soldi e lo status sono invece correlati indiscutibilmente al lavoro svolto fuori dalla propria abitazione. È reale quindi la possibilità che il telelavoro stabilisca per le donne una doppia servitù: quella dal lavoro svolto per terzi (precario, mal retribuito e meno riconosciuto come effettiva attività lavorativa) e quella dal lavoro domestico facendo ripiombare tante donne nello stato, estremamente marginale nella organizzazione reale della nostra società, di ³moglie e casalinga².
In alcuni casi però gli svantaggi del telelavoro non sono immediatamente riconoscibili e vengono fuori solo nel lungo periodo. Per esempio, la soddisfazione immediata di poter lavorare a casa potrebbe svanire non appena il lavoratore si rende conto di essere tagliato fuori dal confronto con i colleghi e dalle possibilità di avanzamento di carriera e di ulteriori aggiornamenti professionali.
Il sindacato tedesco dei bancari, Hbv (Gewerkschaft Handel, Banken und Versicherungen), ha cercato di mettere a confronto vantaggi e svantaggi del telelavoro, e, dopo una iniziale impressione positiva, ha dovuto riconoscere che il telelavoro porta con sé enormi controindicazioni. Credo sia istruttivo mostrare la tabella comparativa che quel sindacato ha messo a punto:

Effetti positivi
Libera scelta dell'orario di lavoro
Tranquillità nel lavoro
Minori conflitti con i colleghi o con i superiori
Il lavoro non è continuamente valutato o rivisto da un superiore
Costi e tempi di viaggio ridotti
Maggiore facilità di gestione del lavoro e della famiglia
Possibilità di maggior cura dei bambini

Effetti negativi
Pericolo di superlavoro (autosfruttamento)
Perdita degli straordinari per lavoro notturno e festivo
Lavoro rimandato durante una malattia oppure lavoro eseguito nonostante la malattia
Minore utilizzo del diritto di assentarsi dal lavoro quando i figli sono ammalati
Impossibilità di ignorare le distrazioni o il disturbo provocati dalla famiglia
Perdita della comunicazione con i colleghi
Scarsa valutazione del lavoro
Standard di sicurezza del posto di lavoro non garantiti
Pericolo di danneggiamenti all'hardware e al software, di perdita di dati, di accesso ai dati da parte di persone non autorizzate
Invasione della sfera privata
Perdita di vista dello sviluppo dell'azienda
Minori possibilità di promozioni, ecc.
Perdita della possibilità di partecipazione alla vita giornaliera in azienda
Creazione di due categorie di lavoratori:
- quelli che svolgono attività potenzialmente telelavorabili
- quelli con un'abitazione adatta al telelavoro
Una volta telelavoratore, sempre telelavoratore
Maggiori difficoltà nella partecipazione ad attività sindacali

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Vi è anche un altro aspetto riguardo al telelavoro che va tenuto in notevole considerazione: e cioè che è molto più facile, e sta diventando sempre di più la norma, che il telelavoratore non sia impiegato dell'azienda per cui presta l'opera, ma sia invece un lavoratore autonomo.
Andrew Bibby, un giornalista inglese che si occupa da tempo di telelavoro, ha puntato il dito verso questo aspetto. Egli afferma, infatti, che "è significativo che i primi analisti del telelavoro presupponessero che i telelavoratori sarebbero rimasti impiegati nelle proprie aziende, anche se essi non avrebbero più lavorato negli uffici dell'azienda stessa. Ciò che invece sta succedendo in realtà, al contrario, è che la maggioranza delle persone che svolgono un telelavoro lo fanno come lavoratori autonomi".
L'espansione del lavoro autonomo e la formazione di microimprese o imprese individuali è un fenomeno ormai assodato e tendenzialmente in crescita. E va sgombrato il campo dal qualunquismo superficiale che identifica i lavoratori autonomi solo nei professionisti (avvocati, architetti, notai, ecc.) e nei commercianti, e ricordare ancora che possiamo configurare come lavoro autonomo tutte le prestazioni, formalizzate o meno da un contratto o da una commessa, fornite a terzi dietro pagamento. Inoltre bisognerebbe soffermarsi con attenzione su una cosa, anche se può apparire una banalità: questi lavoratori anche se formalmente dei lavoratori autonomi, nella pratica svolgono lo stesso lavoro svolto dagli impiegati che sono dipendenti dell'azienda. Ma le differenze nei rapporti con le istituzioni sono notevoli a cominciare da quelli con il fisco e con le banche o con gli enti che forniscono servizi pubblici differenziati fra l'uso domestico e quello per attività lavorative. Un esempio è dato dalla società che fornisce l'energia elettrica in Scozia che ha imposto ai telelavoratori, che naturalmente svolgono la propria attività in casa, il pagamento delle tariffe commerciali, più alte di quelle domestiche, in quanto la casa coincide con il luogo di lavoro.
Per la sinistra tutto ciò pone seri problemi politici e di strategia. A partire dal fatto che la difesa sindacale e politica dei lavoratori che costituiscono ciò che viene definito core manpower, cioè la forza-lavoro costituente il nucleo centrale di dipendenti fissi di un'azienda, si configura sempre di più come la difesa di una categoria di privilegiati, mentre intorno aumenta la massa di lavoratori che, fra lavoro flessibile, lavoro precario, lavoro in affitto, formazione, apprendistato e impresa individuale, sono sempre più lasciati a se stessi. Un altro aspetto è costituito dalla progressiva perdita di significato sostanziale del cavallo di battaglia della sinistra sindacale: la riduzione dell'orario di lavoro. È dimostrato infatti che il lavoratore flessibile, precario o autonomo, lavora mediamente molto di più rispetto alle 40 ore della settimana lavorativa canonica. E ciò non avviene per egoismo o per avidità, ma semplicemente per la necessità di assicurarsi un sufficiente livello di reddito. Infatti nel rapporto sul lavoro autonomo negli stati dell'Unione Europea del Direttorato Generale V della Commissione Europea, si legge che "i lavoratori autonomi rischiano, più dei lavoratori dipendenti, di scendere al di sotto della soglia di povertà". L'ultimo aspetto che vorrei evidenziare si ricollega a quanto appena detto. L'unico modo che ha un lavoratore non dipendente di aumentare il proprio reddito è quello di ridurre la pressione fiscale che grava sulle proprie entrate. È questo può essere attuato essenzialmente in due modi: a breve termine attraverso l'evasione fiscale, a medio-lungo termine attraverso battaglie politiche e proteste sociali. In questo modo larghe fette di lavoratori stanno passando, dal punto di vista politico-rivendicativo, su terreni di lotta tipicamente di destra (dalla lotta per l'aumento salariale a quella per la diminuzione delle tasse) lasciando a bocca aperta tutti quelli che hanno sempre pensato che la lotta fiscale fosse prerogativa esclusiva di padroni e bottegai.
In mancanza di una forte legislazione di regolamentazione, il telelavoratore, o almeno la gran parte di essi, è destinato, nei casi più fortunati, a diventare imprenditore di se stesso (dando alla parola imprenditore anche un significato di progettualità). Negli altri casi lavoratore a contratto o anche a cottimo. Comunque non impiegato dell'azienda, ma collaboratore esterno o consulente, dotato di partita IVA e costituente impresa autonoma.
Tutto ciò naturalmente, al di là delle rappresentazioni pubblicitarie, significherebbe un peggioramento delle condizioni di lavoro: nessun diritto alle ferie retribuite, nessuna retribuzione dei giorni di malattia, nessuna contribuzione pensionistica da parte dell'azienda, nessuna retribuzione della maternità, nessun corso di aggiornamento retribuito (essenziali per rimanere sul mercato). Bisogna infine tener presente che è in corso un evidente tentativo politico di limitare sempre di più la forbice fra il lavoro dipendente e il lavoro esterno a commessa o consulenziale, per esempio con la nuova legge sulle pensioni o con la proposta del governo tedesco di non pagare più al 100% le giornate di malattia dei dipendenti, oppure con la recente proposta della Confindustria italiana di abolire i contratti collettivi nazionali di lavoro.
La deregulation sta dando alle grandi aziende e alla classe politica (centro-sinistra o centro-destra che sia) che ne è l'espressione, i suoi frutti economici e politici. Quanto e se ciò si possa tradurre in vantaggi anche per i lavoratori non ci è dato conoscerlo.

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Per concludere vorrei fare ancora una riflessione: in questi anni abbiamo visto tante industrie spostare i loro siti produttivi in paesi in cui il costo del lavoro è bassissimo, se confrontato con la media dei paesi occidentali. Sicuramente le attività telelavorabili non si sottrarranno a questa tendenza, tantopiù che le possibilità di riallocazione del lavoro aumentano enormemente con la digitalizzazione dei dati e con l'uso di reti di telecomunicazione internazionali. Gli esempi ormai si sprecano: dai giornali di Singapore battuti e composti nelle Filippine, alle pratiche di società finanziarie statunitensi evase in Irlanda, alla dislocazione a Bombay del sistema di prenotazione della Swissair e della Austrian Airlines.
L'implicazione più evidente di questo commercio internazionale delle attività di servizi è che il lavoro è esportato da paesi in cui i lavoratori godono di un buon livello di protezione sociale e di condizioni di lavoro, verso paesi in cui i salari, i controlli sulle modalità e sulle condizioni di lavoro e i benefici sociali del lavoro stesso sono inferiori o inesistenti. Non è certo un buon metodo per riequilibrare l'economia mondiale rendere disoccupati milioni di lavoratori in Europa e pagare una miseria quelli dei paesi in via di sviluppo.
Le condizioni di alcuni operai del telelavoro, che svolgono un'attività di immissione di dati in archivi elettronici per una società straniera, è ben descritta da una ricerca svolta in Brasile: i telelavoratori sono sorvegliati elettronicamente, non possono parlare tra di loro durante il lavoro e molti di essi lamentano tendiniti. Uno di essi ha dichiarato ai ricercatori che lo intervistavano: "Noi viviamo nell'era della schiavitù. Lavoriamo come schiavi e siamo fustigati: non sul corpo ma nel cervello".
Anche per questo penso che il telelavoro e le sue implicazioni vadano discusse, sviscerate e comprese a fondo. Affinché non diventi l'ennesimo strumento di sfruttamento di milioni di lavoratori nel mondo, a cui sembra così facile oggi togliere, utilizzando un'innovazione tecnologica ed in nome della competitività globale, ciò che hanno conquistato in decenni di battaglie per un'esistenza migliore.

Riferimenti bibliografici:

- Gruppo di Alto Livello sulla Società dell'Informazione, "Raccomandazioni al Consiglio d'Europa su Europa e società dell'informazione globale", 1992
- Ursula Huws, ³Telework and gender², Report to the European Commission, 1996
- Ursula Huws, ³Follow-up to the White Paper - Teleworking², Report to the Task Force on Employment of the European Commission, 1995
- Andrew Bibby, ³Trade Unions and Telework², Report for the International Trade Secretariat FIET, 1996
- Andrew Bibby, ³What is Telework², relazione tenuta alla conferenza ³Lavorando sull'autostrada dell'informazione: il telelavoro e il movimento dei lavoratori², Manchester, 1995
- Gewerkschaft Handel, Banken und Versicherungen, ³Telearbeit: Chance oder Risiko?², Materiali di discussione, 1995
- Sergio Bologna, ³Orari di lavoro e postfordismo², relazione tenuta al convegno ³Il giusto lavoro per un mondo giusto. Dalle 35 ore alla qualità del tempo di vita², Milano, 8-9 Luglio 1995
- Patrizio Di Nicola, ³Contrattare il Telelavoro. Lezioni dalle esperienze in Italia e nel mondo², Italian Telework WWW (http://www.mclink.it/telelavoro/), 1996. In questo sito Internet si trova anche un'enorme bibliografia sul telelavoro, probabilmente la più aggiornata che contenga anche articoli e libri in italiano.


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