CHAOS

L'Allegoria del poeta
Intervista a Luis Sepúlveda



a cura di Pino Caputo, Elena Comoglio, Luciano Gaido e Gianluca Giachery


Luis Sepúlveda è nato in Cile nel 1949 e attualmente vive in Germania. E' stato per molto tempo attivista di Greenpeace, e membro dell'equipaggio di una delle navi utilizzate dall'organizzazione ecologista per le sue azioni. E' autore di "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore", romanzo dedicato a Chico Mendez, "Il mondo alla fine del mondo", "Un nome da torero".



Qual è stata la motivazione che ha determinato la scelta di impegnarti in Greenpeace, che è un'organizzazione non strettamente politica, ma rivolta alla soluzione di problemi più specifici come quello ecologico?

Il mio interesse per il lavoro con Greenpeace è dovuto al fatto di aver compreso che questa è un'organizzazione politica, ma che adotta un modo differente di fare politica. Non fa cioè una politica di sovrastrutture, ma di piccole azioni quotidiane. Il motivo della mia partecipazione all'organizzazione è stato semplicemente una ragione di conseguenza politica: la necessità di strutturare una forma di azione. Ho trovato in Greenpeace uno spazio apertissimo e molto democratico. Per me la permanenza in Greenpeace è stato un processo di apprendimento, di crescita. Mi sembra che sia una crescita delle due parti: io porto la mia esperienza di militante, con molti anni di lotta clandestina, con molti anni di lotta insurrezionale, e Greenpeace porta l'esperienza di una organizzazione internazionale che lavora con un'idea pacifica, con un'idea di confronto graduale, non di scontro violento, globale contro il sistema. E' un processo di scambio riguardo al modo di far politica.

Prima hai citato la parola "democratico". Qual è il tuo rapporto con la democrazia?

La democrazia è un'idea, è una possibilità di discussione aperta senza dogmatismo, senza l'imposizione di un'ideologia determinata. E' una sperimentazione. La democrazia non ha una ricetta, non ha una forma unidirezionale di affrontare tutte le problematiche di un paese o del mondo. E' il gioco della parzialità, della particolarità ed è un cammino lento verso la generalità. La mia idea di democrazia, il mio concetto di democrazia è di partecipazione, non solo di delega, ma di partecipazione attiva.

Che cosa pensi della transizione democratica, della "concertazione democratica" cilena?

C'è un confronto serio. Non credo in un'esperienza politica che si basa sull'amnesia come ragione di stato. In Cile non è conveniente parlare di quello che è successo negli anni tra il 1970 e il 1989. Il ritorno della democrazia ha richiesto un prezzo molto alto, che si chiama amnesia collettiva pilotata dal governo. Non è una democrazia partecipativa, perché tutte le organizzazioni sindacali dei lavoratori sono proibite, lo sciopero è un tabù, non esiste più, non esistono contratti di lavoro, esistono solo le regole imposte dalla dittatura. Il lavoratore è semplicemente forza-lavoro, l'essere umano è una merce. Lo stato cileno ha perduto il carattere tutelare dell'educazione: se hai dei bambini ma non hai denaro, non li puoi mandare a scuola; se hai un problema di salute, tutti gli ospedali sono privati e quindi devi affittare un letto, pagare il medico e le medicine; se non hai soldi sei un uomo morto! E' una democrazia che funziona senza solidarietà, a mio modo di vedere è una farsa, è la continuazione di una dittatura senza il corpo militare.

Questa visione di democrazia ti proviene dal fatto che hai un punto di osservazione privilegiato, dato che non vivi in Cile. La maggior parte dei cileni, invece, accetta in qualche modo questa forma di democrazia oppure la subisce perché non c'è alternativa in questo momento? Che cosa pensano i cileni?

Certo, la mia è una posizione privilegiata. Ma io sono stato in Cile, e l'accettazione dell'attuale stato di cose viene da una perplessità e da una mancanza di prospettive. La sinistra non esiste più, e la sinistra aveva una storia di fortissima presenza politica. Allende era arrivato al potere nel 1970 con un'elezione democratica, la più grande dimostrazione di forza della sinistra cilena. Oggi la sinistra non esiste più, per dirla col linguaggio degli ecologisti si è "riciclata" verso una posizione socialdemocratica che non è realmente socialdemocratica e nemmeno realmente di destra: è simile a un limbo, una terra di nessuno. C'è un governo che è una concertazione tra la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista riciclato che, inoltre, non ha una prospettiva politica chiara, aperta. Un poeta cileno, Neganor Parra, ha scritto in un verso: « La derecha y la izquierda unidas jamas seràn vencidas». Questo è ciò che sta succedendo in Cile adesso. La vecchia destra non è più necessaria perché la nuova sinistra fa il lavoro della vecchia destra. E' come in Spagna, come in Italia. Tuttavia c'è un interesse per il recupero della democrazia e questo interesse proviene dai giovani, che però non hanno la possibilità di parlare. La stampa cilena è una merda, è totalmente asservita. La televisione cilena è come quella italiana, è una grandissima merda, anch'essa di parte. La mancanza di prospettive è certo enorme, ma il cammino per trovare una nuova prospettiva è molto interessante.

Non vogliamo sottovalutare il lavoro che fanno le organizzazioni come Greenpeace, ma non pensi che sia un po' limitante occuparsi solo di problemi che sono sì importantissimi ma che, in qualche modo, possono distogliere l'attenzione dalla sostanza vera delle cose? Le manifestazioni ad esempio contro la ripresa degli esperimenti nucleari della Francia non sono forse un modo di mettersi a posto la coscienza senza però affrontare il problema globale, che è il problema del potere, il problema economico?

E' un pericolo, certo, pensare che la lotta debba dirigersi solo contro il disastro ecologico, contro la ripresa degli esperimenti nucleari, che è un aspetto parziale. Ma questa è una forma di partecipazione importante. In questo momento, la scelta è tra questa forma di partecipazione o nessuna. Per molta gente questa è una forma di partecipazione primaria, che successivamente si evolverà. Tutte le forme di partecipazione sono importanti. Per quanto mi riguarda, nonostante il mio coinvolgimento e l'affetto per i compagni di Greenpeace, se dovessi decidere di partecipare ad un'azione a Mururoa o ad una in Chiapas, andrei in Chiapas.

Le lotte di Greenpeace a Mururoa di questi tempi hanno una grande risonanza nei media, che ne parlano spesso anche con simpatia. Sicuramente non mostrerebbero la stessa simpatia se Greenpeace, per esempio, facesse un assalto alla sede della Banca Mondiale, che pure ha delle grosse responsabilità nella divisione tra Nord e Sud e nella sottomissione del Sud nei confronti del Nord. Forse questo è uno dei nodi fondamentali. Un simile progetto è fantastico, naturalmente, però si potrebbe pensare ad una rivolta globale contro la Banca Mondiale?

E' possibile una rivolta di tutti i paesi del sud contro la Banca Mondiale. E' una possibilità, ma come sapete tutti i paesi del sud sono molto diversi tra di loro. La probabilità di un accordo unanime che renda possibile un'azione simile a breve termine è molto bassa. Quando, tuttavia, un'organizzazione come Greenpeace o altre simili propongono la possibilità di un modo di vivere in accordo e in armonia con le risorse di un determinato paese, questo genera una riflessione, una discussione e, successivamente, una forma di azione politica che potrebbe diventare un primo passo verso una rivolta nei confronti della Banca Mondiale. Pensiamo all'esempio di Chico Mendez. Da solo fu in grado di parlare di fronte alla Banca Mondiale e condizionare un prestito al Brasile. La lotta di Chico Mendez significò la fine della costruzione della strada transamazzonica, e significò la preservazione di un'immensa regione dell'Amazzonia. Questo fu un "assalto" al Banco Mondiale. In questo caso, c'era una possibilità di dialogo; quando non c'è, la soluzione è quella del Chiapas. Oggi senza un progetto politico di sinistra, coerente, ogni lotta è una sperimentazione costante. La fine del socialismo reale ha provocato uno stato di stupore, perché tutti i paesi del Terzo Mondo hanno sempre ragionato e vissuto con la presenza di un "fratello maggiore". Cuba, per esempio, viveva col supporto economico dell'Unione Sovietica, senza di questa l'economia cubana è crollata. La non esistenza di un esempio forte che dimostri la possibilità di un cambiamento della società, fa sì che il nuovo lavoro consista nell'autodimostrazione che sia possibile cambiare la società, senza avere una prova palpabile che questa società esiste. E' un cammino difficile, è l'assalto alla Banca Mondiale, se si vuole. Per me è una possibilità, per me è come un sogno. Greenpeace l'ha fatto nella Conferenza della Banca Mondiale di Madrid, la prima azione militare di Greenpeace, perché burlare tutto il servizio di sicurezza è un'azione militare. In questo caso, era solo un pezzo di carta?, ma sarebbe benissimo potuto essere un gruppo armato che diceva: «Altolà, banchieri!». E' una possibilità aperta.

Nel 1970 il Club di Roma ha tirato fuori l'idea dello "sviluppo sostenibile". Questa è una cosa che potrebbe avvenire solo se ci fosse un accordo tra gli stati maggiori, quelli occidentali, per permettere agli stati del sud di recuperare, arrestando il proprio sviluppo... Non vediamo, neanche lontanamente, questa possibilità che gli stati si mettano d'accordo per fare in modo che tutto il mondo cresca a poco a poco. Non è un po' contraddittorio sperare una cosa che devono decidere i potenti perché si realizzi?

Sì, è irrazionale sperare che decidano i potenti, però come idea quella dello sviluppo sostenibile esiste in tutte le nazioni, ma non a livello di governi. Esiste a livello delle organizzazioni non governative. E' una sperimentazione. Se pensiamo all'Uruguay, che è un paese che non ha la pretesa di entrare a far parte del Primo Mondo, come invece l'Argentina o il Cile, vediamo che cresce con una salutare teoria dello sviluppo sostenibile, ma non in termini ideali, perché un conto è il progetto teorico, ciò che potrebbe essere lo sviluppo sostenibile, e un'altra cosa è la realtà. E' possibile pianificare, ma non è possibile farlo dimenticando le esigenze reali di ogni paese. Quindi, nel caso dell'America del Sud è indubbio che, a brevissimo termine, ci saranno delle strategie continentali di crescita e di sviluppo sostenibile, perché il livello di sfruttamento e di distruzione dell'ambiente non permette più uno sviluppo razionale. L'esaurimento delle materie prime, l'impoverimento di grandi regioni non lo permettono più: l'Argentina è un paese che vive con l'illusione di avere una moneta nazionale più forte del dollaro. Oggi un peso argentino vale 80 centesimi di dollaro, però nessun argentino ci crede, e siccome non ci crede non risparmia, perché sa che il suo denaro nel momento in cui ci sarà la svalutazione non varrà più nulla. Un paese senza economia e senza risparmi è un paese che non può crescere. Sicuramente nei prossimi tre o cinque anni l'Argentina dovrà frenare il proprio livello di consumo irrazionale, intendo però una parte dell'Argentina, Buenos Aires, perché il resto del paese è a pezzi. Un paese che era il principale produttore di carne del mondo, il secondo produttore di grano del mondo oggi deve importare carne e grano perché l'economia nazionale è colata a picco. Non c'è più nessuna risposta politica che dica che è possibile proseguire su questa strada. E' necessario cambiare, altrimenti è un suicidio. E nessuno si vuole suicidare. Naturalmente, sarebbe più bello e più poetico se questo cambiamento fosse il risultato di una esplosione popolare che dicesse: «Adesso basta!», di una rivoluzione. Ma adesso le rivoluzioni non sono più possibili, perlomeno non negli stessi termini di prima. Insomma, oggi un cambiamento si potrà avere solo in seguito all'esaurimento della vecchia forma di sfruttamento, di far politica, di governare e di amministrare le ricchezze nazionali.
Si può fare un parallelo molto interessante con il Chiapas. La gente del Chiapas non ha mai detto di voler fare la rivoluzione e prendere il potere. Quello che sta dicendo la gente del Chiapas è che bisogna cambiare le regole del gioco, che non si può continuare così, e poi si sono spinti più in là a dire che non gli importa nulla di chi avrà il potere in Messico, a loro importa che le cose cambino ora. E' un primo passo interessante. Pochissimo tempo fa, sei mesi dopo la rivolta del Chiapas, i contadini dell'Ecuador hanno paralizzato il paese per le stesse ragioni del Chiapas: non volevano fare la rivoluzione né prendere il potere, volevano solo che le cose cambiassero. Poi è stato decretato lo stato di guerra il Bolivia perché i contadini e i lavoratori boliviani dicevano che le cose non potevano andare avanti così. O si verifica un cambiamento molto grande, o tutto crolla. Tutte queste iniziative significano una cosa: la volontà di continuare il processo di sviluppo, ma in un modo conforme alle possibilità e alle risorse reali. Non c'è dubbio che la strategia non sarà mondiale e passerà molto tempo prima che l'Europa e il Primo Mondo si rendano conto che non possono continuare a dipendere da quello che comprano, che imparino a vivere anche loro con quello che hanno.
Curiosamente senza una dirigenza politica unica, e questo è un bene, perché dopo il fallimento delle rivoluzioni degli anni Settanta e Ottanta, dopo il fallimento del socialismo, la gente non vuole più questo, sa quello che vuole, ma non lo sa esprimere. Per arrivare ad esprimerlo ci vuole molto tempo, ma questo tempo non implica una pausa nella lotta, significa continuare nella lotta e trovare ogni giorno più argomenti per formulare il progetto politico che si vuole. Pertanto questo processo è doppiamente interessante.

In Italia ci sono stati gli scandali di Tangentopoli, in Spagna Felipe Gonzalez è implicato nella storia dei Gal e in Colombia il Governo nel traffico di cocaina. Questi sono tutti governi democratici, tutti ne sono convinti, e questi fatti sono considerati delle eccezioni. Quindi, il concetto di governo democratico-borghese resta sempre valido, ci dicono. Ma quando le eccezioni cominciano a diventare tante, evidentemente è la regola che non funziona bene... Tu cosa ne pensi?

Questo è il grande problema della democrazia quando non è partecipativa. Come si esercita la democrazia in molti paesi? Ogni quattro anni si va a votare e si delega ad una persona la possibilità di decidere al proprio posto. Nessuno però ha la possibilità di controllare. Poi la democrazia si perfeziona: dà la possibilità di "controllare" tramite altre elezioni in cui si votano dei parlamentari che si suppone controllino il potere. Ma non è possibile controllare questi parlamentari. Io credo che il sistema democratico possa funzionare a patto che si trasformi in un qualcosa di pienamente partecipativo.

Cosa pensi dei processi di transizione in corso in Centroamerica, in Salvador, in Guatemala, che, in effetti, non sono molto chiari?

La storia del Centroamerica negli ultimi vent'anni è una storia di lotta di guerriglia contro un processo brutale di sfruttamento. Queste lotte hanno seguito l'esempio della rivoluzione cubana, avevano cioè in mente la possibilità di vincere. Negli ultimi dieci anni, prima che finisse la lotta di guerriglia in Salvador, o per quanto riguarda il Nicaragua durante la guerra della Contra, è successo che la capacità distruttiva delle armi è aumentata molto, si è posto il problema reale che tutte le guerre arrivano ad un punto morto. Le guerre si fanno non per vincere ma per arrivare al negoziato da una posizione di forza. Il caso del Salvador è stato molto chiaro: i guerriglieri hanno capito che non avrebbero potuto prendere il potere, ma controllare una zona del paese molto importante, Chalatenango, perché senza questa il paese non poteva funzionare. Pertanto, hanno costretto il governo a negoziare partendo da una posizione di forza e lo hanno obbligato a modificare la farsa democratica che esisteva prima. Anche nel caso del Guatemala la guerriglia ha capito che è impossibile vincere e ha cominciato a negoziare da una posizione di forza. La differenza è che sia in Guatemala che in Honduras la varietà etnica della società è una caratteristica importante (la maggioranza della popolazione è india) e, quindi, la lotta non è solo contro lo sfruttamento del sistema capitalistico, ma è anche una lotta contro il bianco, contro l'invasore che ora occupa la terra che era sempre stata degli indios. Anche qui hanno compreso che si lotta per arrivare ad avere una posizione di forza nei negoziati. Nessuna di queste situazioni è chiara. Ancora non è chiaro che cosa succederà in Salvador, se il governo rispetterà gli accordi e questo vale anche per l'Honduras e il Guatemala. Grazie al fatto che gli Stati Uniti non sono più l'alleato principale né dell'Honduras né del Guatemala né del Nicaragua, la destra si è così indebolita che è stata costretta a negoziare contro la propria volontà. Se al vertice degli Stati Uniti tornasse un'amministrazione come quella di Regan o di Bush sicuramente darebbe un appoggio alla destra in questi paesi e questo cambierebbe nuovamente i rapporti di forza.

Per concludere, vorremmo farti una domanda curiosa. Ci piacerebbe che tu adesso inventassi un racconto allegorico sul ruolo che ha avuto la C.I.A. nelle vicende del Cile degli anni Settanta.

Beh, la storia potrebbe essere questa.
C'era una volta un popolo molto tranquillo, con un enorme senso ludico della vita, con una enorme capacità di ridere di se stesso. Era il popolo cileno, eredità dell'immigrazione ebrea, principalmente. Un giorno decidono di realizzare il socialismo, ma non alla maniera dei cubani, né dei paesi socialisti. Appare un dottore, un tipo piccoletto e amante delle donne, Salvador Allende, e dice: «Facciamo una rivoluzione, senza Marx e Lenin ma piuttosto con molte empanadas» - che è il piatto nazionale cileno - «e molto viño tinto».
Tutto ciò giunge alle orecchie degli Stati Uniti e della C.I.A., che cominciano a fare ricerche nelle biblioteche per capire chi siano questi teorici, Empanadas e Viño Tinto. Poiché non ne trovano traccia, tutto questo causa ad Henry Kissinger una malattia terribile chiamata emorroidi... Non poteva sedersi, e le emorroidi lo stavano quasi facendo diventare matto. L'unico modo per curare le emorroidi era finanziare un colpo di stato che ponesse fine al pazzo sogno di fare una rivoluzione con empanadas e viño tinto. Il bello di questa storia è che nessun computer del Pentagono, nessun teorico del Dipartimento di Stato, nessun intellettuale della C.I.A. ancora oggi sa di che nazionalità siano questi teorici che si chiamano Empanadas e Vino Tiñto, e se rappresentino ancora un pericolo per l'America Latina...

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