CHAOS

Scienza e Comunic/Azione

Criticabile e confusa critica alla scienza inintelligibile

Pino Caputo



<<Si deve smettere di fingere che la scienza sia neutra
e che solo le applicazioni possano essere definite buone o cattive >>

Jacques Testart

1. Nell'ultimo numero di "Giano" (14/15, 1993) è stato pubblicato un interessante saggio di Roberto Fieschi sulla responsabilità sociale degli scienziati, cui fanno seguito alcuni interventi di noti personaggi della cultura scientifica invitati a prendere una posizione riguardo alle tesi espresse. L'impostazione data da Fieschi al suo scritto si riferisce in particolare alle ricerche e agli studi compiuti per scopi militari.
Ma l'attuale commistione fra potere politico, potere economico e potere contrattuale degli scienziati, <<che deriva alla categoria dal riconoscimento sociale del peso crescente della scienza in tutti gli aspetti della vita individuale e collettiva>> [1], obbligano ad estendere gli ambiti in cui si deve parlare di responsabilità sociale degli scienziati anche agli studi e alle ricerche compiute per scopi, diciamo così, "civili". So di addentrarmi in un terreno minato. Minato soprattutto da enormi interessi, sia particolari che generali, da difese corporative e da molta, tanta ignoranza.

2. Innanzitutto alcune considerazioni preliminari. Sono d'accordo con chi dice che la distinzione netta tra scienziati e tecnologi non è convincente [2] e, aggiungerei, neanche consistente. Come spiega Cini, infatti, <<in molte discipline di punta si sta (...) colmando il divario che tradizionalmente separava la scienza, intesa come investigazione disinteressata della natura senza fini immediati, e la tecnica, finalizzata invece a inventare i metodi e gli strumenti più efficaci per sviluppare qualitativamente e quantitativamente la produzione di artefatti destinati a soddisfare le più svariate esigenze (buone o cattive) della specie umana. (...) Figure come Liebig, e lo stesso Nobel, l'inventore della dinamite, erano al tempo stesso protagonisti del progresso scientifico e artefici dello sviluppo delle tecnologie di punta. (...) in molte discipline di avanguardia scienza e innovazione tecnologica sono talmente intrecciate che spesso gli scienziati più prestigiosi sono anche i protagonisti dello sviluppo delle industrie più competitive>> [3]. In secondo luogo, è indubbio che se una scoperta o un'invenzione hanno ricadute e conseguenze sociali - positive o negative che siano - presuppongono delle responsabilità sociali. In terzo luogo, allo stato attuale, in cui gli esseri umani hanno le conoscenze e il potere per provocare vaste distruzioni nonché l'estinzione di molte specie viventi e persino della propria, l'idea di progresso scientifico non è univocamente definibile.
Gli esempi possono essere molteplici. Lo studio di algoritmi matematici e la realizzazione di macchine a controllo numerico che sostituiscono gli operai in fabbrica; la manipolazione di materiale genetico per ottenere piante più resistenti a certi agenti patogeni o più produttive; i progetti e gli studi degli agronomi per impiantare colture in luogo di zone boschive e forestali, ecc.
In ogni caso le scelte di scienziati e tecnologi hanno una rilevante influenza sui rapporti sociali e implicano quindi una responsabilità sociale, che molti non vogliono riconoscere in virtù di una pretesa neutralità della scienza.
Come uscire da questa "impasse"? La mia ipotesi è che si debba passare attraverso una democratizzazione e socializzazione del sapere e delle informazioni, nel senso che spiegherò più avanti. In che modo ciò sarebbe possibile? E' evidente, comunque, che non si tratta di attuare una semplice traduzione e volgarizzazione del sapere scientifico trasferendola poi al pubblico attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Questo è esattamente quel che accade ora, ed è evidentissimo l'effetto di distorsione causato dal trasferimento di informazione scientifica messo in atto dai media.
Per dirla con Baudrillard: <<Ciò che caratterizza i mezzi di comunicazione di massa è il fatto che impediscono ogni mediazione, sono "intransitivi" - se siamo d'accordo che la comunicazione deve venir definita come scambio, come lo spazio reciproco di una parola e di una risposta e perciò di una responsabilità - ma non certo di una responsabilità psicologica e morale, ma di una correlazione fra l'uno e l'altro sul piano dello scambio>> [4].
Ed inoltre Magnani: <<L'ideologia spontanea del volgarizzatore è il più delle volte condizionata da una semplice immagine pregiudiziale della scienza come portatrice comunque di benessere e come motore del "progresso" sociale: ogni impresa scientifica viene allora immaginata a priori in termini di "fall-out" tecnologico>> [5].
Dal punto di vista del pubblico è proprio la possibile ricaduta tecnologica a determinare una prima fase di socializzazione dei saperi (naturalmente in una forma mediata e volgarizzata) sottesi a quella particolare realizzazione tecnologica.
Faccio un esempio. Se è quasi impossibile innescare una discussione sulla scienza intrinseca alle centrali nucleari che usano il torio come combustibile nel momento in cui Carlo Rubbia pubblica i suoi studi sulla fissione del torio stesso, la socializzazione dell'evento diventa quasi naturale quando invece si annuncia la costruzione di una centrale nucleare nei pressi di una qualsiasi zona abitata. E' una forma di socializzazione, questa, quasi forzata, dettata dalla necessità di prendere posizione rispetto a un evento che può mutare la morfologia e la fruizione del territorio, nonché i rapporti sociali ed economici tra gli abitanti di quel territorio. Ed è una modalità in cui l'azione sociale sull'appropriazione dei saperi e delle conoscenze è ritardata e si svolge nel tentativo di massimizzare la quantità di informazioni in proprio possesso e di renderle esaustive per poter "non sbagliare". Questo però è anche il momento più propizio in cui l'azione di distorsione messa in atto dai mezzi di comunicazione di massa e da coloro che possono influenzarli diviene più efficace, in quanto unica fonte delle informazioni attese. Oltretutto l'idea che la scienza mass-medializzata possa costituire un fatto "oggettivo e neutro" è semplicemente una chimera, nel quadro di rappresentazioni sociali in cui vengono immesse tali informazioni [6].
L'unione di queste componenti (volgarizzazione, visione pregiudiziale positiva e unilateralità della comunicazione) genera quella forma dello spettacolo con cui sono presentate le "scoperte" scientifiche e i "progressi" conseguiti [7]. Questo tipo di "informazione" scientifica volgarizzata non soddisferà mai i criteri di democratizzazione e socializzazione del sapere.

3. A questo punto mi sembra essenziale specificare meglio il significato dei due concetti "democratizzazione" e "socializzazione" del sapere.
Per socializzazione intendo la possibilità che il maggior numero di individui - ed in particolare chiunque lo voglia - abbia accesso ai saperi e alle informazioni ad essi relativi nel momento stesso in cui vengono prodotti; per democratizzazione intendo la possibilità di partecipare al dibattito sulla fattibilità e sulle conseguenze delle ricerche scientifiche e delle applicazioni tecnologiche nel luogo in cui queste vengono attuate: questo in rispetto del principio (esattamente opposto a quello che vige attualmente) che non tutto ciò che è potenzialmente fattibile necessariamente deve essere realizzato. In questo modo socializzazione e democratizzazione realizzano un continuum spazio-temporale in cui i soggetti partecipanti assumono costantemente il ruolo di protagonisti [8].
Nel lavoro citato, Magnani afferma: <<Si può pensare (...) ad una democratizzazione del sapere come intelligibilità distribuita, trasferita ad una popolazione umana secondo prospettive "non esaustive" di località e giocata intenzionalmente sui percorsi brevi e controllabili della strumentalità che connette in forme organizzate alla vita delle persone>> [9].
Ma tutto ciò si scontra evidentemente con quella che è l'attuale connivenza tra scienza e potere. Distribuire intelligibilità significa anche distribuire capacità di comprensione e volontà decisionale sugli eventi. Contro questa possibilità si inserisce perfettamente la volontà del potere politico e del baronato scientifico di limitare il più possibile l'accesso ai luoghi classicamente deputati alla trasmissione del sapere scientifico ( anche se non penso che la comunicazione debba esaurirsi dentro questi luoghi), le università e i centri di ricerca: si spiegano così i concorsi per titoli ed esami, il numero chiuso, gli esami sbarramento del primo biennio, le tasse scolastiche in continua crescita che limitano di fatto le possibilità di raggiungimento di un'istruzione superiore alle classi più abbienti (e più contigue al potere stesso) con l'ipocrisia della detassazione per i "capaci e meritevoli" che, prevedendosi pochi, risulterebbero facilmente controllabili e indirizzabili. Questa volontà risulta ancora più evidente quando è al potere una destra "gerarchista" ed efficientista e che insegue ancora i miti del capo e della conoscenza limitata ai migliori.
Ma per quale motivo gli scienziati e i tecnologi dovrebbero rinunciare ai privilegi che la connivenza col potere e l'ignoranza diffusa offre loro? Nessuno, apparentemente.
Quella che sto prospettando è infatti una scelta di campo. Una scelta che dovrebbe interessare tutti coloro che operano nel campo della comunità scientifica e che non si sentono omologati ad essa ma, al contrario, pensano possibile l'attuazione di un ribaltamento dell'attuale paradigma che vede la scienza come fornitrice di verità incontestabili alla società nel suo complesso [10], cui è riservato il solo compito di prendere atto delle verità comunicate. Questi stessi individui, insieme al resto della comunità umana, dovrebbero opporsi con tutte le forze alla creazione di una tecnocrazia (quel governo dei tecnici che molti auspicano) che avrebbe il compito di formalizzare quel paradigma ed allo stesso tempo di giustificare "a priori", con la sua presenza, qualsiasi opzione scientificamente e tecnologicamente attuabile. La presenza di regole che si richiamano ad una qualche deontologia non avrebbe alcun effetto se perseverasse l'inintelligibilità del sapere scientifico da parte della moltitudine di individui costituenti il pubblico di un siffatto teatrino.
Afferma Castoriadis: <<Gli enormi pericoli, l'assurdità dello sviluppo senza orientamento della tecno-scienza non possono essere evitati da "regole" decretate una volta per tutte, né da un "gruppo di saggi" che non potrebbe che divenire strumento, se non soggetto, di una tirannia>> [11].
Parafrasando Giulio Girardi [12], chi controlla la scienza e la tecnologia è signore del mercato e quindi domina il mondo.

4. Allo stato attuale il tutto può apparire deprimente. Tuttavia si possono intravedere degli spiragli per uscire da una tale situazione.
Francisco Varela, ad esempio, vede nell'interpenetrazione creativa tra ricercatori, tecnici e pubblico un potenziale per trasformare la consapevolezza umana [13]. E devo dire che mi affascina la possibilità che tale interpenetrazione si manifesti attraverso un sistema di comunicazione orizzontale a rete, in cui ogni nodo abbia capacità di autonomia e di auto-organizzazione. L'atroce dubbio che si può generare è che un simile sistema risulti costituito da pochi individui o gruppi esperti ancorché antagonisti: una tecnocrazia antagonista, avanguardia di una moltitudine incomunicante, che non modificherebbe di molto l'attuale stato delle cose.
Dubbio forte e reale. Castoriadis lo riconosce: <<Noi non abbiamo bisogno di alcuni "saggi". Abbiamo bisogno che la maggior parte degli individui acquisti ed eserciti la saggezza, cosa che a sua volta richiede una trasformazione radicale della società come società politica>> [14].
Potrebbe sembrare una riproposizione della metafora dell'uovo e della gallina: viene prima l'acquisizione della saggezza oppure la trasformazione radicale della società? Ma l'uovo e la gallina sono nati insieme: i primi organismi unicellulari da cui si sono evoluti tutti gli altri organismi erano allo stesso tempo uovo e gallina. Stefano Lotti, parlando delle strutture a rete, sostiene questa possibile contemporaneità: <<L'accesso all'intera conoscenza della rete è identico per ogni componente e l'attività parte semplicemente dagli impegni che ogni membro si prende rispetto agli altri. Ogni attività viene coordinata in modo transitorio da chi la propone e seguita da chi vi ha interesse. (...) i gruppi che compongono la rete ed anche i singoli componenti tendono a stabilizzare un linguaggio comune ed una sempre più elevata capacità di prendere decisioni insieme (...). In modo dinamico tende a costituirsi una specie di saggezza di rete>> [15]. Sarebbe importante, però, non tralasciare i meccanismi classici della comunicazione orizzontale, per evitare di escludere quegli individui o quei gruppi "tecnicamente" non ancora preparati all'allacciamento.
La strategia connessionista sembra avere delle possibilità. Si tratta cioè di sfruttare le capacità auto-organizzative dei sistemi complessi (le reti) costituiti da componenti più semplici (i nodi) densamente connessi gli uni agli altri, in cui interattività fra componenti e meccanismi di retroazione (feedback) fanno sì che le proprietà globali del sistema siano eccezionalmente superiori alla somma delle proprietà delle singole componenti.
Consideriamo, ad esempio, un'informazione che non riscuota alcun interesse in un dato momento e in un dato luogo ma che sia potenzialmente interessante. L'incapacità elaborativa rispetto a quella informazione da parte di un singolo nodo farebbe dimenticare l'informazione stessa dopo un certo periodo di tempo. Se invece questa informazione venisse immessa nella rete è perfettamente plausibile che essa venga recepita ed elaborata da un qualsiasi altro nodo e quindi reimmessa in rete. A questo punto sia gli altri nodi che il primo possono recepirla in questa forma rielaborata e quindi attivarsi. E' immediato verificare i vantaggi di tale struttura che non a caso è quella su cui schematicamente è basato il funzionamento del cervello e di altri sistemi biologici. Inoltre, in tale sistema comunicativo orizzontale ogni informazione immessa in rete raggiunge ogni nodo nello stesso momento e la cooperazione globale non ha bisogno di un'unità di elaborazione centrale. Si tratta, in definitiva, di passare da una comunicazione monodirezionale ad un multidirezionale e interattiva [16].

5. Il punto principale sta qui: non si tratta di costringere gli scienziati a riconoscere le proprie responsabilità o di creare istituti giuridici di controllo [17]. Si tratta piuttosto di distribuire conoscenza al maggior numero possibile di individui e spostare le responsabilità dal piano tecnico al piano più strettamente politico, fondando il processo di convalida di nuovo sapere <<sulla valutazione collettiva della sua efficacia rispetto alle aspettative di controllo della natura e di intervento su di essa per fini determinati socialmente condivisi>> [18]. Provate ad immaginare le possibilità esplosive di un simile agire comunicativo rispetto alle attuali modalità di trasmissione al pubblico delle informazioni e delle conoscenze scientifiche, che ora sono solo ed esclusivamente "ex cathedra": è impossibile non pensare che tutto ciò porti con sé una grossa carica di antagonismo rispetto all'esistente [19].
Del resto, se il progresso nella scienza è essenzialmente antagonismo, il progresso della scienza nella fase attuale non può essere che antagonismo. Inoltre, se la differenza tra antagonismo e omologazione passa anche attraverso la volontà della socializzazione e della democratizzazione o meno dei saperi e delle informazioni, il tirarsi fuori da questa scelta - per interessi personali o corporativi - da parte della comunità scientifica non può portare altro che a qualificare inequivocabilmente quest'ultima come antilibertaria e di destra. Ed essa appare effettivamente così.
Il dibattito è aperto.

Note

1) Marcello Cini, "Un paradiso perduto - Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi", Feltrinelli, Milano, 1994, pag. 265.
2) Roberto Fieschi, in "Giano" n. 14/15, 1993, pag. 63.
3) M. Cini, cit., pag. 264.
4) Jean Baudrillard, "Per una critica dell'economia politica del segno", Mazzotta, Milano, 1974, pag. 182.
5) Lorenzo Magnani, "Epistemologia applicata", Marcos y Marcos, Milano, 1990, pag.281.
6) Magnani, cit. pag. 288.
7) Magnani, cit. pag. 279.
8) Getto qui una pietra tanto per rimettere in discussione ciò che ho appena affermato: come verrebbero tutelati coloro che, per qualsiasi motivo, non volessero essere soggetti partecipanti? A questo riguardo rifiuto il principio che la maggioranza ha sempre ragione, in quanto non credo sia questa l'essenza della democrazia.
9) Magnani, cit. pag. 282.
10) L'opinione che la scienza sia un'istituzione distinta dalle forze che regolano la nostra vita quotidiana e che governano la struttura della società è molto diffusa: in realtà la scienza usa merci ed è inserita nel processo di produzione di merci in modo perfettamente consono al modo di produzione capitalistico. Sull'argomento, Richard C. Lewontin, "Biologia come ideologia - La dottrina del DNA", Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
11) Cornelius Castoriadis, in "Democrazia e diritto" n. 3, 1993, pag. 3.
12) Giulio Girardi, in "Giano" n. 14/15, 1993, pag. 79.
13) Francisco Varela, "Scienza e tecnologia della cognizione - direzioni emergenti", Hopeful Monster, Firenze, 1987, pag. 11.
14) Castoriadis, cit. pag. 26.
15) Stefano Lotti, in "Klinamen - Derive e approdi" nn. 5 - 3/4, pag. 77.
16) Il prato rosso, "La fabbrica del senso - Lavoro e immaginazione oltre l'industria culturale", relazione presentata al seminario omonimo, Roma, 1993.
17) <<Il grande trionfo del pensiero istituzionale consiste nel rendere le istituzioni completamente invisibili>>, Mary Douglas, "Come pensano le istituzioni", Il Mulino, Bologna, 1990.
18) M. Cini, cit., pag. 279.
19) Quale organismo militare avrebbe la capacità di costruire un'arma le cui caratteristiche e i cui particolari costruttivi siano noti a tutti e in tutto il mondo? Oppure che fine farebbe il capitalismo se venisse meno il segreto industriale o venissero cancellati istituti quali il brevetto e il copyright?

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