CHAOS

Scienza, retorica della "verità" e relativismo


Tomas Ibanez


Ci vien detto che il senso comune, questa somma di saperi che la gente si è lentamente costruita per disimpegnarsi nella vita quotidiana, è ingannevole, poco affidabile e acritico. Dà per scontate molte verità che non lo sono, si arresta alla superficie delle cose e assume come realtà insindacabili quelle che sono solamente apparenze. Caricata di senso critico, la ragione scientifica si è costituita, da un certo punto in poi, in contrapposizione al senso comune, sottoponendo ad esame tutte le evidenze ch'esso accetta senz'altro, sapendo resistere alla forza tremenda delle apparenze per vedere cosa si nasconde tra di esse. Il segreto dell'esito della scienza è facile a disvelarsi, nunca da nada por definitivo. Essa dirige la sua enorme capacità critica verso i suoi propri risultati, li esamina più e più volte fino ad incontrare la parte di errore che contengono per correggerla incessantemente. C'è qualcosa tuttavia che la scienza si impedisce di fare e un rischio che non intende correre. La ragione scientifica è restia ad orientare il suo potenziale critico su se stessa, nei confronti dei suoi assunti più fondamentali. Si deve dubitare di tutto, bisogna che tutto sia interamente esaminabile..., tranne la propria ragione scientifica. Il rischio cui la ragione scientifica si sottrae è che si riduca la distanza, ipoteticamente abissale, che la separa dal senso comune, e che alcuni dei suoi assunti fondamentali risultino essere tanto ingannevoli, inaffidabili e acritici quanto quelli del senso comune proprio. Tale conclusione certamente non la farebbe finita con le pratiche scientifiche, ma le farebbe scendere dal piedestallo sul quale sono state collocate. Tuttavia, che accadrebbe se, oltre a ciò, si dimostrasse che la ragione scientifica non differisce minimamente da tutti quegli artifici che le società sono andate inventando per soggiogare le genti e strappar loro la capacità d'essere degne di se stesse? Nemmeno questo inciderebbe sul destino delle pratiche scientifiche ma ci obbligherebbe forse ad intraprendere una certo atteggiamento di belligeranza contro di esse.
In tutte le società il mezzo più efficace per persuadere alla sottomissione è consistito sempre nell'istituzione di una forma di autorità indipendente da ciò che possono fare o smettere di fare i soggetti integranti della società. E' certo che i conflitti di interessi tra le persone o le collettività possono risolversi mediante il confronto diretto ed eventualmente violento tra i soggetti coinvolti, così come è certo che le decisioni possono essere prese lanciando una moneta per aria, e che ciò ch'è permesso e ciò ch'è proibito possono essere dettati dall'arbitrarietà di una disputa. Tuttavia, tutte le società hanno costruito meccanismi più o meno sottili per evitare gli ovvi inconvenienti di queste pratiche. La forma generale di questi meccanismi consiste nello stabilire l'esistenza di un metalivello che trascende la "finitezza" umana (dotata, si sa, di una conoscenza povera e limitata, di interessi ristretti e di una volontà velleitaria), e nel designare alcuni mediatori privilegiati che incarnino questo metalivello direttamente o che lo facciano per bocca loro. Le parti in conflitto obbediscono alle risoluzioni di terze persone, poichè queste trascendono gli interessi di ciascuna parte e in virtù del fatto che il metalivello della sapienza e la giustizia parlano attraverso di esse. Le decisioni rispetto ad alternative conflittuali sono accettate con fiducia quando vengono determinate attraverso criteri che trascendono la mera soggettività, non importa se, secondo la cultura, questi criteri sono forniti dal fegato di un animale sacrificato o dal giudizio di un "esperto". Le imposizioni sociali vengono rispettate purchè provengano da qualcuno che incarni una realtà che trascende la finitezza umana, o che la rappresenti.
Insomma, per investirsi di legittimità e compiere perfettamente il suo ruolo, l'esercizio del potere si rimette sempre a terzi, siano questi la divinità, la tradizione, la conoscenza o la volontà generale. Tutti sappiamo che il potere comincia a traballare quando la gente comincia a discutere questo metalivello, o quando le capacità dei mediatori sono messe in dubbio, o quando i criteri sono visti come frutto della semplice contingenza umana.
Tanto metalivelli quanto mediatori sono presenti in tutte le società, configurando ciò che nell'interpretazione di Foucault potremmo denominare una "economia della verità". Ma perchè una "economia della verità" sia efficiente e perchè la "Retorica della Verità" che la esprime sia poderosa, è necessario che si diano (a rajatabla = preliminarmente, a tavolino) alcune condizioni:

CHE SIA UNICA. Una "Retorica della Verità" deve detenere il monopolio assoluto del suo campo di competenza. Non possono esistere molteplici "Retoriche della Verità" per un medesimo assunto. Il pluralismo implica necessariamente la reinttroduzione della contingenza umana per la possibilità di scegliere la verità più conveniente. Il metalivello crolla e torniamo a ritrovarci al livello ordinario dell'esistenza umana.
CHE SIA ASSOLUTA. I criteri di verità non possono essere relativi nè allo spazio nè al tempo , nè a nessuna altra cosa. Qualora lo fossero, non apparterrebbero ad un metalivello genuino. In questo senso, è di somma importanza negarne la storicità, poichè ciò che potrebbe un giorno perdere la sua veracità non può essere realmente veritiero.
CHE SIA SOPRAUMANA. La verità non può risultare dall'attività umana. Gli esseri umani hanno solo la facoltà di "scoprirla" o di "tradurla" nei termini loro propri, sempre e quando codesta traduzione non sia pregiudicata dalle caratteristiche del traduttore. La luogo della verità è cambiato nel corso del tempo, ma non è mai stato ubicato negli esseri umani.
CHE SIA IDEOLOGICAMENTE LEGITTIMATA. Se una "Retorica della Verità" ha bisogno di essere imposta con la forza, perde, ipso facto, il suo caratterre di verità. L'adesione deve ottenersi e mantenersi attraverso un processo continuo di legittimazione ideologica.
CHE PRODUCA EFFETTI DI POTERE. Una "Retorica della Verità" ha come obiettivo vincolare a sè la gente ed ottenere la sua sottomissione. Una "Retorica della Verità" cessa di essere tale nel momento in cui sorge e si generalizza il dissenso.
Vedremo come queste condizioni in serie siano pienamente presenti nella "Retorica della Verità" che ha ottenuto l'egemonia nelle società moderne; concretamente, nella "Retorica della Verità Scientifica".

Non rappresenta certo più una novità sostenere che, dal secolo XVII, la ragione scientifica si è progressivamente costituita come il fondamento della verità, e che le pratiche scientifiche si sono imposte come le uniche legittimamente capaci di produrre verità. Ma si richiede una buona does di culturocentrismo e cieca adesione per credere che finalmente ci troviamo di fronte alla "vera" "Retorica della Verità": di fatto è facile dimostrare che la "Retorica della Verità", oggi dominante, non differisce essenzialmente dalle "Retoriche della Verità" anteriori.

CHE SIA UNICA. Benchè gli ideologi della ragione scientifica siano stati tentati, da molto tempo a questa parte, di affermare che gli enunciati scientifici sono gli unici enunciati dotati di senso, la loro posizione è ora più flessibile, ed essi ammettono che l'esperienza umana può produrre altre forme valide di conoscenza oltre a quelle che provvede la scienza. Ciononostante, essi insistono nell'affermare che solo il metodo scientifico, definito in termini positivisti empiricisti, è in grado di generare una valida conoscenza della realtà. La frase: "Questo non è scientifico." invalida irrimediabilmente qualunque intento di conoscere la realtà, fuori dagli standards imposti dal metodo scientifico.
CHE SIA ASSOLUTA. Gli scienziati sociali tradizionalmente insistono sul fatto che tutta la conoscenza sociale è storicamente e culturalmente situata, per cui conseguentemente essa varia nel tempo. Ma quando questi stessi scienziati abbracciano la "Retorica della Verità Scientifica", immediatamente dichiarano che questo fatto si riferisce a qualunque conoscenza con l'eccezione della conoscenza scientifica. Ammettono, naturalmente, ch'essa sia in trasformazione nel momento stesso in cui si fa più precisa; ma i criteri che definiscono la scienza non possono cambiare, poichè se questi non trascendessero la variabilità sociostorica sarebbero semplicemente relativi e, pertanto, incapaci di sfuggire alla controversia.
CHE SIA IDEOLOGICAMENTE LEGITTIMATA. I progressi tecnici basati sulla conoscenza scientifica hanno rappresentato un forte argomento di legittimazione di tale modelo di conoscenza. Ma non dobbiamo dimenticare che gli effetti tecnologici dei risultati scientifici sono un fenomeno recente, che appare precisamente nella seconda metà del secolo XIX, molto tempo dopo il consolidarsi della ragione scientifica. Di fatto, l'operazione ideologica volta alla legittimazione della ragione scientifica fu portata a termina principalmente durante l'Illuminismo, molto prima che i successi della scienza divenissero indiscutibili.
CHE SIA SOPRAUMANA. La conoscenza scientifica è una conoscenza senza soggetto. Ovviamente, la sua costruzione richiede degli scienziati in carne ed ossa, ma perchè i suoi risultati siano realmente validi bisogna che siano totalmente indipendenti da qualunque caratteristica relativa alla natura "carnale" (materiale) degli scienziati. Per definizione, la conoscenza è necessariamente espressa in termini umani, ma nè i suoi criteri di validità, nè la veridicità dei suoi contenuti sono in funzione delle decisioni umane. Inoltre, qualora questi venissero toccati da tali decisioni, allora non potrebbero essere considerati "oggettivi", nè "scientifici". I processi decisionali devono essere di tipo algoritmico.

Gli ideologi illuministi ebbero successo creando una connessione tra gli interessi fondamentali dell'umanità e lo sviluppo della ragione scientifica, presentandola contemporaneamente e positivamente come l'armamentario più adeguato contro le precedenti "retoriche della verità", i cui effetti di potere erano già inaccettabili per la maggioranza della popolazione. Lo svilupo della ragione scientifica fu visto allora come condizione tanto del progresso materiale come del benessere sociale, e si supponeva che avrebbe risolto, una volta per tutte, i misteri dell'universo, aiutando così gli esseri umani a liberarsi del potere che abusava della loro ignoranza e delle loro "false credenze". Certamente, il maggior risultato degli ideologi dell'Illuminismo è radicato nel nesso che essi stabilirono con successo tra la ragione scientifica e i valori sociali che si accingevano a dominare le scena sociale fino ai nostri giorni, vale a dire, l'uguaglianza tra gli esseri umani, il benessere collettivo, la libertà individuale e il rifiuto del'arbitrarietà. Le basi della Modernità si crearono in questo modo e la sua forza ideologica continua a dominare le società attuali, nonostante la saggia ironia di Nietzsche, le riflessioni di Heidegger ed i contributi post-strutturalisti dei nostri giorni.
Continuando il lavoro dell'Illuminismo, l'impresa ideologica indirizzata alla legittimazione della superiorità della ragione scientifica fu portata a termine da diverse generazioni di epistemologi, che lavorarono duro per "dimostrare" che la verità scientifica si situava effettivamente in un metalivello privo di caratteristiche contingenti. I principi fondamentali che pretesero di stabilire furono, nei termini di Putnam:

1. Il principio di indipendenza. La verità scientifica è indipendente da qualunque cosa gli esseri umani possano fare o dire, eccettuato "incontrarla".
2. Il principio di corrispondenza. La verità è una questione di stretta corrispondenza con la realtà.
3. Il principio di reciprocità (bivalencia). Ogni enunciato scientifico è necessariamente vero o falso.
4. Il principio di singolarità. Esiste una sola descrizione completa e veritiera della realtà.

CHE PRODUCA EFFETTI DI POTERE. Allorquando gli ideologi dell'Illuminismo si limitarono allo sviluppo dell'affermazione cartesiana, espressa in termini di potere, secondo la quale la ragione scientifica avrebbe trasformato gli esseri umani in "degni signori della natura", mostrarono tuttavia l'ovvia preoccupazione di cancellare qualunque relazione tra la scienza e le pratiche di potere. La scienza doveva essere concepita come intrinsecamente democratica, nella misura in cui permetteva a chiunque di comprovare la presunta validità degli enunciati scientifici, e conseguentemente rifiutare qualunque argomento fondato sul principio di autorità. Ma la posiibilità del dissenso pubblico implicava, nella pratica, una triplice condizione: in primo luogo il possesso dei mezzi materiali necessari; secondo, il dominio della conoscenza e delle competenze adeguate; e, terza condizione, la subordinazione ai criteri e ai metodi della conoscenza scientifica. La prima condizione restrinse l'espressione democratica della scienza ai possessori dei mezzi materiali. La seconda limitò questa dimensione democratica agli "esperti" e agli scienziati propriamente detti. La terza esigenza restrinse ancor più l'ambito della democrazia a coloro che avevano già preventivamente accettato le "regole del gioco" imposte dalla ragione scientifica. Qualunque posizione che avesse manifestato una dissidenza nei confronti della ragione scientifica stessa restava così esclusa dalla mera possibilità di essere presa in considerazione.
Insomma, pare ragionevole ammettere che tanto l'impresa scientifica quanto l'ideologia scientifica sono ben lungi dall'essere estranee dalle pratiche di potere esercitate non solo sulla "natura", ma anche sulle persone. Di fatto, difficilmente si può negare che la scienza è oggi come oggi una delle più efficaci macchine di potere.
L'ideologia legittimatrice ha costruito poderosi meccanismi di difesa per mantenere la scienza come un'efficace retorica della verità. Ma questi meccanismi, lungi dall'essere consonanti con le esigenze proprie della razionalità scientifica, si fondano sulla regola di creare confusione sistematica ed amalgame arbitrarie.
Il primo di questi meccanismi consiste nell'intimidire i dissidenti, con l'argomento secondo il quale il solo fatto di mettere in discussione la ragione scientifica segna una regressione all'oscurantismo, e rappresenta allo stesso tempo una pericolosa incitazione ad adottare posizioni irrazionali, con tutte le catastrofiche conseguenze che si sono viste nel corso della storia. E' vero che alcuni attacchi alla ragione scientifica presentano tutte queste implicazioni, ma sostenere che tutte le prospettive critiche hanno lo stesso tenore è uno stratagemma per provocare una confusione metonimica. D'altro canto, quest'argomento suggerisce implicitamente che l'irrazionalità è l'unica alternativa alla ragione scientifica, e deliberatamente ignora che la ragione umana esiste da molto tempo prima che si costituisse la ragione scientifica, producendo una ricca varietà di risultati, tanto nell'ambito della conoscenza come nel campo delle invenzioni (innovazioni) tecniche. L'assenza di razionalità scientifica non fece dei nostri antenati degli esseri irrazionali, malgrado ciò che suggerisce l'ideologia ereditata dall'Illuminismo. Oltretutto, la messa in discussione dela ragione scientifica non pretende di favorire la regressione a forme di razionalità precedenti all'epoca scientifica, per quanto preziose queste siano state. Pretende soltanto di smitizzare le assunzioni irrazionali inscritte nella razionalità scientifica. Paradossalmente, la critica della scienza ha come obiettivo una forma di razionalità più esigente.
Un secondo meccanismo di difesa sostiene che qualunque tentativo di "relativizzare" i criteri della razionalità scientifica, negandone la validità metastorica e riconducendoli alla mera contigenza delle strutture sociostoriche, porta inevitabilmente alla restaurazione dei principi di autorità e all'uso della forza come unico modo per decidere tra affermazioni conflittuali. Evidentemente, l'assenza di criteri fissi e oggettivi apre la porta alla possibilità che la volontà del più forte o del più abile valga come argomento ultimo a favore di una decisione. Ma questo ragionamento si rivela essere un doppio mascheramento.
In prima istanza, maschera il problema rappresentato dal fatto che la ragione scientifica è essa stessa una creazione storica, e che i suoi criteri non possono, come tali, trascendere le contingenze determinate dai processi storici. In secondo luogo, maschera il fatto che la ragione scientifica pare neutralizzare le relazioni di forza, semplicemente perchè queste si ritrovano già inscritte nella stessa ragione scientifica. Infatti, una volta che un enunciato è dichiarato "oggettivo", nessuno è più autorizzato a dubitarne, e non esiste altra opzione che assentire rispettosamente o essere socialmente stigmatizzato. Si può discutere la "presunta oggettività" di un risultato scientifico particolare, ma una volta che questa "presunta" oggettività si converte in una oggettività "riconosciuta", la sola pretesa di discutere il suddetto risultato scientifico diviene socialmente assurda. Il concetto di "oggettività" contiene in se stesso l'impossibilità di discutere e l'obbligo di asssentire.
L'equivalenza creata tra la relativizzazione dei criteri scientifici da un lato e la selvaggia manifestazione della forza, dall'altro, pretende di dirci che l'attacco alla ragione scientifica apre le porte direttamente alla barbarie irrazionalista, quale l'ha rappresentata il nazismo. Ma ciò che qui si vorrebbe mascherare è che l'uso della ragione pratica, o phronesis, ha reso capaci molte società di stabilire relazioni sociali fondate su qualcosa di diverso dalla volontà del più forte, anche ignorando la razionalità scientifica. Più drasticamente, ciò che annulla l'argomentazione è la costatazione che i fenomeni totalitari hanno origine propriamente in una civiltà dominata dalla razionalità scientifica, e che non sono affatto incompatibili con essa. I nazisti furono portabandiera della scienza, procurarono di avere gli scienziati più prestigiosi, e giustificarono lo sterminio degli ebrei sostenendo che la loro inferiorità razziale era un dato scientifico. Era proprio dalla razionalità scientifica che si pretendeva la legittimazione dell'Olocausto. In ogni caso, non si può dimenticare che le più grandi atrocità sono sempre state commesse in nome della retorica della verità. La vera religione lanciò le crociate, creò l'Inquisizione e massacrò i calvinisti. La verità presiedette alla rivoluzione francese. La Pravda giustificò il terrore bolscevico, e fu con verità schiaccianti ed irrefutabili come pugni che i nazisti maciullarono crani di ebrei e comunisti.
I pericoli maggiori non vengono dagli attacchi alla verità, quanto piuttosto dalla credenza nella verità, indipendentemente dal metalivello nel quale la verità s'insedia, si tratti di religione o scienza.
Di fatto, si può qui apprezzare un'ambivalenza che soggiace all'"ansietà cartesiana" per la certezza assoluta sulla quale si basa la retorica della verità scientifica. In primo luogo, il desiderio di esercitare un potere quanto più vicino possibile al potere attribuito a dio dalla cristianità, cioè, un potere ubicato molto al di sopra della finitudine umana. In secondo luogo, il desiderio di sottomissione ad un potere che non concede alcuno spazio alla disobbedienza umana.
Poichè la ragione scientifica costituisce la più efficace retorica della verità dei nostri tempi, proprio perciò deve essere considerata il banco di prova principale per quelli tra noi che pretendono di lottare contro i dispositivi di sottomissione. Attaccare la ragione scientifica è oggi una necessità, non per farla finita con la conoscenza scientifica, ma per spezzare (rompere, interrompere) il suo funzionamento come retorica della verità. Intuisco tuttavia che sarà necessario prima di tutto vincere il timore del relativismo per poter avanzare in questa direzione.

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